NUMISMATICA E STORIA - ANTICA MONETA ROMANA DI EPOCA REPUBBLICANA RINVENUTA NEL TERRITORIO DI VALLATA - Prof. Rocco De Paola

NUMISMATICA E STORIA
ANTICA MONETA ROMANA DI EPOCA REPUBBLICANA
RINVENUTA NEL TERRITORIO DI VALLATA
A cura del Prof. Rocco De Paola
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     Un’altra interessante moneta romana, di epoca repubblicana, la troviamo descritta ancora una volta nell’opuscolo di don Arturo Saponara, che rappresenta, oggi, un riferimento assolutamente imprescindibile per la conoscenza di taluni aspetti della storia del nostro paese(1).
     Nel contesto di quell’aureo libretto leggiamo: “…dell’era repubblicana citerò…il pezzo molto ben conservato, parimenti d’argento, con la bellissima dea Roma nel lato dritto, la biga e l’iscrizione SAFRA ROMA nel rovescio. Noto in questa iscrizione che la S è di stile differente dalle altre lettere, per cui io la interpreto in questo modo: S(STELLION) AFRA(AFRANIUS) ROMA” (2). Manca, purtroppo, qualsiasi riferimento al luogo ed all’epoca in cui quella moneta fu ritrovata. Tuttavia, le informazioni fornite da Saponara sono bastevoli per individuarne la tipologia, per circoscrivere il periodo storico in cui venne coniata e per identificare il magistrato monetale, artefice di quella emissione.
     Di origine plebea(3), la “gens Afrania”, forse originaria del Piceno, compare molto tardi negli annali della storia repubblicana (4), venendo a far parte del Senato nel VI secolo ab U.C., epoca in cui viene menzionata per la prima volta nella persona di C. Afranius Stellio, pretore nel 569 ab U.C. (185 a. C.) e triumviro designato alla deduzione di una colonia di cittadini romani a Saturnia nel 183(5).
     Da notare il “cognomen” Stellio (it.Stellione), forse derivato da un appellativo con connotazioni negative(6), che permarrà per l’intero periodo repubblicano. “Praenomina” usuali, in età repubblicana, saranno Caius, Lucius, Spurius, Marcus, mentre in età imperiale prevarranno Publius e Sextus.
     Quella famiglia, pur non patrizia, ebbe, comunque, degli eminenti rappresentanti tra il II secolo a. C ed il I secolo d. C.
     Lucio Afranio, di cui si hanno scarse notizie, vissuto forse tra la seconda metà del II secolo a. C. e l’inizio del successivo, fu un apprezzato poeta “comico”, autore di diverse “comoediae togatae”, emulo del greco Menandro e del latino Terenzio. L’omonimo Lucio Afranio fu legato di Pompeo e console nel 60 a. C. Publio Afranio Potito faceva parte della corte di Caligola, ma, avendo incautamente fatto voto di sacrificare la propria vita per propiziare la guarigione dell’imperatore, poiché tentennava nel mettere in atto la sua promessa, fu costretto dal malvagio tiranno a suicidarsi, lasciandosi cadere dall’alto di una rupe precipite (Svetonio, 27, “ex aggere”), agghindato con rami di verbena come una vittima sacrificale (Cassio Dione, 8). Sesto Afranio Burro, tutore e consulente di Nerone per i primi otto anni di regno, fu poi fatto allontanare dalla corte e, forse, morì di veneficio, come sospetta Tacito (7). Afranio Quinziano, invece, avendo partecipato alla congiura di Pisone contro Nerone, scoperto, pose volontariamente fine alla propria vita. Afranius Dexter, amico del poeta epigrammatico Marziale, “consul suffectus” nel 98 d. C., fu ucciso nel corso del suo consolato. Come si vede da queste poche note, il “cursus honorum” di molti componenti della “gens Afrania” ebbe un esito infausto. Più fortunati, forse, i capostipiti di quella famiglia vissuti tra il III e il II secolo a. C.
