lu cioucc’ r’ ron’Dumen’k.. - Italo

……..Vallata, storie cosi.
Serenello :
*** "lu cioucc’ r’ ron’Dumen’k" ***

      Vallata, il tempo andava, monotono, sereno. Ognuno nel suo piccolo cercava conforto nelle varie faccende , pur di riuscire a sbarcare il lunario (come si dice) sempre all’impronta di pesanti difficoltà economiche. I vari mestieri erano improntati piuttosto sulla improvvisazione che sulle effettive capacità professionali. Nel centro storico del paese vi erano tante botteghe che espletavano le quotidiane mansioni quasi sempre con ordini di sparute clientele, procacciate più per una coerenza di sopravvivenza e di appannaggio, che per le effettive esigenze di improntate commissioni .
      Vi erano: stagnai, ciabattini, sarti, macellai,cantine di vinai che sopperivano più a prodighi serali rifugi o osterie,forni,mulini,ecc. ecc. La verità era che ogni famiglia si rassegnava alla reale consistenza economica ,tanto esigua ,che alle effettive esigenze di necessità. Molti riuscivano anche ad avere una più confortante condizione grazie alle varie campagne: orti, galline ,porcili,ovili, insieme a tante altre attività che coltivate con enormi sacrifici facevano più floride le sostanze economiche. Per tanto , chi viveva in campagna , non aveva mai problemi di necessità. Sapendo che con l’astuzia di contadino, fregava sempre il cittadino , con le scarpe grosse e cervello, molto, ma molto fino.
      Don –Domenico era un modesto mugnaio, si avvaleva della preziosa collaborazione di un asino “ serenello “ e del proprio figlio Eugenio che lo accudiva nelle varie commissioni. Geggè sempre brontolone e polemico si ritrovava a dover ripetere : “” P’kkè—P’ekkè “ in ostinato monologo per darsi una ragione a una vita cosi ostentata, grama e misera .L’unico conforto era quello di bere un po’ più del necessario illudendosi di esorcizzare le varie sventure con un curioso modo di recita: “” ppù ,pppù !!! , maledetta sorte, ma p’kkè- p’kkè??!! E fu cosi che veniva indicato simpaticamente con il soprannome : geggè- pppù-ppù.
      Un giorno la pietosa sonata di una triste campana nei suoi dispari rintocchi annunciò la dipartita del povero Geggè , che tutto sommato in fondo era una brava persona. L’ asino, intanto era rimasto solo e venne lasciato per qualche giorno sotto i castagni di “Donna Michelina-Cataldo “ in libero pascolo . Di fronte abitava “”Z’ crescenz- scrivanidd “”, anche lui aveva un asino, e tra le varie premure si accorse che il povero “ serenello “ abbandonato, si era accasciato senza alcuna assistenza. Premuratosi di riforcillarlo con una ciotola di frumento cercò di alleviarlo. Impietosito andò dal proprietario a riferire , che nel frattempo se ne era dimenticato. E fu cosi che “ serenello” divenne un problema dopo la morte del povero Geggè. Non vi era nessuno che lo accudisse. Il proprietario,non potendo altra soluzione cercò consiglio a un suo parente, tale: “” Roky- Nett “ che messo al corrente della “facenda” , suggeriva di venderlo al mercato del Giovedi. Il sign. Roky-Net- era un tipo molto simpatico, dai baffetti ben curati , vestiva sempre con giacca e cravatta , con in testa un cappello inclinato alle 10,15 dal un papiyon tipicamente Napoletano, accanito giocatore di carte. La sua vita era caratterizzata da un continuo indaffararsi del più e del meno nelle più svariate vicissitudini,. Colta l’occasione di “Serenello”,volle suggerire di contattare Rokk’ Massawin’, tipico personaggio da mercati e fiere ,(oltremodo strabico,con un occhio socchiuso scrutava l’orizzonte come un vecchio Pirata) con baffi appuntiti e espressione “ingrugnita” per sua mania si ripeteva “Coumbò.. hamm’ fà l’affar”, poiché era solito aggirarsi nei giorni di mercato e di fiere, onde rimediare occasionali compensi. Intanto Roky-Nett, si raccomandava,una volta concordato il compenso, di tenere a portata di mano un chiodo che serviva all’occorrenza per puncicare l’asino, in modo da sembrare sveglio e insofferente; data la sua età e aspetto era piuttosto malandato. Così superati i preliminari, la mattina del Giovedì successivo ( a pount’ r’ yourn’) si recò a prelevare l’asinello, e dopo che gli aveva dato una bella pulita con varie strigliate, con lenta e insistente camminatura condusse l’asino al mercato. Si sistemò nei pressi del vivaio “la Tendiera” alla fine della strada -“”a l’acqua r’ lu mirik”- appoggiò lu camusulin’ e lu stiavukk sotto l’albero, e con fare affaccendato scrutava i dintorni con occhio socchiuso e brigantesco onde individuare un probabile acquirente. Di li a poco, arrivava un signore con in testa “na paglietta” e indosso un vecchio “pastran” che ondeggiando, appoggiandosi a un bastone, con passo lento e oltremodo incerto sembrava stesse guadando il “ Rubicone”. Cosi l’approccio.. “” wweee!! Cumbà, vin’ quò, bongiorn’- randovin’? wui fà l’affar’, haggia venn’ stà ciuccya’. Purtropp’ lu patron eya murt e nesciun’ lu pot’ t’né…”” e