Vallata - un isola nel mare dei dialetti meridionali - Le Consonanti -

        LE CONSONANTI

        "B" – La lettera "b" (lat. be, pop. bi).
        Nell'alfabeto cirillico il segno corrispondente per forma alla "b" indica il suono della lettera "v". Nel greco moderno, l'antico suono della "b" è passato praticamente, ed in ogni caso, a quello della "v". Da qui il fenomeno del betacismo (1) che disegna un'area linguistica che ci comprende: a bbòce (a voce).
In quest'area, appunto, ad una "b" romanza corrisponde una "v" latina. Anzi la "b" romanza, in posizione intervocalica, si raddoppia:

            ke bbùje         (lat. volui): che vuoi
            ru bbulèno      (lat. venenu): il veleno
            abbuiò'           (lat. a + volare): volare
            abbijà'            (lat. v. avviare): avviare

        Ad una "v" romanza corrisponde, reciprocamente, una "b" latina:

            la vàriva     (lat. barba): la barba
            lu vòve       (lat. bove): il bove o bue
            la vòcca     (lat. bocca): la bocca
            lu vòsco     (lat. boscu): il bosco

        Non mancano tuttavia le eccezioni, specie per le parole assimilate tardi e di origine diversa, per lo più, da quella latina o pre-romana:

            lu bastòne     (fr. batòn): il bastone
            lu barcòne    (germ. balko): il balcone
            la barràcca   (sp. barraca): la baracca

        "C" – La lettera "c" (lat. ce, pop. ci).
        Negli alfabeti italici la "c" ebbe origine dal "gamma" greco mentre il "cappa" diede la "k". Poiché l'Etrusco, come la lingua degli Italici, non possedeva la distinzione tra sorde e sonore, (tra palatali e gutturali), le lettere "c" e "k" servirono, nel loro alfabeto, ad indicare un'unica gutturale sorda: ca o ka, co o ko, cu o ku, ke e ki. Lo stesso avvenne, in primo tempo, per l'alfabeto latino. (2)

        Esempi:
            la càsa       (lat. casa): la casa
            la còssa      (lat. coxa): la coscia
            la cùpa       (lat. cupa): via buia, tenebrosa
            kèntu         (voc. sarda): cento
            kìsti, kìri     (voc. dial.): questi, quelli

        Quindi, la dizione esatta latina di "ci" e "ce" doveva essere "ki" (chi) e "ke" (che) in quanto solo dal III sec. in poi avvenne, nell'Italia meridionale, quel processo di palatizzazione delle gutturali sorde per cui "ke" e "ki" cominciarono ad articolarsi, nelle forme scritte, in "ce" e "ci".

        Esempi:
            la céra          (lat. chiere): la céra, l'espressione
            la cicòrja      (gr. kichoreia): la cicoria
            lu cìlo           (lat. caelu): il cielo
            la ciòcca      (lat. m. clocca): la ciocca
            la ciùrma      (lat. v. clusma): la ciurma

"CH" o "K"
        Il primo documento ufficiale del "volgare" italiano, il placito cassinese del 960: Sao ko kelle terre, per kelle fini / que ki contene trenta anni / le possette parte Sancii Benedicti / testimonia l'uso fonetico della lettera "k" ed il tempo in cui essa si è potuta risolvere in "CH". (3)
        Il digramma "ch" ha origine, molto probabilmente, dal segno longobardo "KX". E la prova di ciò, in assenza di testimonianze scritte, viene data dalla mutazione consonatici: "K" è uguale a "C". Questo nesso diede origine alla occlusiva longobarda "KX" e questa al digramma "CH" del tedesco moderno e dell'italiano. Pertanto, avremmo voluto mantenere qui la lettera "K" con il suono longobardo di "KX", ma quest'ultimo è sconosciuto al nostro sistema fonetico e, perciò, di difficile scrittura e dizione. Optiamo per l'italianizzato gruppo "ch" e conserviamo la "K" per le sole forme congiuntive, pronominali, interrogative ed esclamative: "ki", "ke", "kè".

