Portali con iscrizioni. Prof. Rocco De Paola

Portali con iscrizioni.
Un antichissimo architrave con epigrafe
già situato nel cuore del centro storico in via Trionfo.
Incerta la provenienza e l’età di composizione.


A cura del Prof. Rocco De Paola
__________________________________________

         Proprio nel cuore del paese, a due passi dalla Chiesa Matrice di Vallata, sorgeva, una volta, via Trionfo, un vicolo di cui sopravvive il solo nome su una targa apposta in corrispondenza di un piccolo tratto superstite, lungo via Ponente, a destra del palazzo Gallicchio.


         Sulla porta di una delle case di quella strada,com’è documentato da una interessante foto riportata nel testo di don Gerardo De Paola(1), per molti secoli, forse già dal lontano XVI secolo, ha sfidato il tempo ed i ricorrenti cataclismiun architravein pietra calcarea, in pezzo unico, con epigrafe in latino. Di quel soprassoglio, insieme ad altri numerosi reperti, ancor vivido è il ricordo nella memoria di coloro i quali hanno oramai qualche anno di troppo sulle spalle e che hanno avuto la ventura di poterlo osservare di persona, ma, evidentemente, senza trarne alcuna particolare pulsione per ricerche di carattere erudito. Difatti, esso è rimasto pressoché ignorato per decenni, oggetto, forse, di sporadico interesse sollecitato da mera curiosità.


         In seguito alla demolizione di quella antica dimora, intorno agli anni Ottanta del secolo decorso, l’architrave, con altri copiosi pezzi di interesse archeologico o semplicemente antiquario, ha conosciuto una vera diaspora. Per nostra fortuna, tuttavia, esso non è andato disperso, ma è stato meritoriamente conservato, per cui può essere ancora oggi oggetto di studio. Si tratta, con molta attendibilità, di una pietra utilizzata per un monumento funebre o, in alternativa, per un luogo di culto, come è dato dedurre dal contenuto dell’iscrizione ivi riportata e dalle caratteristiche del cippo. Presenta una forma grossolanamente piramidale, delimitata da due sottili linee oblique che separano lo specchio epigrafico dalla parte superiore che doveva verosimilmente essere murata, come è possibile notare nella immagine sottostante.


