Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - CAPITOLO XVII. - Vita soprannaturale - Estasi Scrutazioni - Miracoli.

CAPITOLO XVII.

Vita soprannaturale - Estasi
Scrutazioni - Miracoli.

SOMMARIO. — La santità suscita l'ammirazione — Si accompagna spesso con un operare al tutto soprannaturale — La luce nel quadro — L'unione con Dio fondamento e sorgente di ogni dono — Contemplazione ed estasi — In Ciorani, in Tropea, in Molochio, ecc. — Anche confessando — Scrutazioni — Dono dei miracoli — Il mendico attratto — Altri esempi — In Missione —Carestia di mare — Una pesca miracolosa — Modo di occultare la potenza taumaturga — La reliquia di S. Alfonso e le cartine dell'Immacolata.


    La parola santità nel linguaggio cattolico contiene un sì ricco tesoro di idee altissime e nobilissime, che noi a pronunziarla rimaniamo compresi dall'ammirazione. Quando poi di questa parola, dietro il giudizio di nostra Madre la Chiesa, ne decoriamo un uomo, che sul comune si emerge, siamo compresi innanzi a lui di profondissimo rispetto, e ci sentiamo come forzati a dire che in esso vi è quello che in altri non vi è, perchè lo vediamo irraggiato da cosiffatto splendore, che ninna potenza umana vale mai a spegnere od offuscare.
    Però nel santo noi siamo soliti non vedere soltanto virtù interiori, atti di eroismo, eccellenti qualità, spirito di sacrifizio e di abnegazione; ma ci vediamo dell' altro, e quest'altro lo vogliamo osservare, e ammirare sempre. Siamo così fatti, vogliamo in esso vedere non opere grandi solamente ed atti di soda virtù; ma altresì atti che addirittura escano dall' ordinario, un operare al tutto soprannaturale... e quando questo non troviamo, inchiniamo bensì innanzi al santo, ma ci resta come quasi un vuoto.
    Siamo abituati così. Nati, cresciuti, ed educati nella fede, amiamo lo splendore della fede, e ne vogliamo le sensibili manifestazioni. Dio d'altronde, anche Lui è sempre largo coi suoi, e suole, quasi sempre, illustrare gli atti virtuosi di essi con la sua azione visibile e straordinaria.
    Per codesto se noi finora ammirammo tanto il carissimo nostro Di Netta pei suoi atti virtuosi, e se, percorrendo i diversi stadi del viver suo, ne avemmo il concetto di uomo veramente santo; ora ci piace vedere un po' di, luce intorno al quadro, che, come cornice, lo completi e lo renda più bello.
    Questa luce e questa cornice vi è nella vita del Di Netta; vi è anzi abbondante assai, per cui troviamo in lui doni soprannaturali in così gran numero, e in tante svariate circostanze, che appena possiamo numerarli tutti. E ci contenteremo di accennarli soltanto.
    Il fondamento di ogni santità è l'amore di Dio, e si sa che quando il Santo è acceso straordinariamente da siffatto amore, si eleva alto alto, e giunge ad unirsi a Dio. Da questa unione intima e misteriosa voi avete il dono della contemplazione, e l'altro dell'estasi, che sono quei doni la di cui manifestazione è quasi sempre la prima ad ammirarsi nella vita dei santi.
    Il Ven. P. Di Netta ebbe questo duplice dono. Appena si poneva in orazione, sia in ginocchio, sia con la fronte per terra, ivi rimaneva immobile, e tutto assorto in Dio. Pareva che lo spirito, sprigionatosi dalla materia, lasciasse del tutto la terra, e sublime se ne volasse tra i celesti, facendo restare il corpo inerte e senza moto.
    In Ciorani i novizi lo videro spesso le lunghe ore prostrato avanti al Sacramento, con le braccia piegate al petto, immoto, e con gli occhi fissi al Tabernacolo. Nel coro, tosto cominciata la comune meditazione, rimanevasene come inchiodato, col capo chino, gli occhi chiusi, e con un atteggiamento di tale divozione, che a rimirarlo si restava compunti e spinti al fervore.
