- Racconti - A cura del Prof Severino Ragazzo

Racconti

A cura del Prof Severino Ragazzo.
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TANGA GIUSEPPE (ovvero “don Pepp”)

  1. Don Pepp’ vive a Napoli durante la seconda guerra mondiale da studente universitario fuori corso, con la sua lente monoculare, il cappellino a cilindro, il bastoncino caratteristico in mano e usa passeggiare per i luoghi più belli della città: la Galleria, Palazzo Reale, via Ghiaia, facendosi precedere da amici che ad ogni passo lo debbono così riverire : signor conte,signor conte,buon giorno!
    E’ sua abitudine anche fare acquisti di materiale per le botteghe dei calzolai di Vallata e fare il contrabbando al suo ritorno al paese.
    Un giorno empie due valigie di suola e di vacchetta e di fronte alla guardia di finanza fa dire agli amici prezzolati:
    Signor conte…passate,passate!
    Così la forza dell’ordine, pensando che sia veramente un conte non osa nemmeno fermarlo!
    Un bel trucco a quei tempi: fare il contrabbandiere e non farlo nemmeno notare.
     

  2. Sempre nel periodo bellico Don Pepp’ si fa promotore di istituzioni scolastiche a Vallata.
    Un giorno si reca dal provveditore agli studi di Avellino e si fa annunciare come nobile conte del paese.
    In presenza del dirigente scolastico dice:
    è mai possibile che io conte di Montalbi, a Vallata, debba avere una contea con bambini tutti ignoranti per mancanza di una scuola?” ( a Vallata esiste realmente la contrada di Montalbi).
    E il provveditore in risposta:
    il problema vero è che ci mancano i maestri!
    Allora Don Pepp’ chiama un suo compaesano maestro che sta aspettando fuori dall’uscio, lo presenta e così dice:
    caro signor provveditore il problema non esiste più! Ecco qua la persona che va all’uopo.
    Il provveditore acconsente e così Don Pepp’ viene soddisfatto.
     

  3. Don Pepp’ sempre durante il periodo della seconda guerra mondiale, istituisce una scuola media privata per studenti di Vallata e paesi vicini con tanto di insegnanti per le singole materie.
    Si da da fare per trovare i discenti necessari, girando per le case delle famiglie.
    Un giorno, infastidito dalla lungaggine della trattativa col genitore dello studente, esclama:
    mè muvit’v’ ca ìjo tench ra venn’ ”(ebbene muovetevi perché io tengo da vendere) la sola e la vacchetta!

R. M. ( chiamato “cumpa’ Caim”)

Persona di una settantina d’anni, vallatese doc, svolge per un lungo periodo il noleggio e successivamente nella parte finale della sua attività lavorativa, il bidello di scuola.
Si pensiona con questo ultimo lavoro, per cui oggi gode anche di una discreta rendita, vive attualmente solo con la moglie in piazza Garibaldi (detta anche Fontana).
Di lui restano racconti ed espressioni caratteristici come:
Un giorno deve comunicare ad un amico lontano la notizia della morte della mamma di costui.
Abitudine vuole che, generalmente, non si nomina la parola morte, ma la si fa capire diversamente con termini come “sta grave” oppure “è in gravi condizioni di salute”.
In questa circostanza cumpa’ Caim’ usa l’espressione “v’r’ ca mamm’ta si n’é jut’”. (vedi che tua madre se ne andata)
L’amico, pensando che la madre sia partita per qualche parte e sapendo del mestiere di noleggio di Michele, risponde: “ebbè! E va la piglia ‘ndò’ stoj”. (ebbene, vai a prenderla dove sta).
Caim’, arrabbiato, si sfoga così “e allora tu nu’ ncapisc’ ca mamm’ta è morta!”. (tu non capisci che tua madre è morta!)

ROCCO BILARDO

Un personaggio di altri tempi, tra brigante, bandito, furfante, auto giustiziere…
Arrivato a Vallata dalla Puglia intorno agli anni quaranta del secolo scorso, vive una vita particolare piena di contraddizioni e di vicissitudini le più particolari.
A Vallata si rifà una vita con una donna del luogo che usa chiamare la “femm’na meja”, pratica il contrabbando e usa spesso farsi giustizia da solo spesso e volentieri.
Si raccontano diversi fatti accaduti nei quali persone vallatesi che davano fastidio al Bilardo vengono sistemate e rese malconce.
Si racconta di un contenzioso per danni causati da sconfinamento in un orto di proprietà d'un certo signore ad opera di animali che il Bilardo aveva nella sua azienda.
Il Bilardo paga molte volte di più il valore del danno accertato, ma quel signore da quel giorno non raccoglie più prodotti da quell’orto ed è costretto a fare altra strada per ritirarsi alla propria abitazione.
Dicerie dicono anche che il personaggio in oggetto non abbia fatto una morte naturale, tanto che si sospetta un avvelenamento da salami degustati e regalati da persona con la quale evidentemente aveva qualche conto in sospeso.

