Un illustre Irpino d’America Luigi Antonini. L’uomo Il sindacalista Il politico. Omaggio alla memoria nel cinquantenario della morte. - A cura di Rocco De Paola.

Un illustre Irpino d’America

Luigi Antonini

L’uomo Il sindacalista Il politico.



Omaggio alla memoria nel cinquantenario della morte.

A cura di Rocco De Paola



Ricerche storiche e documentarie di

Mario Zamarra

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Da YouTube - AnticaChianchione FFiorenzo Dante Marino

Le origini.
    In una intervista resa alla TV italiana negli anni Cinquanta da Luigi Antonini, Vanni Montana, suo collaboratore e braccio destro presente all’incontro, ebbe ad affermare che il carattere distintivo del grande sindacalista e uomo politico era senz’altro la tenacia e la caparbietà che gli provenivano delle sue origini irpine.
    Difatti, Luigi Rocco Antonini aveva visto la luce nel cuore profondo della terra d’Irpinia, nella cosiddetta “Terra di Mezzo” tra il Tirreno e l’Adriatico.
    Nacque a Vallata l’11 Settembre 1883 nella casa posta in via Piazza, da Pietro, di anni 34, maestro elementare, e da Maria Francesca Netta, appartenente ad una famiglia gentilizia locale. La mamma era allora trentenne, essendo nata nel 1853.



L’atto di nascita di Luigi Rocco Antonini.


    Il padre Pietro Valerio Antonini era originario di Gaggiano in provincia di Milano. La sua famiglia, di solide tradizioni liberali, contava un generale, Giacomo Antonini, che aveva combattuto con Napoleone e poi fece parte dell’esercito dei Savoia.
    Pietro Antonini aveva frequentato il Conservatorio con Giuseppe Verdi e per qualche tempo era stato anche organista nel Duomo di Milano.
    Un caso fortuito nel 1874 lo condusse a Vallata, come insegnante della scuola elementare del paese.
    Ebbe modo allora di conoscere Maria Francesca Netta che poi divenne sua moglie. Il matrimonio fu allietato da numerosa prole. Alla primogenita Savina Generosa Grazia, nata nel 1879, seguirono Grazia Generosa nel 1881, Luigi Rocco nel 1883, e Paolo Severino nel 1886.
    Luigi visse i primi anni della sua infanzia nel paese natio, poi nel 1892 la famiglia Antonini si trasferisce a Valmadrera, allora in provincia di Como.


(Vallata nel primo decennio del Novecento. La foto è stata ripresa da una antica cartolina in possesso del dr. Sergio Pelosi)


    Solo la primogenita Savina rimase a Vallata, per poi contrarre matrimonio a San Sossio, dove visse fino alla morte. La sua casa divenne un ritrovo frequentato da personaggi prestigiosi tanto da essere denominata “la baronessa”. Anche Luigi Antonini amava far visita alla sorella nei suoi frequenti viaggi in Italia nel secondo dopoguerra.
    La morte improvvisa di Maria Francesca a soli 39 anni getta nella costernazione la famiglia Antonini. Nonostante il gravissimo lutto, Pietro provvide con grande coraggio a tutte le evenienze della famiglia. Nella nuova residenza Luigi completò gli studi elementari e medi. Successivamente frequentò le scuole superiori nella città di Tortona, nel vicino Piemonte, dove conseguì il diploma. Rese poi il servizio militare per quattro anni, dal 1902 al 1906, nell’11° Reggimento di Fanteria, conseguendo il grado di sergente e distinguendosi come esperto schermidore.

