DELLE STRANE PALLE DI…PIETRA RITROVATE A VALLATA TRA LE MACERIE DEL CENTRO STORICO E NEI PRESSI DEL FIUME UFITA CHE SIANO PROIETTILI DELLE PRIMITIVE ARMI DA FUOCO? Prof. Rocco De Paola

DELLE STRANE PALLE DI…PIETRA
RITROVATE A VALLATA TRA LE MACERIE
DEL CENTRO STORICO
E NEI PRESSI DEL FIUME UFITA
CHE SIANO PROIETTILI DELLE PRIMITIVE
ARMI DA FUOCO?
A cura del Prof. Rocco De Paola
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         Lo scorso mese di ottobre, durante una delle mie solite passeggiate,come di consueto,“solo et pensoso”, a mo’ di Francesco Petrarca, osservandooziosamented’intorno, di qua e di là, ad un tratto rimasi folgorato come Saulo sulla via di Damasco. In un giardino di viale Pertininoto, con mio grande stupore, due strane palle di pietra del diametro non più ampiodi 15 centimetri, posate su due antichi càntari (vedi foto).




         Una delle sfere sembra estratta, a forza di scalpellature, dalla dura selce, mentre l’altra è stata ricavata da materiale più friabile. La palla in selce appare appena digrossata, l’altra, invece, è maggiormente rifinita. Che non si tratti di pietre destinate ad essere apposte su una qualche stele lo esclude proprio il fatto che una di esse appare rozzamente sbozzata. Le sfere destinate ad ornare portali o viali di giardini facevano, in genere, corpo unico con la colonnina con cui erano scolpite e presentavano una superficie perfettamente levigata.
         Inoltre, se anche apposte successivamente sui sostegni, sicuramente venivano agganciate mediante dei perni infissi in appositi fori o, quanto meno, erano saldate con mastici al supporto, cosa che non è dato riscontrare nelle nostre sfere lapidee. La provenienza stessa di queste misteriose pietre, recuperate tra i detriti delle case demolite nel centro storico, avendo esse attirato l’attenzione per la loro forma inconsueta, avvalora la supposizione che non fossero oggetti di ornamento. Scarso fondamento avrebbe, poi, la presunzione di un loro utilizzo per attività ludiche, ad esempio per il gioco delle bocce, data anche la loro ponderosa mole. Se è vero che la sua pratica è attestata in Anatolia, nel villaggio neolitico di Çatalhöyük,già nel 7000 a.C., proprio con palle di pietra(1), queste vennero rimpiazzate,successivamente,dai Romani con le più maneggevoli e leggere bocce di legno, che furono adoperate fino a non molti decenni orsono. La destinazione d’uso delle nostre due sfere di pietra, allora, alternativa alle sopravanzate ipotesi,sarebbe quella di un loro impiego come proiettili delle primitive armi da fuoco, prima che venissero introdotti munizionamenti in metallo. A conforto di quanto vado affermando, si consideri che in diverse parti d’Italia si conservano esemplari del tutto similari di tali ordigni (vedi foto sottostante). Già dalla remota antichità e nel corso di tutto il Medioevo, proiettili di pietra venivano scagliati da macchine che sfruttavano complessi meccanismi meccanici di lancio, e, più tardi, le prime rudimentali bocche da fuoco li utilizzarono per infrangere murature ed abbattere porte ed altre opere di difesa.


         Come tali proiettili possano essersi ritrovati proprio nel cuore del paese sembrerebbe un enigma. Tuttavia, scorrendo attentamente le vicende storiche che hanno investito e coinvolto la nostra comunità nel passato, forse una risposta plausibile e razionale la si può rinvenire.