ROCCO BILARDO e le sue avventure

Le parole e il loro significato nascosto.
In vicinanza della piazza Fontana a Vallata,Rocco Bilardo, col suo mulo carico di roba, si ferma davanti a una cantina per rifocillarsi.
Nel frattempo l’animale fa sul selciato antistante la casa di una persona, i suoi bisogni fisici.
Osservata la cosa, il proprietario dell’abitazione rimprovera il Bilardo, bestemmiando tutti i santi di questo mondo.
Rocco riconosce la persona e in questo momento non fa nessuna obiezione.
Qualche giorno dopo incrocia la stessa persona in un luogo di campagna.
Si avvicina rapidamente e lo riempie di colpi di bastone (di “paroccolat’”), uno dei quali va a finire proprio sulla testa del malcapitato tanto che debbono ricorrere alle cure del medico e mettere diversi punti di sutura.
Il Bilardo, riuscendo a parlare con il dottore chiede se la ferita è superficiale o dice lui “sottufficiale”, pensando che questa parola voglia intendere profonda.
E allora il dottore, prestandosi al giuoco di parola risponde: Rò! (Rocco) Questa è tutta “sottufficiale!

LIBERI RACCONTI

  1. Un grosso proprietario e nobile di Vallata (T.C.) decide di affidare al proprio fattore il compito di piantare un certo numero di piantine di pioppo per realizzare, lungo un vallone di sua proprietà, una grande pioppaia.
    Il fattore,oggi detto e domani fatto -
    Prende le piantine, va sul luogo prescelto e in una giornata riesce a far mettere a dimora, dai braccianti,tutti i capi -
    Il giorno dopo il proprietario chiede al fattore come siano andate le cose.
    Di rimando il fattore,tutto crucciato, risponde: “don Pi’(Pietro) eh! mist’e pigliat’!!!!”. (don Pietro,eh! appena messi a dimora,sono stati presi)
    Il signore invece,tutto allegro dice: “Allora quest’anno nascerà una bella pioppaia!”.
    E il fattore allora: “don Pi’-Pigliat’ vol’ ric’” (don Pietro,presi vuol dire) che se le sono rubate il giorno stesso!


  2. Il fattore di un signorotto locale compra un bel sacco di patate selezionate che il giorno dopo vuole piantare nel terreno per se.
    Sennonché mani leggere e furtive la notte stessa fanno scomparire le patate.
    Il giorno dopo si confida del fatto col suo padrone e questi in risposta:“embè! Che c’ vui fa’, è munn’!”.(Ebbè! Che ci vuoi fare,così va il mondo!)
    E il fattore a sua volta:“ma che munn’ e munn’,quist’ è nu munn’ r’ cazz’” (ma che mondo e mondo, questo è un mondo di cazzo!)

-DON FRANCESCO DEL SORDI-

Un prete particolare.
Ordinato sacerdote il 30/5/1931, coadiutore nel 1932, è stato vice parroco a Vallata per tutta la vita sacerdotale .
Molti sono i racconti presentati dal poeta Emilio Paglia di Trevico nei suoi quattro “Lampami” per due dei quali lo scrivente ha avuto l’onore di collaborare.
Questo che presento è inedito.

Un giorno Don Francesco, come abitualmente faceva, dopo aver detto messa, si reca nella campagna di proprietà sua e del fratello per compiere dei lavori particolari nella vigna,  a primavera inoltrata con la chioma dei sarmenti che coprono tutto il terreno e lasciano invisibile la persona che si trova all’interno.
Don Francesco, prima di iniziare il lavoro ha appeso il cappello di forma rotonda, la camicia, la zimarra molto lunga ad un ramo tagliato di un albero e ben visibile dalla strada nazionale, tanto che diversi automobilisti di la di passaggio hanno l’impressione che il nostro prete abbia compiuto un gesto inconsulto.
Don Francesco, a forza di ascoltare più di uno dire verosimilmente: “Uh! che p’ccot’! s’ saraja ‘mpiccot’ Ron Francisch’!” (Oh! Che peccato, si sarà impiccato don Francesco!), non ce la fa più a trattenersi e dalla vigna, con voce alta , sarcastica e colorita, risponde al passante di quel momento “Se ,se! s’’mpiccot’ lu c…azz’ ca t’ fott’ e strafott’” (Si,si, si è impiccato il c…zo che ti fotte e ti strafotte!)


Teste:Colicchio Paolino

-LA MOSCA-

Nato in una famiglia contadina di Vallata(AV), Paolino è costretto ben presto a darsi da fare nella vita.
Fa gli studi elementari, ma il suo impegno prevalente, già da ragazzo, è dare un aiuto in casa, assolvendo tutti i compiti possibili che gli vengono richiesti dai genitori.
Negli anni 60’, come tanti altri giovani, lascia la campagna di Vallata e va emigrante in Svizzera.
Svolge diverse attività, ma poi prevalentemente si specializza nell’edilizia.
Conosce una ragazza, Rosa, di origine calabrese ed anch’essa figlia di emigranti, si innamora e si sposa.
Cresce due figlioli.
Dopo alcuni anni, avendo messo da parte un po’ di denaro, torna al paese e si dedica a svolgere l’attività di barista.
E riesce bene anche in questa nuova iniziativa: gentilezza e affabilità con i clienti sono le armi vincenti..
Una mattina, servendo al bar ai clienti: caffé, caffé e latte, bicchierini vari …. un signore chiede maliziosamente che nel bicchiere di liquore (sambuca per la precisione) gli venga messo la mosca (nel linguaggio del bar è il chicco di caffé).
A questo punto Paolino, avendo inteso la richiesta nell’animale insetto, non riesce più a trattenersi e sbotta così: “Me! r’ sambuca , quant’ n’ vuji, ma la mosca t’l’aja ‘ncappà tu”. (Me! di sambuca,quanto ne vuoi,ma la mosca la catturi tu!)
E disse quello “Io incantato e tu fai il fesso”

