Anno II - Vallata Giugno-Luglio 1931 - IX N.3- SANTA MARIA DI VALLATA

 

SOMMARIO

Il Paese prediletto da Santa Maria . . . . . .pag.   1
Grazie ed offerte. . . . . . . .  . . . .. . . . . . . .pag. 19
Oggetti votivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 23

________________________________________________________________

 

ABBONAMENTO ANNUO ANTICIPATO

Ordinario……………………………..  L.  5.
Benefattore.…………………………..  » 25.
Sostenitore.…………………………...  » 50.

Per l’estero : rispettivamente il doppio

________________________________________________________________

Progetto del santuario della Madonna di Vallata

 

Anno II                          Vallata Giugno-Luglio 1931 – IX                       N.3
════════════════════════════════════════════
S. MARIA

NELLA STORIA E  NEL SENTIMENTO POPOLARE
════════════════════════════════════════════

IL PAESE PREDILETTO DA S.MARIA

——————————————————

            Vallata è uno dei paesi prediletti da Santa Maria. Questa per nostra designazione, per Sua elezione, è la più grande nostra concittadina: oltre al perché qui ha scelta una delle tante ammirabili Sue residenze terrene, anche perché noi d’altra parte – brameremmo che fosse così – Le vogliamo più bene. È superfluo dire che essa è la più grande, la più degna cittadina pure del mondo intero. E giacchè Vallata per Santa Maria ha quasi attinto i fastigi della notorietà, è opportuno , starei per dire, è necessario che, cittadini e forestieri, di Vallata conoscano, almeno brevemente, la descrizione e la storia.
            Per la sua altezza Vallata è uno dei paesi più panoramici dell’Irpinia. Offre essa medesima un bel panorama. Vista dalla Nazionale che mena ad Andretta-Melfi, Vallata presenta le sue case quasi allineate su un rialto, a forma come di un triangolo quasi equilatero, avente per angoli base – le estremità del paese – due cappelle. S. Vito ed i Morti, e per vertice la Chiesa Madre, il cui alto campanile, ora dirupo in seguito al terremoto del 23 luglio 1930, costituiva il punto culminante che ha dominato, fino a ieri, non solo sul nostro villaggio, ma anche su molti de’ Comuni vicini, per cui quasi costituiva un luogo di riferimento. Dalla strada cennata, le case si mostrano disposte a terrazze, ad anfiteatro; ora con tegole rosse, ora con vecchi embrici ammuffiti, indici di una civiltà rimasta ancora un pò rude del paese. Sulle tettoie occhieggiano spesso finestre e balconi, che si aprono ai zeffiri, ai raggi di splendido sole o di mite luna, o si chiudono ermeticamente agli urli del vento, ai nuvoli che chiazzano il cielo, agli scrosci della pioggia, al turbinio del nevischio. L’abituale silenzio è raramente interrotto dai carri e da vetture che passano e da schiamazzo di fanciulli; oppure è cadenzato dal canto de’ contadini, pigolii e da gorgheggi di uccelli. Vigneti, boschi rari, estesi orti e prati, frequenti alberi da frutto stendono al sole i variopinti fiori, le loro erbe, le loro foglie, verdi nelle gaie stagioni, o gialle e rossicce per i rigori dell’autunno e del verno.
            Visto dalla rotabile che mena a Trevico, il paese si stende, sul ridosso di una collina, a forma di rettangolo; e le sue case, i piccoli palazzi, or anneriti or bianchi, si beano allo zeffiro e al sole, mostrando i loro tetti ricoperti, come si è acennato, da oscuri embrici o da tegoli rossi. Da i due lati è circondato da estese boscaglie verdi, che a destra scendono verso Carife e si elevano verso Frigento; a sinistra si allargano verso il confine tra l’Irpinia e le Puglie, mentre qua e là il verde è framezzato da campagne sative, che mostrano il biondo del grano o delle stoppie. Nel cielo un pò velato per l’aria o tra l’ombria degli alberi, pigolano, canterellano gli uccelli. Ondate fresche di vento temperano l’arsura del luglio. Oltre le sinuosità profonde de’ due lati del paese, si elevano i monti di Trevico; e più in là, intorno, la cima ondulata della linea di montagne degli Appennini. La strada di circonvallazione, grigio nastro, circonda il paese. In principio di essa, il monumento alla Vittoria dispiega le sue ali sotto cui raccoglie il nome de’ nostri caduti