Architrave del XVII sec. Prof. Rocco De Paola

Portali con iscrizioni.
Architrave del XVIII secolo con epigrafe in latino.
E’ probabile che fosse apposto su un tempietto.


A cura del Prof. Rocco De Paola
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         Il centro storico di Vallata, nonostante l’indifferenza e il disinteresse dell’uomo e lo scempio operato dalle forze della natura,ancora riserva qualche sorpresa. Talvolta in angoli riposti, talvolta in modo più esposto, senza che questo susciti interesse o semplice curiosità da parte di chicchessia, è possibile riscontrare dei segni minuti, ma comunque significativi, del nostro passato. E’ il caso conclamato di un architrave scoperto e segnalato dal prof. Severino Ragazzo. Esso poggia su due massicci piedritti, che, a loro volta, insistono su basi leggermente aggettanti,con gli spigoli appena smussati nella parte superiore. Anche gli spigoli interni dei piedritti e dello stesso architrave sono smussati. La trave portante è sormontata da un’ampia fascia lapidea liscia, senza fregi o scritte, su cui poggia una modanatura a gola rovescia, sulla quale sono collocati due sottili listelli sporgenti. Nel complesso si tratta di un portale di una certa ricercatezza ed eleganza. L’epigrafe (vedi foto) riporta la seguente scritta:

         L’epitaffio presenta un aspetto abbastanza curato e le parole sono ben allineate e disposte in modo ordinato, anche se non sempre è rispettata la distanza tra di esse, come nel caso di “QUAMFECIT” e, verosimilmente, ADNATOS va scisso in AD NATOS.Le lettere sono di buona fattura, secondo i canoni estetici della classicità, contratti uniformi e regolari. Unica eccezione è rappresentata dalla “N” di HANC con la linea mediana invertita. La lettera “A” segue la forma classica, con la linea centrale spezzata ad angolo, attestata a Roma già in età repubblicana. La lettera V (U) è quella normalmente ricorrente in età classica, ma, inopinatamente, in Bubalused in Jure, la “U” è quella che si è affermata in età più recente(1). Da notare anche l’interpunzione a triangolini di D.O.M. e di A.D.
         Aedem presenta la A e la E legate, secondo la consuetudine invalsa soprattutto nella “scripturapicta”, per economizzare lo spazio a disposizione del lapicida. Quanto al testo, ci siano preliminarmente consentiti dei sommessi rilievi di ordine lessicografico e grammaticale, che, come vedremo, non sono di piccolo momento nella interpretazione dell’epigrafe dell’epistilio. “Aedem”, accusativo singolare, sta per tempio, mentre al plurale (aedes-aedium) indica una abitazione o anche dei templi. Adnatos (agnati, parenti), all’accusativo, in dipendenza di “dicat” non sembra molto appropriato. In questo caso, più pertinente è l’uso del dativo “adnatis”. Inoltre, sarebbe stato opportuno, a mio avviso, far precedere sanguine da “ex”, e sicuramente ne avrebbe guadagnato in perspicuità l’espressione. Non si comprende, poi, perché “adnatos sanguine”formi un inciso tra due virgole. A questo punto sembra senz’altro opportuno procedere alla traduzione, con la dovuta cautela, date le ambiguità denotate. “ADio Ottimo Massimo. Questo piccolo tempio che Domenico Bufalo fece per sé offre (trasmette, trasferisce) con (pieno) diritto ai (propri) consanguinei. Nell’anno del Signore 1738”. Se “aedem” è da intender si come dimora, ipotesi non molto convincente, alla luce anche dell’ “adprecatio” D.O.M., il senso generale dell’epigrafe cambierebbe, anche se appare evidente che l’edificio è comunque destinato alla sua parentela. Credo che la interpretazione data sia quella più logica, con qualche ulteriore margine di dubbio. Di fatto, si potrebbe interpretare l’epigrafe anche in modo profondamente diverso. Ipotizzando che adnatos non sia all’accusativo ma al nominativo, e, quindi, si legga adnatus, il senso sarebbe quello proprio della rivendicazione di un diritto di proprietà. Pertanto, la possibile traduzione sarebbe la seguente:“A Dio Ottimo Massimo. Che questo piccolo tempio (dimora)l’abbia fatto per sé Domenico Bufalo lo affermi a (giusta) ragione il parente consanguineo”. Ma, come si vede, occorre ricorrere a qualche forzatura che rende il volgarizzamento meno credibile, riducendolo a livello di pura elucubrazione. Se, inoltre, si scinde la parola ADNATOS, come ho ipotizzato precedentemente, in AD NATOS, la volontà del Bufalo sarebbe quella di trasferire la “aedem” ai suoi parenti diretti. Comunque sia, il senso della epigrafe non muta sostanzialmente. Che si tratti, poi, di tempio o di una casa di abitazione, destinata presumibilmente ai suoi discendenti, non è questione risolvibile, data la rilevata enigmaticità del testo in oggetto, anche se l’ipotesi di una cappella familiare sembra quella più probabile. Né ci aiuta a risolvere il rebus la scorsa dell’elenco del clero che nel XVIII secolo annoverava una nutrita rappresentanza di sacerdoti, di chierici e anche di prelati, ben pochi con il cognome Bufalo.
         Nel testo di don Gerardo De Paola(2) si fa menzione, a pag. 245, di un vescovo, mons. Antonio Geremia Bufalo e, a pag. 271, solo di don Gaetano de Bufalo, economo dal 1703 al 1710 e poi arciprete fino al 1745.
         Che vi possa essere stato un rapporto di parentela con Domenico Bufalo è nel novero delle possibilità. Ignoriamo a cosa potesse essere destinata la “parvamaedem” di cui parla l’epigrafe, anche se l’ipotesi che si tratti di un piccolo tempio appare, comunque, quella più verosimile.

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1) La distinzione fra u e v venne introdotta da G.G. Trissino nel XVI secolo su suggerimento di L.B. Alberti, ma la variante grafica fu recepita dagli stampatori italiani solo nella seconda metà del Seicento. Dalla Enciclopedia Treccani.it.
2) Gerardo De Paola, Vallata rassegna storica civile religiosa, ed. Valsele, 1983.

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