Cogitazioni e congetture sopra un frammento ceramico rinvenuto in località ''Iazzano'' di Vallata Potrebbe risalire al Neolitico - Prof. Rocco De Paola

Cogitazioni e congetture sopra un frammento ceramico
rinvenuto in località “Iazzano”di Vallata
Potrebbe risalire al Neolitico
A cura del Prof. Rocco De Paola
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     Fino a non molti decenni orsono la presenza umana nell’entroterra campano, durante quel lunghissimo periodo che va sotto la denominazione di Preistoria, era quasi del tutto ignorata (1), essendosi la ricerca concentrata esclusivamente sulla fascia costiera. Solo in tempi relativamente recenti, e per merito precipuo di ricercatori e studiosi locali, sono state dissipate le dense tenebre che avvolgevano le età preistoriche delle zone interne della Campania e, segnatamente, dell’Irpinia.
     Le testimonianze relative al Paleolitico sono attestate da numerosi manufatti in pietra rinvenuti a Villamaina, Gesualdo (2), Guardia dei Lombardi, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Morra De Sanctis, Andretta, Montoro Superiore e Frigento. Nel territorio di quest’ultima località sono avvenuti i ritrovamenti più interessanti, tanto da farne un “osservatorio privilegiato sul Paleolitico della Campania interna”. Tra gli altri reperti, databili dal Paleolitico Medio fino a quello terminale, merita una speciale menzione un fossile umano forse tra i più antichi dell’Italia meridionale (3).
     Il Mesolitico non ha evidenziato, allo stato, presenze altrettanto capillari sul territorio, mentre del Neolitico si hanno numerosi riscontri in diverse località, come Ariano Irpino, Carife, Castel Baronia, Gesualdo, Paternopoli, Calitri, Villamaina, Montemiletto. Altri siti interessanti sono rappresentati dalla necropoli di Madonna delle Grazie di Mirabella Eclano e dal territorio di Pratola Serra, dove, all’indomani del terremoto del 1980, fu casualmente rinvenuta in località Pioppi, nel corso di lavori di sbancamento, un vasta area con resti di capanne risalenti al Neolitico Antico ed al Neolitico Finale (ceramica impressa e facies “Diana”, rispettivamente del VI e del IV millennio a. C.). Sempre nella medesima zona, nell’Età del Bronzo, sorse un grande villaggio, con numerose capanne di notevoli dimensioni, i cui reperti ceramici sono attribuiti alla facies di “Palma Campania”. E con questa località, più prossima al “formidabil monte / sterminator Vesevo”, il villaggio eneolitico di Pratola condivise il drammatico destino, rimanendo sepolto in conseguenza della tremenda eruzione avvenuta nel corso del secolo XVIII a. C., nota negli annali come “Pomici di Avellino” (4). Nell’Età del Ferro si collocano gli insediamenti di Bisaccia, specie quello relativo al sito del cosiddetto Cimitero Vecchio, che ha restituito interessanti reperti, tra cui lo scheletro ed il prezioso corredo funerario di una donna di alto rango, poi denominata “Principessa di Bisaccia”, conservati ora nel Museo allestito nell’antico maniero. Ad una peculiare e del tutto originale facies culturale appartengono le tombe a fossa, tra le più antiche della Campania, venute in luce a Cairano in località Vignale e sulla collina del Calvario, tanto che gli studiosi hanno adottato la originale denominazione di “Fossakultur di Cairano – Oliveto Citra”, l’altra località poco al di là della Sella di Conza, nella contigua Valle del Sele, dove sono emersi sepolcreti del tutto simili (5). A Lacedonia, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, fu scoperta, in località “Chiancarelle”, un’urna cineraria tipica della civiltà villanoviana. Il ritrovamento, avvenuto il 7 giugno 1971, fu reso di pubblico dominio nel 1980 dal compianto Nicola Fierro in due articoli pubblicati sul periodico “La Torre” (6). L’esistenza di una necropoli villanoviana, attribuita, allora, alla fase incipiente di quella civiltà (inizio dell’XI secolo a. C.), destò sorpresa ed interesse da parte di studiosi come Bruno D’Agostino e Mario Napoli, in quanto assolutamente inattesa in quel contesto ambientale. La scoperta avvenuta alle “Chiancarelle” contribuì ad ampliare in modo significativo l’orizzonte delle conoscenze relative alla civiltà villanoviana (7).
