Sulle tracce della storia.Cippo funerario di età imperiale torna alla luce.. Rocco De Paola

Sulle tracce della storia.

Cippo funerario di età imperiale torna alla luce.
Fortunosamente recuperato dopo oltre mezzo secolo di oblio.


A cura del Prof. Rocco De Paola

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       Studiato dall’arciprete don Arturo Saponara, che ne dava notizia in un opuscolo del 1957(1),il coperchio di sarcofago a baule, rinvenuto in località Serra Martina, nei pressi del fiume Calaggio, non lungi dall’attuale casello autostradale, era scomparso da oltre cinquanta anni, essendo stato murato, nel 1953, in una abitazione di quella contrada e non più leggibile. Per un caso fortuito della sorte, il cippo funerario venne recuperato, una decina di anni orsono, in seguito alla demolizione della vecchia dimora, e mi fu segnalato da Mauro Stanco. E’ in uno stato di buona conservazione, ma la parte superiore dello specchio epigrafico, limitato da una tonda cornice quadrangolare in rilievo, di circa 40 X 32 cm., è parzialmente erasa ed è di ardua lettura, mentre la restante parte è di agevole comprensione. Inoltre, il cippo, della lunghezza di circa 1 m X 0, 50 h, appare mutilo sulle due estremità, evidentemente in seguito a scalpellatura per adattarlo alla muratura cui fu destinato. L’epigrafe, ricostituita con l’ausilio della luce radente e mediante il confronto con il testo riportato da Saponara,che all’epoca vi leggeva meglio, presenta la seguente scritta:

D. M.
FONTEIO C.
RESIMO FON
TEIUS FIRMUS
P. (D?) F.G.F.

E’ possibile confrontarlo con la foto allegata:

         Ad un preliminare esame autoptico si nota una traccia di “ductus”solo nella prima riga, per cui il testo appare non molto curato, in quanto le lettere risultano di differenti dimensioni e non allineate, di fattura abbastanza grossolana. Esse sono non molto profonde anche se ben evidenziate e scolpite a sezione triangolare(2), come di regola. Evidentemente il lapicida non doveva essere dotato di tecnica sopraffina. Tuttavia il documento ci interessa non tanto per i suoi modesti pregi estetici, quanto per l’inestimabile valore storico. L’intestazione D. M., DîsManibus, agli Dei Mani, l’“adprecatio” alle anime dei trapassati, venerati come Numi tutelari della famiglia,(vedi foto allegata) ci dà precise indicazioni sul periodo storico in cui il cippo sepolcrale fu realizzato.
        


Esso è ascrivibile ad epoca imperiale, in quanto la dedica agli Dei Mani, sotto forma di sigla, chiaramente di matrice pagana, “comincia ad essere usata verso la metà del I secolo d. C. e si spegne alla fine del III o sulle soglie del IV secolo d.C.”(3). Un certo Fonteius Firmus fece scolpire l’epitaffio in memoria di un omonimo Fonteius C. Resimus. Che i personaggi citati fossero legati da vincolo di parentela è indubitabile, data l’affinità gentilizia dei due, appartenenti entrambi alla “gens Fonteia”, una famiglia originaria di Tusculum(4),assurta a potenza tale da battere addirittura moneta, privilegio, però, riconosciuto solo alla famiglia dei Capitone. Un rappresentante di quella “gens” fu Marco Fonteio, conosciuto soprattutto per essere stato difeso, nel 69 a.C., da Cicerone con l’orazione “Pro Fonteio”dall’accusa di concussione di cui si sarebbe reso colpevole quando era governatore della Gallia Narbonense. Si ignora l’esito del processo. Altro e più noto Fonteio fu Gaio Fonteio Capitone, componente dell’ambasceria che nel 37 a. C. si recò a Brindisi per incontrare Marco Antonio, per cercare di comporre la controversia tra lui ed Ottaviano. Il viaggio da Roma a Brindisi, attraverso la via Appia, fino ad Aeclanum, e poi forse per altra strada, è descritto da Orazio nella V satira del libro I dei Sermones. Il poeta definisce Fonteio Capitone “ad unguem/factus homo Antoninon ut magis alter amicus” (5), una persona davvero rifinita e quant’altri mai amico di Antonio. Capitone fu legato del triumviro in Asia e “consulsuffectus” nel 33 a.C. Da queste poche note emerge l’importanza della “gens Fonteia” che, nella nostra zona, contavaaltre presenze, come è attestato in una analoga epigrafe,rinvenuta, nel secondo Ottocento, “nel mulino del sig. Lisi nel Torricello”, in agro di Scampitella(6), che all’epoca faceva ancora parte del territorio di Trevico:

D.M.
FONteIO.MARC
ELLINO. FONTE
ia. IANUARIA.FI
LIO . DULCISSI
MO.B.M.F.

