Vallata - brevi cenni storici - Vallata e l'Irpinia tra passato e presente, lavoro svolto nel 1991 dalla classe Terza A della Scuola Media di Vallata e curato dal prof. Giuseppe Soldati

La divisione del demanio in quote dall'età Napoleonica ai giorni nostri.
_____________________________

        Come si è visto a proposito della legge 2-8-1806 che aboliva la feudalità, i comuni si trovarono possessori di ingenti misure di terreno di provenienza feudale e clerale che di lì a poco, in ottemperanza a leggi specifiche che regolamentavano la materia, si apprestavano a dividere tra i cittadini. Dal Bollettino della Commissione feudale sappiamo che nel 1810 erano stati assegnati al comune 380 tomoli del territorio di Maggiano da vari atti demaniali del 1813 che Vallata beneficia va dell'assegnazione di parte dei boschi di San Pietro Scampitella. Queste terre furono divise tra gli abitanti di Vallata?
        All'Archivio di stato di Avellino abbiamo trovato un elenco di tutti gli atti demaniali riguardanti Vallata dal 1810 ai giorni nostri. Credendo di fare cosa utile a chi voglia prendere spunto per eventuali approfondimenti alleghiamo copia dell'elenco. Scorrendo le intestazioni si riesce tuttavia a dedurre alcuni importanti aspetti. Il demanio di Maggiano, come ci chiedevamo prima fu quotizzato (v. fasc. 3519 a. 1831 b. 512); i possessori delle quote dovevano pagare un canone e a volte, il tardato o l'omesso pagamento dava origine a delle cause con il comune (b. 513 fasc. 3522 a. 1858/69). Si verificarono anche delle usurpazioni e quindi si ebbero da parte del comune delle riquotizzazioni (b.513 fasc. 3524 a. 1871/83). Le contrade coste, San Vito e Santa Maria consentivano l'esercizio degli usi civici.
        Quindi si presuppone fossero terre demaniali indivise (b. 515 fasc. 3536 a. 1894/1911). Si poteva rinunciare alle quote assegnate presentando un'istanza agli organi comunali (b. 515 fasc. 3537 a. 1895). Le quote venivano assegnate mediante sorteggio (b. 516 fasc. 3541 a. 1925/32). Gli usurpatori potevano legittimare il possesso di quote in seguito a istanze agli organi competenti (b. 518 fasc. 3555 a. 1933). All'opposto alcuni lasciavano le terre occupate con una dichiarazione di bonaria rilascio (b. 518 fasc. 3557 a. 1933). Durante il fascismo ci fu un'intensa attività del comune volta a regolarizzare i rapporti con i quotisti e nel 1938/39 furono ripartiti altri demani liberi.
        Infine quali terre furono quotizzate? Pensiamo di poter rispondere come prima scorrendo i titoli delle contrade menzionate. Risulta pertanto, in ordine cronologico, che sono state divise le seguenti contrade: Mezzana Perazze, Macchitella, Valloncastello, Maggiano, Piano delle Rose, Mezzana Valledonne, Fasce, Serramartello, Madonna del Carmine, Foresta, Forma. Dall'atto "Stato nominativo di tutti i possessori di quote di demani suddivisi nel comune di Vallata ... in data 24.8.1839" risultano: denominazione del fondo suddiviso, la provenienza, l'estensione, l'estensione di ciascuna quota e rispettivo canone, il nome dei quotisti. Pertanto la situazione al 1839 era:
        Mezzana Perazze, demanio antico del comune, di 1030 tomoli, tutto diviso il 21.11.1805 dalla Deputazione comunale di Vallata.
        Macchitella antico demanio comunale di 46 tomoli, tutto diviso come sopra.
        Vallon Castello Nuovo, antico demanio comunale di 49 tomoli tutto diviso come sopra.
        Coste, antico demanio comunale, di 21 tomoli tutto diviso come sopra.
        Maggiano, terra dell'ex feudatario, duca di Gravina, di 380 tomoli tutto diviso nel 1810.
        Farullo, antico demanio comunale, di 43 tomoli tutto diviso come sopra.
        Serro Martello, fondo comunale antico, di 17 tomoli tutto diviso come sopra.
        Pozzillo, fondo comunale antico, di 4 tomoli tutto diviso come sopra.
        Serra Campese, fondo comunale antico, di 67 tomoli tutto diviso come sopra.
        Giardino, fondo comunale antico, di 10 tomoli tutto diviso come sopra.
        Valloncastello, vecchio fondo comunale di 257 tomoli tutto diviso come sopra.
        Terre clerali, di varie denominazioni, furono assegnate dal clero in compenso dei diritti civici che il comune aveva sui fondi dei clero, di 275 tomoli, tutto diviso come sopra.
