NUMISMATICA E STORIA - UN DENARIO DI GAIO PORCIO CATONE - SCOPERTO NEL SECOLO SCORSO NEL TERRITORIO DI VALLATA - LA MONETA DI EPOCA REPUBBLICANA - ORMAI NON E’ PIU’ RINTRACCIABILE - Prof. Rocco De Paola

NUMISMATICA E STORIA
UN DENARIO DI GAIO PORCIO CATONE
SCOPERTO NEL SECOLO SCORSO NEL TERRITORIO DI VALLATA
LA MONETA DI EPOCA REPUBBLICANA
ORMAI NON E’ PIU’ RINTRACCIABILE
A cura del Prof. Rocco De Paola
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     Nel corso dei secoli numerosi sono stati i ritrovamenti di monete nell’agro di Vallata e nel territorio circostante il paese. Purtroppo, però, molte di esse si sono eclissate, inghiottite negli oscuri meandri del mercato clandestino, altre sono gelosamente occultate dai privati che mostrano riluttanza a renderne partecipi quanti volessero prenderne visione al solo scopo di studiarle ed eventualmente catalogarle. Sicuramente più fortunato è stato don Arturo Saponara che ne ha potuto esaminare diversi esemplari di varie epoche e ne parla diffusamente in un suo scritto degli anni Cinquanta del secolo scorso.
     Ancora una volta, perciò, dobbiamo fare riferimento a quell’opuscolo(1), che ho già definito aureo in un mio scritto precedente, per le preziose notizie riportate che non hanno riscontri di sorta. Nel contesto dell’operetta si legge: “…frequentissime le monete Romane di rame e d’argento. Dell’era Repubblicana citerò: la testa galeata della Dea Roma, in argento, avente nel rovescio la biga in corsa col suo auriga e l’iscrizione C. CATO ROMA…”(2).
     Questa interessante citazione ci consente di trarre delle prime, sommarie ma importanti deduzioni. I rinvenimenti di monete romane, di metallo pregiato, come l’argento, o coniate con il più modesto bronzo oppure in rame, sono stati copiosi nel nostro territorio, ma se ne ignorano i possessori. Del periodo repubblicano si hanno attestazioni frequenti, a datare dal secolo IV fino al II e I secolo a. C. Proprio Saponara, in altra parte dell’opuscolo, ci parla di tre monete d’argento, da riferirsi ad ambienti della Magna Grecia, risalenti al IV secolo a. C. (vedi mio articolo in proposito).
     Le monete coniate al tempo della Repubblica sono molto più tarde, quando ormai Roma aveva una propria zecca e non doveva più dipendere da città come Napoli o Taranto(3). Le originarie monete erano fuse o coniate con il bronzo. Dopo l’aes rude, semplici pani di quel metallo che erano spezzati casualmente all’atto della compravendita, l’aes signatum va considerato come il primo vero esemplare di moneta romana in quanto ne veniva riportato il valore. Esso riproduceva degli animali, come un bue, un porco od un montone, a ricordo delle primitive forme di baratto, con scambio di animali (pecus da cui poi pecunia)(4).