         Il testo presenta qualche difficoltà di interpretazione a causa della naturale consunzione di alcune parti e per la non semplice ed immediata perspicuità della scritta. Già la sigla centrale sovrastante è di dubbia interpretazione, pur se di semplice lettura. La prima lettera sembrerebbe una D in carattere onciale,per una leggera appendice in alto a sinistra. Tuttavia, quella lettera potrebbe anche essere accreditata come una “O”, per cui si potrebbe legittimamente sciogliere l’acronimo iniziale con due attributi, O(ptimo) e M(aximo). Era consuetudine, nei monumenti sepolcrali dell’antichità, indirizzare la dedica alle massime divinità, in specie a Giove in era pagana(2), fino alla metà del I secolo d.C., quando si affermò l’invocazione D.M. (DîsManibus). Per quanto riguarda le epigrafi cristiane, prima di Costantino, esse non avevano un formulario specifico che le differenziasse rispetto a quelle dei gentili(3), per cui la supplica era esemplata sulle ricorrenti espressioni rituali. Purtroppo, nella nostra epigrafe, manca un riferimento preciso nell’“adprecatio”.
         I potenziale epiteti di cui si è detto sono da riferire al padre degli Dei oppure all’Onnipotente? Nell’accreditare l’una o l’altra ipotesi è chiaro che la datazione si collocherebbe entro un arco temporale molto ampio, in tarda età repubblicana o nei primi secoli dell’era cristiana ed oltre. La croce greca che si trova al centro, tra le due lettere, composta da quattro bracci a forma di triangolo isoscele uniti per i vertici, farebbe propendere per l’ipotesi che si tratti di epigrafe cristiana. Tuttavia è lecito avanzare qualche riserva, in quanto spesso, nel passato, si riutilizzavano materiali di epoche antecedenti, mutandone il tenore e la dedica. Se poi la prima lettera della sigla dovesse senz’altro essere accreditata come una D(4),il senso complessivo cambierebbe radicalmente, in quanto essa potrebbe essere interpretata come iniziale di “Deo” o di “Dîs”, nel qual caso l’epoca di composizione andrebbe collocata in età imperiale. L’invocazione sotto forma di preghiera sarebbe, allora, da riferire agli Dei Mani e, quindi, l’iscrizione, se di matrice pagana, potrebbe essere datata tra il primo ed il terzo secolo p. C. n.
         Ad inficiare, però, tale congettura concorre il “cui” successivo che renderebbe problematica l’anafora, venendo a difettare la concordanza tra il pronome e il nome di riferimento. Del resto, il formulario epigrafico canonico, confermato da innumerevoli iscrizioni, fa seguire quasi sempre all’ “adprecatio” il nome del defunto al caso genitivo, o, in epoca più tarda, al caso dativo, cosa che non si rinviene nella lapide in esame. Un ulteriore elemento di complicazione è rappresentato dalla data incisa nella parte sottostante: “A.δ.(Anno Domini)
I5I7”,“Nell’anno del Signore 1517”.
         Tuttavia, per la motivazione suesposta, ossia del frequente riutilizzo di antiche pietre in epoche successive, tale datazione non può essere assunta a testimonianza del tempo di composizione dell’architrave. Osta alla conferma di una tale ipotesi soprattutto la diversa tecnica di incisione, molto più accurata e profonda, rispetto ai grafemi soprastanti, di fattura maldestra, “litteris non bonis”, avrebbe sicuramente sentenziato Theodor Mommsen. Inoltre, la “A” con la linea mediana spezzata ad angolo, la cosiddetta Agreca, che inizia ad essere utilizzata già in epoca repubblicana(5), solo molto più tardi, “saeculo quarto exeunte”(6), assumerà una linea orizzontale sovrastante(7). La lettera della data in calce alla lapide appare una copia perfezionata della A della parola “matri” dell’epigrafe. Anche la D (δ), potrebbe essere una imitazione del grafema della sigla iniziale se questo dovesse essere accreditato come una lettera similare. Diversamente dalla lettera iniziale della sigla, l’asta ascendente, pur ripiegata, come quella, sulla sinistra, presenta la parte terminale a forma di cuneo, secondo la tipologia propria della grafia della cosiddetta scrittura insulare diffusasi in Gran Bretagna ed in Irlanda ad iniziare dal VII secolo.
         Successivamente, quella scrittura si irradia nell’Europa continentale attraverso i centri creati dalla evangelizzazione del Cristianesimo celtico. La particolare conformazione di questa lettera può far pensare alla persistenza piuttosto attardata di una forma di grafia approdata nel nostro paese nei primi secoli dell’era cristiana. E’ possibile pensare che si sia insediata, in quel lontano evo, una comunità di origine celtica o una qualche congregazione monastica fondata da religiosi di quella remota etnia?
         Si tratta, ovviamente, di un interrogativo puramente ipotetico, non privo, tuttavia, di una certa plausibilità accreditata da altre sparse tracce di cui avremo modo di parlare a proposito di altre iscrizioni su pietra.
         Del tutto inusuale, è, poi, la interpunzione che si nota sull’architrave. Se il punto pieno di forma quadrata o rettangolare è attestato di frequente già nella più remota età repubblicana, anche a causa della facilità con cui poteva essere scolpito(8), l’utilizzo di forme geometriche quadrangolari, formate da quattro semicerchi, oppure da segmenti con o senza appendici ai quattro vertici,compare più tardi ed è di non frequente osservazione nei testi epigrafici(9). Nella parte sottostante dell’architrave, invece, i punti sono della classica forma rotonda e questo conferma l’ipotesi della diversa epoca in cui sono state composte le due scritte, quella della soprastante epigrafe e quella della data in calce.
         Il senso complessivo del testo, pur nella sua semplicità, non è esente da ambiguità e vi sono, poi, dei luoghi non molto chiari. Già la sigla iniziale, come abbiamo segnalato, può essere interpretata in senso dicotomico. L’“adprecatio” è rivolta a Giove oppure a Dio? Una terza ipotesi, non tanto peregrina, potrebbe attribuire la formula agli Dei Mani del defunto. Come si vede, sono domande cui non è assolutamente possibile dare una risposta univoca. Della particolare interpunzione già si è detto. Il testo epigrafico (vedi foto) potrebbe essere letto come segue: CUI MEUM DONO (?) SPIRITUM CORPUS TERE (sic) MATRI OTUB(con la V e la B “legate”). Non vi è alcun riferimento a persone defunte, a meno che non si postuli che il nome sia stato eraso per far posto alla data. Di questo, però, non vi sono tracce evidenti.