nell’ultima guerra. Le ampie anfrattuosità con i profondi scoscendimenti del terreno, e di molti tappeti verdi, per orti e granturco, o per querci, olmi, pioppi, castagni, olivi ed altri alberi fruttiferi che si elevano nell’aria, sono interrotti da lunghe strisce di strada serpeggianti. Aeree scolte che appena biancheggiano, Anzano, Sant’agata, Ortanova; Stornara, Stornarella, il monte Gargano, Ascoli Satriano, Candela, Rocchetta , i pressi di Lacedonia, il castello di Bisaccia, Pescopagano, Andretta, Teora, San Fele, Guardia e Sant’Angelo dei Lombardi, sulle vette de’ monti sembrano attingere il cielo. Da San Vito, infine, Vallata si mostra circondata da una conca verde a sinistra, da una conca d’oro a destra, sempre verso oriente: cioè, a sinistra, orti, alberi, granone;  a destra ampie praterie a grano. D’intorno sempre la stessa catena resegata degli appennini e gli stessi paesi; doline, ondulosità del terreno, colline, la Puglia. Ad ovest, anche dalla cappella di San Vito, si vedono altri paesi,  pur essi innanzi menzionati; più presso c’è il verde; più lontano il biondo del grano, un’ondulazione del suolo quasi orizzontale, pianeggiante; monti più alti e più massicci di quelli ad est: di là è, infatti, la Puglia; di quà la Campania. In condizioni adatte di luce, si scorge il Vesuvio; i monti di Trevico, troppo denso sipario, impediscono la vista dei lontani Abruzzi.
            A Vallata è piacevole abitare d’estate per l’aria salubre; ma è malagevole nell’inverno pel gran freddo, tanto più sensibile perché il suo territorio, come dicevano anche gli antichi cronisti, è scarso di legname. Vi sono vini mediocri e buonissime acque. Ha avuto vari principi d’illustrissimo casato; come i Borgia e Tufo piissimi e benefattori della maggiore chiesa del paese; e gli Orsini che la governarono con quella pietà e munificenza verso i vassalli che fu propria della loro famiglia.
            Abbattuto per il terremoto, non più canta lieto il campanile, annunziando il giorno. Ma, nell’autunno, è tutta una sonante cetra, è tutta fremiti d’anima vivente questa – che il sole beve – valle profonda. E di novembre l’imminente sole – d’un tenue lume – tra le soffuse nebbie, avido la bacia. Lenta di pampini una melodia corre profonda tra la terra e il cielo. Son vive cetre gli alberi che sussurrano, e gli echi mandano dalla terra al cielo. Foglie rossastre e quelle d’oro gialle – alianti farfalle, quasi desiderose di volare – cantano su robusti od esili steli: e gli ulivi allineati, dalla chioma non argentea, ma mesta e cupa, sognano di lontano la pace che negli animi fu. Sul dorso della collina più elevata tra le tante alture – guardando dalla rotabile che va a Carife – Vallata stende le sue case al lume del sole; le cappelle di S. Rocco e di S. Vito ne segnano il limite estremo. Sui declivi verdi e sulle rocce brulle, pascolano le greggi da’ campani loquaci: le viti brevi riposano dal maturato vino. Qual mai artista dal vivace estro il color vario ritrar potrà della silente valle? Il cielo uniformemente grigio sembra che s’effonda su campi ameni, variati di monti, piani e colline; ma le rondini non volano, non scherzano, non cinguettano più altri uccelli rigano lo spazio, trillando garruli, rapidissimi nel volo. Ripeto, questo a novembre, guardando dalla strada che va a Carife.
            Già descrissi l’ameno paesaggio che si vede da Santa Maria. Per gli usi e costumi di Vallata e per altri dettagli, rimando al mio volume «Scritti vari»: non è quì il caso di ripetermi ancora.
            Riassumo. Sul culmine di una ridente collina, recinta all’intorno dai monti d’Appennino digradanti in cerchio s’erge Vallata. La natura vi lussureggia pei verdi prati silenziosi, pei boschi ondeggianti al vento, per le estese campagne mediocremente fertili, che il più splendido sole inonda di luce, e la luna serena di languori. E piuttosto fredda d’inverno: ma rivaleggia coi più ridenti paesi della Svizzera per la freschezza dell’estate e per la bellezza pittoresca del paesaggio, dotato di un ampio orizzonte, che lascia scorgere lontani villaggi, il golfo e le campagne di Puglia ed il bollente Vesuvio.