***

GRUPPO "CH"
        I Longobardi occuparono e governarono più a lungo degli altri queste regioni meridionali. Da ciò i notevoli effetti esercitati dalla loro lingua su quella dei popoli vinti (superstrato). I Longobardi, infatti, oltre al gran numero di prestiti lessicali, introdussero nelle parlate meridionali caratteri fonetici propri come quelli dell'occlusiva "CH" che si sovrappose al gruppo etrusco "CL" (CHiana, CHianciano) ed a quello latino "PL" come negli esempi che seguono: (4)

            chiànda       (lat. pianta): pianta
            chièna         (lat. plena): piena
            chiàzza        (lat. platea): piazza
            chiùmmo     (lat. plumbu): piombo
            chiù             (lat. plu): più

***

        "D" – La lettera "d" (lat. de ubi, pop. di).
        E' ormai certo, lo affermano gli studiosi di linguistica e di etruscologia, che la preposizione osco-umbra "RA" ha dato origine a quella latina "DA". Di qui il nesso "D" è uguale a "R". Il "sostrato italico", anche in questo caso, resiste alla latinizzazione e la lettera "r" resta al posto della "d" dell'etimo latino. Infatti, da noi e nelle viciniore parlate meridionali (campane, pugliesi, lucane) la lettera "d" è generalmente "r" specie se trovasi in posizione iniziale.
        D'altra parte non va dimenticato che la lettera "d", nella notazione musicale medioevale, designava la nota "re" (5). Anche per questo, considerata l'influenza che sulla parlata avevano le canzoni, i sonetti, le ballate, le serenate dei girovaghi, dei menestrelli, dei cantastorie, è facile spiegarsi la mutazione fonica della "d" in "r" e viceversa.

        Esempi:
            lu rènde    (lat. dente): il dente
            lu rifètto   (lat. defectu): il difetto
            lu rilòre    (lat. dolore): il dolore
            la ròte      (lat. dote): la dote

        Non mancano le eccezioni. La "d" non si traduce in "r", anzi si raddoppia, quando è preceduta da "a" prefisso o preposizione:

            addice            (lat. ad dicere): a dire, addire
            addrèto          (lat. a + de retro): a dietro, addietro
            addrìtto          (lat. a + directu): a dritto, addritto
            rùj' a ddùje    (lat. a + duo): due a due

        Né muta se è preceduta da "in" prefisso o preposizione:

            'nduvinìddo     (lat. in + divinu): indovinello
            'ndègno          (lat. in + dignu): indegno
            'ndrèto           (lat. in + de retro): indietro
            'ndò               (lat. in + de ubi): (in) dove

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        GRUPPO "DD"

        Già nelle lingue medio orientali ed arabe si usava pronunziare la lettera "d" con suono cacuminale ed esplosivo (la lingua schiacciata contro la parte superiore degli incisivi).
        Nella scrittura scientifica, anch'essa di origine semitica, la "d" ha segno grafico doppio (d). Da qui, molto probabilmente, il nesso "ll" degli etimi che dà origine al gruppo dialettale "dd" attribuito, appunto, ad un sostrato mediterraneo pre-romano.
        Il gruppo "dd" della nostra parlata è simile, ma solo nella grafia, a quello siciliano o sardo:

            cavàddo      (lat. caballu): sard. kavaddu = cavallo
            curtìddo      (lat. cultellu): sic. cutìddu = coltello
            purcìddo     (lat. porcellu): sic. purcèddu = porcello
            cùddo         (lat. collu): sard. koddu = collo

        Invece, il suo suono esplosivo dentale, accompagnato da quello di una "g" dura, occlusiva, è così specifico e peculiare che resta difficile esemplificare.
        Proviamo, comunque, con:

            hàddo           (lat. gallu): gallo
            haddìna        (lat. gallina): gallina
            puddòstra     (lat. pullastra): pollastra

        "FI" – La lettera "f" (lat. f, pop. fi).
        Il segno ed il suono come in italiano. In alcune parole ancora in uso si riscontra la "f" che indica l'origine etrusca di esse. Alcuni studiosi di etruscologia affermano che una "f", di contro ad una "b" latina o ad una "v" romanza, deve considerarsi un indizio sicuro della origine etrusca della voce dialettale.