     Un ulteriore passo verso una forma più moderna di monetazione si ha con l’aes grave, del peso di una libbra (327 g circa), per cui venne denominato as libralis. Si trattava di una moneta molto ponderosa se Tito Livio ammette che erano necessari dei carri per il suo trasporto. Sta di fatto che l’asse poi diventa la valuta di riferimento anche per le successive emissioni(5), nonostante la riduzione progressiva del suo valore(6), fino a ridursi al peso di un’oncia (27 grammi). Il primo conio di monete d’argento, secondo Plinio, sarebbe avvenuta nell’anno di Roma 485 ( 268 a. C.), mentre Tito Livio ed altri autori anticipano tale data al 486(7). La primitiva zecca venne installata sul monte Capitolino, nel tempio di Giunone Moneta, così denominata dal verbo monere (avvertire, avvisare). Narra, infatti, la leggenda che la dea avrebbe allertato i Romani per mezzo delle oche a lei sacre, nel momento in cui i Galli danno l’assalto alla rocca. E’ questa, anche, la ragione per cui la testa di Giunone compare su gran parte delle monete d’argento della Repubblica e ne sarebbero derivati, poi, l’appellativo di magistrati “monetari”, preposti alla fusione ed alla coniazione (IIIviri monetales aere argento auro flando feriundo), ed il nome di “moneta” attribuito senz’altro all’argento monetizzato(8). Sul nuovo denarius compare, poi, una testa muliebre con elmo ornato con due ali e un cimiero terminante sulla parte sommitale con un’aquila o un grifone. Si tratterebbe della raffigurazione della dea Pallade o della stessa dea Roma, ad imitazione della dracma della Magna Grecia. Dietro la testa galeata viene impressa una X ad indicare il valore del denario equivalente a dieci assi (4,5 g, 1/72 della libbra romana). Verso l’anno 144 a. C. il suo valore viene equiparato a sedici assi, per cui dietro la testa della dea compare il numero XVI, disposto verticalmente, o il suo monogramma equivalente Ӿ, anche se la X persiste contestualmente, finché tutte quelle sigle cadranno in disuso dall’anno 89 d. C.(9). Sul rovescio del denario compaiono inizialmente i Dioscuri Castore e Polluce, artefici, secondo la leggenda, della vittoria definitiva riportata dai Romani sulla Lega Latina nel 257 a. C., presso il lago Regillo, ora prosciugato, e che ne avrebbe assicurato l’egemonia sull’antico Lazio. Intorno al 217 a. C. viene raffigurata la luna o la stessa dea Diana su un carro trainato da due cavalli. Presto compare la biga della Vittoria, ad imitazione delle monete della Magna Grecia, ed infine, quasi contemporaneamente, fa la sua apparizione la quadriga di Giove esemplata dalle monete cosiddette romano-campane. Tale moneta sarà definita “quadrigato”, per la presenza di quel veicolo. Verso l’anno 154 a. C. le tipologie dei modelli, nel rovescio di quelle monete, divennero innumerevoli e solo raramente fanno la loro apparizione gli antichi archetipi (10). Contestualmente, cominciano a comparire delle lettere isolate o più lettere ravvicinate, un simbolo o un monogramma, che sono indici del nome dell’officina presso cui le monete venivano coniate, e, poi, il nome dello stesso magistrato addetto alla coniazione od alla fusione (11).
     Questo lungo ma indispensabile excursus storico serve a comprendere la tipologia della moneta illustrata da Saponara. Dalla minuta descrizione riportata sopra si può senz’altro eccepire che si tratti del denario in argento. I tratti caratteristici di questa moneta corrispondono perfettamente a quanto riferito dal dotto arciprete. Del denario si conservano, in Italia ed in varie parti d’Europa, numerose copie delle diverse epoche di coniazione.
     Le iscrizioni riportate da Saponara sono di ausilio nel determinare l’anno della coniazione e consentono di risalire all’artefice, nella persona del magistrato monetale. La moneta descritta dal Nostro, di certa epoca repubblicana, riportava la scritta “C. Cato”. Si tratterebbe di Gaio Porcio Catone, nipote del più famoso Marco Porcio Catone detto “Il Censore”, magistrato monetale nel 123 a. C. e poi console nel 114 d. C. Una particolareggiata descrizione del denario di cui stiamo parlando la ritroviamo in un testo di Gennaro Riccio(12). Nel dritto, dietro la testa muliebre con gàlea, è visibile una X che rappresenta il simbolo del denario, mentre nel rovescio compare una Vittoria seminuda in “biga veloce” che incalza i cavalli con una frusta. Nella parte destra, sotto le zampe dei cavalli, si legge C. Cato ed in esergo “ROMA”.
     A pagina 142 vi è una minuta disamina di questa moneta, con particolari del tutto affini a quelli descritti da Saponara ed a pagina 305 è riportata una tavola (XXXVIIII – sic) con riprodotte in disegno varie monete attribuite alla famiglia Porcia(13).

     Un ricco ripostiglio di monete repubblicane, comprendente ben 152 denari, un vittoriato, due quinari ed un denario di Giuba I di Numidia, fu rinvenuto a Foligno nel 1962(15). In quella raccolta figura anche un denario riportante la scritta “C. Cato”(16).
     Ulteriori riscontri si possono rinvenire nei repertori di vari autori ed anche nei cataloghi delle case che si occupano delle aste delle antiche monete. Si tratta, senza dubbio, di una moneta abbastanza comune che non gode di eccessiva valutazione. Il Riccio, nell’Ottocento, la valutava 4 carlini, ossia poco più di 6 €.

     Tutti questi dati ci confermano che effettivamente una moneta di siffatta tipologia fu ritrovata nel territorio di Vallata, così come fu scritto da don Arturo Saponara nei lontani anni Cinquanta. Come già anticipato, si ignorano l’epoca esatta ed il luogo del rinvenimento nonché il possessore di quel reperto.
     Se anche il valore di quella antica moneta, in termini venali, è del tutto irrisorio, nonpertanto è tale la sua valenza storica e documentale che concorre a confermare la presenza sul nostro territorio di popolazioni che si servivano di monete per i loro traffici commerciali o per le incombenze della vita quotidiana del II secolo a. C.

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1) Sac. don Arturo Saponara, Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, Ed. Pergola, Avellino, 1957, ora in Vallata.org.
2) Idem, ibidem.
3) Roberto Russo, Prima bozza preliminare di uno studio organico sulla monetazione del Centro Italia e della Magna Grecia dal 326 a.C. al 215 a. C., articolo in Numismatica Sottovoce, 2009, pag. 10 e seg..
4) Ernest Babelon, Description historique et cronologique des monnaies de la République romaine vulgairement appelées monnaies consulaires, 2 volumi, Paris, 1885-1886, Introduction pag. VI.
5) Idem, ibidem, pag. XI.
6) Idem, ibidem, pag. XIII e segg.
7) Idem, ibidem, pag. XVIII.
8) Idem, ibidem, pag. XVIII.
9) Idem, ibidem, pag. XXIII.
10) Idem, ibidem, pag. XXII.
11) Idem, ibidem, pag. XXII.
12) Gennaro Riccio,Le monete delle antiche famiglie di Roma fino all’imperatore Augusto, Napoli, Stamperia di Fibreno, 1836.
13) Idem, ibidem, pag. 305.
14) Edward Allen Sydenham, The coinage of the roman Republic, New York, 1952, ristampato da Sanford J. Durst, Rockwille, 1995.
15) Samuele Ranucci, Un ripostiglio di monete repubblicane da Foligno, Istituto Italiano di Numismatica, Annali, Roma, nella sede dell’Istituto, 2007, pag. 117.
16) Idem, ibidem, pag. 134.

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