Vallata - brevi cenni storici - Vallata e l'Irpinia tra passato e presente, lavoro svolto nel 1991 dalla classe Terza A della Scuola Media di Vallata e curato dal prof. Giuseppe Soldati

I moti liberali in Irpinia.
(tratto da "Valagara - Un secolo di vita avellinese).

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        La provincia di Avellino partecipò da protagonista ai moti libera li del '20. La Carboneria, organizzata in "vindite riformate", sotto la guida di Lorenzo De Concilii, capo dello stato maggiore di Guglielmo Pepe, supremo comandante delle milizie dei due Principati, tesseva le fila del complotto stabilendo contatti coi rappresentanti di Bari, di Lecce e della Basilicata. Infine ruppe gli indugi e organizzò una manifestazione armata in piazza.
        La notizia del fatto giunse a Nola dove due ufficiali: Morelli e Silvati, nella notte del 1 Luglio 1820, disertarono seguiti da 127 militari e 24 carbonari e si accamparono a Mercogliano. Qui furono raggiunti da altri reparti e dal sergente Politi, che ne assumeva il comando. Raccolte in Avellino tutte le compagnie dei militi della provincia, il Politi publicava il proclama ai popoli irpini. Ad Avellino fu proclamata il 2 luglio 1820 la Costituzione del Regno e di lì partì la marcia dei Carbonari su Napoli? Il moto, però, come si sa fallì, e ad essi seguì spietata la repressione di Ferdinando I "non vi fu famiglia di (quella travagliata provincia che dopo ìl ritorno di Ferdinando I ... non contasse alcun caro nelle prigioni, nelle galere o nell'esilio".
        Il 1848 vide gli Irpini partecipare con grande moderazione. La Guardia nazionale si mantenne "costantemente costituzionale e fu pronta a sedare ogni tentativo di rivoluzione republicana. Gli Irpini fidando nella Costituzione concessa da Ferdinando II ritenevano che ogni discussione o proposta di cambiamento dovesse avvenire nell'aula parlamentare. Tra i deputati irpini vi erano: Imbriani, De Sanctis, Mancini che il 15 maggio pronunziava una invettiva contro "la truppa briaca di sangue" che scacciava gli eletti della Nazione. Anche allora la repressione fu dura e molti patrioti furono rinchiusi nelle prigioni di Montefusco e Montesarchio. Le persecuzioni non ebbero "né modo, nè misura" tanto che si inviò a domicilio coatto l'abate P. Ciampi che aveva benedetto i patrioti condotti al carcere.
        Ciò nonostante non fu spenta la fiamma liberale e vivi si mantennero i rapporti tra i liberali irpini e i napoletani. Così che quando Garibaldi avanzava nel meridione "il comitato avellinese si preparò alla riscossa". Istruito dal Valagara sul da farsi, il comitato Avellinese, con alla testa Lorenzo De Concilii, proclamava in Ariano il 4 settembre, dal palazzo vescovile il governo provvisorio in nome del Re e del dittatore Garibaldi. La prontezza con cui si operò soffocò il tentativo dei mazziniani "per mutare l'indole dell'italiano rivolgimento". Alla provincia infatti andò il vanto "di aver salvato il Mezzogiorno da un eccesso politico..."
        Ma agli "italiani " si opposero prontamente i fautori dei Borboni La plebe di Ariano quando seppe che la colonna borbonica del generale Flores stava avvicinandosi, insorse, in nome dei Borboni e della santa fede, contro una colonna dei liberali che proveniva da Sant'Angelo dei Lombardi e mise in fuga il comitato avellinese che a stento riusciva ad aprirsi la via verso Greci. Da Ariano la reazione si propagò in altri comumi, soprattutto in Montemiletto dove fu domata dalle guardie nazionali di Avellino e comuni limitrofi. Ma poco dopo, nel luglio '61 essa si ridestò "in tutti i comuni della cresta montuosa che si estende da Montemiletto a Chiusano appoggiata dalle bande brigantesche".
        Per combatterla e vincerla occorse l'impegno eroico delle Guardie nazionali e, come sappiamo, l'eccezionale intervento dell'esercito e l'adozione di leggi e misure straordinarie. Ma il brigantaggio, "ultimo esercito dei Borboni", è questione più complessa e rimandiamo ad altra parte.

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