         La chiave di volta può essere individuata in quel tristo e funesto evento della “asperissimabataglia”(2) di Vallata del 6 di maggio del 1496(3). Per avere ragione dei temibili e sfrontati terrazzani, il condottiero,il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, a capo di un poderoso corpo di armati, che comprendeva truppe scelte della Serenissima Repubblica di Venezia, aveva ordinato che si facesse venire il grosso dell’esercito(4), di stanza a Monteleone, insieme a reparti forniti di artiglieria. Nella lettera scritta da ZuanPhilippo (Giovanni Filippo n.d.r.) Aureliano, notabile al seguito del Marchese, al “Magnifico et clarissimoequiti domino HironimoGeorgio”, oratore a Roma, alle ore 19 (“hora prima noctis”) di quel fatidico 6 maggio, tra l’altro si dice: “Da poi sopravvenute con difficoltà le nostre artegliarie, et facto intender a lihomeni se volesseno render, cominzono a cridar Franza, Franza. Piantate duo bombardelle et alcuni passavolanti e da poi messi li schiopetieri et balestrieri a le poste, li fanti nostri se presentorono a le mura, animosamente, benché li sassi volaseno da le mura et quelli de la terra lavorassinocumartegliarie”(5).
         Se dobbiamo dar credito, come credo sia inoppugnabile, al sunnominato “collaterale”, il quale poco oltre, sempre nella stessa missiva, afferma di essere stato testimone oculare degli avvenimenti di quel tragico giorno(6), nel corso della battaglia fu fatto uso delle artiglierie per proteggere gli assalitori e per scardinare le difese degli assediati. In quel memorabile fatto d’arme fu dispiegato un vero e proprio arsenale: potentibocche da fuoco, come bombardelle epassavolanti, edarmi bianche, come “passatori”(lunghi dardi) e “partesane”(alabarde), nel cui uso i Vallatesi erano estremamente abili. Si fece anche un utilizzo massiccio di proiettili rudimentali, ma non meno letali, come sassi e macigni scagliati dall’alto delle mura. Da parte dell’esercito assalitore furono lanciati nella lotta persino degli “schiopetieri”(7), nonché i più noti e temibili balestrieri.
         Le bombardelle erano bocche da fuoco di calibro inferiore alle bombarde, così come lo erano i passavolanti, che, se pur lanciavano sassi, come afferma don Gerardo De Paola(8), non erano semplici macchine belliche di tipo meccanico, ma vere e proprie armi da fuoco, in quanto i proiettili erano scagliati mediante l’esplosione della polvere da sparo(9) provocata da un innesco igneo. La potenza di fuoco delle bombardelle doveva essere notevole se “…qualunque ci sia in detto loco o finestre impannate tutte si romperanno subito e tutte si solleveranno alquanto dai lor sostegni, le mura e ‘l terreno si scoteranno a similitudine di gran terremoto…” (10).
         Quello che piuttosto interessa, ai fini del nostro discorso, è accertare, con la massima attendibilità, se quei pezzi di artiglieria utilizzassero come proiettili delle pietre,ovviamente opportunamente lavorate ed arrotondate, per adattarle al calibro di quelle bocche da fuoco. Occorre, innanzitutto, premettere che di quelle artiglierie esisteva una grande varietà di modelli, per forma e dimensioni,ragion per cui non è possibile avere una idea univoca su di esse. Ogni Signoria dell’epoca era in rivalità con tutte le altre, spesso per mere ragioni di prestigio, per avere a propria disposizione i migliori artiglieri e le armi più potenti.Non è assolutamente accertabile, quindi, il calibro dei pezzi schierati da Francesco II Gonzaga.E’ certo, comunque, che si trattava di ponderosi pezzi di artiglieria se un passavolante poteva essere lungo anche 7 braccia (m 4,08) ed arrivava a pesare oltre 2000 chili(11). Montava su un affusto provvisto di quattro ruote che, per il suo trasporto, richiedeva l’impiego di quattro o sei coppie di buoi(12). I suoi proiettili potevano pesare oltre 80 libbre (Kg 27,16) ed i colpi erano diretti soprattutto verso le merlature delle mura(13).