Teste: Colicchio Paolino

-L’ASINO E IL SALAME-

Paolino, che è anche un intrattenitore con i clienti del bar, un giorno racconta allo scrivente la storia di un ragazzo di campagna che all’età di 18 anni va a svolgere il militare (perché obbligato dalla legge ed oggi non più).
E un giorno, questo giovane, ha l’opportunità di visitare un’azienda industriale all’interno della quale si producono salami.
La sua meraviglia è assistere alla trasformazione di un asino in tanti salami lunghi e grossi!
Tornato, in licenza, dai genitori, racconta, estasiato, l’esperienza fatta.
Il padre, uomo navigato nella vita, fa osservare al figlio: “Embè ! E ti meravigli che al Nord c’è una fabbrica che trasforma un asino in un salame?. Tua madre tale fabbrica la conosce da quando sei nato, perché, un giorno, si prese il mio salame e fece un asino come a te!
E disse quello “I fessi danno le botte e i buoni le prendono!


Teste: Cataldo Vincenzo

-La festa di Sant’Antonio e il parto plurigemellare-

A Bisaccia la festa di Sant’Antonio viene chiamata “lu festone” per eccellenza, superiore per certi aspetti al Natale e alla Pasqua.
Tanto che per il tredici di giugno il paese è tutto dedito alla devozione del Santo, con processione, fuochi d’artificio, banda musicale, cantanti ecc..
Un detto bisaccese così recita: “o Sant’Antonio a Visazza o Visazza ‘ncudd’” per dire che in quel giorno si sospendono tutte le attività e nessun impedimento può fare evitare al residente o all’emigrante devoto di essere presente alla celebrazione del santo patrono.
Un anno di tanto tempo fa, mentre la gente era impegnata alla processione, un povero contadino di una frazione chiamata “Lu Buscuzzuolo” aveva i suoi problemi familiari.
La moglie con le doglie e in procinto di partorire, con una prole già di diversi figli, aveva bisogno di aiuto.
Il poveretto che abitava in un pagliaio, fece uscire i piccoli e non avendo nemmeno la possibilità economica di permettersi una ostetrica (la vammana), assistette personalmente al parto dando l’aiuto alla moglie partoriente.
Sennonché estrattone uno, ne uscì un secondo e poi un terzo gemello.
A questo punto, con stupore e meraviglia, con le mani alzate al cielo esclamò: “Ebbè,Sant’Antò,tutt’a me l’aviva mannà!!

Teste: Cogliani Michele

-Il calcio dell’animale e il dolore delle persone-

Si dice che gli animali vadano rispettati, ma a volte bisogna pure temerli.
La maggior parte degli animali da latte sono mansueti e permettono la mungitura senza alcuna difficoltà.
C’è però sempre l’eccezione (quello ‘furesteche’) e in quel caso occorre prendere degli accorgimenti come ad esempio l’impastoiare le zampe per evitare spiacevoli inconvenienti.
Così successe che una mucca all’atto della mungitura, espletata a mano, non essendo ancora introdotto il mezzo meccanico, scagliò un calcio vigoroso in fronte all’operatore e tanto fu il male arrecato che il poveretto ci rimise le penne.
Nel referto medico così fu scritto: “Il signor Tizio è deceduto perché colpito mortalmente da un calcio dato da una mucca e i parenti piangono ancora per il dolore!

Teste: Mario

-L’eterosessuale e San Pietro-

Un eterosessuale muore e la notizia arriva perfino in Paradiso.
San Pietro che ha sotto controllo gli umori della gente sulla terra, decide di fare uno strappo alla regola e di fare entrare costui nel luogo beato a patto che rinunci a commettere atti uguali a quelli praticati da vivo.
Passa un poco di tempo e mentre gli abitanti del Paradiso svolgono le loro normali attività, il diverso torna al suo vecchio mestiere.
Allora San Pietro, accortosi del fatto, decide di declassare la persona inviandola all’Inferno.
Lucifero ne è all’inizio molto contento, ma quando si accorge che il soggetto pratica allo stesso modo anche con le anime dannate, decide di spegnere il fuoco dappertutto.
L’Inferno diventa così un luogo tutto di ghiaccio.
San Pietro, venuto a conoscenza del fatto, chiede a Lucifero spiegazione dell’accaduto.
E sì! -risponde Lucifero- mi hai mandato un tale soggetto che il fuoco anziché ridurre ne accelera il vizio e così per colpa tua, ne paghiamo tutti le conseguenze!

Testi: Cipriano Antonio e Manuela

CATARINELLA

Giuoco: La vigna alle Cesine.
-Tengo la vigna alle Cesine e mio fratello vuole la parte sua!- Diceva il marito alla moglie. E la moglie di rimando -E dagliela!- E il marito -Ma la vigna è la mia!- E la moglie -E non ce la dare!- E il marito -Ma quello è mio fratello!- E la moglie -E dagliela!- E la cosa sarebbe continuata così se il marito non avesse riempito di botte la moglie per il solo errore di aver risposto correttamente alle domande .