     A detta di Babelon, solo uno dei membri di quella gens, Spurius Afranius, comparirebbe sulle monete, che sarebbero state coniate verso l’anno 200 a. C. Ancora Babelon afferma che il suo denario, della tipologia del cosiddetto bigato, per via della biga che compare nel rovescio di quella moneta, presenta talvolta un aspetto un po’ grezzo e sarebbe molto simile alle monete di P. Cornelius Sulla, di L. Saufeius e di Pinarius Natta, magistrati monetali dal 152 al 149, tanto da far ritenere che Spurio Afranio facesse parte del medesimo collegio monetario di quelli(8).
     Tuttavia, ciò apparirebbe contradittorio con quanto sostenuto dallo stesso Babelon circa la presunta età di coniazione della moneta, che risalirebbe all’anno 200 a. C. circa. Occorre anche considerare che i “collegia” dei magistrati monetali erano formati da tre componenti. Infatti, in letteratura, si parla costantemente di “IIIviri aere, argento, auro flando feriundo”, a meno che non si debba intendere che Spurio Afranio sia stato collega di uno o di due dei citati personaggi.
     Il “cursus honorum” aveva inizio proprio con la carica di magistrato monetale che, quindi, era assegnata non più tardi dei venticinque anni. Di conseguenza, il Nostro nell’anno 200 a. C. avrebbe avuto circa quell’età.
     Questo concorderebbe con quanto sostenuto da Gennaro Riccio (citato nella nota 3), il quale ritiene che le monete di Spurio Afranio siano state coniate intorno agli anni della Seconda Guerra Punica, che si concluse con la vittoriosa battaglia di Zama del 202 a. C.
     Si può, quindi, verosimilmente ipotizzare, in carenza assoluta di altre fonti documentarie, che Spurio Afranio sia vissuto tra la fine del III secolo e la prima metà del II secolo a. C. e che potrebbe essere il padre od il fratello di C. Afranius Stellio, ma si tratta di pura congettura(9).
     L’ipotesi avanzata da Saponara, secondo la quale la moneta da lui osservata andrebbe attribuita ad un presunto “Stellion”, non trova, quindi, fondamento nelle fonti. D’altra parte, abbiamo già precisato che “Stellio” sarebbe il solo ed unico cognomen conosciuto di quella gens in epoca repubblicana, mentre in età imperiale subentrano altri e diversi cognomina. Anche perché si dovrebbe ammettere che i due appellativi si troverebbero in posizione invertita rispetto alla regola generale e codificata secondo la quale il “nomen” precede sempre il “cognomen”, salvo rare eccezioni. Stellio sarebbe, in tal caso, il nomen anziché il cognomen di quella famiglia, cosa che appare inverosimile.
     Nulla quaestio, invece, come si è già ampiamente dimostrato, sul fatto che AFRA vada interpretato come AFRANIUS. Che la moneta osservata da Saponara possa essere un denario di argento di Spurio Afranio trova conforto in diversi autori che riportano pari pari le stesse caratteristiche e le stesse diciture da lui usate.
     Nicola Leoni, dotto ed eclettico studioso dell’Ottocento, nel descrivere monete di epoca romana, cita una moneta d’argento della gens Afrania, affermando testualmente che nel dritto riportava “la testa di Roma armata” con il segno del denario (una X che ne indicava il valore equivalente a dieci assi), mentre nel suo rovescio si osservava una biga guidata da una Vittoria con la scritta SAFRA ed, in esergo, ROMA(10).