***

            Forse  l’antica Vallata si estendeva sulla dorsale della collina dal borgo Sant’Antonio Abate a Santa Maria, come posizione più adatta alla sua difesa. Mancavano le case e le strade di via ponente, poi sopraggiunte sulla dorsale di tale collina dovette estendersi un lungo filare di case,  stabilì vedette per scorgere possibili avanzate nemiche. Gli archi del Rivellino e del Tiglio erano forse le porte che chiudevano il paese, ( porta del Piano era una terza porta nei pressi di San Rocco) munito e difeso ai due lati da scoscesi e burroni.
            Trevico ha quasi la medesima costruzione di Vallata: l’arco presso casa Ferrara (Porta Iacovella) ed un altro simile presso l’attuale casa Calabrese (Porta del Ricetto) furono le due principali entrate della citta(?). anche lì le case si stesero, come tuttora si stendono, vedette sulla dorsale del monte; e il diruto castello provvide non solo alla difesa di Trevico, ma anche di tutti i comuni contermini, a Trevico quasi figli. Nei tempi antichi, da quel castello tonò l’artiglieria a difesa di Trevico e delle prossime valli, borghi e colline: esso era una formidabile scolta lungimirante verso le Puglie, la Campania, gli Abruzzi. Rudi canti agresti di contadini e di villanelle solcarono l’aria, ma i nostri progenitori, quando fu necessario, non dissociarono la coltivazione de’ campi dalla cura delle armi. Così passarono gli evi, e maturò la nuova storia. Attraverso le induzioni, abbiamo, intanto, un pò squarciato il fitto velo della tenebra de’ tempi.
            Ecco come Quirino Trivero compendia la nostra storia: «Vallata siede su una collina circondata da valli, donde forse il suo nome, con territorio coltivato a cereali, vino e pascoli. L’aria vi è buona, e la posizione presenta de’ bei panorami, fino alla vista dell’Adriatico. Vi sono due cave, una di gesso, l’altra di pietre. Questo villaggio è d’origine longobarda. Nel secolo XV venne saccheggiato e rovinato dai francesi, condotti da Carlo VIII in Italia alla conquista del regno di Napoli. Al giovedì si fa mercato; ed il 15 giugno, fiera; il 26 agosto si festeggia Santa Filomena. Appartenne in feudo agli Orsini col titolo di Ducato.»
            Da Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, presso Vincenzo Manfredi, 1797, tomo X, rilevo altre notizie: «È facile il credere essere Vallata un paese sorto nei tempi longobardi. Vi nasce il torrente Carapella, detto da’ paesani la Fiumara. Le produzioni consistono in grano, granone, legumi, vino, e vi si coltivano anche gli ortaggi. Dalla parte di oriente è la mezzana detta delle Perazze, un tempo addetta alle regie razze, da pochi anni resa a coltura; vi è altra mezzana detta la Mezzanella addetta al pascolo di animali vaccini, pecorini ed anche di giumente. Non vi manca la caccia di lepri, volpi, lupi, e di più specie di pennuti, specialmente di beccacce. Gli abitanti ascendono a circa 3800. il terremoto del dì 8 settembre 1694 apportò molta rovina a questo paese colla morte di 54 individui, e di altri 20 che rimasero feriti. Nel giorno di San Vito, 15 giugno, vi si fa una fiera, ove concorrono i paesi circonvicini alla compra e vendita di animali. Questo paese fu posto a sacco da Marcovaldo, allorchè fu costretto di uscire dal regno dalle armi pontificie, e ritirarsi in Sicilia (Giannone, Stor. Civ. tomo 4. pag. 342. Palmira). Sotto Alfonso d’Aragona fu anche rovinato, e saccheggiato, come riferisce Paolo Giovio nelle sue istorie. Dal registro del Borrelli figlio di Riccardo Petram Pizulam. Fu posseduta dalla famiglia del Tufo nel 1588, morì Cesare Del Tufo, che l’aveva venduta al Duca di Sant’Agata, e Francesco del Tufo nel 1610 la ricomprò. In oggi si possiede dalla famiglia Orsini con titolo di Duca.»