-Tènco la vigna a ri Cisin’ e frat’m’ vol’ la parzijon’!-Riceva lu marit’ a la mugliera.E la mugliera a isso-Embé rancella!-E lu marit’-Ma la vigna è la mija!-E la mugliera-E nu’c’la rà!-E lu marit’-Ma quiri m’è frat’-E la mugliera-Embè! Rancella!-E la cosa sarìa sciut’ ‘nnanz’ accussì si lu marit’ nu’ l’avess’ chien’ re mazzat’ a la mugliera pe’ lu sul’ mutiv’ r’avè respust’ bun’ a re dumand’.

NOVELLINO VALLATESE

La guarigione dall’ernia-

Nel mese di aprile di ogni anno precisamente l’ultimo sabato, in occasione della festa della Madonna dell’Incoronata si ripete il miracolo che sa di misto tra magia e fede.
Cirillo Rocco, agricoltore pensionato, di età sulla settantina da circa cinquanta anni pratica una particolare cura dall’ernia.
Persone di ogni età da bambini e bambine in fasce fino a gente di ottanta anni si sottopongono a tale trattamento.
La persona da curare viene fatta passare, tenuta distesa in braccia, per tre volte, attraverso l’apertura di una quercia giovane il cui fusto è stato tagliato verticalmente e allargato per tutta la sua lunghezza.
A sostenere la persona che si sottopone a tale pratica sono il guaritore Rocco Cirillo e il coniuge della prima o altri suoi parenti.
Alla base della riuscita dell’intervento ci sono due fattori: uno legato alla devozione nei santi e nella madonna dell’Incoronata di Foggia alla quale è rivolta l’intercessione e l’altro al rapporto fiduciario verso l’operatore che viene per l’occasione chiamato “compare”.
Si deve ricordare che il compare di San Giovanni o di battesimo, nella tradizione locale, è considerato e rispettato pari ad un congiunto più stretto.
Nell’attraversamento del corpo della persona nel mezzo del fusto della quercia i due portantini usano proprio la parola “cumpà” nel prendere e nel lasciare.
La pratica consolidata nel tempo tanto che il signor Cirillo l’ha avuta tramandata dal padre Ernesto, quest’ultimo dal suo antenato (siamo nell’ordine di circa 150 anni), trova conferma sistematica dell’effetto curativo dalle testimonianze delle stesse persone che nel tempo si sono sottoposte alla pratica.
La quasi totalità degli individui dichiara un effetto curativo e qualcuno osa mettere in discussione perfino la pratica medico-scientifica rasentando addirittura la magia.
La quercia tagliata viene poi ricomposta e negli anni continua normalmente a vegetare e crescere.

QUANDO SI PIANGE SI RIDE E VICEVERSA

Alla morte della persona cara, la moglie, in presenza dei parenti e davanti al corpo del defunto, piangeva così dicendo: “mar’t’ mijo,mar’t’ mijo,cum’aggia fa”. (marito mio, marito mio, come debbo fare)
La cognata seduta accanto a lei la toccava continuamente col gomito per dissuaderla a smettere il piagnisteo ritenendo la cosa vergognosa a suo modo di pensare.
Dopo mezza giornata di sollecitatazione, la vedova non ce la fece più e dovette sbottare così “av’ ra stammatina ca m’aji rott’ lu cazz’,mar’t’ mijo, mar’t’ mijo, cum’aggia fa” (è da questa mattina che mi hai rotto le scatole, marito mio, marito mio come debbo fare)

Teste:Maria Ragazzo

-Tanto mi basta e soverchia-

Un contadino(del paese che non vi dico), venuto dalla Puglia, faceva l’amore con una donna di Vallata.
Quando arrivava al paese, tutti dicevano che questo non ne aveva.
Giovinotto, disse un giorno la fidanzata, qua in giro dicono tutti che tu non lo possiedi”.
Allora il fidanzato, a sfida e prova, decise di manifestarlo, abbassò pantaloni e mutanda e mostrò, facendolo saggiare, il suo bel marcantonio.
Zitto, disse lei, mi basta e mi soverchia”.
E così continuarono tranquillamente ad amoreggiare, si sposarono e dopo il matrimonio, il marito doveva tornare a lavorare in Puglia come garzone.
Uscito dalla casa, in mezzo alla strada, il marito continuava a salutare e a raccomandare la moglie: “sorella mia, sorella mia, stai attenta, stai attenta!” Rispose a quel punto il compare: “Non pensarci nemmeno,all’abbisogna stò io qua e tu commara non ti preoccupare,se è necessario te lo do io!!