         Il “nomen” Fonteiusè segnato in diverse parti del Corpus inscriptionumlatinarum(7),a riprova della presenza di componenti di quella gens in diversi luoghi dell’Italia centrale e meridionale. La mancanza del “praenomen”di Fonteius Firmus, nella nostra lapide, del restoestremamente avara di riferimenti, indurrebbe a supporre che si sia trattato di un individuo di condizione servile, che, affrancato, avrebbe assunto come praenomenil nomen del padrone. Ma, d’altra parte, era consuetudine segnalare la trascorsa situazione in servitù con una “L” che stava per “libertus” (8), per cui la questione rimane puramente ipotetica, in mancanza di riscontri oggettivi. E’ comunque singolare che i due individui indicati sulla lapide, il defunto ed il dedicante, non presentino il medesimo cognomen, che era un ulteriore elemento di distinzione, a meno che non si ammetta che Resimus e Firmus siano dei soprannomi. Il defuntoè designato nell’epigrafe come Resimus.
         In latino“ dicitur de naribusdeprexis, extremitatesursumreflexa”(9),in italiano camuso. Perché un simile appellativo? Evidentemente esso è riferito a caratteristiche fisiche come, in analoghi casi,Balbus,Dentatus, Barbatus, Crispus,Rufus ecc., che, divenuti ereditari, andavano a formare il cognomen della famiglia, quale componente discriminante rispetto al gentilizio comune. Altra particolarità è rappresentata dalla “C” puntatatra il presunto nomenFonteiused il presunto cognomen o agnomenResimus. Nei testi epigrafici era regola generale scrivere il praenomen in modo abbreviato, essendovi scarsa possibilità di confusione, nonostante i praenomina fossero svariate decine. Durante l’Impero invalse l’uso di far precedereil praenomen al nomen, in deroga a quanto stabiliva la “Lex Julia minicipalis”(10). Si può verosimilmente congetturare che l’ignoto artigiano o, per lui, il committente, seguendo il dettato della lex Julia, abbia interposto il praenomenal nomened al cognomen. In tal caso è possibile interpretare la C. come Caius, praenomen abbastanza diffuso tra i Fontei. Il defunto, allora, si sarebbe chiamato, Gaio(11)Fonteio Camuso, secondo la regola generale concernente i nomi romani durante l’età imperiale, per cui il praenomen precede il nomen e a questo seguono il cognomen e l’eventuale agnomen. Manca il riferimento alla tribù di appartenenza, la Galeria, checomprendeva gli Hirpini (12), dopo la conclusione della guerra sociale. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che, con la “Constitutio Antoniniana” di Caracalla del 212 d. C., che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero, tale indicazione cadde in disuso, in quanto non più necessaria(13). Il nome del defunto è al dativo, anziché al genitivo, come era consuetudine in epoca anteriore a quella di cui trattiamo. In tal modo l’epigrafe assumela valenza di una vera e propria dedica all’estinto, assimilandolo agli Dei Mani(14).Quanto a FonteiusFirmus si è già segnalata la mancanza del praenomen, non credo per difetto di spazio, in quanto esso era riportato, in genere, in forma abbreviata. Il cognomen(o agnomen)denota una sua derivazione dal lessico militare. Firmus era l’appellativo di un “miles” gagliardo, impavido e valoroso(15).
         Tale soprannome, infatti, era frequente tra i legionari romani, specie nelle legioni stanziate in Africa, come attestano numerosi testi epigrafici(16). Fonteio Fermo, dunque, potrebbe essere stato un ex legionario e, come tale, sarebbe stato assegnatario di terreni dell’ “agerpublicus” o sottratti ai vinti Hirpini, nel momento in cui furono insediate colonie romane per stroncare ogni ulteriore velleità di quelle fiere popolazioni ormai sottomesse e condannate “damnationi memoriae”.L’ultima riga dell’epitaffio è alquanto insolita, non essendovi, a quanto mi consta, previa attenta e vasta ricerca in numerosi testi epigrafici(17), scritte similari. La sigla P. (o D?) F. G. F. non ha riscontri né nei repertori né nei dizionari, per cui risulta di difficile decifrazione. Si può verosimilmente ipotizzare che P. stia per pater o per parentes,mentre per la F. si può propendere per “fecit” ( o fecerunt) o per “filio”. Di più arduo momento le interpretazioni della “G.” e della “F.”, che aprono ad un ventaglio di possibili soluzioni, Gaio filio, gloria fili, germanusfrater, Genio fili ed altre. Evitando lo scoglio della “lectio difficilior”, che sarebbe la strada maestra,alle nostre modeste capacità ermeneutiche è