Emilio Paglia - Trevico Cristiana - RITO

RITO.
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        La prima comunione per i bambini del paese, Trevico, era un evento molto atteso dopo la lunga preparazione diretta dal parroco, con in mano l'immancabile lunga canna.
        La data era stabilita per il giorno della Domenica delle Palme.
        Eccomi all'appuntamento festivo: bel vestitino nuovo, camicia con fiocchetto, scarpe lucide e via per l'incontro con gli amichetti coi quali eludere al meglio il tempo, giocando, fino all'ora di mezzogiorno, quando il Campanone avrebbe annunciato l'inizio della grande e attesa cerimonia.
        Ricordo bene che del mio vestitino nuovo mi ingombravano le tasche del giacchettino, da ometto, belle ricolme di biscottini, caramelle e cioccolatini.
        Mia madre mi aveva severamente ammonito che avrei dovuto mangiare quella golosità solo dopo la comunione.
        La ritualità, severamente, prescriveva: "Anima santa e corpo digiuno".
        Le lunghe ore, a partire dalla mezzanotte precedente fino al rito di mezzogiorno facevano avvertire, imperiosa, la fame... ma era peccato cui non contravvenire.
        Le ore di gioco acuivano vieppiù la fame e... come resistere a quella grazia di Dio riposta nelle tasche gonfie?
        Ad ore avanzate del mattino le mani erano sempre lì a rimestare, con le dita, caramelle, biscottini e cioccolatini.
        Quando poi i morsi della golosità si facevano più avvertire cominciai a farmene una ragione a dispetto delle regole: la decisione finale fu di nascondermi dalla vista di tutti, fin dal cielo, e dare sfogo alla fame.
        Svuotate le tasche cominciò il ravvedimento... In fin dei conti non m'aveva visto nessuno!
        E... giunsero i primi rintocchi a gloria del Campanone per richiamo alla Messa.
        Non potevo restare per strada, né presentarmi a casa, così mi confusi fra gli amichetti diretti in chiesa.
        Durante la cerimonia, fino al momento di muoversi dai banchi per recarsi all'altare maggiore, io rimasi impietrito dal rimorso del peccato di gola commesso.
        Una mia zia me ne chiese la ragione.
        Le dovetti confessare il mio peccato.... e lei pronta: "Figliu mii nun fac'niend! Va' subb't' all'altare!”
        Mi inginocchiai sul gradino, tenendo timorosamente la bocca socchiusa lasciai che il sacerdote mi somministrasse l'Ostia consacrata.

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