Teste:Rocco Cirillo

-Il gioco delle scorregge-

Un pastore ritornò dalla Puglia dove lavorava, si ritirò a casa sua, e la moglie preparò il mangiare.
Mangiarono e bevvero e arrivato l’orario della sera, andarono tutti e due a dormire.
La moglie invitò il marito ad un gioco di forza, consistente nel provare a chi avrebbe resistito di più stando sotto le coperte e facendo scorregge.
Il marito, rispose alla moglie che sicuramente sarebbe stato lui il vincitore.
E così iniziarono l’opera, e scoreggiarono una continuazione.
La donna resistette quanto potè e poi alzò una parte di coperte e così prese fiato.
Il marito, ingenuo ingenuo, per tutta la nottata, scorreggiò chiuso e sigillato sotto le coperte, non resistette al tanfo tossico che emanava, ebbe un malore e morì.
Alla mattina, la moglie si alzò e andò ingenuamente a svegliare il marito, senonchè costui non respirava più.
Andò a chiamare il medico, e avendolo, questi, visitato fu accertato il decesso e la moglie fu invitata a vestire il morto.
Lo vestì,insieme ai parenti lo mise in mezzo alla casa e subito lo incominciò a piangere così dicendo: “marito mio ,marito mio,quelli che hanno ucciso a te vanno e vengono,marito mio!
La gente del vicinato, arrivati dinanzi alla porta e sentendo imprecare dalla moglie su sospetti assassini, pensando che l’accusa fosse rivolta a loro, subito se ne andavano.
La moglie continuava nello stesso tono e le persone che di volta in volta arrivavano alla casa,sentendosi insospettite,se ne tornavano indietro.
E lei era così sempre da sola a piangere il morto.
Arrivò l’orario del funerale, finalmente il morto fu preso, portato in chiesa, fu detta la messa funebre e fu accompagnato al cimitero.
La vedova, durante il viaggio, continuava a piangere sempre allo stesso modo:“marito mio, marito mio, quelli che hanno ucciso a te, vanno e vengono”.
Parte della gente che sentiva quelle parole si allontanava, sempre per il sospetto che l’accusa di omicidio fosse rivolta a loro.
Arrivati al cimitero, quelli che non sapevano niente, dettero le condoglianze, altri, per paura di essere indiziati, se ne tornavano.
Senonchè il giorno dopo, la notizia dei lamenti da parte della vedova e il sospetto di omicidio che lei lanciava continuamente, arrivò alle orecchie del giudice che decise immediatamente di avviare una inchiesta per presunto omicidio, facendo balenare addirittura l’autopsia.
Solo a quel punto dinanzi alla legge e alle forze dell’ordine pubblico, la vedova, per paura che il marito potesse veramente essere sezionato, confessò tutta la verità.
Signor giudice -disse- mio marito non la ucciso nessuno, egli è morto da solo, di morte naturale, perché ieri sera facemmo uno scherzo consistente nel resistere sotto le coperte alle scorregge che avremmo fatto insieme.
Io mi salvai perché cacciai la testa fuori le coperte e presi aria e potei respirare, lui tutto avvolto all’interno, morì soffocato.
Il riferimento all’uccisione di mio marito era alle scorregge che ancora sognavo presenti e che andavano e venivano

E così il giudice credette alla versione della vedova,ritirò il provvedimento di autopsia e permise lo svolgimento regolare del seppellimento del defunto.

Teste:Cirillo Rocco di Vallata

I due gomitoli (r’ doi gliomm’re)

Un contadino andava in campagna con la figlioletta a cavallo dell’asino e tirava l’animale per la cavezza, quando sopraggiunse un pastorello in mezzo alla strada che chiamò la ragazzina chiedendole se desiderasse fare con lui una certa cosa.
La ragazzina chiese al padre di farla scendere da cavallo per poter ascoltare dal pastore di che cosa si trattasse.
E così fece il padre.
Discesa da cavallo, la ragazzina incontrò il pastore a tu per tu e chiese di che si trattasse.
Senti senti, disse il pastorello, ti regalo un agnellino se mi fai fare una chia…vata
Adesso domando a mio padre, rispose la ragazzina, e poi ti darò la risposta
E così riferì al padre del trascorso avuto col pastore.
Ce la facciamo noi una chia…vata, disse il padre, adesso che andiamo al pagliaio in campagna”.
E la ragazzina col passare delle ore domandava continuamente al padre quando fosse il momento di fare quella cosa.
Il padre prendeva tempo e le prometteva che a sera l’avrebbe accontentata.
La sera arrivò e la ragazzina andò a coricarsi nel letto, continuando nel frattempo a chiedere al padre sempre la stessa cosa.
Allora il padre si preparò un bel mazzo di chiavi, le legò ad un funicella e quando la figlia fu nel letto gliele dette tutte addosso di santa ragione tanto da farla nera nera di botte.
La ragazzina stette per lungo tempo silenziosa.
Arrivò il tempo che si fece matura e si maritò e la prima sera si coricò con lo sposo e questi le propose subito di fare una chia…vata tanto per fare all’amore.
Ella come sentì pronunciare quella parola si mise subito a fuggire e nuda se ne andò alla casa paterna.
Arrivata lì, il padre la prese per la mano e la riportò dal marito e a questi, separatamente, spiegò che la figlia, quando era ragazzina era stata invitata da un pastorello a fare una c… e che egli le fece una bella riempita di botte con le chiavi e che adesso avendo sentito conti di c… tanto era rimasta schioccata che subito se ne era fuggita.
Invitò il genero a non nominare più quella parola ma di proporle di fare una cucitura.
Il marito così fece, si mise a cucire per un bel po’ di tempo, ma poi si stancò e si fermò.
La moglie lo invitava a continuare e il marito in risposta le disse che il filo era finito.
Allora lei lo toccò nella parte di sotto, toccò i testicoli e avendoli scambiati per gomitoli così lo apostrofò: “Come! Per tua madre e tuo padre che ti fecero, tieni un altro paio di gomitoli e vai dicendo che è finito il filo?