Emigrante
Leader sindacale

    Forse a causa delle ristrettezze economiche, Luigi ed il fratello Paolo nel 1908 furono costretti ad emigrare negli Stati Uniti. Essi si stabilirono al Greenwich Village di New York, nel quartiere italiano del quarto rione. Due anni dopo, Luigi sposa colei che sarà la compagna di tutta la sua esistenza, Jennie Costanza, una sarta. Furono anni difficili, come egli stesso ammetterà molti anni dopo, contrassegnati da una serie di umili lavori scarsamente retribuiti. Si adattò a lavorare come addetto al rullo per la confezione di sigari e come sintetizzatore di pianoforti, infine approdò in una fabbrica di camicie a Manhattan. La situazione di degrado e di sfruttamento delle classi subalterne, vissuta in prima persona, maturò nel giovane Antonini la consapevolezza della esigenza di una forte mobilitazione e di una organizzazione capillare della classe operaia per l’affermazione dei diritti dei lavoratori. L’impiego come addetto nel campo dell’abbigliamento rappresentò una svolta nella vita di Luigi Antonini. Nel 1913 entrò a far parte dell’International Ladies Garment Workers Union (ILGWU) e l’anno successivo fu eletto nel Comitato Esecutivo di Local 25. L’ILGWU era stata fondata nel lontano 1900 a New York da operai immigrati per lo più socialisti, che intendevano contrastare l’ostilità delle organizzazioni sindacali statunitensi, restie ad accogliere immigrati provenienti dall’Europa meridionale ed orientale, creando nuovi sindacati aperti a tutti il lavoratori senza discriminazioni razziali, nazionali o religiose. Luigi Antonini in pochi anni si affermò come uno dei leader più attivi e dinamici sul fronte delle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori. Nel famoso sciopero generale del 1913 ebbe modo di distinguersi per la sua appassionata oratoria. Consapevole dell’enorme importanza che andava assumendo l’uso dei mass media per la promozione della causa dei lavoratori, nel 1916 diviene redattore della rivista “L’Operaia” che contribuì alla presa di coscienza dei propri diritti da parte di tante lavoratrici del settore tessile Nel giro di pochi anni riuscì a consolidare l’organizzazione dei lavoratori italiani dell’abbigliamento, tanto che nel 1919 poté fondare l’Unione italiana dei produttori di abiti e cinture, la “Italian Dressmakers Local 89”,una filiazione dell’ILGWU. Il numero 89 faceva chiaramente riferimento alla Rivoluzione Francese a designare il carattere libertario della nuova organizzazione. La “Local 89” arrivò a contare ben 25.000 iscritti, divenendo da subito una importante sezione della ILGWU che già rappresentava oltre 300.000 lavoratrici del settore tessile. E grazie all’impegno di Luigi Antonini, leader carismatico della Local 89 e dal 1925 vice presidente dell’ILGWU e poi primo vicepresidente nel 1934, carica che tenne per i successivi trent’anni, e di Edoardo Molisani, capo dei cloakmakers (produttori di mantelli) italiani della “Local 48”, il ramo italiano del potente sindacato dei sarti per donna nel 1940 poteva vantare 42.000 affiliati, una forza con la quale occorreva fare i conti. L’intensa campagna di propaganda del nuovo periodico “Justice”, fondato nel 1919, che veniva a sostituire l’altro giornale “L’Operaia”, nasceva dall’esigenza di raggiungere in modo capillare tutti i membri dell’ILGWU, inclusi gli immigrati che non parlavano correntemente la lingua americana. In considerazione che “la stampa sindacale [era] il sangue vitale della democrazia”, l’ILGWU giunse ad investire 54.502 dollari per la pubblicazione di “Giustizia” e di “Gerechtigkeit”, rispettive versioni in italiano ed in yiddish di “Justice”, organo ufficiale del sindacato. In particolare, il periodico che era rivolto agli iscritti delle sezioni italiane, il cui redattore era Raffaele Rende, ben presto divenne monopolio personale di Luigi Antonini. Uno dei principali risultati dell’intensa campagna propagandistica fu la trasformazione da parte dei lavoratori italiani del tessile, fino ad allora piuttosto diffidenti verso gli altri sindacati, in attivi “unionisti”. All’inizio del 1934, Antonini aveva stipulato un tacito patto con il multimilionario e boss della carta stampata Generoso Pope. Emigrato da Arpaise, in provincia di Benevento, nel 1906 a soli 15 anni, aveva mutato l’originario cognome Papa americanizzandolo in Pope. In breve tempo era divenuto uno degli imprenditori più facoltosi degli USA. Nel 1928 aveva acquistato il quotidiano “Progresso Italo-Americano”, dalla modesta tiratura, e subito ne aveva raddoppiato le copie, portandole a 200.000. La capillare diffusione del quotidiano tra gli Italo-Americani aveva spinto Antonini ad accettare la collaborazione con Pope perché vi fossero pubblicati periodicamente gli appelli dell’ILGWU. L’intesa di un esponente sindacale della statura di Antonini con un milionario noto per il suo sostegno al Fascismo suscitò una violenta polemica soprattutto da parte dei principali esponenti dell’ACWA (Amalgamated Clothing Workers of America), l’altra potente organizzazione sindacale dei lavoratori dell’abbigliamento, sorta in concomitanza con l’ILGWU. Ma il fatto che Pope avesse dato ospitalità ai comunicati dell’ILGWU aveva provocato anche il risentimento del Console Generale italiano Antonio Grossardi, le cui insistenti pressioni provocarono la soppressione della rubrica che era stata assegnata ad Antonini e che questi aveva utilizzato per i propri scopi di divulgazione e propaganda. Tuttavia, l’opera di Antonini continuò incessante con la pubblicazione di articoli, libri ed altro materiale di propaganda per raggiungere tutti i lavoratori della costa orientale degli USA. Inoltre, dall’inizio dell’anno 1934 si avvalse di un altro potente mezzo di comunicazione, un programma radiofonico, “La voce della Locale 89”, all’interno del palinsesto delle stazioni Wevd e Whom. Da gennaio di quell’anno, Antonini iniziò a trasmettere messaggi in italiano. Dagli iniziali trenta minuti, “The voice of Local 89” si estese ad una intera ora, arricchendosi di nuove rubriche, come la trasmissione delle arie più celebri delle opere classiche e di “bozzetti vivaci” di tono più leggero sulla vita dei lavoratori, presentati dai migliori artisti del teatro italiano. La popolarità della “voce” della Locale 89 si diffuse rapidamente non solo nella comunità italo-americana ma anche all’esterno della classe operaia di New York e già nel gennaio del 1936 sorsero numerose altre stazioni radiofoniche lungo la costa atlantica degli Stati Uniti. Gli anni Quaranta videro il consolidamento di questi mezzi di comunicazione di massa che contribuirono non solo a tener desta la coscienza sindacale dei lavoratori ma anche a sostenere la lotta al Fascismo e ad orientare la politica interna ed estera degli USA in senso favorevole alle aspettative della comunità italo-americana.