            Ho riferito quanto Giustiniani e Trivero pubblicano intorno a Vallata. Noi ne dobbiamo dire ben di più. Altre notizie ricavo da cronache manoscritte antiche, non completamente degne di fede.             A Vallata si ammira la dirittura delle strade; la bellezza de’ palazzi, i superbi tempii, l’acque dolci, la moltitudine di popolo, ma tutto andò a fuoco e sangue: spalancate le porte e rovinate le mura, diroccati i palazzi ed i tempii, morti o fuggiti gli abitanti saccheggiate le ricchezze in secoli non molto lontani regnò l’orrore e tronfò la morte. Ambone fa menzione del M. Albo, da dove nascono due torrenti, uno la Bufola (Ufita ?) e l’altro il Calaggio, che discende dal territorio formicoso o famoso. Vallata montibus circumdata, pulcris mulieribus ornata. Nella sua insegna, un pò simile a quella degli Orsini, si vedono scolpite delle saette, forse il trofeo quando trionfò del nemico, o il mezzo col quale lo superò: sicchè queste saette siano state tanto ben maneggiate, da servirsene per impresa il Comune. Innanzi al luogo del Rivellino, presso la cappella di San Leonardo, era la porta della Torella sì come oggi ancora si chiama, e vi furono trovate molte saette ed una testa con un dardo in fronte; donde si può conchiudere che in tal modo si fosse la nostra patria difesa. Le rose di detto stemma poi rappresentano le grazie delle belle donne.
            Al 1120(?) Pandolfo di Vallata. – Cristoforo, signore di Vallata. Dai rei di stato, condannati dal Sup. C. e deportati a Marsiglia, Vito Nicola di Netta, dei quondam Pasquale e Camilla di Martino, a. 38 . – Nel 1142, Vallata tenuta da Riccardo, figlio di Riccardo, con Trevico, Contra, Flumeri, è feudo di 4 militi. – Riccardo da S. Germ. Pag. 69, a. 1199 Marcovaldo, assediata invano Avellino, si volge verso la Puglia, «et procedens inde, Vallatam quoddam casale Apuliae, vi cepit et suis dedit in direptionem et praedam». – De Meo XI, 131, a 1199 Marcovaldo, accordandosi con i cittadini di Avellino, che aveva assediato, assali Vallata, la prese in direptionem et praedam, andando in Puglia, donde poi tornò in contrada di Molise. – Con diploma dell’ottobre 1209, Federico II conferma, fra l’altro, a Montevergine, la «obedentiam de Ballata». – il13 gennaio 1264, urbano IV conferma a Montevergine in Vallata, la chiesa di San Giorgio (C. di Monteverg. I, 36). – Ramondello, pr. Di Taranto, nel 1418 compra Carpignano e Giov. II gli conferma anche Lecce con titolo di conte, Mesagnes, la baronia di Vico, Flumeri, Carife, Castello, S. Nicola, Acquara, Ospedaletto, Monteacuto, Accadia, Rocchetta, Lacedogna, S. Antimo, Vallata, Lavello, Minervino, Altamura e Locorotondo. – Arch. Stor. Nap. IX, pag 280 n. 2: Ferdinando d’Aragona scrive: «in nostris felicibus castris apud silvam Migliani prope Vallatam 17 iunii 1459 ». – Al riferir del Giovio, nell’anno 1495, fu sconquassata dal marchese di Mantova, guerreggiando Ferdinando d’Aragona detto il Cattolico coi Francesi, la sua maggior chiesa fu sottoposta al sacco con tutta la Terra; ed all’ultimo assalto avuto dalla peste in detto anno, si restrinse in un piccolo luogo tutto eminente, fabbricando la chiesa di San Sebastiano. – L’8 maggio 1519, col consenso di Nicola Volpe, di Napoli, vescovo di Bisaccia, si erige da Federico di Vallata una chiesa col nome di S. Maria fuori le mure di Vallata, fra la cappella di S. Sebastiano la via pubblica , e il dem.o e si aggrega a Montevergine (Montev. XI , 51). – Nell’anno 1604 fu rovinata da un fortissimo terremoto. Nell’anno 1694 cadde sotto la rovina di fierissimo Francese (?). L’11 marzo 1719 fu da voracissimo fuoco incendiata, con la madrice chiesa sotto il titolo del glorioso San Bartolomeo apostolo. – Case edificate in San Giorgio o Nuovo casale, la prima casa edificata dal 1739. – Ai 3 giugno 1804 si riferisce al Cap. di D. Giacinto Tortora che Pinto non aveva eseguita la confisca ordinata dalla Visita generale contro D. Vito Nicola Netti di Vallata, perché era suo cognato. – Governò Vallata anche da Cardinale arcivescovo di Benevento Fra Vincenzo M.a Orsini dell’ordine de’ Predicatori, che fu poi papa col nome di Benedetto XIII (1724-1730).
            Diamo ora qualche notizia più dettagliata della storia del paese. Vallata, posta su un’amena collina, è ricca di fertili ed estese campagne. La sua storia è generalmente ben poco conosciuta anche dagli stessi suoi abitanti, in modo che, credo, riuscirà assai gradito il pubblicarne qualche cenno. Scarsissime sono le notizie più o meno remote, ma io cercherò di compendiare quanto di più importante mi è riuscito sapere al riguardo. Il suo nome sembra poco appropriato a chi considera che quasi tutte le case del villaggio sono situate a ridosso di una collina: ma le sue campagne, col resto del suo territorio, sono quasi tutte avvallate in una conca circondata da monti più alti. Nulla di monumentale o di antico vi si trova ora, nè si hanno cenni degli storici in proposito. Siccome un istrumento del 1096 si trova sottoscritto da tal Pandolfo da Vallata, qualcuno, da nome di origine longobarda, ha