dopo raccontato tutta la vicenda, gli chiese: cum ti chiam’?, r’andovin? L’accquirente un pò sulle sue, rispose: mi chiam’ Alibert’ detto “ lo Sherpa “( facchino con i muli sulle montagne del Nepal) e vengh’ ra Serra-campes’. Vuless accattà la sumara. Ma m’ par nu pok nghiurdot, ,-’s’ ver’ ca è gia futt’t’ ndo r’ mecc’-,- nun m’ par’ tant’ r’ la qual’--- E con fare da osservatore si carezzava il mento con la mano sinistra, girando intorno, cercava di capire il perché del sacchetto intorno al muso fosse cosi ostinatamente legato, onde impedire di osservare la dentatura; prova tangibile della sua vera età. Il Massavin, “ ra l’us’m’ aff’nat’” pronto a replicare , disse: “”-ma cumbò tu kke dic’, te la garantisk’eye!!! e con un gesto convenuto attirò l’attenzione di Roky-nett’, il quale, nei paraggi rispose con un cenno. Avvicinandosi con fare distinto, dai i toni impettiti e aria erudita, chiese: -“Massavin’!!! ki è costui?!!--- signurì- la risposta: “ si chiam’ Alipert , detto lo “ sherpa” e par’ ka ven’ ra sierra kampes’---
      oooh, rispose lu signurin’—è Latino, Nepal, dalle mute Ande-? Mmmah… kkè ..kkkazz.. n’ sacc’ eye, signurì!!- Un po’ alterato il Massawin rispondeva: maaa…tu quol’ latrin’, palle e senza mutand…--quò hamm’ venn’ la cioucc’- e tou vai truwonn’ warnimind’— r’ bbuye cap’è!!! …quest’ ven’ ..ra la serra campes’,serra long’, la poustekk’ye, mount’ vakkar’, r’ kiangharedd, lu koupon’ , n’somm ra four’,,,m’ s’ kkap’t’ o nooo.. !!!?
      eeeehh !! quante storie -la risposta- non esser’ scostumat’ massav’?! tu si’ ignorand’ e statt’ a lu post’ tuye, oooh!!!.. Kkazz’
      Mo v’remm’ kamm’fa!!
      “ zinniann’ l’ukkie “ affinché usasse il chiodo, suggeri al Massawin’ di procedere secondo gli accordi. Il povero “Serenello “ alla puntura diete scatto di calci con le ultime forze che gli rimanevano, e con la testa spezzò la “capezza” che era legato. Cosi tra i calci, il trambusto e la polvere che si era alzata ,tutta la messa in scena fece una certa impressione allo “Sherpa”, e replicando il Massavin’: “ scanzat’ cumbbò… ka sta brutta bestia eya pericolosa”. Cosi , non molto convinto il povero Aliberto accennò a quanto potesse costare, e con scarsa intenzione seguiva la trattativa. Purtroppo la cosa andava per le lunghe, la cifra pretesa era troppa . Roky-Nett, intuendo che l’affare andasse in fumo, calò il prezzo a trentamila-lire, e ostentando il mal contento,con aria scocciata, invitò “Fonz-lu Curot’l-Di Cosmo- onde valutare e sancire la trattativa con il patto e la tipica stretta di mano: Coumbòo, hagg’ pacinz, ver’ tu che pui fà.- Lo stesso, filosofo a suo modo, era solito dire “ s’ so purc’ vann’ scannat’;-come dire: per mangiare le carni del maiale,bisogna trovare sempre la soluzione drastica “e riunite le tre mani alzando e calando tre volte, recitò il rito: “ par’ para pat’ e pac’ a chi è sciut’ bbùn e a chi ov’ fatt’ l’affar’”( pari per patti e pace a chi è andato bene e chi ha fatto l’affare). Chiusa la “ facenda” Roky- Nett strappò di mano i soldi e rapido spari.
      Il Massavin’,distratto, appena raccolto le sue cose si girò per pretendere il suo compenso, e suo malgrado rimase deluso. Imprecando: : “ru ssapev’ eye: hagg fatt la fin’ r’ lu p’kuror’ – cingh cient lir e chi è o fess’ …humba hullir’ ( Federico il pecoraro, dopo che aveva lavorato al pretendere l suo compenso, veniva sempre buggerato).
      Passarono alcuni giorni, il povero Aliberto torna al paese con passo più spedito e deciso. Incazzato come mai, roteando il bastone andò a casa del Massavin’ minacciandolo di volere indietro i soldi che aveva speso; poiché l’asino appena giunto alla masseria di li a poco era morto. Rocco, il Massavin, sapeva del risultato e con aria altrettanto incazzata concordava con lo Sherpa per essere stato anche lui buggerato, e promettendo di affrontare la situazione lo invitò a calmarsi. Cosi gli suggerì con aria rassegnata: “ me mo kk’ahia fà haaa!! mo arritir’t’… suav-suav- alla massareye, ka tutt’ s’ sistem’”, e con aria impertinente e provocatoria aggiunse : “arrekuord’t’.. ohi Sherpa-Shee!!! ka lu cioucc’ vikkye mor’ semp’ a kas’ r’ li fess’”,( ricordati che l’asino vecchio muore sempre a casa dei fessi) e dandosela a gambe scansò a tempo l’all’ungata bastonata che gli tirò Alipert’.
      Ora stanno tutti all’altro mondo. Chissà se si sono rincontrati, mi piacerebbe sapere come è andata a finire.
      “” r’ n’genat’ pur ropp murt fann semp’ mal’. ( le bastonate ,pure dopo morti fanno sempre male )
      Morale della favola… “” ki p’ fer’ vai truvonn’ ciol’ …trov’ semp’ ki l’ fac’ crer’ ka lu cioucc abbol’.””
      “ chi per fiere cerca “ciole” , trova sempre chi gli fa vedere l’asino che vola: la fregatura “”

Con affettuoso omaggio e simpatia a tutti gli attori,
      Una commossa prece.
      Vallata : anni, 1960-1970


Italo Antonio Di Donato

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home