     Come si è accennato sopra, i territori di Carife e di Castel Baronia hanno restituito, in anni recenti, copiose testimonianze soprattutto del Neolitico. La valle dell’Ufita, fin da tempi remoti, ha costituito una frequentata ed agevole via di transito e di comunicazione tra la Campania, la Basilicata e la Puglia. Già dal Neolitico Antico si ebbero insediamenti, lungo la riva destra del fiume, di popolazioni di allevatori e di agricoltori. Tale età preistorica è attestata, in particolar modo, a La Starza di Ariano, a Casalbore ed a Carife (8). La ceramica rinvenuta in dette località la caratterizza come omologa della facies Guadone (9), contrassegnata dalla decorazione impressa che, di solito, occupa la parte mediana del vaso, più raramente la parte interna. Aia di Cappitella, a Carife, per la sua particolare ubicazione, è stata interessata da una ininterrotta frequentazione umana per un lungo arco di tempo, da un momento avanzato del Neolitico Antico fino alla fase finale dell’età del Bronzo Medio. Tra l’altro, durante dei lavori di sbancamento, furono casualmente rinvenute delle “strutture di combustione” di estrema rarità ed eccezionalmente ben conservate, come si legge nella relazione, a firma dell’allora Sovrintendente, allegata al Decreto Ministeriale di vincolo archeologico (10). Le analisi al carbonio C14, eseguite dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma su otto campioni prelevati in quel sito, hanno confermato che la loro datazione va da 5635 a 5910 anni fa. Di particolare interesse le numerose schegge di ossidiana, utilizzata per realizzare affilati strumenti come coltelli o falcetti. La presenza di quella roccia magmatica effusiva, proveniente dalle lontane isole Eolie, testimonia l’esistenza di attivi canali di commercio e di scambio anche con località molto remote (11). Taluni frammenti ceramici indurrebbero a ritenere che vi sia stata costanza della presenza umana anche nel corso del Neolitico Medio, nonostante si ritenga, da parte di taluni studiosi, che le uniche testimonianze in merito provengano dalla località San Marco, posta a SE di Ariano Irpino (12). La facies “Diana-Bellavista”(13), sviluppatasi nel Neolitico Inferiore, è ampiamente documentata ad Aia di Cappitella con una varia e numerosa tipologia di anse a rocchetto sull’orlo di ciotole, scodelle ed olle (14). I numerosi esemplari di falcetto ritrovati farebbero pensare a pratiche agricole legate alla coltivazione di cereali, mentre la presenza di pesi da telaio e di fusaiole è indicativa dell’attività di tessitura della lana. Un altro ricco giacimento preistorico fu scoperto casualmente in località “Piano La Sala/Fiumara”, presso la strada che scorre nel fondovalle Ufita, durante dei lavori di aratura. I conseguenti saggi di scavo, effettuati dalla Sovrintendenza, consentirono di recuperare una messe di frammenti ceramici, di selci e di ossidiana ascrivibili al Neolitico Medio. In precedenza era stata recuperata una splendida ascia in materiale siliceo, perfettamente conservata, forse un manufatto votivo o da parata (15). Ancora nei pressi del fiume Ufita, poco più a valle, in territorio di Castel Baronia, ad Isca del Pero/Piani, fu individuato un insediamento, risalente ad epoca eneolitica, abitato fin dal terzo millennio a. C. (16). La tipologia della ceramica, con anse che presentano una specie di “bottone” nella parte sommitale, ha consentito di attribuirla alla facies di Laterza, fatto che ha meravigliato non poco gli esperti, data la notevole distanza del sito dal territorio di origine di quella cultura (17). Poco più a monte, nella località denominata “Olivella”, si rinvennero altre e più numerose tracce della frequentazione eneolitica. Le conoscenze relative al periodo tra la fine dell’Età del Bronzo e la prima Età del Ferro, di cui pure si serbano tracce a Trevico, San Nicola Baronia e Carife, sono piuttosto frammentarie e lacunose (18).