         L’incipit ex abrupto,determinato dal “cui” iniziale, induce a qualche perplessità e genera talune difficoltà di interpretazione.
         Il pronome succitato è senz’altro da riferire alla divinità alla quale è diretta l’ “adprecatio” della sigla soprastante, come suggerisce la logica.
         La parola successiva va letta come “meum”, in quanto la U è connessa(10) con una appendice da interpretare come una “emme”, forse derivata da una abbreviazione scribale mutuata dalla scrittura beneventana(11), simile al numero tre o ad una m obliqua. Diversi esempi di “U” con aggiunta finale di tal fatta li ritroviamo anche nelle iscrizioni incisesull’architrave dell’antica cattedrale di Bisaccia.Il lemma seguente (DONO), con la linea mediana obliqua della “N” in senso inverso, appare di semplice lettura, anche se la “D” non è di immediata decifrazione. Infatti, tale lettera potrebbe essere scambiata per una “O”(12) oppure per una “C”e la si riconosce solo per un’esile linea curva che le è applicata davanti. Altre notevoli particolarità sono fornite dalla parola “tere”, senza geminazione della “r” e mancante del classico dittongo “ae”. E’ forse errore addebitabile ad ignoranza ed incuria del lapicida o, piuttosto,il termine rappresenta un esempio di volgare “ante litteram”, nel contesto di un ambiente linguistico che aveva perduto il senso della forma classica e scriveva secondo i dettami del “sermone quotidiano”? Si tratta, evidentemente, di una ipotesi molto suggestiva ed intrigante, per quanto già in età classica sia dato constatare il fenomeno della monottongazione, che si generalizza nel corso dell’Alto Medioevo, quando si originano le lingue romanze.
         A questo punto si può fornire una traduzione abbastanza convincente dell’epigrafe. “A Dio (DEO) il più grande (MAXIMO)a cui rimetto la mia anima il corpo alla Madre Terra”.
         Resta da decifrare la sigla finale: “OTVB”. Se la traduzione appena esposta, il tenore delle espressioni usate e la conformazione della lapide fanno ritenere che essa debba essere verosimilmente riferita ad ambiente cristiano, il monogramma rappresenterebbe un invito alla preghiera. Esso, pertanto, potrebbe essere interpretato in questo modo: la “O” starebbe per “ora”, prega, e, sciogliendo la T e le “litteraeligatae” VBin “tu bone”, ne deriverebbe “tu che sei buono”. Naturalmente, sono possibili altre e diverse interpretazioni. Che poi la pietra, in origine, si trovasse nel perimetro urbano o sia stata traslocata da altro luogo è questione assolutamente non risolubile.
         Dal complesso delle considerazioni fatte, anche se non sono proponibili una data precisa ed una destinazione certa, è , comunque, ragionevole dedurre come la lapide debba essere retrodatata di molti secoli rispetto alla data incisa in calce, che, forse, va riferita all’anno in cui il monolite è stata apposto, in funzione di architrave, sui vetusti stipiti della dimora di via Trionfo.

