- Racconti - A cura del Prof Severino Ragazzo

Racconti
Undicesima Parte

A cura del Prof Severino Ragazzo.
Autrice dei bozzetti Valeria Cornacchia

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Teste: Rino Ciampolillo
LA LETTERA.

    L'emigrazione italiana è stata da sempre dettata da motivi di necessità; varie sono state nel tempo le destinazioni (alla fine del 800' e fino alla seconda guerra mondiale prevalentemente verso le Americhe, poi verso l'Europa, poi verso il Nord Italia, oggi con la globalizzazione verso tutte le parti del mondo).
    Enormi le rimesse che hanno fatto ricchi gli Stati e le famiglie.
    Specie quella transoceanica era fatta di duri sacrifici per i lunghi giorni di viaggio su navi mercantili, i lavori più umili e più pesanti da svolgere, le difficoltà nell'imparare una nuova lingua etc...
    Anche il sistema delle comunicazioni tra l'emigrante e la rispettiva famiglia era molto lento e affidato prevalentemente alla lettera postale. Ed essendo analfabeti in maggior parte sia il mittente che il destinatario ci si affidava al maestro, allo scrivano locale che traduceva la volontà di chi dettava.
    Volle che un emigrato in America di un paese della Baronia che non vi dico facesse scrivere una lettera alla moglie così dicendo: “cara moglie, qui il lavoro è duro ma in compenso si guadagna bene; ti mando uno 'check' in dollari che puoi spendere per le cose che ti necessitano, ti saluto e ti abbraccio caramente”.
    Ricevuta la lettera, la consorte andò da un letterato locale per farsi leggere il contenuto, solo che all'interno non trovò nessuna moneta (evidentemente mani leggere e furtive nell'entourage delle poste l'avevano aperta abilmente, tolto il denaro e poi rinchiusa perfettamente- e quanti casi analoghi non si sono verificati, riportati dalla cronaca dei giornali- Ha avuto ragione Benigni quando ultimamente ha esposto per televisione i dieci comandamenti e ha detto che quello di “non rubare” gli era sembrato scritto proprio in italiano e come monito per gli italiani ).
    La moglie in risposta così fece scrivere al marito: “Caro marito, ti ringrazio dei saluti affettuosi che mi hai mandato ma del denaro non ho sentito nemmeno l'odore!”.

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Teste: Vito Saporito 'lu chianchjr'
“I DUE DOTTORI (PADRE E FIGLIO) E IL PAZIENTE PESCATORE.

    A volte succede che si usa la professione per fare profitto più del necessario, qui è il caso del medico, ma non mancano esempi analoghi tra gli avvocati, i docenti, etc..., per non parlare poi dei burocrati in generale che, allungando i tempi di una pratica, fanno perdere tempo e denaro al cittadino.
    Il racconto è ambientato in zona costiera ma anche nelle zone interne è possibile collocarlo, sostituendone semplicemente il soggetto.
    Volle che un pescatore, trattando il pescato, ebbe la mano infilzata da una spina del pesce e non riuscendo ad estrarla da solo, ricorse al medico curante, per farsi fare l'intervento di estrazione portando con sé una cesta del prodotto ittico come regalo.
    Il dottore prese tempo e, dicendo al paziente che la parte colpita doveva 'maturare', gli fece fare l'anticamera per alcuni giorni.
    Se nonché, una mattina il pescatore, bussando alla porta con i piedi, perché le mani erano occupate a portare il solito regalo, si imbattette in un altro dottore giovane che era il figlio del dottore titolare, che faceva praticantato nello stesso studio.
    Il pescatore voleva andarsene ma il giovane dottore chiese di poter fare lui l'intervento e in un attimo estrasse la spina dalla mano.
    Non vi dico la contentezza e i complimenti da parte del pescatore nei riguardi del dottore.
    Quando il padre e il figlio si ritrovarono da soli, così il primo disse al secondo: “E brav' figlj mìje! Mo' lu piscator' lu pesc' frisck nun ce lu porta chiù e tu cràje te mang' la sogliola re màmmeta!” (E bravo figlio mio, adesso il pescatore il pesce fresco non ce lo porta più e tu domani ti mangi la sogliola di tua madre).



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Teste: Vincenzo Giraffa
NON TUTTE LE CIAMBELLE RIESCONO COL BUCO.

    Due cugini pastori avevano l'abitazione, la 'massarija' uno vicino all'altro e facevano a gara a chi riuscisse meglio a procurare l'erba per il pascolo delle proprie pecore e capre, senza guardare, a volte, all'appartenenza del terreno se fosse di loro proprietà o di estranei facendo un po' di pascolo abusivo lontano dagli sguardi indiscreti degli stessi proprietari.
    Dei due uno era molto sveglio e, alzandosi alla mattina prima dell'altro, che cosa pensò di fare un giorno: andare a pascolare l'erba anche del cugino. (Si dice nella tradizione locale: “Si vùje fa' fess' a lu vicin', alzat' prist' a la matìna” ).(Se vuoi gabbare il vicino, alzati presto alla mattina ).
    L'altro, uscito sul campo, accortosi dell'erba mangiata, e sentendosi derubato, che cosa pensò di fare?.
    Seminò tra l'erba del proprio terreno un materiale che, mangiato dall'animale, si incistida nello stomaco, provocando emorragie e arrecando gravi conseguenze.
    Se nonché, la mattina, ad uscire per primo dalla stalla fu il montone di quello che aveva studiato il marchingegno e così, dopo poche ore l'animale si trovò bello e spacciato.
    Non vi dico il dispiacere per l'accaduto e tra sé e sé il poveretto dovette convincersi che non tutte le ciambelle riescono col buco.
    E accussì: sciv' pe' fa' lu zabbattàr' a lu frat'cucin' e se menàje la zapp' 'ncìmm' a li pìr' sùje! (E così andò per punire il cugino e si punì da solo).

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