La testa della dea Roma come doveva comparire sulla moneta di Spurio Afranio descritta da Saponara. A sinistra, in evidenza, la X che indicava il denario. Contrariamente a quanto sostenuto da Babelon, il profilo della divinità raffigurata sembra di eccellente fattura.
 
La Vittoria alata sulla biga e le scritte S AFRA e ROMA. Come aveva notato Saponara, effettivamente la S è più rilevata rispetto alle lettere seguenti.

     Gennaro Riccio ritiene che la testa galeata sia quella di Pallade, ma questo non deve comportare dubbio di sorta, in quanto quella dea era spesso identificata proprio con Roma. Le diciture del rovescio sono praticamente identiche a quelle rilevate da Leoni ed altri. Afferma, poi, il Riccio “queste monete semplici con gli ordinari antichi tipi della prua e della biga appartengono a SPURIO AFRANIO questore (sic!) della Repubblica in tempo della Seconda Guerra Cartaginese”(11). Egli, infatti, dopo aver affermato che lo “zecchiere di esso è affatto ignoto nella storia di Roma”, ipotizza che la moneta sia stata coniata al tempo di quella memorabile guerra, inferendo tale determinazione dalla piccolezza dell’ “asse” e dei suoi sottomultipli, “che per altro serbano le antiche uniformi rappresentanze de’ tempi di libertà” (12).
     Vengono anche descritte ed illustrate altre monete. Una di esse presenta una testa di Giano, nel dritto, e una prora di nave con delfino sulla destra, nel rovescio. Un’altra evidenzia una testa di Pallade nel dritto e prora e delfino nel rovescio. Un Ercole, con testa rivestita di pelle, insieme con la prora solita e con il delfino, compare in un altro esemplare. Invece è un Mercurio con il medesimo cetaceo a campeggiare in un’altra moneta. Infine un Giove “laureato” è riportato in un ultimo modello. Poco oltre, Riccio cita l’opinione di Borghesi, secondo cui quel mammifero sarebbe stato l’antico simbolo di quella famiglia che avrebbe continuato ad imprimerlo sulle monete anche quando cominciò a segnarvi il proprio nome. Da Eckhel proverrebbe, anche, la conferma che quella S debba essere letta come Spurius anziché Sextus(13).


La moneta a sinistra con la scritta SAFRA e la biga sarebbe simile a quella di cui parla Saponara

 


Testa di Ercole con prora e delfino sulla destra

(Le immagini sono tratte dalle tavole II e III del testo di Riccio).

     Una fantomatica moneta con testa laureata di Giove e Vittoria in “triga” nel rovescio, con sopra il numero XXXIII, suscita curiosità ed interesse, poiché riporterebbe la scritta “M. AFRA” che lascerebbe supporre che vi sia stato un Marco Afranio, altro soggetto del tutto ignoto di quella famiglia, che avrebbe dato il suo nome alla moneta. Una moneta d’argento con queste caratteristiche, su autorevole testimonianza di J. H. Eckhel, sarebbe stata conservata nel Museo Imperiale di Vienna(14) e lo stesso Riccio ne fornisce una immagine nel Supplemento della Tavola LI al n°3.

Immagine della moneta con la scritta M. AFRA. Forse si tratta di una ricostruzione sulla scorta dei dati forniti da Eckhel. Si noti il numero XXXIII sulla “triga”, un carro trainato da tre anziché da due o quattro cavalli.

     Babelon non fa nessun cenno a questo e, nel descrivere il denario d’argento di Spurio Afranio, aggiunge qualche altro particolare sulla “gàlea” della dea Roma, alata e sormontata da un’aquila, mentre la Vittoria agita una sferza, incitando i cavalli alla corsa(15). Le altre monete descritte, tutte riferite a Spurio Afranio, riportano altre divinità nel dritto. Una testa laureata di Giano ha nel rovescio una prora con un delfino a destra, con la scritta solita SAFRA ROMA. Si tratta di una moneta di bronzo del valore di un asse. Anche la testa, parimenti laureata, di Giove ha nel rovescio la prua di nave con delfino. La “S” dietro la testa del dio ci fa capire che si tratta di un semisse di bronzo. La testa della dea Roma galeata presenta in alto quattro punti ad indicare il suo valore, ossia un “ triens” di bronzo. Anche la moneta con testa di Ercole coperta con pelle di leone è un bronzo. I tre puntini dietro di essa ci fanno intendere che si tratta di un quadrante. La moneta con testa di Mercurio con petaso alato, altro bronzo, presenta la particolarità di non avere il simbolo del delfino, ma due semplici punti sul lato destro della solita prora di nave, segno che si tratta di un sestante. Secondo Babelon, il ricorrente simbolo di quell’intelligente e simpatico cetaceo ci consente di supporre che gli antenati di Spurio Afranio abbiano ricoperto qualche importante carica nella flotta romana, inoltre questo autorizzerebbe a ritenere che tutte le monete di incerta attribuzione che presentino quella immagine siano riconducibili alla famiglia degli Afranî(16).
     Di questo denario d’argento ritrovato nel territorio di Vallata si ignora il nome del proprietario, né, tantomeno, siamo in grado di sapere se sia ancora in possesso di qualche concittadino. Si può solo far voto che possa ancora trovarsi in mani fidate.
     E’, comunque, assodato che i ritrovamenti di antiche monete non sono stati certo sporadici e questo fa pensare ad una cospicua presenza di antichi abitatori nelle nostre contrade. Il fatto incontrovertibile che i pezzi rinvenuti appartengano a varie epoche induce a ritenere che per un lunghissimo periodo vi si stata una costanza degli insediamenti sul nostro territorio. Tale ipotesi è avvalorata e confermata dai numerosi reperti che sono venuti alla luce nel corso dei secoli, tra cui vanno sicuramente annoverate le monete che, purtroppo, o sono ancora custodite in occulti recessi o sono state ahimè! alienate per vilissimo prezzo.