        Concludendo: alcune terre furono già divise nel 1805 cioè prima del governo napoleonico e confermate poi nel 1810, anno in cui furono divisi la maggior parte degli altri fondi. Dei fondi divisi solo Maggiano era di provenienza feudale, gli altri erano demani antichi comunali. Anche per il clero come per il feudatario si è avuta una confisca delle terre in forza degli usi civici che il comune vantava sulle stesse. Al 1839 le terre divise in quote tra gli abitanti di Vallata ammontavano a tomoli: 2199, cioè 733 ha. Abbiamo tuttavia, grazie ad uno studio approfondito di T.M. Pavese in "Scritti vari" 1929, allargato le nostre conoscenze e chiariti alcuni dubbi sul demanio. L'autore a principio di trattazione espone la sua personale diffidenza per la divisione delle terre per quote individuali. Ciò provoca, infatti, una "polverizzazione dei domini pubblici collettivi, facili ad essere travolti nella miseria, nella vendita volontaria o nell'espropriazione, prima che si sia ottenuta un'intensificazione culturale delle piccole quote individuali ". Pavese si dimostra inoltre pessimista sulle possibilità di cambiare e migliorare le condizioni dell'agricoltura con questo sistema, perciò si chiede se non sia preferibile unire le forze ... formando de' demani popolari su regime cooperativo". Con straordinaria intuizione Pavese vedeva nel regime cooperativistico, che è mancato alle nostre terre, ma che tanto ha meritato altrove, la soluzione ai mali dell'agricoltura.
        Venendo all'analisi storica, Pavese ricorda, la divisione effettuata in data 25.6.1810 dal commissario regio Giampaolo. Risultavano esserci allora 3150 moggi circa di beni patrimoniali più fondi ecclesiastici dell'estensione di 2975 moggi, sui quali l'università aveva il diritto dell'erba. Essendo il moggio equivalente a ettaro 0,33 e facendo un semplice calcolo, ne deriva che circa 2000 ha, poco meno della metà dell'attuale superficie territoriale, consisteva di beni demaniali ed ecclesiastici. Confrontando i dati forniti da Pavese con quelli ricavati da noi dall'atto demaniale su menzionato, riscontriamo una differenza di 951 moggi. Infatti Pavese documenta la quotizzazione di alcune contrade e non presenti nel nostro documento, ma di cui si aveva notizia dalla scorsa agli altri atti demaniali. Soprattutto di Piano delle Rose (146 moggi) e mezzana Valle donna (ben 1076 moggi!). Come si spiega questa differenza, considerato oltretutto che il dato fornito da Pavese è anteriore (anno 1810) al nostro (anno 1839) ?. Certamente la distribuzione delle terre è continuata nel tempo, a più riprese. Scorrendo i titoli e le date degli atti demaniali si incontrano per la prima volta assieme i demani di Piano delle Rose e Mezzana Valledonna a proposito di un atto (b. 513 fasc. 3524 ): riquotizzazione dei demani Piano delle Rose e Mezzana Valledonna anni 1871/1883. Riquotizzazione significa che sono stati già quotizzati, ma quando? Non ne è rimasta traccia, a meno che non fossero denominate diversamente. Un altro atto, seguente nella numerazione, ma anteriore nella cronologia: (b. 513 fasc. 3525 a. 1877) può forse dare una risposta: "Atti di rito per la quotizzazione eseguita nel 1877 dei demani Mezzana Perazze, Fasce, Mezzana Valledonne e Piano delle Rose". Da ciò risulterebbe che la quotizzazione è avvenuta nel 1877 e non nel 1810. In forza di ciò si può supporre che si sia anticipata una situazione che di fatto è posteriore. Cioè i tremila cento cinquanta (3150) moggi di cui parla Pavese possono ritenersi determinati all'incirca nel 1880 e non prima. 2199 circa, come risulta dal nostro atto doveva essere 1'estensione delle terre demaniali divise nel 1839 e poi, via via, per successive suddivisioni, essa si è allargata fino a raggiungere l'estensione di circa 3150 moggi negli anni 1880.
        Dopo aver Pavese illustrato il quadro del patrimonio demaniale al 1810, viene ai giorni suoi (1929). Il demanio era allora di circa 1400 ha (pari a 4200 moggi) di terreno per lo più seminatorio, boscoso e frutteto. Ribadisce la triplice origine dei patrimonio demaniale: universale, feudale, ecclesiastica. Quella universale è di antichissima data, la feudale si riporta all'ex feudo del principe Orsini, duca di Gravina; il demanio ecclesiastico fu trasformato in demanio comunale dopo le leggi eversive della feudalità.
        Le piante e gli atti demaniali sono andati in parte dispersi per incuria o "per sottrazione da parte dei posteriori amministratori del comune, alcuni dei quali ... furono i principali usurpatori del demanio comunale, diventando così tra i maggiori proprietari del luogo". Le quote assegnate nel 1811 furono date in perpetuo, a titolo di concessione enfiteutica. Veniamo ad apprendere a questo punto da Pavese quale sia stata la sorte delle terre di S. Pietro e Scampitella contese da Trevico e Vallata, come abbiamo già visto in altra parte. Ebbene si dice che tali terre "sono state sempre e sono, attualmente (1920 c.a.) godute dal comune di Trevico".