        Esempi:
            bùfilo         (lat. bubalu): bufalo
            bifùlco       (lat. bubulcu): bifolco
            tafanàre     (lat. tabanu): culo, fortuna
            tafàno        (lat. da tabanu): tafano

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        "G" – La lettera "g" (pop. gi).
        Non esisteva né negli alfabeti italici, né nel primitivo alfabeto latino nel quale fu introdotto dal Censore Appio Claudio (312 a. C.) per distinguere il suono che i latini davano alla "c" di caballus da quello che la stessa lettera assumeva in (g)allus. In origine la "g" come la "c" indicava un'unica gutturale: "ga", "go","gu","g(h)e", "g(h)i", "gr" e" gn "come in gara, grano, g(h)ente (gente) e g(h)iro (giro).
        Ai tempi dell'Imperatore Costantino la lettera "g" cominciò ad articolarsi in palatale (giglio, gemma) e solo in una Convenzione del '500 la sua dizione fu regolamentata in via definitiva. Intanto, diversamente dai toscani (già Etruschi) che hanno al posto della gutturale "c" una "h" spirante (vedi nota alla lett. "C"), gli abitanti di quest'isola linguistica (già Osci) al posto della "g" mancante usano ancora la "h" sia davanti alle vocali dure (a, o, u) che alla "r" vibrante. (6)

        Esempi:
            hàddo      (lat. gallu): gallo
            ahùsto     (lat. augustu): agosto
            hòccia     (lat. gutta): goccia
            hrùsso     (lat. grussu): grosso

        E al posto delle palatali "gi" e "ge" latine c'è, quasi sempre, il digramma losco-sannitico) "sc" come in:

            scì'                    (ant. gire): gire, andare
            scìniro              (lat. generu): genero
            scinèstra           (lat. genesta): ginestra
            sciummèdda     (lat. gemella-manu): giumella

        Eccezioni. Come per contrappasso troviamo:

  1. il digramma "gl" ove la "g" precede o sostituisce la "l" latina come in filiu (figlio), liliu (giglio), folia (foglia);

  2. la "g" in parole derivate dal tardo latino o entrate nell'uso dopo il III sec. e dopo la citata Convenzione del '500 come in sèggia (da seggio, trono), giacchètta (dal fr. jaque);

  3. il suono della "g" dell'italiano anziché quello della "c" quando quest'ultima è preceduta da consonanti nasali (n) come in ancòra pr. angòra (ancora), 'ncìmma pr. 'ngìmma (in cima, sopra), 'nc'è pr. 'ng'è (c'è, ci sta), ecc. Si ripete qui la originaria confusione tra la "c" e la "g" trasmessa anche nell'italiano:

        lat. lacu         = dial. làho       = ital. lago
        lat. lacrima    = dial. làhrima   = ital. lacrima o lagrima

***

    "H" – La lettera "h" indica il suono gutturale di "c" e "g" (chi, che e ghi, ghe) e sostituisce, come detto, la "g" gutturale, occlusiva delle parole di origine latina e pre-latina.

    "L" – La lettera "l" (lat. l, pop. li o le).
    Ha segno e suono come in italiano e quando precede la lettera "s" dà origine ad "ls" che si traduce nel dialetto "lz":

            fàlzo     (lat. falsu): falso
            sàlza     (lat. salsa): salsa
            pùlzo    (lat. pulsu): polso
            cìlzo     (lat. celsa): gelso

        Quando la "l" precede la lettera "d" dà origine, invece, ad "ld" che si traduce nel dialettale "ll" come in:

            càllo         (lat. v. caldu): caldo
            callàra     (lat. t. caldaria): caldaia

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        "M" – La lettera "m" (lat. m., pop. mi).
        Ha segno e suono come in italiano ma con più forte nasalizzazione.