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1) Don Arturo Saponara,Vestigia di Roma a Vallata e nel suo territorio, Pergola, Avellino, 1957, ora in Vallata.org.
2) Idem, ibidem.
3) Gennaro Riccio,Le monete delle antiche famiglie di Roma fino all’imperatore Augusto, Stamperia del Fibreno, Napoli, 1843, pag. 11.
4) Ernest Babelon, Description historique et cronologique des monnaies de la République romaine vulgairement appellées monnaies consulaires, Rollin et Feuardent, Paris, 1885, pag. 134..
5) Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXXIX, 23,2 : “postero die praetores facti P. Cornelius Cethegus, A. Postumius Albinus, C. Afranius Stellio…” Idem, Ibidem, XXXIX; 55,9 : “Et Saturnia colonia civium romanorum in agrum Caletranum est deducta. Deduxerunt triumviri Q. Fabius Labeo, C. Afranius Stellio, Ti Sempronius Gracchus. In singulos iugera data dena.”.
6) Totius latinitatis lexicon consilio et cura Jacobi Facciolati, opera et studio Aegidi Forcellini, alumni Seminarii patavini lucubratum, secundum tertiam editionem cuius curam gessit Iosephus Furlanetto, alumnus eiusdem Seminarii, correctum et auctum labore variorum, Tomus quartus, Lipsiae in libraria Harniana, Londini apud Black Young et Young, MDCCCXXXV. A pag. 177 Stellio, onis, m., “animal non dissimile lacertae multo tamen minus, tergum habens lucentibus quibusdam guttis depictum ad modum stellarum”, da cui la derivazione etimologica di stellio. In pratica si tratterebbe del geco che ogni anno si spoglia della propria pelle, ma poi la divora, negando, secondo gli antichi naturalisti, un rimedio naturale a coloro che soffrivano “morbi comitialis”, ossia di epilessia, così denominata perché se si fosse verificato un caso del genere durante i comizi era ritenuto un segno funesto, determinandone la sospensione. Il più celebre personaggio storico che avrebbe sofferto di quel morbo è Giulio Cesare. Il significato traslato di uomo cattivo, fraudolento ed invidioso deriverebbe proprio da quella particolare abitudine dei gechi. Non a caso ne deriverebbe anche il termine “stellionatus”, entrato nell’uso come termine giuridico che designa tutta una serie di delitti, riconducibili, genericamente, alla frode ed alla concussione. In calce alla voce di pag. 177 del “Forcellini” viene ricordato che Stellio era anche un cognome romano e si cita C. Afranius Stellio, con riferimento a Tito Livio, XXXIX, 23 e 55. Forse il cognome Stellione deriverebbe dal carattere appariscente, multiforme, camaleontico dei membri di quella famiglia, oppure dal fatto che sarebbero stati degli individui poco raccomandabili, dei rapaci arrampicatori sociali versati nell’inganno e nella frode. Non si vogliono certo trarre da un semplice nome delle conclusioni che potrebbero apparire avventate, tuttavia è notorio che i “cognomina” romani ebbero spesso origine da caratteristiche fisiche o morali..
7) Cornelio Tacito, Annales, XIV, 51, “incertum valetudine an veneno”.
8) Ernest Babelon, op. cit.pag. 134..
9) Idem, ibidem.
10) Nicola Leoni, Della Magna Grecia e delle tre Calabrie ricerche etnografiche, etimologiche, topografiche, politiche, morali, biografiche, letterarie, gnomologiche, numismatiche, statistiche itinerarie. Volume II Calabria Settentrionale, Ed. Vincenzo Priggiobba, Napoli, 1885, Quadro delle monete familiari romane, p. 169.
11) Gennaro Riccio, op. cit. pag. 11.
12) Idem, ibidem.
13) Idem, ibidem.
14) Idem, ibidem.
15) Ernest Babelon, op. cit., pag. 135.
16) Idem, ibidem.

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