     E Vallata? La storia remota del nostro paese sembra avvolta da una fitta ed impenetrabile caligine, in quanto nel passato l’attenzione dei radi studiosi di storia patria si è rivolta esclusivamente al periodo storico conclamato. Eppure, un certo seppur tenue barlume può provenire da qualche sparso frammento che la passione di taluni volenterosi esploratori del territorio e dell’agro che circonda il paese ha preservato dalla definitiva oblivione in remote plaghe. Tale è il caso di un frammento di ceramica che ha destato la mia viva curiosità, inducendomi ad indagarne la possibile origine. Si tratta di un minuscolo pezzo, lungo appena cm 5,5 ed ampio non più di cm 3,5, di ceramica nera. Il frammento carenato presenta, nella parte interna, una doppia colorazione, in nero ed in ocra, tipico della terracotta, il che farebbe supporre che il manufatto sia stato sottoposto a coloritura artificiale con pigmentazione scura. L’aspetto più interessante è sicuramente la decorazione ottenuta con la tecnica, piuttosto rara, della “excisione”, caratteristica peculiare di alcune culture del Neolitico, mediante l’intaglio e l’asporto di pezzi di argilla fresca, con un utensile acuminato ed affilato, in modo da ottenere motivi “in negativo”, determinati dal gioco delle luci e delle ombre. I tagli e le incisioni del nostro frammento, come si può osservare nella foto sottostante, sono netti, a dimostrazione della grande perizia tecnica dell’antico artefice. Inoltre, come è possibile rilevare, ricorrono ben due motivi ornamentali. Al centro si nota una sorta di “greca”, prodotta dagli effetti di chiaroscuro delle parti incavate e delle parti in rilievo conformate ad “elle” (L) contrapposte ed invertite e delimitate da due linee continue. Lungo i margini di queste linee vi sono altri due motivi sinusoidi, prodotti da linee spezzate, a zig-zag.

     Allo stato, non è possibile determinare se i motivi decorativi descritti possano riferirsi ad una qualche forma di “linguaggio” noto agli artefici e riconosciuto dai fruitori dei loro manufatti (19). La zona del ritrovamento, in località “Iazzano”, poco più a valle del laghetto omonimo, è nota per essere un sito molto ricco di reperti di varie epoche.
     Una plaga più a monte, “Bosco Casale”, è stata oggetto di uno studio da parte del prof. Giuseppe Vito Palumbo, che lo ha corredato con immagini di interessanti reperti di superficie recuperati in quel territorio (20). Secondo l’estensore dell’articolo, la ceramica rinvenuta nel sito suddetto è molto simile a quella ritrovata a Carife, per cui sarebbe logico supporre che possa appartenere alla stessa area culturale di questa (Guadone e Diana-Bellavista).

     Poco più su, in una amena valletta di Vallon Castello Vecchio, è possibile osservare, sparsi sul terreno, numerosi frammenti di ceramica e tegoloni. La scarpata a nord della stradina che mena al sito, risalendo dalla valle dei mulini, rappresenta quasi un campione stratigrafico, in cui è dato individuare, a diversi livelli, sotto l’humus di superficie, dei frammenti di ceramica e di ossa. In due articoli pubblicati su Pagus, il noto storico carifano prof. Michele De Luca, trattando di testimonianze archeologiche nel territorio di Vallata, fa riferimento a parti di dolii ritrovati proprio in quel luogo, alcuni dei quali “avevano impresse ad andamento regolare greche ed altri motivi geometrici”, concludendo che potrebbe trattarsi di una facies culturale simile a quella di Carife (21), e questo non desta alcuna meraviglia, alla luce di quanto siamo venuti dicendo finora.
     Una importante conferma sulle caratteristiche decorative del nostro frammento e, di conseguenza, sulla sua possibile datazione, proviene da ritrovamenti e da studi sulla ceramica di tipo “appenninico”, riferibile alla Media Età del Bronzo, nella Puglia centro-meridionale (22). Negli anni Trenta del secolo scorso U. Rellini fu il primo a riconoscere l’esistenza di una cultura diffusa in vaste aree dell’Italia centro-meridionale, individuandone i “giacimenti” lungo la dorsale appenninica (23). Nel 1959 Salvatore Puglisi propose una ricostruzione complessiva di quella che egli interpretava come la “civiltà appenninica”, contestualizzandola nell’ambito della origine delle comunità pastorali in Italia (24). Renato Peroni corregge in parte la prospettiva di Puglisi, sostenendo che la cosiddetta civiltà appenninica non possa essere intesa come una cultura unitaria, anche se tale terminologia è, comunque, sufficientemente adeguata a designare un insieme di “facies” archeologiche tra loro storicamente e geograficamente collegate (25). Inoltre, l’archeologia relativa agli insediamenti rivela che la civiltà appenninica, lungi dal presentare il carattere erratico come sua caratteristica peculiare, rivela, piuttosto, una progressiva stabilizzazione, favorita da una organica integrazione tra diverse attività produttive, colture cerealicole, allevamento, pastorizia ed arboricoltura, con la introduzione della coltivazione dell’olivo, del fico, del noce e, forse, della vite vinifera (26), congettura avvalorata dall’abbondante presenza di vasellame potorio. Il rinvenimento di strumenti prettamente agricoli nel sito neolitico di Aia di Cappitella di Carife concorre a suffragare, con prove documentali, l’ipotesi di diffuse pratiche relative alla coltivazione dei campi accanto alla pastorizia ed all’allevamento.
