NUMISMATICA E STORIA - DUE ARGENTI DI EPOCA IMPERIALE - RINVENUTI IN AGRO DI VALLATA - Prof. Rocco De Paola

NUMISMATICA E STORIA
DUE ARGENTI DI EPOCA IMPERIALE
RINVENUTI IN AGRO DI VALLATA
A cura del Prof. Rocco De Paola
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      Due preziose monete d’argento della Roma imperiale del I e del III secolo d. C. furono rinvenute in agro di Vallata, in un anno imprecisato del secolo scorso, e di esse è memoria nell’opuscolo più volte citato di don Arturo Saponara (1).
      Una delle monete riportava nel dritto la scritta “A VITELLIUS…IMPERATOR PONTIFEX MAXIMUS”, mentre nel rovescio si notavano “due mani intrecciate in rilievo con la dicitura CONCORDIA EXERCITUM (sic) ” (2).
      Si tratterebbe di un “denarius” d’argento del I secolo d. C., coniato precisamente nell’anno 69, in un arco di tempo che va da gennaio, mese dell’investitura da parte dell’esercito, al 20 o 22 dicembre, data della morte.
      Aulo Vitellio, in conseguenza della proclamazione ad imperatore da parte delle legioni stanziate in Germania, assunse il soprannome di “Germanicus” in vece del titolo solito di “Cesare”, venuto in odio al popolo dopo le atrocità commesse da Nerone.
      Fu uno dei cosiddetti “quattro imperatori”, poiché, in un periodo convulso della storia dell’impero, si trovò in concorrenza per il trono imperiale con Galba, Otone e Vespasiano, capostipite della dinastia dei Flavi, che sarebbe poi restato sovrano unico dopo la sconfitta degli altri pretendenti.
      Tacito ne traccia un ritratto impietoso, anche se gli riconosce qualche dote, come la franchezza e la generosità, che, non temperate da un carattere fermo, ne avrebbero decretato la rovina, nel breve volgere di qualche mese di regno (3). Indulse alla crapula e all’uso smodato nel bere.
      Viene, infatti, raffigurato in qualche raro marmo, scampato alla “damnatio memoriae”, con una corporatura smisurata. Fece una fine miseranda.
      Trascinato per le vie di Roma con le vesti lacere e con un cappio al collo e la punta di una spada alla gola, sottoposto ad ogni genere di ludibrî da parte di quella stessa plebe che aveva cercato di ingraziarsi con generose elargizioni (4), fu alla fine giustiziato, non prima di essere stato “minutissimis ictibus excarnificatus et inde unco tractus in Tiberim”(5).
      Durante il breve periodo del suo regno, si ebbe una proliferazione inconsueta di monete mediante le quali Vitellio sperava di assicurarsi il favore dell’esercito e del popolo romano, nella vana speranza di poter procrastinare “sine die” il suo potere.
      La iconografia ufficiale lo raffigura con una folta chioma, in genere con la testa laureata e la scritta nel dritto: “A(VLUS) VITELLIVS GERM(ANICVS) IMP(ERATOR) AVG P(ONTIFEX) M(AXIMUS) TR(IBVNICIA) P(OTESTAS)”.
      Anche su talune monete si notano il collo taurino e la pinguedine che caratterizzava il personaggio. A Roma furono emesse tre serie di monete, una prima serie in argento nel mese di aprile, quando ottenne l’investitura ufficiale da parte del Senato, una seconda serie in oro ed argento, forse all’inizio di maggio, infine una terza serie anche di bronzo dopo il 18 luglio (6).
      Comunque la serie delle monete con l’effigie e la legenda di Vitellio inizia già dal gennaio del 69, appena designato imperatore dalle legioni stanziate nella Germania inferiore, di cui era il comandante, essendo stato destinato da Galba a quell’incarico, con somma meraviglia di tutti, non avendo particolari attitudini militari.
      Altri due gruppi di monete nei tre differenti metalli furono coniati a Lugdunum, l’odierna Lione, e a Tarraco, Tarragona in Spagna.


Immagine di Vitellio su un denario d’argento.
Nel rovescio si notano due mani intrecciate con la scritta “fides exercituum”.