voluto arguire che i Longobardi avessero fondato il nostro paese. Ma una tal supposizione va accettata con riserva; e si può ritenere antecedente la sua fondazione, considerandola quasi come coeva a quella della vicina, anzi contigua Trevico, la cui straordinaria antichità, più che dal diruto castello del quale resta ancora qualche parte, è meglio dimostrata dall’accenno che ne fa Orazio nelle sue Satire. Forse perché Vallata era parte di Trevico, un nostro monastero di Benedettini fu, nel 1526, restaurato da certo Bernardino da Trevico. Al tempo dei Normanni (1016), Vallata fece parte della Baronia di Vico (il nome di Baronia comprende anch’oggi i nostri Comuni; tres vici è poi, forse l’origine del nome Trevico, perché,  compresa Vallata questo aveva tre villaggi dipendenti, od era composto di tre borghi); e nel Catalogo de’ Baroni napoletani del tempo di Guglielmo il Buono (1189), la nostra contrada vi si nomina per tre uomini d’armi, dovuti per servizio militare da tal Riccardo figlio di Riccardo nostro Feudatario di quell’epoca. La sua storia è connessa con quella della baronia.
            Ai tempi di Errico VI e di Federico II, cioè verso il 1200, essa soffrì molti danni. Arrigo VI re d’Alemagna, figlio di Federico Barbarossa, era marito di Costanza; la quale, vedendo i soldati tedeschi molto odiati dai suoi vassalli e volendo tenere in pace il suo regno, diede bando a tutti e prima a Marcovaldo lor capitano, uomo scelleratissimo, crudele e rapace, con ordine che sgombrassero subito la Sicilia e il Regno, né ordissero entrarvi senza sua licenza. Marcovaldo allora se n’andò alla Marca d’Ancona; ma nell’anno seguente, 1198, essendo morta l’imperatrice Costanza, fatto subito un esercito di genti perverse, entrò in Reame, e tosto confermò i suoi disegni tendenti al dominio del Regno. Costanza aveva lasciato il suo unico e piccolino figliuolo Federico II sotto la protezione del pontefice Innocenzo III (1198-1216), il quale scomunicò come invasore Marcovaldo con tutti i suoi seguaci; che si dettero furibondi a saccheggiare varie terre, senza aver riguardo neppure dei sacri luoghi. Dal Molise Marcovaldo si drizzò verso la Puglia; giunto ad Avellino, lo cinse di assedio, e gli afflitti cittadini non poterono scampare dal suo furore. Ma, vedendosi chiusa in Puglia ogni strada per attuare il suo proposito, stabilì di passare in Sicilia, ove pensava più agevolmente e con minor contrasto adoperare le sue malvagità. Ma prima assediò Avellino, e non potendola presto prendere per la valorosa difesa dei cittadini, pago della molta moneta che gli diedero per uscire da tal molestia, tolse l’assedio. Prese poi a forza Vallata e la diede a sacco ai soldati, nel 1199; incontrate poi delle difficoltà nel Molise, passò a Salerno, che seguiva la sua parte, e di là s’imbarcò su l’armata appositamente apprestata e navigò felicemente in Sicilia. Marcovaldo sosteneva che il bambino Federico era stato supposto, e non era nato da Costanza e da Errico. (V. Ciarlanti, memorie istoriche del Sannio, pag. 325, Isernia, C. Cavallo, 1644; e P. Giannone, istoria civile del Regno di Napoli, tomo III, pag. 45, Napoli, G. Gravier, 1770).
            Questa contrada doveva essere allora importante topograficamente, perché messa sul transito che dalla Valle dell’Ufita, attraversandosi poi quella del Calaggio, mena alle Puglie. Non è noto chi altro la possedette allora e dopo; però nel 1343 fu compresa nella donazione fatta alla regine Sancia, moglie di Roberto d’Angiò, e nei feudi venduti a Raimondo del Balzo. Nel 1454, Pirro del Balzo ebbe da sua moglie Maria Donata Orsino anche la città di Vico con casali, Carife, Castello, San Nicolò, San Sosso, Flumari, Vallara, la Guardia Lombarda, Porcarino, Cedogna, Rocchetta di S. Antonio, e molt’altre. Vallata, come feudo di Pirro del Balzo e poi di Pietro Guevara marchese del Vasto conte di Ariano e gran siniscalco del Regno, non sembra che abbia partecipato alla congiura di costoro contro Ferdinando I d’Aragona (congiura dei baroni, 1486); anche perché questi donò all’università di Vallata la difesa di Mezzana (con diploma sottoscritto nel Castelnuovo di Napoli addì 23 agosto 1484, e confermato da un altro di Carlo V del 22 marzo 1530), «attesi i grandi servigi a lui resi da quegli abitanti». Nel 1494, nella discesa di Carlo 8° per altro, i Vallatesi, dimentichi dei benefizi così ricevuti dagli Aragonesi, parteciparono