Teste:Cirillo Rocco di Vallata

Ce la tanto e non ce la tanto

Una ragazza si mise a fare l’amore con un ragazzo suo coetaneo, e oggi e domani e dopodomani i due, frequentandosi, decisero di sposarsi, e venne il giorno del matrimonio e la prima notte fecero i fatti loro.
Ma la ragazza ,successivamente era sempre disturbata.
Passavano i giorni, e la madre, vedendo la figlia in quello stato, le chiese da dove venisse quella sua contrarietà,dato che prima del matrimonio era così allegra.
Oi mamma, rispose la figlia, mio marito da quel punto di vista, non ne ha proprio, per quanto è vera la Madonna!!
Allora la madre disse alla figlia: “tu prepara da mangiare perché il pranzo ce lo porto io e voglio vedere con i miei occhi se veramente ce l’ha o non ce l’ha”.
Così fece, la madre andò dal genero e mangiando e bevendo gli chiese di volere accertare la realtà o meno raccontata dalla figlia.
Se tu non ne tenevi proprio, disse la suocera al genero, perché decidesti di inguaiare mia figlia?
Ma chi te lo ha detto, rispose il genero, finiamo di mangiare e poi ti farò vedere il contrario”.
Finirono di mangiare, poi il genero fece vedere il suo marcantonio, lo fece saggiare alla suocera e lei ne fu contenta.
Ritornò dalla figlia e così l’apostrofò: “Porcella, fetenda di figlia mia e come ti sei permesso di dire che non lo possiede, quello ce l’ha come un cocozziello, tanto che mi ha fatto sussultare come una capretta
E la figlia, in risposta: “Oi mamma mamma, ma come, quello dell’asinello (puledro) di compare Aliberto lo possedeva tanto ad un anno e mio marito che ha ventisette anni, non lo dovrebbe tenere ventisette volte tanto?
E allora la madre rispose malamente alla figlia: “ma come, allora tu l’avresti voluto lungo quanto quello di un asino, e non di una persona?

Teste:Maria Ragazzo

Uno scioglilingua in rima baciata

Un giorno andai a caccia
Trovai una lepre pazza
Andai per spararla
Ma mi scappò di cacare

Un giorno andai all’acqua
Trovai un guardiano
Mi prese per la mano
Mi portò in mezzo al grano
Mi fece vedere una cosa liscia
Si ficcava dove si piscia
Credevo che non mi facesse male
Alla faccia del cazzo e come incasava

‘Nu juorn’ scitt’ a caccia
Trovai ‘na lepr’ paccia
Scitt’ pe’ la sparà’
Ma me scappaje re cacà’

‘nu jiorn’ scitt’ a l’acqua
Truvaje ‘nu ‘uardian’
Me pigljaje pe’ la mane
Me purtov’ ‘mmiezz’ a ru’ gron’
Me fec’ verè’ ‘na cosa lisce
Ca traseva a ‘ndò se piscia
Ìjo crereva ca ‘n me facess’ male
A la faccia r’ lu c…azz’ e cumm’ ‘ngasava


Teste: Rocco Cirillo

Questa morde e spara

Una signora, morto il marito, restò vedova con un figlio piccolo e piano piano se lo cresceva e questi faceva grande.
Il figlio, fattosi adulto, voleva andare ad odorare vicino alla madre il piacere del sesso.
La madre lo teneva frenato, ma il figlio voleva sfogarsi a tutti i costi.
La madre allora che pensò di fare: prese una trappola per topi e se la mise in mezzo alle gambe.
Il figlio andò per provare il piacere con la madre, incappò nella trappola e si mise a gridare: “Oi mamma che mi hai fatto, oi mamma che mi hai fatto!
La madre a questo punto, rallentò la presa dell’arnese e così uscì l’oggetto da dentro.
Così il figlio, dopo la lezione avuta, non andò più intorno alla madre.
Il ragazzo diventò maturo ma non si poneva il problema di sposarsi.
Passando il tempo, la madre si preoccupava per il figlio e pensava come accasarlo.
Siccome vicina di casa c’era una ragazza da marito, la madre chiese a costei se le piacesse portare da mangiare al figlio che nel frattempo era al lavoro in campagna.
Le suggerì di sedersi dinanzi a lui in un piano rialzato che permettesse la vista delle gambe e di quella cosa in mezzo, così che potesse stuzzicare l’interesse erotico del figliolo.
La ragazza così fece in tutto e per tutto.
Il ragazzo, mentre che mangiava, ogni tanto la osservava, guardava bene la ragazza se in mezzo alle gambe ella tenesse la trappola come quella della madre.
Ma mentre avveniva questo, d’un tratto alla ragazza le venne da fare due scorregge.
Il ragazzo, al rumore, immediatamente prese il berretto e si mise a fuggire esclamando: “mamma mia morde solamente ma questa morde e spara
La ragazza credendo ad un ripensamento del giovane attese per un po', poi visto che quest’ultimo non tornava, si alzò e rientrò al paese.
Quando fu arrivata a casa della madre del ragazzo su domande che quest’ultima le faceva, riconfermò il comportamento strano del figlio che ripeteva sempre la stessa cosa: “mamma mia morde solamente ma questa morde e spara”.
E allora la madre alla ragazza: “se è così, io non ti posso aiutare in nessuna maniera e trovatene un altro!