      La moneta osservata da Saponara corrisponde in parte alle caratteristiche descritte, con qualche particolare anomalo. Tra il nome “Vitellius” e il successivo “imperator” vi sono dei puntini sospensivi forse ad indicare una lacuna che si può facilmente integrare con l’appellativo “Germanicus”.
      Le parole che seguono, “pontifex maximus”, rappresentano di sicuro uno scioglimento della sigla “P M” della moneta. Su un diverso esemplare di denarius (7), nel rovescio, è riportata la scritta “PONT MAXIM” quasi del tutto per esteso. Il titolo toccava in genere agli imperatori la cui investitura era stata ufficializzata dal Senato.
      Un’altra integrazione, secondo me opportuna, sarebbe l’aggiunta di “TR P”, ossia “tribunicia potestas”, carica ufficialmente attribuita a Vitellio e ricorrente sulla quasi totalità delle monete (8). Nel rovescio, le mani intrecciate sono abbastanza consuete, anche se quella iconografia ricorre piuttosto sulle monete di bronzo.
      La scritta “concordia exercitum” suscita qualche perplessità, poiché non si riscontra in altre monete di Vitellio a noi note. E’ vero che l’immagine della Concordia, come divinità propiziatrice, è piuttosto usuale nelle monete di quell’imperatore, ma mai essa è abbinata con l’esercito.
      Se talvolta si incontra, anche in monete di altri imperatori, la forma “exercitum”, essa è senz’altro da ritenere erronea, avendosi dovuto correttamente usare, in questo caso, il genitivo “exercitus”, al singolare, oppure “exercituum”, al plurale, come nell’esemplare di moneta riportata sopra. Diversamente si sarebbe dovuto scrivere, al limite, “concordi exercitu”.
      In una moneta si riscontra la scritta piuttosto inconsueta “concordia praetorianorum” (9), mentre le formule “fides exercituum”, “consensus exercituum”, “fides praetonianorum” (10) sono ben più frequenti, quasi a sottolineare l’attenzione quasi maniacale, sintomatica di pavidità, di Vitellio verso l’esercito, che rappresentava la base del suo precario potere, ed il suo stretto rapporto con esso.
      Tali formule ed altre similari ebbero enorme fortuna durante quasi tutta l’età imperiale, a significare il legame di interdipendenza fra potere imperiale e potere militare. Le legende delle monete inneggianti alla fedeltà degli eserciti provengono essenzialmente dalle zecche di Lugdunum e Tarraco ed è, quindi, presumibile che siano state battute da gennaio ad aprile, prima del rientro di Vitellio a Roma, avvenuto verso la metà di aprile del 69 d. C. Anche la moneta ritrovata a Vallata potrebbe essere datata in quel periodo.
      Essa rappresenterebbe, per le caratteristiche descritte, un esemplare unico di grande interesse storico-numismatico!
      Anche l’altra moneta citata da Saponara sarebbe, come vedremo, più unica che rara. Della esistenza del personaggio in essa raffigurato, un certo Nigriniano, del quale non si conosce nemmeno il nome completo, si ha notizia solo attraverso le rare monete commemorative ed un’unica epigrafe (11) la quale riporta che il “divus Nigrinianus” sarebbe stato un nipote di Marco Aurelio Caro, imperatore romano per soli due anni dal 282 al 283. Si suppone che sia stato figlio di Carino, primogenito di Caro, e della di lui moglie Magna Urbica. C’è anche chi, invece, ipotizza che possa essere stato generato da Aurelia Paolina, sorella minore di Carino. Comunque sia, Nigriniano, nipote di Marco Aurelio Caro, morì in tenera età ed il nonno provvide ad innalzarlo agli onori divini, dedicandogli delle medaglie commemorative, tramite le quali è accertata storicamente l’esistenza di quel personaggio, altrimenti ignoto.
      La legenda nel dritto “DIVO NIGRINIANO” si ripete uniforme in tutte le non numerose medaglie conosciute. Nel rovescio si legge unicamente “CONSECRATIO”, talvolta accompagnata da lettere come “KA” ed una” A” a volte più defilata ed in maggiore evidenza. La iconografia nel rovescio, invece, è diversificata. Talvolta figura una pira, paludata con sontuosi paramenti, con, in alto, i due cavalli di una biga ed una piccola icona dello stesso Nigriniano (12).