Antifascista militante
    L’antifascismo in America ebbe origine contestualmente all’affermarsi ed al consolidarsi della dittatura mussoliniana in Italia. Al centro della resistenza vi era un piccolo gruppo di socialisti, di anarchici e di dirigenti sindacali, molti dei quali erano emigrati in USA tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e vantavano una pregressa militanza nel campo del lavoro in Italia. Fin dalla marcia su Roma Luigi Antonini si era distinto per l’intransigente opposizione al Fascismo, giocando da subito un ruolo chiave nell’ambito della lotta antifascista degli Italo-Americani. Nel 1923 si rese promotore di una alleanza antifascista con il gruppo dei sindacalisti socialisti che si identificavano nel giornale “Nuovo Mondo”, edito a New York e finanziato con fondi della “Locale 89”. Inoltre lavorò a stretto contatto con tutti i maggiori leaders della sinistra italo-americana, come Frank ed August Bellanca dell’Unione dei Lavoratori dell’Abbigliamento d’America (ACWA), con i socialisti Girolamo Valenti, Giuseppe Lupis, Vanni (Giovanni) Buscemi Montana e con l’anarchico Carlo Tresca. Per tutto il decennio che precedette lo scoppio del secondo conflitto mondiale, cercò strenuamente di mobilitare le forze del movimento operaio per contrastare la propaganda fascista, in un momento in cui il regime mussoliniano godeva di un certo favore nella opinione pubblica americana. Nel 1934, quando David Dubinsky, presidente dell’ILGWU, annunciò un piano per combattere il Nazismo, Antonini si adoperò per convincere i dirigenti sindacali ad estendere la lotta anche al Fascismo. Molto attivo sul fronte della politica locale, nel 1936 contribuì alla fondazione dell’American Labor Party, che radunava sindacalisti e socialisti in una formazione di stampo progressista che sosteneva la rielezione di Franklin Delano Roosevelt alla Presidenza degli Stati Uniti. Antonini, che rappresentava al suo interno uno dei principali esponenti della destra anticomunista, divenne presidente della sezione del partito nello stato di New York.Tuttavia, l’organizzazione della propaganda antifascista rappresentava una impresa assai problematica. La maggioranza degli Italo-Americana era indifferente se non ostile alla battaglia antifascista ed era influenzata attivamente dai loro leader più eminenti. Molti politici e numerosi professionisti ed uomini d’affari simpatizzavano apertamente per Mussolini. Alcuni, poi, come Generoso Pope, erano propagandisti del governo di Roma ed avevano contatti diretti con esso. La battaglia antifascista era resa ancor più ardua e difficile dal fatto che i “prominenti” ed i circa sei milioni di immigrati rappresentavano un elemento di grande importanza nel contesto politico americano, per cui i loro portavoce avevano grande autorità a Washington. Il fronte antifascista, inoltre, era tutt’altro che omogeneo e compatto, in quanto era negativamente condizionato da differenziazioni ideologiche e da tatticismi che ne inficiavano l’azione pratica. Un grosso gruppo di antifascisti, esuli in Francia sin dal 1920, era approdato negli USA dopo la capitolazione della Francia nel 1940. I nuovi arrivati si erano coalizzati nella “Società Mazzini”, fondata nel 1939 da Gaetano Salvemini, Michele Cantarella, Leonello Venturi ed altri. Questo nucleo di fuorusciti rappresentava la terza fase della organizzazione antifascista italiana in esilio. Ma a differenza della precedente “Concentrazione Antifascista” del 1920, con sede in Europa, e di quella successiva “Giustizia e Libertà”, la “Società Mazzini” tentò una attiva collaborazione con i cittadini del paese ospitante. Essa si sforzò di creare un fronte comune fra i nuovi esuli e gli antifascisti giunti negli USA nel decennio precedente come immigrati, con una antecedente tradizione di socialisti e una militanza nel campo sindacale. Spesso si trattava di due mondi differenti, l’uno composto da attivisti di una generazione già assimilata nella nuova società, l’altro formato da intellettuali che avevano vissuto gran parte della loro esperienza politica e sindacale in Europa e che guardavano alla realtà americana con un non dissimulato atteggiamento di superiorità intellettuale.
    La svolta nella lotta al Fascismo si ebbe dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, con la conseguente entrata in guerra degli Stati Uniti. Roosevelt riconobbe finalmente il ruolo dell’antifascismo come componente fondamentale dello sforzo bellico, pur rifiutandosi di riconoscere i fuorusciti come governo in esilio. Luigi Antonini da parte sua comprese che era oramai giunta l’ora di assumere il ruolo di capofila del movimento antifascista e di portavoce della comunità italo-americana. A questo scopo aveva concorso a fondare un nuovo organismo con August Bellanca e Joseph Catalanotti, leaders dell’ACWA, l’Italian-American Labour Council (IALC) che mirava a fare degli esponenti sindacali italo-americani gli interlocutori privilegiati delle autorità statunitensi sulle questioni riguardanti la politica italiana. Nel contempo Antonini si era avvicinato ad una parte degli esuli italiani ed in particolare al conte Carlo Sforza ed aveva anche tentato di influenzare la “Società Mazzini”, allora diretta da Max Ascoli, benché si rifiutasse di farne parte, per il timore di vedersi ridotto alla funzione di un “sottocomitato sindacale”. Egli, tuttavia, grazie alla sua posizione all’interno dello IALC, intendeva formare un fronte antifascista unito, di cui sarebbe stato il principale rappresentante, ma con esclusione dei Comunisti. E l’ILGWU era un punto di riferimento essenziale nel movimento antifascista, non solo per gli oltre quattrocentomila iscritti, ma soprattutto per l’influenza personale e politica esercitata da Luigi Antonini. Come segretario generale della Locale 89 e come primo vicepresidente dell’ILGWU, riuscì a creare una efficiente rete di contatti che lo resero la figura più importante dell’intero sindacato. Al successo della sua linea politica contribuivano certamente le sue doti di scaltrezza, l’istinto innato nel determinare i momenti decisivi per l’azione e l’aspirazione a porsi come leader degli Italo-Americani ed interlocutore principe della politica interna ed estera dell’America.