         Questi particolari ci forniscono una plausibile ragione delle grosse difficoltà per il trasporto di quelle poderose macchine da guerra lamentate dal cronista di cui abbiamo fatto menzione, evidentemente dovute non solo alle asperità del terreno. Nonostante sembri accertato che già fin dalla metà del sec.XIV si producessero in Italia proiettili di metallo fuso(14), che, invece, storici francesi ed anche italiani ritenevano fossero stati inventati in Francia, e di cui gli Italiani sarebbero venuti a conoscenza proprio in occasione della “calata” di Carlo VIII, si può ragionevolmente presumere che, sul finire del sec. XV ed all’inizio del secolo seguente, si utilizzassero ancora proiettili di pietra. Nel volume di Angelucci numerosi documenti confermano che gli ordinativi dei proiettili riguardavano essenzialmente palle di pietra(15). Il documento trascritto nella nota in calce ci dà conferma che le bombardelle utilizzavano proiettili di pietra, almeno fino a quando questi non furono soppiantati da quelli in ferro. Tutti i citati documenti, allora, avvalorano la supposizione da cui ha preso le mosse il mio discorso.
         Di conseguenza, le sfere di pietra, documentate dalle foto, per le ragioni addotte, potrebbero essere, con molta probabilità, due proiettili superstiti della “asperissimabataglia” di Vallata. Sulla loro superficie non vi sono tracce apparenti di bruciacchiature, segno incontrovertibile di un loro utilizzo durante l’aspro cimento. Solo sulla palla di roccia silicea si riscontra una scheggiatura piuttosto evidente, ma questa, eventualmente, può essere stata prodotta durante l’abbattimento della muratura della casa in cui era stata inglobata.
         Della presenza sul campo di battaglia delle più massicce e devastanti bombarde non vi è traccia né nei documenti coevi né in quelli successivi, comunque esse erano sicuramente al seguito dell’esercito del marchese Gonzaga, come si legge in una missiva di Bernardo Contarini, “proveditor di stratioti”, spedita da Lucera il 3 maggio 1496, nella quale si afferma che “era stato deliberato che il marchese andasse a campo a Montelione, mia 12 da Ascoli, ed ivi bisognava condur le bombarde”(16). Non è possibilecongetturare sulmotivo per cui esse non siano state usate nella infausta circostanza dello scontro sotto le mura di Vallata. Sicuramente un ostacolo, forse insormontabile,era rappresentato dal peso notevole di quelle armi e dei loro proiettili e dal terreno accidentato ed impervio, che rese difficoltoso persino il trasporto delle meno ingombranti bombardelle e dei passavolanti.
         E nonostante lo scontato scetticismo e le apparenti, contrarie evidenze,è doveroso,comunque, segnalare l’anomala presenza sul territorio di altre e più voluminose pietre che suscitano curiosità, non solo, ma fanno sorgere numerosi interrogativi, comunque meritevoli di essere indagati e danalizzati, al fine di ricercare una possibile spiegazione dell’arcano (vedi foto sottostanti).


         Come è possibile notare, confrontando le due immagini, la rassomiglianza fra le due grosse sfere è davvero stupefacente. Se è vero che la pietra che si conserva a Vallata (per la verità, se ne conoscono diversi altri esemplari di diametro pari o leggermente inferiore) fu recuperata nei pressi del fiume Ufita, nulla autorizza a credere che la sua perfetta sfericità sia stata conseguenza di eventi fortuiti, come il progressivo rotolamento provocato dallo scorrimento delle acque.
         Dagli scrittori e dai documenti relativi alla storia delle armi da fuoco apprendiamo che i proiettili per bombarde spesso venivano realizzati sul posto, in pietra calcarea(17), facilmente rinvenibile, per evitarne il trasporto, molto problematico a causa del loro enorme peso. Una bombarda arrivavaa pesare fino a 6300 chili, tanto che, talvolta, venivano fuse in prossimità del luogo della scontro, mentre una sola palla poteva avere un diametro di m 0,583 per un peso di kg 284 circa(18).