     La facies culturale del nostro frammento ceramico va certamente indagata nel contesto della coeva civiltà appenninica della Puglia centro-meridionale, cui si è accennato dianzi (vedi nota n° 22), per la stretta correlazione tra i motivi decorativi descritti e i numerosi esemplari simili ritrovati in diverse località di quel territorio (27). Nello studio di Teodoro Scarano sono riportate diverse tipologie di ornamentazione dei vasi, che, sembra di capire dal contesto del discorso, si avvalgono soprattutto della tecnica della pitturazione di orli o, più spesso, della parte centrale di essi (28). Talune decorazioni afferiscono al Protoappennino, mentre la maggior parte è riferibile al periodo del pieno dispiegarsi della civiltà appenninica (29) alla quale, con molta probabilità, appartiene anche il frammento ceramico di cui si va discorrendo in queste note (30). Date le ridotte dimensioni del reperto, non è possibile determinare con certezza quale fosse la sua conformazione originaria e quale ne sarebbe stata la destinazione d’uso. Tuttavia, considerando che la grande maggioranza dei reperti di cui tratta Scarano (31) si possa riferire alle categorie della tazza o della scodella, non credo sia arbitrario arguire che anche il nostro frammento possa essere assegnato a quel tipo di vasellame. Con metodologia empirica, partendo dalla lunghezza di circa cm 5,5 del reperto e cercando di determinare proporzionalmente la eventuale circonferenza, ho ottenuto la misura approssimata di un diametro di cm 12. E’ ipotizzabile, pertanto, che il frammento ceramico potesse essere una coppa utilizzata per libagioni. Un esemplare di tale tipologia, recuperato nel sito preistorico de La Starza di Ariano ed attualmente custodito nel Museo cittadino, può essere di conferma alla ipotesi formulata e può contestualmente fornirci una idea di come potesse presentarsi anche il vasetto di contrada “Iazzano” di Vallata.

     Il motivo decorativo, come si vede perfettamente, è, almeno in parte, simile a quello del frammento ceramico di Vallata. Non sono visibili anse, ma è probabile che in origine ve ne fossero, trattandosi di recipiente per contenere liquidi.
     Un altro esemplare di ciotola in ceramica excisa, decorata a “denti di lupo”, si trova nel Museo di Villa Arbusto di Lacco Ameno. Nonostante la diversità del motivo decorativo, l’immagine è tuttavia di ausilio per cercare di capire la forma assunta dai vasi potori di quel lontano periodo.

     Come è noto, quella località della città del Tricolle rappresenta, allo stato, uno dei siti del Neolitico tra i più importanti dell’Italia Meridionale. Identificato nel 1920, a seguito dei lavori di sbancamento di una cava di gesso, che interessava parte della collina su cui sorgeva l’insediamento, solo negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta venne sottoposto ad una serie di indagini, da parte dello studioso inglese D.H. Trump, che evidenziarono una continuità di frequentazione dal Neolitico all’età del Ferro (32). Purtroppo, l’insediamento neolitico, messo in luce mediante una serie di trincee realizzate da Trump, fu del tutto distrutto dagli sbancamenti successivi ed oggi la collina si presenta ampiamente sfigurata dai lavori della cava (33). Le successive indagini, condotte tra il 1988 e il 1989 dall’archeologa francese Claude Albore Livadie, hanno rilevato elementi strutturali e abitativi più dettagliati e scansioni temporali meglio definite (34). In particolare è stata confermata la successione di nove insediamenti abitativi, che partono dalle fasi iniziali del Protoappennino fino all’Appennino classico. La capanna più antica poggia su pomici vulcaniche di una eruzione del Vesuvio databile al Bronzo Antico, cui abbiamo già fatto cenno a proposito degli insediamenti preistorici di Palma Campania e di Pratola Serra, interessati dallo stesso evento calamitoso. Un altro livello di ceneri e sabbie vulcaniche forma il substrato su cui sorsero capanne dell’Appennino maturo, caratterizzato da abituri di grandi dimensioni e da un abbondante repertorio di ceramiche, con notevole varietà di decorazioni (35). Sovente, poi, gli ornati excisi o intagliati presentano delle incrostazioni con pasta bianca che serviva ad evidenziarne maggiormente i motivi decorativi (36). Nel nostro reperto non sono visibili, ad occhio nudo, residui negli interstizi. Per acclarare una simile eventualità occorrerebbero esami strumentali o perizie tecniche di esperti della materia. Non siamo in grado di determinare se il vaso di contrada “Iazzano” di Vallata potesse essere un prodotto dell’artigianato locale, come pure parrebbe plausibile, ove si consideri la ultramillenaria pratica della lavorazione dell’argilla, anche alla luce dei ritrovamenti delle “strutture di combustione” di Carife, o sia un manufatto di “importazione”. Se quest’ultima congettura dovesse essere nel vero, troverebbe conferma l’ipotesi degli attivi e dinamici processi commerciali di intermediazione e di scambio avvenuti in passato attraverso la valle dell’Ufita.