Leader e portavoce della comunità italo-americana
    Una ulteriore spinta verso l’agognata leadership di tutto il movimento antifascista e verso il riconoscimento del suo ruolo di portavoce dell’intera comunità italiana si ebbe nel momento in cui Mussolini diede ordine di attaccare la Francia il 10 Giugno 1940. In quella circostanza, Roosevelt pronunciò un infuocato discorso, accusando l’Italia di aver proditoriamente assalito “alle spalle il suo vicino”. La frase suscitò vibrate proteste ed indignazione negli Italo-Americani, ed il solo Antonini si dissociò dalle critiche dei “prominenti”. Telegrafò al Presidente congratulandosi per il suo magistrale discorso ed assicurandogli il sostegno di tutta la sua organizzazione sindacale. Si augurava, inoltre, che, nel mentre il governo americano faceva i primi passi per arginare le iniziative fasciste, esso non soggiacesse al cieco pregiudizio contro gli immigrati italiani che non potevano ritenersi responsabili degli atti illeciti di una feroce dittatura. Il messaggio di Antonini mirava ad un duplice obiettivo. Intuendo che personaggi come Pope sarebbero stati screditati dall’aggressione di Mussolini alla Francia, egli sperava di riempire il vuoto nella leadership degli Italo-Americani e di rafforzare il suo ruolo di leader antifascista. Tuttavia, anche la Società Mazzini, ingrossata dall’arrivo di eminenti antifascisti come Carlo Sforza, Randolfo Pacciardi, Alberto Cianca e Alberto Tarchiani, era ugualmente determinata a proporsi come fulcro essenziale del movimento antifascista e a distruggere l’influenza di Pope sull’amministrazione Roosevelt. Antonini, pur sovvenzionando generosamente la Società Mazzini, era guardato con sospetto a causa dei suoi trascorsi con Generoso Pope. Egli era, tuttavia, disposto a collaborare con i suoi membri e godeva anche del consenso di Tarchiani, che si diceva convinto della necessità di una coordinamento con i sindacati, e dello stesso presidente dell’associazione Max Ascoli, ma incontrava la sorda opposizione di Gaetano Salvemini. Nonostante tale negativa situazione, Max Ascoli all’inizio del 1941 tentò di costituire un comitato di lavoro comune con i leaders sindacali all’interno della Società, ma i colloqui fallirono, per cui si fece strada l’idea di scinderla in due gruppi separati, che lo stesso Salvemini considerava come ineluttabile. Intanto, sensibile al mutamento del clima politico e della pubblica opinione, Pope ed i suoi seguaci iniziarono a prendere le distanze dal Fascismo, che culminò con l’aperta condanna di Mussolini nel Settembre di quell’anno. Per quanto fosse evidente l’opportunismo di questa repentina conversione, lo stesso Roosevelt, che non voleva perdere il favore dei prominenti che avevano grande influenza sui votanti italo-americani, se ne dichiarò soddisfatto. Questa situazione metteva gli esuli italiani in una difficile situazione ed ora essi si vedevano sfuggire di mano la leadership in favore di Antonini, che ottenne anche il consenso e l’appoggio di molti “prominenti” già filofascisti, rafforzandone il ruolo di capo indiscusso dell’antifascismo italo-americano. La crescente influenza di Antonini sull’amministrazione americana si evidenziò in modo chiaro il 2 Giugno 1942, quando presiedette a Washington una vasta assemblea di Italo-Americani, sponsorizzata dallo IALC e dalla Società Mazzini. Al meeting parteciparono Carlo Sforza, che si attirò le ire di Salvemini, Alan Cranston, capo del Foriegn Language Division of the Office of Facts and Figures, e l’Assistente Segretario di Stato Dean Acheson. Antonini riscosse un vero trionfo quando lasciò trapelare la notizia che gli interessi nazionali dell’Italia sarebbero stati tutelati dall’amministrazione americana. In tal modo si prendeva il merito di aver conseguito uno dei principali obiettivi cui miravano gli esuli. E in estate, quando Sforza propose un congresso internazionale di antifascisti italiani a Montevideo, il Dipartimento di Stato delegò Serafino Romualdi, stretto collaboratore di Antonini, ad organizzare l’incontro. Nel Settembre 1942 Antonini tese apertamente la mano ai “prominenti” già compromessi con il Fascismo, sotto l’egida dell’Ufficio di Informazioni sulla Guerra che aveva auspicato l’unione di tutti gli Italo-Americani nello sforzo bellico comune, senza distinzioni tra Fascisti ed Antifascisti e a tal fine sponsorizzò una serie di Comitati degli Italo-Americani per la Vittoria, con l’esclusione dei Comunisti. Antonini unì le sue forze con i “prominenti” perché organizzassero dimostrazioni, raduni e banchetti patriottici. Pope aderì con entusiasmo alla iniziativa, ansioso di riscattare l’antecedente adesione al Fascismo. Tali relazioni privilegiate con i “Fascisti pre-Pearl Harbor” esacerbarono i rapporti con gli antifascisti più intransigenti, allargando ulteriormente il dissenso fra sindacati ed esuli. Un altro importante successo della crescente influenza politica di Antonini si ebbe il 12 Ottobre 1942, quando, in una riunione dello IALC, il Procuratore Generale Francis Biddle annunciò che per i 600.000 Italiani senza cittadinanza, ma residenti negli USA, che erano stati inseriti nella lista degli “enemy aliens” insieme a Tedeschi e Giapponesi, sarebbe stata abrogata tale qualifica. Per un intero anno diversi antifascisti, cittadini “prominenti” e numerosi liberali avevano fatto pressione su Washington perché i concittadini italiani fossero esclusi dalla lista degli stranieri nemici degli USA. Lo stesso Antonini aveva ripetutamente discusso del problema con funzionari dell’amministrazione e aveva rassicurato personalmente il presidente Roosevelt della lealtà degli Italiani. L’esito positivo della vicenda rappresentava una grande vittoria per lo IALC, per Antonini e per tutti coloro che si erano battuti per ottenere la revoca di un provvedimento che provocava restrizioni della libertà individuale dei seicentomila immigrati non naturalizzati e l’internamento in campi di reclusione per alcune centinaia di essi. Come ebbe a dire uno degli assistenti del presidente: “Antonini ottiene sempre ciò che chiede e lo merita ampiamente perché il suo supporto all’amministrazione è sempre leale”.