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        GRUPPO "MM"
        Nei dialetti meridionali, e specie entro i confini geografici segnati dall'isoglossa "la Cimice" (AIS - III, 473) si sono verificati importanti passaggi linguistici: dal nesso originario "MB" a quello "MM", da "ND" a "NN" e da "NT" ad "ND". In questi "passaggi", come si può vedere, il sostrato italico genera alcune fondamentali alterazioni del latino.
        Il gruppo "mb" dell'etimo è uguale ad "mm":

            palòmma           (lat. v. palumba): palomba
            hammàle           (lat. t. gamba): gambale
            'mmùto              (lat. v. imbutu): imbuto
            ammasciàta       (lat. v. ambactia): ambasciata, servizio

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        "N" – La lettera "n" (lat. n, pop. ni).
        Ha segno e suono come in italiano ma con più forte nasalizzazione. Quando precede la lettera "s" la trasforma in "z" sonora ma dura.

        Esempi:
            pinzà'           (lat. pensare): pensare
            'nzòmma      (lat. in + summa): insomma
            cunzènzo      (lat. consensu): consenso
            cunzèrva      (lat. cum servare): conserva

        GRUPPO "ND"
       
La lettera "n" seguita dalla lettera "t" dà origine al gruppo "ND". Già nel greco moderno il gruppo "nt" ha il suono esplosivo dentale della "d". Ciò, come detto avanti, si ripete da noi per la lettera "t" preceduta dalla "n" (7). Cioè, il gruppo "nt" dell'etimo è uguale ad "nd".

        Esempi:
            andìfina        (gr. antiphona): antifona
            pandàno       (lat. pantanu): pantano
            cundèndo     (lat. contentu): contento
            lindo             (lat. lentu): lento

***

        GRUPPO "NN"
        La lettera "n" seguita dalla lettera "d" dà origine al gruppo "NN" come in quònno (quando). Questo nesso, più degli altri, ci aiuta a stabilire, in forma ampiamente documentata, lo sviluppo linguistico e culturale degli avi, il grado e l'incisività dell'azione esercitata dai Sanniti e dagli Irpini sulla lingua e la cultura dei Romani. (8)
        Il gruppo "nd" dell'etimo è uguale ad "nn":

            hrànne       (lat. grande): grande
            cannèla      (lat. candere): candela
            cunnùtto    (lat. conductu): condotto
            fùnno         (lat. fundu): fondo
            mùnno       (lat. mundu): mondo

        "P" – La lettera "p" (lat. p, pop. pi).
        Ha segno e suono come in italiano. Preceduta dalla lettera "m" (nasale) tende ad assumere il suono occlusivo della lettera "b".

***

        "Q" - La lettera "q" (lat. ku o cu, pop. qu).
        Ha segno (qu) e suono (occlusivo velare sordo) come in italiano.

***

        "R" – La lettera "r" (lat. re, pop. ri).
        Ha segno e suono vibrante come in italiano.
        La prepositiva latina "re" si è mutata sovente in "ri" ed in "ra". Davanti a vocale si riduce addirittura in "r"; davanti ad "a" risulta prefisso o preposizione (lat. re-ad) con valori iterativi ed intensivi:

            ri (lat. re = ri) = di + ra (lat. re-ad = ra) = da


        Più in generale, la lettera "r" si commuta con la "d" (vedi lett. "d") e con la "l" come in:

            lu carcàgno    (lat. calce): il calcagno
            lu còrmo        (lat. culmu): il culmo
            la pòrpa         (lat. pulpa): la polpa

        La "r" delle desinenze latine "rius" e "rium" elimina "ius" e "ium" e richiede una vocale semplice:

            lu cartàro      (lat. t. chartarius): il cartaio
            lu furnòro      (lat. fornarius): il fornaio
            lu culatùro     (lat. colatorium): il colatoio