     Ci basti, comunque, sapere che quel frammento, altrimenti privo di qualsiasi significazione e assolutamente irrilevante per un profano, cui sia ineluttabilmente interdetto l’accesso al delubro della scienza, rappresenta, invece, per gli scienti cultori della conoscenza, un documento oltremodo importante che serve, quanto meno, a gettare uno sprazzo di vivida luce su un remoto periodo storico del nostro paese finora del tutto ignorato.

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1) Gerardo Troncone, Da Frigento al Formicoso, tracce del paleolitico in Irpinia. “Corriere dell’Irpinia”, aprile 2011.
2) A Gesualdo lo studioso Arturo Palma, dell’Università di Siena, durante alcuni sopralluoghi, tra luglio e ottobre del 1975, presso la località “Cave di Pietra”, rinvenne una “industria litica” risalente ad oltre 8000 anni fa. In località “Capo di Gaudio” fu individuato un insediamento del Neolitico finale e alla fine del terzo millennio a. C. si fanno risalire i resti delle strutture di un insediamento e una necropoli con tombe a fossa in località Fiumane, presso il fiume Fredane. Notizie tratte da “Approfondimento sulla storia e le tradizioni di Gesualdo”, fonte: Proloco Civitatis Iesualdinae.
3) Salvatore Forgione e Francesco Fedele, Frigento, osservatorio privilegiato sul Paleolitico della Campania interna, edito a cura dell’Amministrazione Provinciale di Avellino, 2008.
4) Giuseppe Mauro, Il Patrimonio Comunale come Risorsa economico-sociale e culturale attraverso la rivalutazione delle fasi cronologiche che hanno segnato la Storia del territorio di Pratola Serra, in “Vicum”, set. – dic. 2013, pag. 208.
5) Notizie tratte dal sito ufficiale della Proloco di Cairano.
6) “La Torre”, periodico di cultura e di attualità edito dall’omonimo Circolo. N° 21, Marzo 1980 e n° 22, Aprile 1980.
7) F. Di Gennaro, Enciclopedia dell’Arte Antica, 1996, riporta una diversa sequenza cronologica, sulla base degli studi più recenti che fanno riferimento alla cronotipologia dei manufatti metallici, nei lavori di H. Muller Karpe, A. M. Bietti Sestrieri, R. Peroni e, in particolare, attraverso lo studio dei ripostigli degli oggetti metallici di G. L. Carancini. Pertanto, la datazione dell’urna villanoviana di Lacedonia va assegnata alla fase finale di quella civiltà, riconducibile, anche alla luce di indicazioni di carattere dendrocronologiche, proprio all’XI secolo.
8) G. Gangemi, Valli dell’Ufita e del Miscano, in Enciclopedia dell’Arte Antica, 1997.
9) Nicoletta Volante, Profili delle produzioni ceramiche in Italia nell’antichità. Il Neolitico. La produzione della ceramica preistorica, dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Siena, 2007, pag.117. La facies “Guadone”, località nei pressi di San Severo, comprende un arco cronologico che va dalla prima metà del VI alla prima metà del V millennio a. C. (ivi, pag. 116).
10) D.M. del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali del 09 giugno 1993. Da “Carife.eu”, Il sito dedicato alla storia di Carife, curato dal prof. Raffaele Loffa.
11) Salvatore Salvatore, “Lungo la via Appia (da Grottaminarda a Sferracavallo)”, in “Vicum”, sett.-dic. 2013, pag. 218.