Interlocutore dell’amministrazione americana
Mediatore delle istanze italiane

    Già nel 1942 Antonini aveva presagito, come altri esponenti dell’antifascismo compreso Sforza, il probabile crollo del Fascismo, anche se la guerra era ancora in corso. Era anche convinto che la sconfitta dell’esercito tedesco fosse ormai inevitabile e che fosse necessario approntare un futuro di libertà e la restaurazione della democrazia in Italia. Questa visione era condivisa dall’amministrazione statunitense, che già da alcuni mesi si era attivata presso gli antifascisti italo-americani e i fuorusciti alla ricerca di interlocutori con cui elaborare una politica postbellica soddisfacente per gli USA. Nel novembre 1942, il vice Segretario di Stato Adolph Berle aveva ricordato ai membri dello IALC e della Società Mazzini che l’Italia si sarebbe dovuta schierare senza riserve dalla parte delle potenze democratiche, per dare “una prova convincente” della avversione alla tirannide per poter essere considerata una entità politica distinta dal Fascismo. Aggiungeva che il governo statunitense era convinto che “con la guida giusta” il popolo italiano avrebbe dato una tale prova di attaccamento ai valori delle Nazioni Unite. Dunque Antonini ed i suoi amici erano visti come i naturali intermediari delegati alla trasmissione del messaggio del governo americano presso i concittadini d’Oltreoceano. Ad essi toccava inoltre il compito di incitare gli Italiani a ribellarsi alla dittatura mussoliniana per affrettare la caduta del regime. Del resto, da sempre Antonini aveva sostenuto la tesi che la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti era avvenuta solo perché l’Italia era stata “tradita”, e quindi si dichiarava pienamente disponibile ad assecondare la politica del presidente Roosevelt, di cui era stato convinto sostenitore. Egli si vedeva, dunque, nella veste della giusta guida di cui aveva parlato Berle, anche in ragione delle sue forti aderenze politiche e dei mass media che potevano essere utilizzati allo scopo. Non era l’unico a ritenere che spettasse proprio ai membri della comunità italo-americana fungere da mediatori tra Italia e Stati Uniti, anche per la buona conoscenza della lingua italiana che poteva servire nelle operazioni belliche ed in contesti diplomatici nelle trattative con le diverse forze politiche italiane. Per questo l’Office of War Information (OWI) aveva chiesto a diversi eminenti esponenti della comunità italo-americana, come l’allora sindaco di New York Fiorello La Guardia, di partecipare attivamente alla propaganda di guerra. Il ruolo di intermediazione era visto con molto favore dagli Italo-Americani e la possibilità di rendersi utili al governo determinò una grande soddisfazione negli immigrati italiani, fino ad allora discriminati e soggetti al disprezzo dell’opinione pubblica americana. Il motto “Colombo fece l’America, l’America rifarà l’Italia”, lanciato da Antonini alla fine del 1942, preconizzava in certo modo gli eventi che stavano per accadere e conferiva un ruolo particolarmente importante ai prominenti italo-americani che ambivano a divenire gli artefici della ricostruzione dell’Italia. Efficace veicolo per raggiungere con i suoi messaggi il massimo numero di persone fu il mensile “Giustizia”, che Antonini utilizzò quasi esclusivamente per la situazione italiana, relegando in secondo piano i problemi del sindacato. Il periodico dell’ILGWU si era arricchito già dal gennaio 1941 di due nuove rubriche, “La tribuna mensile” e “Aghi e spilli”. Per la prima aveva adottato uno stile misurato ed un tono pacato in sintonia con il ruolo di un vero leader, mentre con aghi e spilli egli dava libero sfogo alla sua vena polemica non di rado condita con il salace “pimentum” di un sarcasmo sferzante, che puntualmente scatenava una valanga di proteste alle quali rispondeva invariabilmente rincarando le dosi. Il 26 luglio 1943, all’indomani del crollo del regime fascista, su iniziativa di Antonini e del giudice della Corte Suprema dello Stato di New York Ferdinando Pecora fu fondato l’“American Council for Italian Democracy”, il cui acronimo ACID era sintomatico delle sue future battaglie polemiche. La neonata organizzazione, che aveva Generoso Pope come tesoriere, era finalizzata a realizzare l’unità di tutte le forze italo-americane per contribuire in modo efficace allo sforzo bellico degli Stati Uniti. Si tendeva, inoltre, a orientare l’opinione pubblica americana verso una pace giusta per l’Italia nello spirito del Patto Atlantico e a “favorire una soluzione democratica del problema italiano”. Si auspicava, poi, una stretta cooperazione con le agenzie assistenziali americane per tutte le attività di soccorso e di ricostruzione del paese disastrato dalla guerra. L’ACID, qualificandosi come un comitato di soli cittadini americani di origine italiana, escludeva di fatto tutti gli esuli ed esautorava in modo definitivo il programma della Società Mazzini. Lo stretto sodalizio fra Antonini e Pope suscitò una vera bufera di proteste. Soprattutto i leaders dell’ACWA rinfacciavano ad Antonini l’ostinazione nel voler legittimare noti simpatizzanti e sostenitori del Fascismo come Pope. Augusto Bellanca, tra i più radicali, che si era spostato sulle posizioni di Salvemini, si staccò dallo IALC e unì le sue forze a quelle di Giuseppe Catalanotti dell’ACWA e di Giorgio Baldanzi della Unione dei Lavoratori Tessili (Textile Workers Union), formando un “Free Italy Labour Council”. Le critiche di Bellanca furono riprese con toni ancor più aspri da parte dei Comunisti italo-americani, i quali lo accusavano di giocare alla politica con i Fascisti. Ma ormai la sola opposizione che si frapponeva al suo pieno dominio sulla intera questione italiana era rappresentata da Salvemini e dai suoi seguaci. Già da tempo Antonini aveva cercato di estendere la sua influenza sulla Società Mazzini, sovvenzionando largamente gli esuli e rafforzando di conseguenza la sua posizione all’interno dell’organizzazione mediante i suoi agenti. L’ultimo passo della strategia di Antonini verso la completa omologazione della società fu attuato a Novembre del 1943, nel corso della convenzione annuale. Salvemini si era dimesso, Tarchiani, Sforza e Cianca erano tornati in Italia, cosicché Antonini poté inserire Vanni Montana nel comitato esecutivo, mentre James Battistoni assumeva la presidenza e Umberto Gualtieri entrava a far parte del consiglio. Come ebbe ad affermare Max Ascoli, che aveva rifiutato la conferma alla presidenza, Antonini non otteneva la società dagli oppositori alla sua politica, ma l’aveva presa da solo nelle sue mani, avendo oramai un numero preponderante di iscritti che gli assicuravano la maggioranza all’interno della organizzazione. A conclusione dei lavori della convenzione, gli antifascisti che si erano opposti ad Antonini abbandonarono in massa la società, rafforzandone, così, la leadership. La Società Mazzini, ormai totalmente dipendente da Antonini, continuò ad operare fino alla primavera del 1945, riducendosi al ruolo di portavoce della amministrazione americana. Quando Antonini aveva preso il controllo della Società Mazzini aveva già mostrato l’intenzione di eliminare ogni interferenza dei Comunisti, anche in previsione del nuovo assetto politico dell’Italia, e del “Congress of Industrial Organizations” (CIO), l’organizzazione sindacale più progressista, in tutte le maggiori istituzioni antifasciste. Con la formazione dell’ACID Antonini era consapevole di aver fatto un passo verso la destra e mentre non aveva più motivo di criticare la stampa “coloniale” i suoi strali polemici si accanivano ora contro i giornali della sinistra italo-americana, come “La Parola”, “L’Adunata dei refrattari”, organo degli anarchici, “L’Unità del Popolo”, il “The Daily Worker”, quotidiano del partito comunista statunitense, “Il Martello”, giornale fondato e diretto dal libertario Carlo Tresca, che fu vittima di un sicario la sera dell’11 Gennaio 1943, rimasto ignoto, così come ignoti resteranno i mandanti del delitto. Le posizioni anticomuniste di Luigi Antonini avevano contribuito a provocare la scissione dello IALC e la creazione di una associazione concorrente, presieduta da Joseph Catalanotti. I dissensi tra la varie fazioni antifasciste furono acuite non solo dalla sua ostentata amicizia con Pope ma anche dal coinvolgimento nello sforzo di ricostruzione dell’Italia del giudice Eugene Alessandroni, gran venerabile della Loggia massonica della Pennsylvania e noto fascista fino al Dicembre 1941. Le polemiche si trascinarono per tutto il corso del conflitto ed anche nell’immediato dopoguerra, rinfocolandosi nel momento in cui nel Luglio del 1945 veniva scarcerato dal campo di internamento in cui era stato confinato per le sue attività “antiamericane” Domenico Trombetta, ex anarchico convertitosi al Fascismo, direttore della rivista fascista e antisemita “Il Grido della Stirpe”, ironicamente ribattezzata da Carlo Tresca “Il Grido della Trippa”! In quella circostanza, Antonini, che con un numeroso gruppo di “prominenti” aveva firmato una petizione per la liberazione di Trombetta, espresse parole di elogio su “Giustizia” per la “misericordia democratica” del governo americano, suscitando lo stupore di taluni suoi fedeli amici come Carmelo Zito, direttore del settimanale antifascista “Il Corriere del Popolo”.