per la Francia, e male loro ne incolse. Gli aragonesi, propostisi di imitar Fabio nel temporeggiare , cercarono di togliere l’una dopo l’altra ai nemici le terre con questi alleate. Assuntisi un tale impegno il marchese di Mantua e Francesco Orsini duca di Gravina, famosi capitani dell’esercito aragonese Ferdinando 2°, essi tornarono all’obbedienza Monteverde, Rocchetta, Carbonara e Vallata. Quest’ultima dai soldati incolleriti fu saccheggiata, nel 1495, moltissimi cittadini vi furono tagliati a pezzi: una via del Comune si denominata in dialetto Chiancone o Chiagnone, assai probabilmente perché ivi fu fatta una chianca – macello di persone, ovvero perché vi si dovette chiagnere – piangere molto, oppure da chiancone, grossa pietra o sasso lanciato a Soardino. Causa di un tale eccidio fu, infatti, l’avere i vallatesi, tenaci fautori dei francesi, subito appena giunto, ferito con frecce Alessio Beccaiuto e Luigi Alvaro, capitano di una compagnia di fanteria scelta ed il Grasso capitano di squadra, mandati per trattative, e lo aver con un colpo di sasso deturpato il viso a Soardino, nobile ed onorato paggio del marchese. Gli abitanti di Bisaccia, Carife, Guardia, S. Angelo dei Lombardi e Lacedonia, impauriti di quanto era accaduto ai Vallatesi, Mandarono messaggi agli Aragonesi, per tornare in ubbidienza di costoro (Confr. Giovo P., storia dei suoi tempi, lib IV).
            Ma di descrizione e storia, per ora, basta: riattacheremo in un prossimo fascicolo.
            Santa Maria, dunque predilige Vallata, ed ha piacere di esservi venerata con tal nome. E noi perché amiamo Maria?
            Perché è la madre di Gesù, che ci redense e che c’insegna la divina legge del Vangelo. Perché, nel suo verginale, ineffabile candore, è Madre, pure di noi tutti Gesù, figlio di Dio vero, fatto carne nel purissimo seno di Maria, avendo additato dalla Croce, Giovanni come figlio di Lei, «ecce filius tuus», in lui simboleggia tutta l’umanità. Di qui, ed anche in conseguenza della Redenzione, in conseguenza dell’affetto materno che Ella ha per noi , deriva pure tutta la nostra discendenza la nostra figliolanza da Maria. Amiamo Maria perché è conforto, sollievo, elevazione, pace dell’animo, speranza, arra di grazie; per la Sua bellezza e per le Sue virtù, puramente incantatrici, umanamente insuperabili; per la Sua umiltà immensa quanto la Sua grandezza; perché è buona, dolce, generosa; perchè è scudo al male, pegno di bene materiale e morale, terreno e celeste. Vediamo Gesù sempre Bambino, tra le Sue braccai; e tale è pure, rifugiata nel di Lei almo seno, la nostra umanità: che, nonostante i millenni di sua vita, è sempre bambina per il continuo riverdire in essa delle fronde novelle – sempre crescenti, sempre pullulanti—delle nuove generazioni; perchè, pur dopo così lunga vicenda di secoli, essa non ha avuto ancora, forse non avrà mai, appunto per l’infiltrarsi incessante di nuovi elementi, un equilibrio serio, un orientamento maturo, sodo, preciso, e, nei suoi corsi e ricorsi storici, come direbbe Giambattista Vico, è oggi, sarà domani, quale fu più che mille anni or sono, nei suoi sentimenti lodevoli o malvagi, nonostante il continuo progresso delle scienze; sempre uguale, sempre la stessa, nelle sue sconfitte e nelle sue vittorie, nei suoi dolori e nei suoi gaudii.
            E Maria è la Madre nostra: accoglie con un sorriso di santa compiacenza, i fiori innumerevoli, fragranti delle umane virtù, accoglie anche – rifugio dei peccatori – con pietosa mestizia, la purulenta sozzezza dei nostri peccati, delle nostre miserie. Ma , nonostante la sconfinata speranza che possiamo nutrire nell’ausilio di Lei, nel perdono di Dio – infinito nella Sua misericordia, come del pari nella Sua giustizia ed infinita ed in tutta la Sua essenza – è ormai tempo che il peccato, sempre più invadente, sempre crescente, abbia i suoi freni i suoi limiti. Ormai il suo fetido olezzo avvilisce, umilia l’umanità: l’umanità che deve i suoi trionfi e le sue conquiste solo allo sfavillìo dei suoi valori e delle sue virtù; e le sue immancabili tristezze, le sue gravi sconfitte solo al putridume incessante delle sue bassezze, delle sue miserie. Togliamo quanto c’è di marcio dal nostro cuore, che vogliamo offrire, possibilmente buono, possibilmente puro, a Gesù ed a Maria: per il bene individuale nostro, per il bene della società: qui e nel trionfo dell’eterno gaudio.

