I Falò di Sant'Antonio abate a cura del prof Severino Ragazzo - www.Vallata.org

“Li faùni”(i falò) tra sacro e profano :
una tradizione che si rinnova a Vallata il 17 di gennaio

a cura del Prof. Severino Ragazzo

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    Anche quest'anno 2012 a Vallata si è vissuta la tradizionale festa dei falò, il 17 di gennaio che coincide con il culto di Sant'Antonio abate comunemente chiamato nell'idioma locale “Sant' Antun' e il giorno d'inizio “ri lu carnuvuòl'”(del carnevale).
    I falò e il culto del fuoco sono riti pagani(1) che servivano a propiziare l'allontanamento degli spiriti maligni e alla salvaguardia dei raccolti e degli animali, poi sono diventati cristiani e sono stati abbinati alla celebrazione dei culti di diversi santi, a Vallata ad esempio a quello di Sant'Antonio abate, a San Nicola Baronia al Santo patrono Nicola, a Castel Baronia al giorno della Candelora , a Trevico, Vallesaccarda e Scampitella a San Giuseppe tanto per stare in una parte del territorio irpino.
    Il santo che ricorre il 17 nacque a Coma in Egitto sulle rive del Nilo nel 251 d. c. e morì nel deserto della Tebaide nel 357 ultra centenario. E' venerato da tutte le chiese che ammettono il culto dei santi, ha per emblema la croce a tau, il bastone, la campana, il fuoco, il maiale, è stato fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
    E' noto per l'implacabile lotta ai demoni e forse l'immaginario collettivo dell'inferno pieno di fiamme ha favorito l'abbinamento dei falò in occorrenza del suo giorno di culto il 17 di gennaio di ogni anno ma pensiamo anche al bisogno di luce e di calore che in questo periodo scarseggia e per questo motivo viene invocato.
    E' intorno al 1370 che la regina angioina Giovanna, a Napoli, riprende l'interesse per Sant'Antonio abate, costruendo una chiesa dal titolo omonimo.
    Nel 1600 saranno i viceré spagnoli di Napoli a dare la spinta decisionale per la divulgazione del culto del monaco egiziano nella capitale e in tutto il regno facendo coincidere la festa del santo con l'inizio del carnevale.
    A Vallata ancora oggi c'è un rione chiamato borgo Sant'Antonio o “Sant'Antun” che sicuramente ha cominciato ad esistere dopo il terremoto del 1732(2), all'inizio sotto forma di pagliai e poi con abitazioni murarie vere e proprie e siccome i nomi di strade di santi non si danno per caso è ipotizzabile che da quel momento inizia anche a Vallata il culto del Santo anche per l'aspetto profano dei falò.
    In vicinanza nel frattempo viene costruito la chiesa “ri lu murticidd” o dei morti infanti che farà un tutt'uno col borgo e che per una scelta oggi potremmo dire frettolosa fu abbattuta insieme alla torre campanaria con l'orologio nel 1964 dopo il terremoto del 1962 da parte degli amministratori locali, forse per ingrandire i danni e favorire maggiori contributi da parte dello Stato.
    Il compianto Tommaso Mario Pavese in un suo articolo del 1926 quasi novant'anni fa scriveva a proposito :”iniziandosi il carnevale, a Sant'Antonio, qui escono in giro per il paese, maschere, non di rado con il viso tinto di fuliggine, con una sbarra poggiata sulla spalla e recante una campana a suono piuttosto cupo e monotono. La sera, poi, si accendono per le vie parecchi falò, le maschere quasi neri diavoli, vi ballano intorno, e si raccoglie, dopo, il fuoco per portarlo un pò per ciascuno, a casa, giacché esso è ritenuto benedetto”(3).
    Pensiamo che pur nella povertà di allora una pizza di patate, due patate cotte nella cenere e due castagne, e un buon bicchiere di vino si dovessero mangiare e bere e perché no una quadriglia comandata al suono di un organetto o di una mandola o di un flauto pure doveva essere presente. Certo immaginare quello che c'è stato quest'anno al falò di Chianchione e quello che si è consumato di tutto e di più è veramente impensabile a quei tempi.
    Oggi si deve constatare che il numero dei falò si è ridotto sia nel centro urbano che nelle campagne e la preparazione degli stessi avviene in pochissimo tempo quando nel passato per lunghi giorni i ragazzi, passando per le abitazioni delle persone, chiedevano a mo di questua un pò di legna per costruire la catasta.
    I falò sono anche l'occasione per qualcuno per disfarsi di rifiuti vecchi e ingombranti a base di materiale legnoso.
    I combustibili vengono prevalentemente raccolti nei nostri demani boschivi che ancora a Vallata avanzano e soperchiano e che sono completamente in abbandono e per i quali si potrebbe fare un discorso di utilità per la comunità locale.
    Quest'anno il falò che ha avuto più visite è stato quello allestito in via Chianchione e per la grandezza del manufatto e per la partecipazione della gente. L'impegno profuso da un gruppo di giovani più quello di una famiglia del luogo più la sponsorizzazione mediatica del presidente dell'associazione “L'Antica Chianchione” ha sortito un ottimo risultato. Si è mangiato, suonato, cantato fino alle ore piccole della mattina successiva, seppure con un freddo pungente e con la temperatura al di sotto dello zero gradi centigradi. La presenza ad una certa ora di fuochi pirotecnici ha contribuito a rendere quasi fiabesca l'atmosfera.
    Intorno ai falò di Sant'Antonio si è sviluppato nel tempo anche una cultura specie sotto forma di proverbi e detti come ad esempio:

-” a Sant' Antun' lu jurn' è supirchi' e bun'
(a Sant'Antonio abate il giorno è soverchio e buono; si diceva così perché la giornata andava allungandosi e i contadini potevano fare qualche lavoro nei campi)
-”a Sant'Antun' màskere e sune
(a Sant'Antonio abate, maschere e suoni; è l'inizio del carnevale)
-”chi 'nu bun' carnuvuòl' vòle fà, ra Sant'Antun' add'accumenzà
(chi un buon carnevale vuole fare da Sant'Antonio deve cominciare)
-”a Sant'Antun' pure la pullòstra fàce l'ùvo”
(a Sant'Antonio pure la pollastra fa l'uovo; detto del contadino che osserva tutti i particolari del ciclo biologico dell'animale da cortile per trarne una qualche utilità).

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(1)”nella Grecia antica era Efesto il dio del fuoco e nell'antica Roma era Vulcano”
(2)dalla mappa n° 2 del sito: orsini family papers, riguardante la topografia e toponomastica di Vallata redatta nel 1723 dall'allora feudatario Filippo Bernardo Orsini è presente la sola chiesetta di Sant' Antonio Abate.
(3)Tommaso Mario Pavese ”Negli scritti vari” a pagina 226, articolo scritto per prima sul quotidiano ' Il giorno' il 2/5/1926. E' da notare che allora per tingersi la faccia si faceva ricorso alla fuliggine dei carboni in mancanza dei moderni cosmetici e che il fuoco residuo veniva portato in casa dove serviva anche per riscaldare l'ambiente.

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