1943-1945. Alfiere dell’Italia
    Luigi Antonini ormai identificava se stesso come ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, come mediatore degli interessi italiani negli USA e come rappresentante degli Italo-Americani al di là e al di qua dell’Oceano. Antonini, che agiva già in un contesto postbellico sin dal Gennaio del 1943, si batteva con grande vigore, sulle pagine del periodico “Giustizia”, per contrastare la politica del Primo Ministro britannico Winston Churchill, accusato di aver imposto una pace punitiva per l’Italia. Nonostante la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del governo Badoglio, il 13 Ottobre del 1943, il leader inglese si era opposto al riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo di battaglia da parte dell’Italia da far valere poi alla conferenza di pace. E nei mesi successivi aveva tenacemente contrastato qualsiasi ipotesi che all’Italia venisse concesso lo status giuridico di nazione alleata, dati i suoi trascorsi di alleata della Germania. Churchill riteneva che il repentino cambiamento delle alleanze fosse stato soprattutto conseguenza dello sbarco alleato in Sicilia e della capitolazione di un esercito ormai allo sbando. Tale posizione era rafforzata anche dal disimpegno dell’amministrazione americana negli affari interni italiani, che aveva adottato il principio della non ingerenza fino alla conclusione della guerra, senza tenere nel dovuto conto della situazione reale. Antonini, per nulla scoraggiato dalle difficoltà che si frapponevano al raggiungimento dell’arduo obiettivo, utilizzò a pieno i suoi rapporti privilegiati con Roosevelt e con Berle per cercare di far intendere al governo degli USA l’urgenza di cambiare le sue posizioni nei riguardi dell’Italia. Per ottenere lo scopo prefissato, non esitò a schierare tutta la forza sindacale dell’ILGWU, nella convinzione che il movimento operaio, oltre al contributo offerto per la vittoria alleata, dovesse porsi come un fattore determinante per il conseguimento di “quella pace stabile di libertà e di giustizia cui tutti i popoli anelano”, senza rinchiudersi “in un gretto concetto trade-unionista”. L’ILGWU, che aveva attivamente partecipato, mediante la sua collaborazione con il Jewish Labor Committee, al salvataggio di migliaia di Ebrei europei, doveva essere vigile e presente a tutti il livelli della vita politica, nazionale ed internazionale. Antonini, pertanto, si batteva per una pace giusta, non punitiva, per un popolo che era stato ingannato e soggiogato dalla tirannide, in conformità con i principi della Carta Atlantica. Il Paese, ribadiva Antonini in un editoriale di “Giustizia” dell’Agosto 1944 significativamente titolato “Ricostruzione”, aveva subito il dispotismo e, avendo partecipato alla propria liberazione, non doveva essere soggetto a ritorsioni a causa di responsabilità politiche imputabili solamente ad un regime di cui era stato vittima. Ma la Gran Bretagna si mostrava riluttante a dare credito alla buona fede italiana, per cui la gestione dell’Italia liberata divenne il principale movente dell’interesse di Antonini che, durante una missione in Italia nell’estate del 1944, accusò senza mezzi termini i Britannici di voler fare del Belpaese una loro colonia. Tali affermazioni, tuttavia, furono censurate dalla stampa statunitense per timore che potessero incrinare i rapporti fra gli alleati. E pur evitando di attaccare direttamente Churchill dalle colonne di “Giustizia”, Antonini continuò a criticare, sia pur in modo velato, il presunto atteggiamento imperialistico dei Britannici nel Mediterraneo, sotto la forma di un regime di tutela che si voleva imporre agli schiavizzati di tutto il mondo. Nemmeno la dichiarazione congiunta riguardante l’Italia rilasciata dal presidente Roosevelt e dal Primo Ministro Churchill il 26 Settembre 1944, che riconosceva all’Italia il pieno status di alleato, dissipò del tutto i sospetti sulle reali intenzioni della Gran Bretagna riguardo all’assetto del paese. Al premier inglese si imputava il sostegno ad un governo voluto da un re fascista con un presidente del consiglio fascista. A queste lagnanze Churchill aveva risposto con un discorso tenuto alla Camera dei Comuni il 22 Febbraio, noto come discorso della caffettiera per la similitudine utilizzata in quella circostanza, secondo la quale non si poteva cambiare il manico di un macchinetta da caffè bollente se non se ne aveva uno di riserva a disposizione. Il significato latente di quell’intervento era un appoggio chiaro del premier inglese al re Vittorio Emanuele III e a Badoglio. L’opinione maggiormente diffusa fra gli antifascisti era che gli Italiani erano stati trattati come un popolo conquistato e deprivato del diritto di decidere della propria forma di governo. La protesta trovò sbocco in una lettera aperta al presidente Roosevelt in cui polemicamente ci si chiedeva se si stava combattendo per il re d’Italia anziché per la Nazione Italiana. Tra gli altri la lettera, in cui si sosteneva che al Fascismo era stata concessa una “preziosa dilazione”, grazie al mantenimento al potere di un re fascista e di un generale fascista, fu firmata da Antonini, Baldanzi, Ascoli ed altri. Antonini, che si era inizialmente dichiarato favorevole ad una temporanea collaborazione con Vittorio Emanuele e Badoglio, ora mostrava tutta la propria intransigenza pari all’ardore con cui condannava qualsiasi collaborazione con i Comunisti. Nel Dicembre 1944, nel pieno della rovente polemica per il veto opposto dal Ministro degli Esteri britannico Eden a Carlo Sforza come Presidente del Consiglio o come Ministro degli Esteri, dopo la caduta del primo governo di Ivanoe Bonomi, subentrato a Badoglio solo nel Giugno 1944 poco dopo la liberazione di Roma, in una lettera indirizzata al presidente Roosevelt a nome del Consiglio Italo-Americano del Lavoro, Antonini protestava per la parte avuta dalla Gran Bretagna nella crisi del governo italiano.
    Nonostante tutti gli sforzi messi in atto da Antonini e dal “Joint Committee on Italian Affairs”, l’Italia fu esclusa dalla Conferenza di San Francisco del 26 Giugno 1945 ove avvenne la fondazione delle “Nazioni Unite”. E sebbene la Gran Bretagna nell’estate del 1945 avesse rinunziato del tutto alle sue velleità egemoniche sul Mediterraneo, anche sulla spinta della dichiarazione del Segretario di Stato americano Edward Stettinius del 5 Dicembre dell’anno precedente, che definiva la politica americana nei paesi liberati, mostrava, tuttavia, di voler continuare a sfruttare la sconfitta dell’Italia insieme con la Francia e l’Unione Sovietica. L’Italia, di conseguenza, non fu autorizzata a partecipare all’elaborazione del Trattato di Pace. Cionondimeno, Antonini non rinunciò all’idea che l’Italia dovesse trovare il suo giusto posto nel nuovo ordine mondiale. Pertanto, egli fece valere il peso elettorale degli Italo-Americani per esercitare pressioni sul governo americano nonostante la morte di Roosevelt. Il successore Harry Truman, ugualmente interessato, come il predecessore, ai sei milioni di voti degli Italo-Americani, sembrava essere l’unico leader delle ex forze alleate disposto a prendere in considerazione le rivendicazioni italiane. Nel Giugno del 1945 Antonini ottenne l’assenso dello IALC che, oltre ad approvare l’operato dei dirigenti, si impegnava per migliorare la posizione dell’Italia democratica e per salvaguardare la italianità di Trieste. Fu così che l’anno successivo Antonini ottenne di poter partecipare come rappresentante dello IALC alla Conferenza di Pace di Parigi, aggregato alla delegazione americana. Egli si proponeva di evitare che la pace fosse “sabotata”, aiutando concretamente l’Italia. A sostegno della sua azione diplomatica cercò di coinvolgere i Paesi dell’America Latina, organizzando a questo scopo un viaggio che lo vide impegnato in una capillare opera di sensibilizzazione presso i governi dell’America centro-meridionale e presso le comunità latino-americane. In quel momento, i problemi relativi ai territori di confine dell’Italia ad est e ad ovest, contesi dalle nazioni confinanti, che ne minacciavano l’integrità territoriale, erano piuttosto rilevanti. Antonini era particolarmente allarmato dalle pretese territoriali del maresciallo Tito, che mirava ad annettere alla neonata Jugoslavia la Venezia Giulia con Trieste e l’Istria. Egli dava sfogo alla sua ira attaccando i Comunisti italo-americani ed in particolare scagliandosi contro il deputato Vito Marcantonio, ironicamente ribattezzato Vitowsky Marcantonioff, e invitandolo a rivolgersi a Stalin ed al suo Ministro degli Esteri Vjačeslav Michailovič Molotov anziché agli USA. Sulla vicenda delle ex colonie italiane Antonini aveva una opinione affine a quella dell’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, secondo cui l’Italia doveva mantenere la sovranità sui possedimenti acquisiti prima dell’avvento del Fascismo, ovvero sulla Libia, sulla Somalia e sull’Eritrea. E al Ministro degli Esteri britannico Ernest Bevin che faceva notare l’incongruenza della posizione italiana rifiutata dagli stessi indigeni, Antonini ribatteva che l’Italia non aveva intenzione di utilizzare i vecchi sistemi coloniali ed anzi poteva contribuire ad estendere i benefici della neonata democrazia alle su vecchie colonie.