consentita una soluzione quanto possibile piana e semplice. Pertanto si propone una decodificazione logica, considerando come vero l’ipotizzato rapporto di parentela fra i due Fontei, per cui il padre Fonteio Fermo avrebbe fatto erigere il monumento a gloria del figlio o lo avrebbe dedicato al Genio tutelare di Gaio Fonteio Camuso, che avrebbe preceduto il genitore nel regno dell’Ade. Sull’epoca di trasmigrazione dei Fontei nelle nostre contrade si possono avanzare solo congetture non sostenute da documentazioni probanti. Sembra che le prime assegnazioni di terreni dell’agerpublicus in “agro Samniti” e in Apulia, con lo stanziamento ivi di veterani di Scipione Africano, siano avvenuti nel 201 a. C. , come afferma Tito Livio(18)..Sul periodo di costruzione del monumento funebre, sulla scorta di quanto siamo venuti dicendo, si possono stabilire un termine “a quo”, dall’editto di Caracalla del 212 d. C., e un termine “ad quem”, fine III, inizio IV secolo d. C. Anche la tipologia delle lettere può essere di aiuto nella datazione del cippo. In particolare, la lettera “M” presenta interessanti caratteristiche. Le aste laterali sono oblique, come da tradizione in età imperiale(19), mentre il vertice dell’angolo mediano cade esattamente sulla linea orizzontale delle due aste laterali.
         Ciò si osserva in tutte e tre le lettere “M” del testo epigrafico. Inoltre i vertici degli angoli superiori delle due “M” di Resimo e Firmus evidenziano degli apici di cui fornisce esempi l’ “elegantissimumurbanum” dell’età di Traiano(20), imperatore dal 98 al 117 d.C. Poi la “M” provvista di piccole “corna” diviene frequente a partire da Diocleziano(21),che resse le sorti dell’Impero dal 284 al 305 d. C. Pertanto, l’arco temporale di composizione del monumento funebre va compreso entro il III secolo d.C. Le altre lettere non presentano elementi particolari, se non per una certa inurbanità della incisione. Le “S” di Resimoe Firmus sono inclinate vero destra e le curve sono ineguali, mentre la forma perfetta avrebbe richiesto la simmetria tra le parti. Particolarmente maldestre appaiono le “F”, ripiegate e non rettilinee, secondo i canoni, e difformi negli elementi compositivi, tanto dicasi della lettera “P”, quasi indistinguibile dalla “D”, e della lettera“G”, aperta verso l’alto ed irregolare nella conformazione. Un motivo di interesse desta la forma a baule del cippo, la “cupa” iberica, che, dall’area di origine, si diffuse in molte parti del mondo antico, principalmente in Africa e nell’Asia Minore(22).Tale tipologia di sepolcro è da ricondurre ad “una particolare classe sociale, un ceto medio composto per lo più da categorie servili, schiavi e liberti, militari e loro familiari”(23). Per quanto riguarda la cronologia delle “cupae”, la loro massima attestazione si ha nel II-III secolo d.C.(24). Analoga forma monumentale caratterizzava altri cippi rinvenuti in paese. Due pietre similari, con iscrizioni, furono rinvenute, negli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso,tra le macerie della antica Chiesa di S. Maria di Montevergine e nella muratura di una dimora dell’attuale Piazza Garibaldi, all’inizio della scorciatoia per Trevico, di cui Mauro Stanco conserva memoria come di un imponente cippo con sagoma a baule. Di esse è menzione nello scritto di Saponara(25), con la ricostruzione delle epigrafi che attestano la presenza sul territorio di altre cospicue famiglie romane come i Fannî ed i Messî, questi ultimi, di probabile origine osca(26), presenti anche a Taverna delle Noci(26bis).Forse la “gens Fonteia” fu quella maggiormente rappresenta. Del resto si hanno notizie di altri Fontei anche nella prossima Villamaina, nella non molto distante Venusia ed in altre località più remote(27).
         Non è possibile, allo stato delle attuali, limitate conoscenze, sapere con certezza il perché della diffusione del tipo di architettura funeraria a “baule” nel nostro territorio, se non ipotizzando la prevalente presenza di quella classe media, di cui si è detto, o quale conseguenza dell’influsso della tipologia dell’“arca lucana”(28),ovverossia “cupa”, rinvenuta in diversi centri della contigua Daunia(29). Comunque sia, queste sparse ma preziose tracce sono ancora lì a testimoniare di un passato in cui la civiltà della Roma imperiale fu certo ben radicata nelle nostre contrade, a monito dei posteri a scuotersi dall’ignavia, affinché non ignorino le proprie origini e la propria storia.