        Dal 1810-11 sino al 1882 non si ebbero sostanziali novità. Dice Pavese "Il demanio si rimpicciolisce per effetto di continue usurpazioni dei proprietari finitimi ... per l'occupazione di terreni non quotizzati; contemporaneamente le rendite dei comune vanno diminuendo". Nel 1889 venne approvata una nuova quotizzazione. Fino al 1826 la quotizzazione rimase esattamente conservata; poi incomincia un abbandono di quote, delle quali buona parte viene usurpata. Il canone è stato pagato con regolarità, ma ora (1920) molte quote non si trovano nelle mani degli originari quotisti, ma di terzi che pur con regolare atto, hanno acquistato le terre prima dello scadere dei termine del divieto. Ancora apprendiamo un dato che merita conferma, cioè che nell'800 vi erano molti pascoli e boschi sui quali veniva praticata una fiorente industria dei latticini, pelli e carni. "Erano parecchie centinaia di ettari a pascolo e bosco. Nel 1887 scomparvero i boschi e i pascoli e subentrarono le colture agrarie".
        Ora stando ai documenti consultati: il catasto di istituzione napoleonica del 1824 e i censimenti dell' agricoltura del 1929-'70 e '82 abbiamo dati che smentiscono questa affermazione.
        Nel 1824 si hanno: seminativi, 3375 ha; pascoli 605 ha, frutteti 287 ha; boschi 103 ha; seminativi arborati 172; nel 1929: seminativi 3375 ha; prati permanenti: 900 ha; colture legnose 115; boschi 142;
nel 1970: seminativi: 2814; prati: 982; colture legnose 116; boschi 472; nel 1982: seminativi: 2215, seminativi arborati 389 = 2604; pascoli 1173; frutteti 27; boschi 677.
        Dal 1824 al 1929 la situazione è quasi immutata: si ha una netta prevalenza di seminativi, mentre i boschi sono poco estesi (nel 1824 solo 103 ha!). Decisamente cambiata la situazione oggi dove i seminativi hanno segnato una evidente diminuzione: da 3375 a 2215 nel 1982 a vantaggio dei pascoli (1173) e dei boschi 677. Torniamo al testo di Pavese. A p. 242 ci fornisce interessanti integrazioni alla legge 2.8.1806 sulla feudalità.
        La legge, infatti, 1.9.1808 stabilì che i demani di qualsivoglia natura ... fossero ripartiti tra i cittadini, per essere posseduti come proprietà libere ... col peso della corresponsione di un annuo canone". Un'altra legge del 3.9.1808 disponeva che le parti di terreno toccate in sorta a ciascuno non potessero in alcun modo vendersi, nè ipotecarsi per le spazio di 10 anni. Se i possessori delle quote non pagassero il canone per 3 anni sarebbero scacciati (il testo dice "devoluti") dai fondi concessi. Da allora però, del che più volte si lagna il Pavese, sono avvenuti vari e continui atti illegali: vendite prima dello scadere del termine del divieto, usurpazioni, occupazioni di terreni non quotizzati. La conseguenza di ciò è il dissolvimento della proprietà comunale che si riduce di centinaia di ettari. "Ciò forse perché una parte delle quote è stata ora intestata direttamente agli attuali livellari o fittuari ... c'è chi possiede più di una quota, mentre paga il fitto per meno; e qualcuno ... pur forse possedendo (una quota) non paga nè fitto, ne canone ". Ma ciò che più ha scandalizzato è che "gli usurpatori ... non hanno da tanti anni pagato neppure la fondiaria, giacchè i terreni sono sempre stati intestati al comune che ha pagato, mentre altri ne hanno riscosso le laute rendite, e sono diventati ricchi".
        A normalizzare le cose intervenne allora, a conferma del fatto che l'arte del condonare è tipicamente italiana, una legge 22.5.1924 che consentiva di legittimare le occupazioni, su domanda degli occupatori, purchè vi fossero certe condizioni: che l'occupatore vi avesse apportato migliorie, che l'occupazione durasse da almeno 10 anni. La stessa legge in altri articoli divideva i terreni in due categorie: a) terreni destinati a bosco. e pascolo; b) terreni destinati a coltura agraria. I terreni di cui alla lettera a) non potevano essere alienati o ricevere altra destinazione, senza l'autorizzazione del Ministero dell'economia nazionale. I terreni, invece, di cui alla lettera b) cioè i terreni in cui si esercitavano usi civici (cioè di proprietà comunale) dovevano essere ripartiti fra i contadini, con preferenza per quelli meno abbienti. Infine i canoni dovevano essere aumentati in modo proporzionale al valore attuale delle terre.
        Dopo il riordino operato durante il fascismo, qual è la situazione oggi? Da indiscrezioni abbiamo saputo che dopo i disordini scoppiati sul finire degli anni '40 il comune ha continuato a riscuotere il canone ancora per un pò. Dal 1956 il comune, forse per motivi elettorali, non riscuote nemmeno più il canone. La situazione quindi avrebbe bisogno di chiarimento.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home