L’assistenza alle popolazioni italiane
    Fin dal 1943 una delle priorità di Antonini divenne la questione degli aiuti all’Italia. La madrepatria andava soccorsa non solo auspicando un nuovo assetto politico democratico ed una pace giusta, ma anche cercando di alleviare la dilagante povertà provocata dalla guerra e dalla inflazione. La richiesta fatta al presidente Roosevlt che fosse delegato l’ACID al controllo dell’assistenza alle popolazioni italiane fu respinta nel Marzo del 1943. Ad essa si erano opposti Bellanca e il Free Italy Labour Council, nonché altri “prominenti” come l’influente finanziere newyorkese Luigi Criscuolo. Antonini, tuttavia, non si perdette di coraggio e mobilitò il sindacato di cui era primo vicepresidente, utilizzando il periodico “Giustizia” per sensibilizzare le masse dei lavoratori americani sulla drammatica situazione italiana. La raccolta di denaro e di indumenti ebbe un enorme successo e le “sartine” della “Local 89” e della “Local 48” si distinsero nello stoccaggio, nell’imballaggio e nello smistamento degli indumenti consegnati poi alla Croce Rossa Americana e ad altre organizzazioni. Il peggiorare della crisi economica dell’Italia indusse il governo americano a creare alla fine del 1944 una apposito organismo per l’assistenza diretta alle popolazioni italiane, l’American Relief Committee for Italy, affidato a Myron Taylor, rappresentante personale di Roosevelt presso il Vaticano. Taylor designò come vice presidente il giudice democratico Juvenal Marchisio, approvò un consiglio consultivo presieduto dal giudice Pecora e affidò ad Antonini un sotto-comitato che doveva interessarsi in modo specifico del vestiario. Questa istituzione diede nuovo vigore alle iniziative dell’ILGWU e rafforzò la collaborazione fra Antonini e Pope, tanto che nel Febbraio 1946 “Giustizia” fu associata all’iniziativa condotta dal giornale di Pope “Progresso Italo-Americano” per un aiuto immediato alle popolazioni italiane. I lettori di “Giustizia” furono invitati da Antonini a corrispondere il salario di una giornata di lavoro da devolvere in favore delle popolazioni italiane. Le iniziative assunte dal sindacato di Antonini erano motivo di legittimo orgoglio per l’importante contributo recato alle più immediate ed urgenti necessità della gente ed alla ricostruzione materiale e morale della Nazione. Inoltre, era particolarmente gratificante per gli immigranti, che si erano pienamente integrati nella società americana e cittadini a pieno diritto della nuova patria, prestare il loro aiuto alla madrepatria, in un rapporto asimmetrico con il loro paese d’origine. Nell’estate del 1944 Luigi Antonini, come rappresentante dell’American Federation of Labor (AFL), e George Baldanzi in rappresentanza del CIO giunsero in Italia con una delegazione sindacale anglo-americana per esaminare la situazione del Paese e favorire il dialogo tra le organizzazioni italiane e quelle britanniche e statunitensi. In quella circostanza, Antonini fece anche una breve tappa a Vallata, tenendo un discorso nella sezione del Partito Socialista, il cui Segretario era allora l’esimio professor Armando Cataldo. L’obiettivo dichiarato della delegazione sindacale anglo-americana era quello di favorire la nascita di sindacati “liberi” che potessero contribuire a creare le condizioni per ristabilire la democrazia in Italia. Tuttavia, l’attivismo delle autorità statunitensi e l’intervento sempre più palese negli affari interni italiani preludevano a quello che sarebbe stato l’atteggiamento del governo americano nelle elezioni politiche del 1948. Nonostante il viaggio fosse stato autorizzato dal Dipartimento di Stato americano, Myron Taylor espresse in quella circostanza il proprio scetticismo sull’utilità della presenza in Italia di dirigenti sindacali statunitensi e britannici. L’idea di voler offrire assistenza all’Italia sviluppando le sue organizzazioni operaie non gli sembrava particolarmente idonea in un momento in cui urgevano altre immediate necessità, in particolare quelle di sfamare e di vestire la popolazione. Antonini, pur concordando sul fatto che fosse comunque preminente ottemperare ai bisogni vitali della gente, pensava che sarebbe stato anche indispensabile assicurare un futuro politico all’Italia. Pertanto, riteneva che fosse necessario impegnarsi con urgenza per impedire che i Comunisti monopolizzassero il movimento operaio italiano e se ne servissero per impadronirsi del potere. A tale scopo, mise in atto efficaci strategie propagandistiche, sostenute da generose sovvenzioni alle nascenti organizzazioni politiche e sindacali. Si confermava, così, l’abbandono delle posizioni radicali, che nel 1924 avevano comportato a suo carico una segnalazione come sovversivo da parte della polizia italiana su segnalazione del Consolato Italiano in America. Il suo progressivo spostamento verso il centro dello schieramento politico, caratterizzato da un accentuato anticomunismo e da un certo moderatismo, che lo condussero a privilegiare l’opzione socialdemocratica in linea con il “New Deal” rooseveltiano, poteva dirsi concluso.

Dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta
    L’attivismo politico di Antonini non si limitò solo al periodo postbellico, ma continuò anche nei decenni successivi. In particolare, la sua azione mirò ad estromettere i Comunisti dal governo dell’Italia ed a limitare il proselitismo e l’influenza della CGIL, che era utilizzata dall’apparato del Partito Comunista come “cinghia di trasmissione” per la scalata ai vertici del potere. A questo scopo auspicava con vigore la nascita di un nuovo partito socialista che respingesse l’alleanza con il PCI. Il suo acceso anticomunismo, biasimato da Ignazio Silone, autorevole esponente del PCI e noto scrittore, derivava dal timore, proprio anche dell’amministrazione statunitense, che un governo delle sinistre potesse attrarre l’Italia nell’orbita sovietica. Pertanto, approvò senza esitazioni la storica scissione di Palazzo Barberini che determinò la fondazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) da parte di Giuseppe Saragat, che non condivideva la strategia di Pietro Nenni, favorevole invece ad un’ampia collaborazione politica con il PCI. Sul piano sindacale, favorì in tutti i modi la nascita di nuove organizzazioni che non soggiacessero alla egemonia della CGIL, la CISL e la UIL. A queste neonate formazioni politiche e sindacali Antonini non fece mancare un sostanzioso contributo economico, mediante rimesse regolari di fondi attinti dall’ILGWU. Egli favorì anche la formazione di governi di coalizione del partito socialdemocratico di Saragat con la Democrazia Cristiana. Il suo impegno per le popolazioni italiane si estese anche alla creazione di istituti e scuole professionali per giovani senza famiglia. L’Istituto Professionale di Palermo per orfani di guerra, intitolato a Franklin Delano Roosevelt, uno dei più grandi d’Europa, fu concepito e realizzato per merito di Antonini con fondi devoluti dagli operai americani. E ancora oggi esso è oggetto di deferente riconoscenza da parte di quanti ebbero la ventura di poterlo frequentare. La sua munificenza è attestata anche dal generoso contributo di ottantamila lire, pari ad un terzo dell’intero costo dell’opera, offerto all’allora arciprete Arturo Saponara per improrogabili lavori di rifacimento della Chiesa Madre di Vallata. All’inizio degli anni Cinquanta fa ritorno nel paese natio, accolto dalla popolazione con enorme entusiasmo e tiene un breve discorso nel palazzo Pelosi. Una strada a lui intitolata fu poi cancellata per motivi del tutto pretestuosi, in quanto nel comune sentire del volgo “non aveva fatto nulla per Vallata”! La statura internazionale di un tale personaggio da sola dà lustro, sia pure di riflesso, anche alla ingrata terra che gli diede i natali!
    Un interessamento concreto per la nostra Irpinia è documentato dal ricevimento del comitato per la ricostruzione guidato nell’immediato dopoguerra dall’onorevole Costantino Preziosi.