__________________________________________
1) Gerardo De Paola, “Vallata, rassegna storica, civile, religiosa”, editrice Valsele, ristampa,gennaio 1983, pag.32.
2) JanusGruter, “Inscriptionesantiquaetotiusorbisromani”, Amstelodami, ed. F. Arma, CI?I?CCVII, documenta di frequenti iscrizioni I.O.M. ed anche Iunoni e Minervae. “TerraeMatri” è riportata in una scritta di pag. XXVI.
3) Edmond Le Blant, “Inscriptionschrétiennes de laGaule”, tome I, Paris, Imprimerie Imperiale, MDCCCLVI, Preface, pag. XXXII.
4) AemiliusHübner, in “ Exemplascripturaeepigraphicaelatinae, Berolini, MDCCCLXXXV, pag. LVI dei Prolegomena afferma: “ proxima ab hisuncialis forma d d est, quae raro iaminvenitur in titulissaeculialteriustertiive, veluti in sepulcralibusurbanis, qui paeneuncialislitterisscriptisunt, ut supra (pag. XXXVIII n.d.r.) observavimus (CIL VI 12086-15185)”.
5) Raffaele Garrucci, in “SyllogeinscriptionumlatinarumaeviromanaeReipublicaeusquead C. JuliumCaesaremplenissima, AugustaeTaurinorum, MDCCCLXXVII, a pag. 9 afferma: “ forma quae greca dici solet, transversamlineamhabens in angulumfractamapparet in latino alphabeto ante bellumpunicumnecdiumanet”.
6) Ae. Hübner, op. cit., pag. LIV dei Prolegomena.
7) René Cagnat, “ Cours d’epigraphie latine”, terza edizione, Paris, 1898,pag. 12: “ a partir duIVemesieclecette lettre prend la forme suivante” ( ossia con linea centrale spezzata a formare un angolo e con retta sovrapposta al vertice n.d.r.).
8) Ae. Hübner, op. cit., pag. LXXVI dei Prolegomena: “in materia vero dura lapidea cumpunctarotundascalpendo incidere difficile esset, consentaneum est primumquadratarioseisdedisseformam e quattuorscalpriictibusortam…exemplaeiusformaefortasse vetustissima”.
9) R. Garrucci, op. cit., cap. VII, pag. 15, “…rariusinveniturpunctum ex quattuorsegmentiscircelliconstansgibbissibioppositis… vel quadrata forma”.Hübner, op. cit., a pag. 9 riporta una epigrafe con interpunzione formata da quadratini, ripresa da CIL V, n° 8288. A pag. 13,tra le iscrizioni della Spagna, ve ne è una con interpunzione di figure quadrangolari formate da semicerchi ( da CIL II, n° 3302). A pag. 245, tra le iscrizioni da Costantino a Giustiniano, al n° 720 ricorre una epigrafe con “circelli” (da CIL VI, n° 1659).In Gruter a pag. MLXXXIII dell’opera “Inscriptionumromanorum corpus absolutissimum” è riportata una epigrafe tratta dal Belvedere di Roma con interpunzioni formate da due semicerchi contrapposti tagliati al centro da un segmento.
10) Ae. Hübner, op. cit., pag. LXVIII dei Prolegomena, Scripturamonumentalis et actuariaconiunctae, nexuslitterarum: “ inde fere a seculourbissexto medio in nummorumtitulispropter spati inopiamlitterae due aut plures in unum quasi elementumconiunguntur…”
11) Lezioni di paleografia latina,in base al testo di A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, e corso tenuto da Paola Supino all’Università “La Sapienza”. Pag. 13, Il particolarismo grafico in Europa, la scrittura beneventana.
12) Idem ,ibidem, pag.LV: “In scripturavetustiorecornuainterdumdesunt; unde “O” litteraesimiliorfit ut in titulo Pompeiano seculi primi”.

__________________________________________

Pagina Precedente Home