TOMMASO MARIO PAVESE

 

GRAZIE ED OFFERTE

Ill.mo Sig. Direttore del Periodico

« S. Maria » – Vallata

            Circa dieci anni or sono, mia moglie dette alla luce un angioletto di bambino al quale fu posto nome di Felice. Ma non furono felici i primi albori della sua vita poichè bambino ancora venne tormentato da una fistola alla regione tracheale. Consultati vari medici di Newark, furono tutti di accordo praticare un’operazione chirurgica. Il primo ad operare fu l’illustre prof. Cofano, valente medico italiano qui dimorante e nato in Ascoli Satriano, prov. di Foggia, Italia. L’operazione riuscì, ma dopo qualche tempo, la fistola riapparve. Si ricorse allora all’opera di un altro bravo dottore italiano qui residente , Sig. Martucci, nato in Andretta, prov. di Avellino, Italia. L’operazione riuscì puranche, ma si ebbe lo stesso effetto di prima. Dopo pochi mesi riapparve il male più vigoroso. Lasciando un buco alla gola dal quale usciva il pus. Ricorremmo ad un terzo dottore, un americano, il quale criticando l’opera dei valorosi dottori italiani, prometteva che l’operazione eseguita da lui avrebbe data la completa guarigione. Operò anche lui ma si ebbero gli stessi effetti: la ferita si riprodusse ! Tutta la mia famiglia, sfiduciata dagli effetti negativi della scienza, pensò, nella gran sua preoccupazione e nel suo dolore, chè solo la potenza Divina, poteva in questo caso apportare la salvezza del suo figliolo. Ed il nostro pensiero si rivolse subito alla prodigiosa vostra Santa Maria venerata sulla dolce collina di Vallata. Nel pregiato bollettino da Voi diretto, apprendemmo i continui e prodigiosi miracoli dispensati dalla cara Madre, e pregammo, pregammo, pregammo.
            E poco dopo si vide apparire il miracolo!... Ora il buco della ferita è rimarginato completamente ed è sparito ogni segnale delle sofferenze.
            Nel ringraziare la Vergine Santissima per la grande grazia ricevuta, e profittando della venuta costà di mio padre Felice Nufrio, che dopo un trentennio di lontananza dalla sua cara patria Vallata è costà ritornato ad abbracciare i suoi parenti ed amici, ho sentito il dovere di mandare un ricordo alla grande nostra Taumaturga di S. Maria con queste offerte in danaro che fo consegnare nelle degnissime mani del presidente del Comitato. A nome mio lire duecento, a nome di mia madre Amalia Gialanella maritata Nufrio lire cinquanta, a conto di mio padre Felice Nufrio lire mille e di mia sorella Adelina Netta nata Nufrio lire cento. Ed in totale lire milletrecentocinquanta per la grazia ottenuta.
            E perchè i fedeli rafforzassero la loro fede pel prodigioso Santuario la S. V. Ill.ma è pregato far registrare nel bollettino la strepitosa grazia da noi ricevuta per maggiormente divulgare il culto del nostro Santuario. La ringrazio.

            Newark, luglio 1931.

Dev. ROSARIO NUFRIO di Felice

***

            Egregio Comitato di S. Maria Vallata

            Per una operazione alla guancia subita dal mio piccolo Peppino, invocai codesta miracolosa Vergine, perchè fosse ben riuscita.
            Sono stata esaudita e per ringraziamento offro lire 500.

            Ossequii.

            Roma, 15 luglio 931

Dev.ma ANGELINA LAVIANO

***

            BISACCIA

            Da circa tre mesi mio marito era affetto da grave infezione intestinale, che – malgrado le energiche cure mediche – lo aveva ridotto in tali condizioni fisiche, da far disperare della sua salvezza. Ricorsi allora con viva fede alla Madonna di S. Maria, la quale si compiacque esaudire le mie preghiere, ridonando all’infermo la sua perfetta salute.
            In segno di riconoscenza offro un anello d’oro.

GALLICCHIO DOMENICA

            BISACCIA

            Piena di gratitudine, vengo oggi a ringraziare la Vergine Santissima di S. Maria, che invocai con viva fede durante un parto laboriosissimo. Le mie preghiere vennero tosto esaudite, poichè partorii felicemente due bambini senza l’intervento chirurgico, che si era reso indispensabile. In segno di riconoscenza, offro un paio di orecchini d’oro, con preghiera di pubblicare nel bollettino questa speciale grazia da me ricevuta.

            24 maggio 1931 – IX

CRINCOLI MARIA MICHELA

 

            BISACCIA

            Ho sentito il bisogno di venire a ringraziare personalmente la Madonna di S. Maria, per avermi guarito da grave infermità.
            Riconoscente, offro un paio di orecchini d’oro.

            24 maggio 1931 – IX

TRAMBALLANO DOMENICO

 

PROTESTA

            Confermandosi ai decreti di Urbano VIII e della Sacra Congrecazione dei Riti, dichiariamo solennemente che salvo i dommi e tutto cioè che la S. Sede ha definito, a tutto quello che viene pubblicato nel presente bollettino, non va data altra fede che l’umana.

=====================================================

            Il resoconto finanziario al prossimo numero.
            Per gli abbonati e le offerte in danaro o in oggetti rivolgersi al presidente del Comitato Pietro Tullio.