***

        "S" – La lettera "s" (lat. s, pop. si).
        E' consonante sibilante sorda (ru rìso, il riso) o sonora (la ròsa, la rosa). Quando la "s" precede "ci" e "ce" (sci, sce) tutto il digramma si pronunzia con suono sibilante palatale come nell'italiano "pesce" e "pesci".
        La lettera "s" è anche prefisso e come tale rappresenta la continuazione della preposizione latina "ex" col significato di: "uscita", "via", "allontanamento", "fuoruscita" e simili:

        Esempi:
            scì'             (lat. ex-ire o gire): andar via
            sciò           (voc. pre-rom. onoro.): voce per allontanare i polli
            scialà'        (lat. exhalare): scialare
            sciuppò'     (lat. exstirpare): estirpare

        Come prefisso indica, altresì, valori negativi: carè' (cadere) cadere = scarè' (excadere) scadere e privativi: 'nculpò' (inculpare) incolpare = sculpò' (ex culpa) scolpare.

***

        GRUPPO "ŜK"
        Il gruppo "
ŝk" sia nei segni grafici che nel suono conserva le sue peculiari caratteristiche. In effetti, questo gruppo è l'elemento fondamentale di riconoscimento dei prestiti lessicali, delle parole di origine germanica (vuoi longobarda, vuoi gotica, ecc) assimilate dalla nostra parlata.
        Per una corretta pronunzia di "
ŝk" basta dare alla "s" il suono sibilante palatale che ha nel digramma "se" (sc[e]mo) e alla "k" il suono gutturale sordo di cui si è detto.

        Esempi:
            à
ŝka           (long. aska): scheggia, pezzo di legna spaccata
            frì
ŝko         (germ. frisk): fresco
           
ŝkùma        (germ. skums): schiuma
           
ŝkèna         (long. skena): schiena
           
ŝkìfò           (long. skif): schifo

A PROPOSITO

        Doveva essere certamente longobarda l'espressione: A l'à
ŝka tòja!, nel senso di: All'anima tua! Oppure: Mannàggia l'àŝka tòja per non dire: Mal ne abbia l'anima tua. L'àŝka però non è l'anima.

        "T" – La lettera "t" (lat. t, pop. ti).
        Ha segno e suono come in italiano.

***

        "V" – La lettera "v" (lat. v, pop. vi o vu).
        Ha segno e suono come in italiano, ma la sua storia fonica coincide, almeno fino al sec. XVI, con quella della "u".
        Nonostante la differenziazione dei due relativi segni grafici essi vennero usati promiscuamente, senza una norma fissa, per i due suoni di "v" ed "u". Ancora oggi, nelle forme orali ed in posizione intervocalica (specie se preceduta dalla "u" in articolo) la "v" diventa "u" e come tale forma dittongo con la vocale che segue. (9)

        Esempi:
            lu uèrro        (lat. verre): il verro
            lu uìno          (lat. vinu): il vino
            lu uìzio         (lat. vitiu): il vizio
            lu uèspiro     (lat. vesperi): il vespero
            Giu/uònni     (ebr. Jehova-hann): Giovanni

        Della "v" intervocalica che si scambia, già dall'età imperiale, con la "b" (a ru bbirè' = al vedere; avere (lat. habere) avè') si è già detto trattando del "betacismo". Ma la "v" può essere anche l'esito di una "p"odi una "r" latine intervocaliche come in:

            povirìddo (lat. pauper-eris): poverello

        "W" – La lettera "w" fu introdotta nel Medioevo per indicare la "u" semivocalica. Nella nostra parlata la "w" è ancora "u" e come tale forma dittongo con la vocale che segue. La "u" sostituisce la "w" specie quando questa trovasi all'inizio di parole di origine germanica (longobarda, francofona, ecc.). (10)