Altra immagine del cippo intero.


Particolare. Sono evidenti i segni della scalpellatura originaria.

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1) Sac. Don Arturo Saponara, Vestigia di Roma in Vallata e nel suo territorio, per i tipi dell’Editrice “La Pergola” di Avellino, 1957 (vedi Sezione Cultura di Vallata.Org).
2) AemiliusHübner, Exemplascripturaeepigraphicae, ed. G. Reimer,Berlino, 1885, pag.XXXIdei Prolegomena.
3) Giancarlo Susini, Epigrafia romana, ed. Jouvence, 1997, pag. 101.
4) Dictionary of greek and roman biografy and mitolology,edited by W. Smith, London, 1867, vol. 2° alla voce.
5) Orazio, “Satire”, nell’edizione dei Grandi classici latini e greci, Fabbri Editori, 1995, pag. 135.
6) CIL, vol. IX, n° 1408. L’epigrafe venne segnalata al CIL dal canonico Andrea Calabrese nel 1875.
7) CIL, Indicesvoll.IX e X, prenomina, nomina, cognomina.
8) René Cagnat, Coursd’epigraphie, ed. E. Thorin, 1890, pag. 80.
9) J.Facciolati, E. Forcellini, Totiuslatinitatislexicon,volumensecundum, Londini,MDCCCXVIII, pag. 416.
10) La “Lex Julia municipalis”, promulgata da Giulio Cesare nel 45 a.C., prescriveva: “censum agito eorumque ( dei cittadini romani delle colonie e dei municipi n.d.r.) nomina, praenomina, patres aut patronos, tribus, cognomina…accipito”. Cagnat, op. cit. pag. 38.
11) Quintiliano, Institutio oratoria, I, 7, 28: “nam et Gaius C litteranotatur”.
12) Mario Pani, La distribuzione delle tribù in Apulia e Calabria dopo la Guerra sociale, Emeroteca. Prov. Brindisi, s.d., pag. 124.
13) R. Gagnat, op. cit. pag. 60.
14) G. Sensini, op. cit. pag. 101.
15) J.Facciolati, E. Forcellini, G. Furlanetto, TotiuslatinitatisLexicon,Tomussecundus, Scheneebergae, MDCCCXXXI, pag. 298.
16) L. R. Dean, A study of the cognomina of soldiers in the romans legions, tesi di laurea, Un. di Princeton, 1916, infra.
17) CIL voll. IX e X, Th. Mommsen, Inscriptiones regni neapolitani, 1852; Orelli – Henzen, Inscriptionumlatinarum amplissima collectio,voll. I-II-III, 1828; R. Fabretti, Inscriptionumantiquarumquae in aedibuspaternisasservanturexplicatio et additamentum, 1699; R. Garrucci, Syllogeinscriptionumlatinarum, 1875-1877; J.Gruter, Inscriprtionumromanorum corpus, Heidelberg,1602.
18) Tito Livio, Ab Urbe condita, XXXI, 4, 1-3 “…decreveruntpatres ut M. Iuniuspraetorurbanus si ei videreturdecemviros agro Samnitiapuloquequodiuspublicumpopuli romani essetmetiendodividendoquecreasset…”
19) E.Hübner, op. cit., pag. LXI dei Prolegomena.
20) E.Hübner, op. cit., pag. LXI dei Prolegomena.
21) R. Cagnat, op. cit., pag.18.
22) G. Sensini, op. cit., pag. 77.
23)Giulia Baratta, Alcune osservazioni sulla genesi e la diffusione delle “cupae”,in Atti del Convegno di studi di Rabat,2004.
24) Idem, ibidem.
25) A. Saponara, op. cit.
26) Orazio, op, cit., pag. 138; “Messi clarumgenus Osci”, dice con evidente tono ironico.
26 bis) Vedi CIL n° IX, n° 1406.
27) Theodor Mommsen, Inscriptiones regni neapoletani, Lipsiae, MDCCCLII, pag.40 n.°697;CIL, vol. IX, pag. 95 e vol. X.

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