In questo “aureo” si nota l’immagine di un giovanissimo Nigriniano.
Nel rovescio vi è una pira riccamente addobbata sormontata da una biga.

      In altre monete, invece, il rovescio presenta l’immagine di un’aquila con le ali spiegate che si erge sulle zampe (13).


In questo antoniniano (14), nel diritto la scritta “Divo Nigriniano”attorno alla testa radiata, nel rovescio l’aquila con la legenda “consecratio”, ed in esergo “KA(15) seguite da “A”.

     Nella moneta descritta da Saponara non vi è coincidenza assoluta dei particolari. Egli, infatti, parla di testa “laureata”, mentre verosimilmente essa dovrebbe essere ricoperta da una corona radiata, simbolo della divinizzazione di Nigriniano. Inoltre afferma che vi sarebbe “a tergo il forte rilievo di un cavallo in corsa col suo cavaliere” (16). Come si nota nell’aureo raffigurato sopra, effettivamente si notano due cavalli con un cavaliere. Tuttavia Saponara parla di un solo cavallo lanciato nella corsa. Inoltre, non si può arbitrariamente ritenere che da parte sua possa esserci stata confusione sulla composizione del metallo della moneta da lui studiata, altrimenti dovremmo ipotizzare che si trattasse di un aureus, anziché di un antoniniano, come sembra più verosimile. Il dilemma relativo a queste difformità ci porta a pensare che quella medaglia potesse rappresentare un esemplare unico, sconosciuto agli esperti, non essendovi traccia in nessun repertorio di monete imperiali romane di quel periodo. Purtroppo, ancora una volta, dobbiamo fare affidamento su supposizioni che, per quanto plausibili, non servono a sciogliere i dubbi rilevati. Solo la disponibilità materiale di quell’antico cimelio consentirebbe di diradare ogni incertezza in merito, ma allo stato delle cose questo appare una pura utopia, non essendovi più traccia di quella medaglia.

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1) Don Arturo Saponara,Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, Tipografia Pergola, Avellino, 1957, ora in Vallata.org.
2) Idem, ibidem.
3) Publio Cornelio Tacito, Historiae, III, 86.
4) Tito Livio, Ab Urbe condita, XXIV, 25: “ea natura multitudinis est: aut servit humiliter aut superbe dominatur”.
5) Gaio Svetonio Tranquillo, Vita dei Cesari, VII, 17.
6) Enciclopedia dell’Arte antica, di L. Fabbrini, 1966, alla voce Vitellio.
7) RIC, I, 107.
8) RIC, I, Vitelluis, dal n°30 al n° 118.
9) Henry Cohen, Description historique des mannaies frappées sous l’Empire Romain, Tomo I, Paris, Rollin et Feuardent, 1880, pag. 357, n 22.
10) Idem, ibidem, pag. 359, n° 37.
11) CIL, VI, n° 31380, “DIVO/NIGRINIANO/NEPOTI CARI/GEMINIUS FESTUS V(IR) E(GREGIUS) RATIONALIS” (Al divino Nigriniano nipote di Caro Geminio Festo uomo egregio cassiere (di Caro n.d.r.). Il “rationalis” era una sorta di Ministro delle Finanze dell’imperatore con competenze in materia fiscale.
12) RIC, 471, Aureus con pira e biga nel rovescio.
13) RIC, 472, Antoniniano con aquila nel rovescio.
14) Con la riforma monetaria attuata da Caracalla nel 215 vennero introdotte monete con valore raddoppiato, il doppio aureo (binione) ed il doppio denario.(antoniniano).
15) Tra il 272 e il 274 Aureliano riformò ancora il sistema monetario, fissando per l’antoniniano un peso di g 3,90 ed un titolo di 20 parti di rame ed uno di argento, indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI o KA con lettere greche.
16) Don Arturo Saponara, op. cit.

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