Teste : Teodoro Minieri

Col piacere e non con la forza

C’erano una volta un ragazzo e una ragazza.
La notte era nera, lampi e tuoni e la ragazza si metteva paura.
A un bel momento lei si abbracciò al ragazzo ed ebbero un rapporto sessuale.
Dopo un bel po' di tempo, la ragazza uscì in cinta, si ingrandì con la pancia e fece querela al ragazzo, pretendendo il matrimonio riparatore.
Andarono davanti al giudice e questi riprese il ragazzo che avendo fatto la cosa era suo dovere riparare, anche perché la ragazza continuava a negare di averlo fatto di sua spontanea volontà, bensì di essere stata forzata.
A! signor giudice –replicò il ragazzo- quello lampeggiava e s’illuminava, io lo misi dove andava andava, ma se non gli piaceva, poteva dirlo
E il giudice a questo punto emise la sentenza: “Se è così, tu hai ragione e non sei colpevole e ti dichiaro completamente assolto

Teste :Paolino Colicchio

L’asino e le tre scorregge

Si racconta di un contadino che ritornava al paese con un asino carico, lungo una strada irta in salita, tenendosi leggermente vincolato con una mano alla coda dell’animale.
Ad un certo tratto incontra un monacello e, fermato l’asino per una sosta, chiese a costui se sapesse indovinare la durata della sua vita.
Il frate prese la mano del contadino e osservando le pieghe del palmo della mano, gli prescrisse che alla terza scorreggia che l’asino avesse fatto, egli sarebbe bello e morto.
Il contadino a quel punto si mise a ridere di grosso e quando il frate se ne fu andato, riprese il cammino con l’asino.
Sentì la prima scorreggia e non se ne preoccupò, alla seconda si mise subito col pensiero cattivo, ripensando alla previsione del monaco.
Non si perdette d’animo, fece nei paraggi uno “staccione” (un rametto di legno a punta) e lo infilò nel buco del sedere dell’animale, pensando così di evitare che l’animale facesse la terza scorreggia.
Il povero ciuco gonfiò, tanto gonfiò la pancia che ad un certo momento espulse lo “staccione
con tale veemenza che andando quest’ultimo giusto in fronte al contadino che si manteneva sempre attaccato alla coda, la botta fu tale che gli procurò la morte sul colpo.(Così la previsione di zio monaco si era avverata)

Teste:Severino Ragazzo

Il maiale e le quattro porzioni (lu purch’ e r’ quatt’parzion’)

Quattro amici buontemponi ( N.S. G.P. I.D. e G.S.): un professore, un chimico universitario, un postino e un dottore, decisero di comprare un maiale e di dividerlo in quattro parti uguali.
Il proprietario (A.D.) lo uccide, lo pulisce, lo seziona in modo da recuperare tutto dell’animale: le parti grasse, le magre, gli annessi e connessi, perfino i piedi vengono accuratamente puliti.
Dal grasso si ricava la sugna e il lardo, dal magro salsicce e soppressate.
Ma il bello viene la sera che, nella casa privata di campagna del chimico si sta procedendo all’insaccamento dei salami.
Si presenta un veterinario del luogo (P.M.) che, portato a posta dal venditore del maiale, per fare uno scherzo agli amici, richiede, con un atteggiamento serio da ufficiale sanitario, il sequestro all’istante del maiale perché non sono state rispettate le norme del regolamento sanitario previste per la macellazione.
Gli amici sono disponibili a concedere il tutto, pur di non andare incontro a rompicapi legali.
Quando il veterinario è contento della paura messa addosso agli amici, prende il tutto per scherzo e fa capire che ha solo “pazziato”.
Non vi dico la risposta degli altri (ingiuri e spergiuri in quantità ) e così dopo essersi sfogati continuano e finiscono il lavoro di insaccamento.
Essiccati i salami e maturata la salamoia per gli annessi, vengono fatto le quattro parti, sennonché alla conta risulta mancante un piede del maiale che o per distrazione o per altro motivo non si trova all’appello.
Il dottore, a questo punto, impugna tutta la divisione e pretende per forza la sua parte e dato che l’animale ha quattro zampe ha il diritto di rivendicare il piede della parte sua, diversamente minaccia di ricorrere perfino a vie legali per far valere il suo interesse.
Il sottoscritto, presente alla discussione, pur di dirimere la questione suggerisce così: “Embè, dottò, quist’ è lu problema? Si proprio lu vulit’ lu per’r’ lu purch’, mo sciamm’ a la chianch’ r’ F’rrucc’ e lu sciamm’ ‘accattà e ‘cussì vi facimm’ cuntent’ e chiurimm’ la discussion’”. (Ebbene, dottore, questo è il problema? Se proprio volete il piede del maiale, adesso andiamo alla macelleria di Ferrucci e lo andiamo a comprare e così ti facciamo contento e chiudiamo la discussione)