         La famosa e mostruosa bombarda di Maometto II, che contribuì in modo determinante all’abbattimento delle mura di Costantinopoli, nel 1453, secondo la testimonianza di un contemporaneo lanciava palle, forse di granito (Calcondila parla di marmo nero), del diametro di m 0,798 e del peso di ben 689 chilogrammi(19)!
         Per inciso, durante l’assedio della città trovò la morte anche Gabriele Orsini, allora Signore di Vallata, accorso generosamente in sua difesa(20).
         Tornando al nostro discorso, per quale fortuita evenienza una pietra siffattapotrebbe essersi trovata sulle rive del nostro fiume?
         Sappiamo, dalle fonti documentarie, che il marchese di Mantova indugiò ancora per diverse settimane nel territorio circostante, spostandosi tra il vicino Sannio e l’Irpinia, in estenuanti operazioni militari(21), toccando cittadine come Gesualdo, che venne sottoposta ad un intenso cannoneggiamento(22), per poi capitolare il 24 giugno, ed Andretta, i cui abitanti, all’approssimarsi dei nemici, abbandonarono precipitosamente il paese lasciando nelle loro mani “belle artilarie e polvere” e molte vettovaglie
(23) .
         Anche se i cronisti non ne parlano in modo esplicito, non è pensabile che quel condottiero potesse rinunciare alla potenza di fuoco di quelle micidiali armi, che sembra siano state effettivamente utilizzate a Gesualdo,ragion per cui esse dovettero seguirlo in tutte le sue peregrinazioni. Dal quartier generale di Monteleone, dove si trovavano le bombarde, è possibile che esse possano essere transitate lungo la valle del fiume Ufita, per poi raggiungere Frigento e, quindi, Gesualdo. Tale ipotesi si basa anche sul fatto che tra Vallata e Frigento esisteva, fin da epoca remota, una strada che doveva essere molto trafficata se viene documentata nel testo di Edrisi(24). E’ agevole, dunque, immaginare che l’ingombrante proiettile sia stato abbandonato in loco, dopo essere stato scalpellato, perché ormai inservibile, o, anche, trasportato lì per essere poi portato nei pressi delle mura di Vallata o di altre cittadelle fortificate, ciò si sia rivelato impossibile a tradursi in atto, complici, forse, le avverse condizioni meteorologiche, e sia rimasto negletto nei gorghi del fiume per essere, poi, recuperato diversi secoli dopo, quando l’ausilio delle macchine ne hanno reso sicuramente agevole il trasporto e la conseguente collocazione in luogo idoneo alla sua conservazione.
         A conclusione di questo intervento occorre mettere nella dovuta evidenza che tutto il discorso pregresso si basa su presupposizioni indiziarie e non su prove documentali inoppugnabili. Tuttavia, molti indizi univoci e convergenti possono costituire una prova e la scienza storica progredisce non solo attraverso l’analisi dei documenti cartacei, ma anche mediante lo studio della cosiddetta cultura materiale e per mezzo della anamnesi critica degli eventi. Quanto sono andato argomentando fonda su documentazione cartacea, su taluni dati di fatto e su documenti materiali, nella fattispecie delle palle di pietra, da cui ho dedotto dei ragionamenti con conclusioni che ritengo non meramente fantasmatiche, anzi certamente plausibili.

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1) “Storiadel gioco delle bocce”, dal sito ufficiale della FIB (Federazione Italiana Bocce).
2) L’espressione è in alcune lettere del Marchese e di suoi Cortigiani.
3) La data del famigerato avvenimento si evince da una lettera del condottiero Francesco Gonzaga alla moglie Isabella d’Este, datata VII maji ex CastrisapudVallatam, in cui parla della “asperissimabataglia” del giorno precedente. La letteraè citata da d. Arturo Saponara nel suo scritto “Chianchione l’asperissimabataglia de Vallata”, Tipografia Pergola, Avellino, 1963, ora in Vallata.org.
4) “De cheindignato fece uenire le zente tutte et detteli una asperissimabataglia…”, da “Croniche del Marchese di Mantova” del Segretario Gaspare. Citazionetratta da “G. De Paola, Vallata rassegna storica civile religiosa,Valsele, 1983, pag. 89.