12) G. Gangemi,op. cit, ivi.
13) La facies Diana-Bellavista prende nome dalla omonima località dell’isola di Lipari e dalla necropoli di Masseria Bellavista presso Taranto.
14) Raffaele Loffa,op. cit., ivi.
15) Idem, ibidem.
16) Salvatore Salvatore, op. cit., pag. 218.
17) Raffaele Loffa, op. cit., ivi.
18) Salvatore Salvatore, op. cit., pag. 219.
19) Il linguaggio della decorazione appenninica di Anna Depalmas in “Preistoria e protostoria in Etruria”, Atti del “Sesto Incontro di Studi”, Pitiglino -Valentano, 13-15 settembre 2002. A pag. 161 e 162 sono riportati dei motivi decorativi appenninici. Il motivo n° 6 di pag. 161 è molto simile alla “greca” descritta, mentre il n° 9 di pag.162 riproduce il motivo nastriforme a “zig zag” del nostro frammento.
20) Giuseppe Vito Palumbo, “Tracce di antico”, in www.vallata.org. Nelle foto allegate all’articolo si notano frammenti di ceramica piuttosto primitiva e parti di vaso in vernice nera molto raffinati, a testimonianza della lunga frequentazione di quel sito, dalla Preistoria fin nel cuore della storia.
21) Michele De Luca, Testimonianze archeologiche nel territorio di Vallata, in “Pagus”, dicembre 2005 e giugno 2006.
22) Teodoro Scarano, “La ceramica decorata di tipo appenninico dei livelli del Bronzo Medio di Rocavecchia (Lecce): contributo per una rilettura di alcuni aspetti archeologici e cronologici della facies appenninica nella Puglia centro-meridionale”. Edito e distribuito da “All’insegna del Giglio”, Borgo San Lorenzo, Firenze, 2006.
23) Maria Antonietta Fugazzola Delpino “Appennino” in “Repertorio delle culture dell’Europa preistorica. Età del Bronzo”. Il Mondo Archeologico, 2004.
24) S. M. Puglisi, La civiltà appenninica e l’origine delle comunità pastorali in Italia, Sansoni, Firenze, 1959.
25) R. Peroni, “Civiltà appenninica” in Enciclopedia dell’Arte Antica, 1994.
26) Idem, ibidem.
27) Ad esempio, Lucera, Coppa Nevigata, Rocavecchia,Scoglio del Tonno, Porto Perone ecc. in Teodoro Scarano, op. cit.,pag. 140.
28) Teodoro Scarano, op. cit., pag. 140 e pag. 141.
29) Idem, ibidem, pag. 141.
30) R. Peroni, op. cit. La facies appenninica propriamente detta si colloca nella fase finale del Bronzo Medio, approssimativamente attorno al XIV secolo a. C., ed è definita dallo stile decorativo vascolare ad incisione e ad intaglio, che fu adottato da Rellini e Puglisi come il principale indicatore tipologico di tutta la civiltà appenninica nel suo complesso.
31) Teodoro Scarano, op. cit., pag. 133 e pag. 134.
32) D.H. Trump, The preistoric settlement at La Starza, Ariano Irpino, in Papers British School at Rome, 25 (1957), pp. 1-15.
33) Claude Albore Livadie, Il Neolitico antico della Campania in rapporto con la Daunia. Alcuni dati recenti da La Starza di Ariano Irpino. in Atti del 21° Convegno Nazionale sulla Preistoria –Protostoria - Storia della Daunia, San Severo 24-26 novembre 2000.
34) Alessandra Manfredini, La Starza, in Enciclopedia Italiana, V Appendice (1993).
35) Mostra archeologica “Nuovi scavi alla Starza”, Ariano Irpino, 1990, “La decorazione”. A cura della Soprintendenza Archeologica di Salerno Avellino Benevento Comune di Ariano Irpino.
36) Claude Albore Livadie, Giovanni Paternoster, Lorena Scarpato, Osservazioni preliminari sulle incrostazioni biancastre nelle ceramiche dell’età del Bronzo medio del sito di La Starza di Ariano Irpino. Suor Orsola Benincasa, Annali 2008. Le indagini esperite con strumentazioni molto sofisticate hanno accertato che gli antichi artigiani utilizzavano la calcite per ottenere la “creta bianca” delle decorazioni (pag. 21). Il legante, di natura organica, è forse il latte, facilmente reperibile (pag. 22).

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