Teste : Severino Ragazzo

Maledetto il maiale e le sue tentazioni

Un giorno, facendo una passeggiata per il paese di Vallata, tre amici professori (G.P. N.S. e S.R.) si trovano davanti all’abitazione dell’avvocato A.C. detto “lu biccius’”.
Dentro una panda parcheggiata si scorge una cesta piena di decine di “stese” di salsicce ben essiccate.
Il P. a questo punto decide di fare uno scherzo all’avvocato.
Aperto il cofano, riesce a sottrarre quasi la metà del prodotto, riempiendo ben bene una busta di plastica che si usa per la spesa.
E’ chiaro che noi altri due, pur se con qualche riserva, facciamo da palo all’evento.
Passano i giorni e ci aspettiamo che il derubato parli con qualche amico o amica del furto subito; niente di tutto questo.
La verità è che l’avvocato aveva dato ordine alla moglie di andare a mettere sottovuoto le salsicce e la consorte nulla sapeva della quantità del maiale e tanto meno il marito Antonio si era preoccupato di controllare, stando a fiducia della moglie.
A questo punto il P. da notizia del fatto, tramite la madre, al cugino finanziere G. I. e questi all’avvocato con il quale aveva condiviso la metà del maiale.
Viene restituita la refurtiva e viene confermato che si era voluto fare solo uno scherzo e che nel caso specifico era pure mal riuscito.
A questo punto inizia la parte tragicomica.
L’avvocato non vuol sentire ragione e si inventa di essere a conoscenza di tutto il fatto, avendo con sé la registrazione di un occhio elettronico di telecamera posizionata nell’antistante della propria abitazione.
Ma come -dice l’avvocato- io ‘nommn’ rì legg’, maggia fa’ ‘rrubbò lu purch’ ra tre prufussur’..! sap’t’ che cè r’ nuv’,mo v’ port’ ‘nand’ a la cort’ e v’ fazz’ pazzià bun’”. (Ma come, io un uomo di legge mi debbo far rubare il maiale da tre professori! Sapete che c’è di nuovo, adesso vi porto davanti alla corte e vi faccio scherzare bene).
Non vi racconto la costernazione di noialtri.
Noi due a rimproverare il P. che aveva speso pure del denaro per mettere sotto vuoto i salami trafugati e poi restituiti.
Aità, t’ l’avevam’ ‘r’tt’ r’ c’ mangià ammen’ na stesa o ammen’ nu caparidd’ a p’run’. Mo accussì sciamm’ a fa na causa, la p’rdimm’ e r’stamm cu’ lu curriv’ r’ non avè putut’ mangià nint’ r’ lu purch’ r’ l’avvucot’: ristamm’ accussì curnut’ e mazziat’”.(Gaetano te l’avevamo detto di mangiarci almeno una stesa o almeno un capo a per uno. Adesso, così, andiamo a fare una causa, la perdiamo e restiamo con il rimorso di non aver potuto mangiare niente del maiale dell’avvocato: restiamo così scornati e bastonati!

Teste: Francesco Milano

Zio monaco con zia monaca

Il convento dei monaci era vicino a quello delle monache e la tentazione di un monaco fu quando una monachella, stante in giardino, raccoglieva, piegata, dei fiorellini per farne un mazzetto e portarlo alla Madonna.
La vista del sedere ben arrotondato e provocante fece aizzare i capelli a zio monaco il quale in maniera silenziosa e furtiva si avvicinò e cominciò a farle sentire dal di dietro una cosa dura e calda.
Zia monaca ne prese piacere e invitò zio monaco a fare presto il servizio.
Sennonché tutti e due i religiosi avevano la tonaca e per sollevarla zio monaco ne alzava una e si abbassava l’altra senza riuscire con le mani a tenerle tutte e due alzate.
Così zio monaco alla fine rinunciò a compiere l’atto che desiderava.
Nel frattempo, alzati gli occhi verso il convento maschile vide il padre guardiano e si accorse di essere stato scoperto, oltretutto lo rimproverava con il gesto della mano messa in bocca quasi a mordere il dito indice.
Tornato al convento, padre guardiano gli fece un bel rimprovero e così gli disse con tono ironico: “Quant’ si fess’, ma nun putiv’ tenè na tonaca cu na man’ e l’ata cu lu muss’ e accussì si tenevn’ aizat’ tutt’ e doi e faciv’ quera che aviva fa”.(Quanto sei fesso, ma non potevi tenere una tonaca con una mano e l’altra con la bocca e così si tenevano alzate tutte e due e facevi quello che dovevi fare).

Telegrammi

1) “Tempo piovendo, musica in cantina, capobanda Rocco Schiavina”

Simpatico riferimento ad un suonatore di banda, di Vallata, che trovatosi impedito a far ritorno al paese, pensa di fare cosa gradita alla famiglia, inviando un telegramma.
In esso si evince che il tempo dove si svolgeva la festa e si suonava la banda era inclemente.
I musicisti si erano radunati in una cantina (allora nella prima metà degli anni 50 ed oltre del 900’ la cantina era luogo di ritrovo sociale come lo sono oggi i bar nei nostri paesi Irpini) e tra un mangiare e bere qualcosa, suonavano pure qualche arietta allegra per far passare il tempo.
E “accussì a musec’ si mettev’ ata musec’,e lu mastr’ ri festa riceva: sona maestr’ ca te pavo”
(E così a una musica si aggiungeva un’altra musica e il maestro della festa diceva all’altro maestro quello della banda :suona che ti pago).

2) “Uova rotte, carretto rovesciato, telegramma Pappanese”

Pappanese era un personaggio Vallatese (dei Minieri), arrivato da fuori Vallata e radicatosi nel paese.
Era costui un commerciante che girava col carretto trainato da cavalli portando la merce la più varia da un luogo ad un altro a volte anche molto lontano.
Si racconta così che un giorno alla stazione di Conza Andretta, forse un po' su di giri, il Pappanese fece una manovra brusca, rovesciando così il carro con tutta la merce sopra.
E per non far preoccupare più di tanto la famiglia pensò di inviare un telegramma.
E “Accussì r’ova se r’ mangiar’n’ l’anemale, lu carre roppe nu poco ri timpe fui reparate e chiane chiane Pappanese s’arritiraie a lu pagliare”
(E così le uova rotte se le mangiarono gli animali, il carro dopo un poco di tempo fu riparato e piano piano il povero Pappanese si ritirò al paese).

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