5) Marino Sanuto, I Diarii, dall’autografo Marciano, cl. VII, codd. CDXIX, CDXXII, Tomo I° pubblicato per cura di Filippo Stefani, Venezia, 1879. A pag. 134 è riportata “copia di una lettera scritta a l’orator nostro a Roma per ZuanPhilippocollateral” in cui si narra la presa di Vallata.
6) “ Magnifico patron, io riferisco el vero perché vedo ogni cosa con l’ochio”, idem ibidem, pag. 134.
7) Lo “schiopum…cumpulvere” è attestato in un documento del 1346, riportato da Angelo Angelucci nel suo testo “Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane”,vol I – Parte I, Tipografia G. Cassone, Torino, 1869, pag. 16. Secondo l’autore, l’invenzione dello schioppo andrebbe attribuita ad Italiani.
8) G. De Paola, op. cit. pag. 100.
9) Nel citato volume di Angelucci, a pag. 60, un documento del 1483 parla delle bombardelle e dei passavolanti,mandati dal Governatore di Vercelli a Carlo duca di Savoia. Nella nota a piè di pagina, l’autore confuta la tesi del Grassi, secondo il quale il passavolante sarebbe stato una “antica macchina militare italiana da scagliar sassi”, sostenendo, al contrario, che si trattava di una vera e propria arma da fuoco, atta a lanciare proiettili di piombo con dentro un dardo di ferro.
10) Carlo Promis,Dell’arte dell’ingegnere e dell’artigliere in Italia sino al principio del XVI secolo, Memorie storiche.Memoria storica II,Dello stato dell’artiglieria circa l’anno Millecinquecento e particolarmente delle dieci specie figurate da Francesco Di Giorgio Martini, Tipografia Chirio e Mina, MDCCCXLI, pag. 157.
11) Idem ibidem, pag. 177.
12) Pippo Lo Cascio, Comunicazioni e trasmissioni. Lalunga storia della comunicazione umana dai fari al telegrafo, Rubbettino editore, Palermo, 2001, pag. 238.
13) Carlo Promis, op. cit., pag. 178.
14) Enrico Rocchi,Le artiglierie italiane del Rinascimento e l’arte del getto, in “L’Arte”, II, 1899. A pag. 349 viene citato un documento dell’11 febbraio 1326, tratto dall’Archivio delle Riformagioni di Firenze, in cui si parla di fabbricare “pilasseupalloctasferreas et canones de metallo”.
15) A. Angelucci, op. cit., a pag. 107 si riporta un documento del 29 marzo 1418, tratto dall’Archivio comunale di Como, in cui i Maestri delle entrate ducali ordinanoun quantitativo di 60 palle di pietra per ognuna delle bombardelle in dotazione.
16) La citazione è tratta dal testo di M. Sanuto op. cit., pag. 132.
17) Carlo Promis, op, cit., pag. 140.
18) Idem ibidem, pag, 136.
19) Idem ibidem, pag. 144.
20) Vedi il mio articolo “Vallata e gli Orsini” in Vallata.org, sezione cultura, articoli.
21) Gerardo De Paola, op. cit.,pagg. 106-107.
22) Sommario della lettera del 17 giugno di Paolo Capello, cavaliere ed oratore, in M. Sanuto, op. cit., pagg. 172 e 173
23) Idem, ibidem, pag. 177.
24) Edrisi,geografo arabo presso la corte di re Ruggero a Palermo, verso la metà del XII secolo compilò un’opera di geografia nota come “Libro del re Ruggero”. Il testo arabo, con versione e note, fu pubblicato da M. Amari e C. Schiaparelli nel 1883 per i tipi di Salviucci, Roma. A pag. 111 si legge: “Poi a bâb.rah quindici miglia”. Poi a f.râǵințû (Frigento) ventisei miglia. Secondo l’interpretazione di F. Barra “bâb.rah” corrisponderebbe a Vallata.

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