        Esempi:
            uàjo     (germ. wai): guaio
            uèrra     (germ. werra): guerra
            uardà'   (germ. warten): guardare
            uàndo   (germ. want): guanto

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        "Z" - La lettera "z" (lat. z, pop. zi o zeta).
        Ha segno e suono come in italiano. Si commuta con la "s" quando questa è preceduta da consonante nasale. Sostituisce in molti casi il gruppo "rs" e quello finale "cci" come in mùzzico (morso) e in fàzzo (faccio).
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(1)     "betacismo" ed il nesso "b" = "v" e viceversa sono testimoniati dalle iscrizioni trovate nelle catacombe romane di Commodilla, nelle "Storie de Troja et de Roma" del '200 e nella "Vita de Cola da Rienzo" del '300. Ciò dimostra anche la presenza di alcuni "caratteri" meridionali nella parlata dell'antica Roma.
(2)     Nel tempo, anche le gutturali etrusche dovettero articolarsi diversamente tanto che i toscani, già Etruschi, usano al posto della "c" dura, occlusiva una "h" spirata: la hasa (la casa), la hampana (la campana), la hoda (la coda), la hosa (la cosa).
(3) I cultori della lingua latina discutono e polemizzano, ancora oggi, sul come era o poteva essere, nell'età classica, la dizione di "ki" e "ci", di "ke" e "ce". E' certo, si fa notare dai più, che applicando l'attuale fonetica, la lettura delle sillabe suddette risulta distorta ed errata. La parola "Cicero", essi affermano, dovrebbe correttamente pronunziarsi "Kikero" (Chichero).
(4) I prestiti lessicali germanici (vuoi longobardi, vuoi gotici) sono numerosi anche perché quest'area è compresa nelle isoglosse (AIS. VIII - 1502, 1507, 1523) di ROKKA = Ròcca = Conocchia, di SKOSS = Sunòle o Sinàle = grembiule, di WINDU = Uìnilo = guindolo.
(5) Solo dopo il Mille, Guido d'Arezzo (995-1050) solfeggiando l'inno a S. Giovanni indicò e stabilì con le sillabe iniziali dei versi l'ordine e la dizione attuale delle note musicali.
(6) Nelle parlate dei paesi vicini e, in parte, in quelle meridionali la "g" iniziale è assente come segno e come suono: iallina (gallina), ienuru (genero), iocu (gioco), ittà' (gettare), omma (gomma), iocari (giocare), ranu (grano), razia (grazia), priàri (pregare).
(7) Nd per nt, candàre per cantare, màndo per manto, mondòne per montone, mandèllo per mantello sono gli errori più comuni di ortografia dei bambini di queste scuole elementari.
(8) In Osco-Umbro si trova Sakrannas per Sacrandas, Upsannas per Operandam; in antiche iscrizioni pompeiane si trova Verecunnus per Verecundus, Secunnus per Secundum; in pianto (Miles Gloriosus, 1407) Dispennite per Dispendite, ecc. Altre testimonianze in questo senso si trovano nell'Appendix Probi, nei "documenti" di Cava dei Tirreni, nel "Contrasto" di Cielo d'Alcamo, in Jacopone da Todi, ecc.
(9) La necessità di una distinzione tra la vocale "u" e la consonante "v" fu sostenuta in Italia, per la prima Volta, da G. G. Trissino (1524). Ma in alcune annotazioni del parroco di Vallata Don Bartolomeo Vella (1637-1703) e specie in quella sul Registro dei Defunti dell'Anno Domini 1700, riportate da Don Gerardo De Paola (Vallata - rassegna storica civile religiosa - Valsele Tipografica Napoli - pagg. 173 e 174), troviamo: Giouànna per Giovanna (della Tolta) duchessa di Grauìna per Gravina, uenuto per venuto, uìta per vita, haueuàli per avevate, Arciuescovo per Arcivescovo, Beneuènto per Benevento, ecc.
(10) 1 prestiti lessicali germanici sono, per lo più, voci e parole attinenti al linguaggio militaresco.

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