Architrave del XVII sec. Prof. Rocco De Paola

Portali con iscrizioni.
Un architrave del XVII secolo
custodito nel cortile di palazzo Gallicchio.
In origine faceva forse parte di una cappella gentilizia.


A cura del Prof. Rocco De Paola
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         Nel centro storico di Vallata, un tempo circoscritto alla sola parte eminente del paese, entro la cerchia delle antiche mura, delle quali ancora è possibile osservare qualche resto sparso qua e là, non è raro imbattersi in massicci portali, talora con iscrizioni in latino riportate sugli architravi. Le continue devastazioni operate dagli elementi naturali, ma, spesso, anche l’insipienza dell’uomo, ne hanno ridotto la consistenza. Comunque, ancora oggi, ne sopravvivono diversi esemplari, emblema di un passato contrassegnato dall’ostentazione dell’opulenza e dalla compiaciuta autocelebrazione da parte delle classi egemoni, quasi a rimarcare la distanza dalle classi subalterne, segnate dallo stigma della emarginazione e del servaggio. Ciononostante,essi sono, altresì, la dimostrazione tangibile di una certa rilevanza del nostro natio borgo, dovuta alla sua posizione strategica, a cavallo delle due valli contigue dell’Ufita e del Calaggio, naturali vie di transito fra Tirreno ed Adriatico. Non a caso, una delle ipotesi sull’origine della sua stessa denominazione la fa derivare dalle parole latine “vallum” o “vallare”, con riferimento ad opere di carattere difensivo.
         Da tempo immemorabile il solo architrave di uno di quegli antichi portali,di cui dicevo, giaceva,del tutto ignorato, nel cortile del palazzo Gallicchio di via Ponente.


         Per merito di uno dei proprietari di quella antica dimora gentilizia(1) e per la sagacia del prof. Severino Ragazzo, vero segugio nell’individuare gli sparsi resti e nel perseguire le tracce dell’antica Vallata, solo da pochi anni quel muto testimone del passatoè emerso dall’oblio (vedi foto).


         Il paziente lavoro del prof. Ragazzo, che prima ha asportato un denso strato di terriccio e poi ha ripulito l’architrave, ci consente di leggere agevolmente l’epigrafe in latino disposta su quattro righe, regolarmente intervallate.
         Essa riporta la scritta seguente:

         FUNDI TVS INSTRVKIT(sic)
                          DOMNVS ME VIL LA SACERD
         FRANCISC V S PRVDENS AD
                          SVNPTIBV S ILLE SVI S 166…

         Ossia, con le opportune correzioni ed integrazioni, “funditusinstruxitdominus me Villa sacerdosFranciscusPrudenssumptibusillesuis A.D. 166…
         La lapide,che originariamente doveva essere lunga ben più di180 centimetri, oggi appare mutila nella parte destra. Comunque il testo si riesce a ricostruire nella sua interezza, meno la data che appare monca dell’ultima cifra.
         L’epistilionon difetta di qualche elemento architettonico. Lungo il lato inferiore si nota un listello arrotondato, in parte slabbrato, con funzione di gocciolatoio, che conferisce snellezza e maggiore eleganza alla pietra, mentre nella parte sovrastante si nota una modanatura ad ovolo con tondino sottostante.
         Le lettere che compongono la scritta appaiono abbastanza regolari ma non sempre sono distanziate in modo omogeneo. Inoltre, non manca qualche singolarità, come la k della seconda parola, che certamente va identificata con una “x”. In domnus va integrata la “i”, per cui la sua corretta dizione è “dominus”. La parola sunptibus andrebbe corretta in sumptibus, secondo la regola per cui la “m” precede sempre la lettera “p”. Le lettere A.D. (Anno Domini) vanno sicuramente accostate alla data in calce. La traduzione dovrebbe essere questa: “ Il sacerdote don Francesco Prudente Villa mi costruì dalle fondamenta a sue spese nell’anno del Signore 166…”.
         Non v’è dubbio che la parola Villa faccia riferimento al casato del sacerdote e non vada intesa come villa nel significato di dimora, altrimenti il senso della frase ne verrebbe modificato e ne conseguirebbe una sgrammaticatura, in quanto il termine,se dipendente da instruxit, dovrebbe trovarsi all’accusativo.
         A conforto di quanto andiamo discorrendo, tra i componenti del clero di Vallata nel XVII secolo risultano un certo don Francesco della Villa, consacrato sacerdote nel 1599, e che ebbe la carica di tesoriere nel 1623(2),ed un omonimo don Francesco Villa, sacerdote dal 1657(3). Per evidenti ragioni anagrafiche escluderei che possa trattarsi del primo don Francesco che, all’epoca della datazione della lapide, avrebbe avuto un’età molto avanzata, e propenderei per il secondo Francesco, per la motivazione addotta. E’ del tutto verosimile che nel vigore degli anni e quando le possibilità economiche erano sicuramente più cospicue, don Francesco Villa abbia deciso di procedere alla costruzione di un nuovo edificio, “funditus”, dice la lapide, ossia dalle fondamenta. Di che tipologia di fabbricato potesse trattarsi, una dimora per la famiglia o un tempietto, non è accertabile con sicurezza.
         Tuttavia, il ministero esercitato dal Nostro e la particolare enfasi ed una certa solennità della scritta inclinano a far credere che egli abbia voluto costruire una cappella gentilizia per il proprio casato. Del resto, un architrave lineare all’ingresso di una casa non è usuale in Vallata, per quanto esistano esempi di tale tipologia. I portali, in genere, presentano la forma ad arco a tutto sesto. Il prof. Severino Ragazzo è riuscito persino ad individuare il luogo della possibile residenza dei Villa, tra il palazzo Cataldo ed il palazzo Gallicchio. La cappella della famiglia potrebbe essere stata costruita nei pressi della dimora se non in contiguità con essa.
         Per quanto attiene alla data di costruzione, la mutilazione dell’architrave non consente di poterla determinare con certezza. Tuttavia, fermo restando che il decennio è il sesto del secolo XVII, l’anno, secondo una logica lapalissiana, può ipoteticamente decorrere da zero a nove.
         A conclusione di questo modesto contributo, non posso esimermi dall’ascrivere a merito precipuo dell’amico Severino se un ulteriore tassello della nostra comune storia può oggi essere oggetto di studio, concorrendo alla composizione di un sempre più vasto e compiuto mosaico.

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1) Un doveroso ringraziamento va a d. Antonio Gallicchio per aver consentito di effettuare le riprese fotografiche.
2) Gerardo De Paola, Vallata rassegna storica civile religiosa, ed. Valsele, 1983, pag. 267.
3) Idem, ibidem, pag. 270.

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