Riconoscimenti
    A Luigi Antonini resero omaggio molti dei protagonisti della scena politica italiana, dai Presidenti del Consiglio Bonomi, De Gasperi, Scelba, Segni, ai Presidenti della Repubblica De Nicola, Einaudi, Gronchi e numerosi leader del Parlamento Italiano. Giulio Pastore, sindacalista ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, lo attende ai piedi della scaletta dell’aereo, al suo arrivo a Ciampino il 3 Ottobre 1956 accompagnato da una nutrita delegazione, salutandolo calorosamente.
    Giuseppe Saragat, che in certo qual modo gli era debitore delle sua fortune politiche, riceve al Quirinale il 28 Giugno 1967, alle ore 19.15, il Cavaliere di Gran Croce Luigi Antonini, insieme al signor Vanni Montana. Decorato con la Stella della Solidarietà di Seconda e di Prima Classe, fu insignito anche dei titoli di Commendatore e Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana e Cavaliere e Grand’Ufficiale della Repubblica di San Marino. Trieste lo decorò con medaglia d’oro per i suoi altissimi meriti nella difesa della italianità della città. Altro importante segno di stima e riconoscenza venne dalla Sicilia con l’assegnazione di medaglia d’oro. Il 3 Ottobre 1956 gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Molinella, città celebre nella storia perché assurta a simbolo della lotta delle mondine ed anche perché fu una delle prime località in cui ebbero origine le associazioni sindacali. Quella città è nota anche per i drammatici “fatti di Molinella” del 17 Maggio 1949, che ebbero vasta eco nella pubblica opinione nazionale. I Comunisti, che contestavano il risultato delle elezioni alla locale Camera del Lavoro, la cui maggioranza era andata alla componente socialdemocratica, la presero d’assalto all’atto dell’insediamento, provocando diversi feriti ed una vittima.
    In quello stesso anno, il 5 Ottobre, Antonini è in Israele con una delegazione di sindacalisti italo-americani. In quella circostanza, il sindaco di Haifa Abba Khushi, durante una solenne cerimonia, gli intesta ufficialmente lo stadio della città che ancora oggi è denominato “Luigi Antonini Stadium”. Al compimento del suo ottantesimo compleanno il sindaco di New York, Robert Wagner, gli consegna idealmente le chiavi della città e per un giorno la “Seventh Avenue” è chiamata “Luigi Antonini Avenue”.
    Attivo fino all’ultimo giorno della sua operosa esistenza, Luigi Antonini si spegne ad ottantacinque anni il 30 Dicembre 1968.

Conclusioni
    Questo breve profilo di Luigi Antonini mette in chiara evidenza la grandezza di un personaggio che si distinse nelle lotte per il lavoro negli Stati Uniti e che contribuì ad organizzare il settore della sartoria italiana in un momento in cui, come ebbe ad affermare, “la mia gente aveva poca idea del sindacato”. Come si è delineato in queste pagine, fu un indomito oppositore di tutte le forme di dittatura e strenuo e appassionato difensore delle ragioni dell’Italia in varie sedi internazionali. Definito con un certo sussiego come un intellettuale dal “tocco romantico-proletario”, la sua prorompente personalità gli alienò l’assenso e talvolta anche l’amicizia di eminenti personaggi. Non fu certo immune da colpe e debolezze, che tuttavia non sconfinarono mai in contesti di illegalità, come pure si è adombrato, imputandogli amicizie pericolose nel campo della criminalità organizzata e sollevando qualche alone di dubbio relativo alla morte di Carlo Tresca. A lui vada, dunque, il deferente ossequio e la riconoscenza dei cittadini di Vallata e della Irpinia tutta, che ancora oggi gli rende omaggio per merito precipuo dell’organizzazione sindacale UGL-Unione Generale dei Lavoratori che ha avuto il merito di intestare alla memoria di Luigi Antonini un premio che viene assegnato agli Irpini che si distinguono per il loro lavoro in Italia e all’estero.


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Riferimenti bibliografici essenziali.
1.  Filippo V. Cannistraro, Luigi Antonini and the Italian Anti-Fascist Movement in the United States, 1940-1943. Source:Journal of American Ethnic History, Vol.5, no. 1 (Fall, 1985) pp.21-40. Published by: University of Illinois Press on behalf the Immigration & Ethnic History Society.
2.  Benedicte Deschamps, Tra aghi e spilli: “Giustizia” e la questione italiana (1943-1946), A.S.E.I. (Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana), 2006.
3.  Generoso D’Agnese, “Luigi Antonini, il paladino dei lavoratori” articolo in OggiSette, Magazine domenicale di America Oggi, 2013.
4.  James Edward Miller, La politica dei “prominenti” italo-americani nei rapporti dell’Oss, “Italia Contemporanea”, 1980, n.139. Traduzione di Annamaria Tasca.
5.  Luigi Rocco Antonini, OggiSette, Weekly Magazine of America Oggi, 2008.
6.  Severino Ragazzo, Luigi Rocco Antonini: un Vallatese che ha fatto la storia del sindacalismo negli Stati Uniti d’America dal 1910 al 1950. www.vallata.org
7.  Generoso Pope, da Wikipedia.
8.  Carlo Di Stanislao, Vita, morte ed eredità di Carlo Tresca, L’Impronta, L’Aquila, 2013.
9.  “Luigi Antonini Stadium” dedicato ad Haifa; Leader del Lavoro degli Stati Uniti accolto favorevolmente. Archivio Storico di JTA, 5 ottobre 1956.
10. Irpiniaoggi.it, Convegno “Irpinia e Lavoro”, Cicchella ricorda Luigi Antonini, 4 dicembre 2010.

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