=====================================================

OGGETTI VOTIVI

8° elenco

            Minervino Giuseppe, serracolli con due cornetti d’oro – Palombo Michelina, Laccio d’oro con stella – N.N. catenina d’oro con ciondolo – N.N. anello d’oro – N.N. collana di corallo con ciondolo d’oro – I.cone Vito, anello d’oro – tedesco Caterina (Bisaccia), serracolli d’oro – Crincoli Maria Domenica (Bisaccia),per grazia ricevuta, bottoni d’oro – N.N. bottoni d’oro – N.N. cornetto d’oro – N.N. fermaglio d’oro – Nufrio Assunta, bottoni d’oro – Di Paola Vincenzina, anello d’oro – Furia Giuseppa, botton d’oro – Di Mattia Michelina, per grazia ricevuta, collanina,bottoni e ciondolo d’oro – Pavese Giovanna, bottoni ed anello d’oro – Paternostro Filomena, per grazia ricevuta, orecchini d’oro – N.N. breloque d’oro – Gallicchio Domenica, anello d’oro – Quaglia Filomena di Giustiniano, fermaglio d’oro – Chiavuzzo Michelina, anello d’oro – Traballano Domenico (Bisaccia)  per grazia ricevuta, orecchinid’oro – Cicchiello Rosaria, per grazia ricevuta, breloque ed anello d’oro – Forgione Rosa, bottoni d’oro – Bilotto Michelangelo (Cairano), anello d’oro – N.N. stella d’oro – Russo Maria e Vitale Angelo (Bisaccia), Collanina d’oro con ciondolo – Monaco Gaetano, per grazia ricevuta, fermaglio d’oro – Grasso Angela fu Felice, Breloque d’oro – Stanco Gaetanina, per grazia ricevuta, fermaglio doro – Gallicchio Giuseppe, per grazia ricevuta, due corniole – N.N. anello d’oro – Netti Costantino, collanetta con ciondolo, anello e bottoni d’oro – Cataldo Erminia, per grazia ricevuta, cornetto d’oro – Strazzella Adelina, per grazia ricevuta, bottoni d’oro – Branca Michelina, orecchini d’oro – N.N. due anelli d’oro – Scafariello Maria, due Anelli d’oro – Fredella Giuseppe, fermaglio d’oro – Netti Maria Incoronata, ciondolo con pezzi d’argento – Iula Giovanni, orologiod’argento – Crincoli Giovanni Antonio, cuore d’argento – Crincoli Alfonso, Rosario d’argento.

=====================================================
TOMMASO MARIO PAVESE – Direttore responsabile
PIETRO TULLIO – Amministratore e Redattore
=====================================================
Con permesso dell’Autorità Ecclesiastica

 

Nuovi abbonati

Branca Carmela – Luogosano.

Cimminiello Pasqualina – Norvuolh Comm. (America).

Cocchia Filomena – Norvuolh Comm. (America).

De Paola Erminia – Vallata.

Evangelista Antonio – Norvuolh Comm. (America).

Grasso Adelina nata Rossi – Vallata.

Mastriano Concetta – Norvuolh Comm. (America).

Matro Anna – Norvuolh Comm. (America).

Miele Maddelena – Andretta.

Netti Esterina – Vallata.

Novia Emma – Napoli.

Pavone Maria – Castelbaronia.

Pisacreta Rosina – Norvuolh Comm. (America).

Ruggiero Luisa – Newark.

MEDAGLIA IN ALLUMINIO riproducente da un lato il Crocifisso e dall’altro Santa Maria, L. 0,30

FOTOGRAFIA DEL CRISTO O DELLA MADONNA, L. 1,00.

FOTOGRAFIE DEGLI SCAVI, L 1,00.

 

Pubblicazioni del nostro Direttore

 

Con approvazione ecclesiastica – Dove non c’è una indicazione diversa, anche la musica è dello stesso autore.

SANTA MARIA, poesia, terza edizione, L. 0,50.

LA PASSIONE, traccia per un poema sacro, L. 0,40.

INNO A MARIA,serenata mistica, musica di C. Colella, L. 0,40.

REGINA PACIS, musica di P. Novia L. 040.

A SAN MICHELE ARCANGELO, L 0,40.

SAN ROCCO, musica di C. Colella, L. 0,40.

 

SOGNI DI GIOVANNI ANTONIO CRINCOLI, seconda edizione, L.1,00.

ORA DI PREGHIERA ALL’IMAGINE DI S. MARIA di Mon. C. De Pascale, L. 1.

INNO A SANTA MARIA L 0,50.

A SANTA MARIA L. 0,40.

    Per ogni corrispondenza o richiesta, rivolgersi all’indirizzo indirizzo indicato nella prima pagina della copertina.

════════════════════════════════════════════
Tipografia Lorenzo Barca – Piazza Tribunali 46 -- Napoli

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home