    In Tropea parecchi ecclesiastici e signori la sera andavano nel coro dei Padri a fare la meditazione con la Comunità , e si ricorda da tutti il posto del Servo di Dio, la sua immobilità, il suo trasformarsi di volto, e tutto l'assieme, da farlo apparire non più uomo, ma Serafino.
    Spesso spesso si sentiva pure erompere in forti sospiri, e in tali infuocate giaculatorie, che dava chiaro a vedere da qual fuoco interno fosse animato, e con chi conversasse in quei momenti.
    Al contatto con la divina Eucaristia rimaneva subito fuor di sè. « Ore intiere se la passava inginocchiato, e con le mani giunte innanzi al Sacro Ciborio, stando senza appoggio. —Quando stava innanzi a Gesù Sacramentato, con le braccia conserte, e col volto tutto acceso, sembrava un Serafino di amore». Spesso quando passava dinanzi all'altare del Sacramento « si vedeva genuflettere in modo sovrumano ». Per la qual cosa chi se ne accorgeva era portato ad esclamare: « Quando il P. Di Netta genuflette solo avanti al SS. Sacramento io mi sento annientato ».
    Quando poi celebrava si osservava assai più chiaramente tutto il suo spirito rapito in Dio. Lo attestano tutti. « Il suo modo di celebrare la Messa era di Serafino, ed il suo volto spirava tutto santità... Nell'apparecchio, e nel lungo e fervoroso ringraziamento che la seguiva, genuflesso avanti al Sacro Ciborio , con le mani giunte al petto, ti commoveva l'anima ».
    Senonchè col dono della contemplazione andava congiunto in lui il dono dell'estasi. E sebbene avesse somma cura di nascondere ciò che passava tra lui e Dio, pure talvolta era sorpreso dall'abbondanza delle effusioni celesti con tanta veemenza e così improvvisamente, che non valeva a celarle, e si manifestavano al di fuori.
    Stando in Molochio con la Missione, fu trovato una mattina dal Sacerdote Don Bruno Caruso, prostrato avanti al divin Sacramento, tutto assorto in amorosa contemplazione, con la faccia raggiante di luce che abbagliava, ed in estasi così profonda, che non si riscosse se non dopo ripetute chiamate. — In Santa Cristina di Aspromonte poi, mentre una mattina celebrava la Messa, fu veduto dal Sac. Don Ferdinando Spadari, rapito e sollevato da terra due palmi. Un'altra sera ivi pure il Servo di Dio predicava dall'altare, e nel fervore della predica si elevò da terra a vista di tutti. In quel momento il suo volto appariva ispirato e raggiante, mentre grondava sudore. — In Potenzoni, essendo in camera tutto solo, i signori che l'ospitavano, lo videro in estasi, e sollevato dal suolo. — Talvolta fu sorpreso pure dall'estasi, mentre confessava, e parlava della bontà e dell'amor divino. Fu riferito ciò e attestato da penitenti suoi in Brattirò, i quali affermarono altresì che talvolta egli predicando, nell'atto che cantava solo le canzonette preparatorie: Contento, contento sono io, e l'altra: Maria del Ciel Regina, fu osservato sfavillante, e nell'atteggiamento quasi se ne volasse al Cielo.
    E degna pure di nota l'estasi avvenuta in Terranova, attestata dall'Arciprete del luogo, D. Carmelo Formica fu Vincenzo. Era ivi il Servo di Dio pel ministero, ed una mattina, andando a celebrare nella Chiesa del Crocifisso, si levò in estasi nell'atto della consacrazione. Il Fratello Pasquale Avallone, che gli serviva la Messa — e cui il P. Di Netta obbediva come ad un Superiore, quand' era fuori con lui solo — dopo un po' gli intimò: Basta, basta, ed il Servo di Dio si riscosse placidamente, e continuò la Messa. — Ivi stesso fu visto in estasi dalla Signora Caterina Lazzaro avanti alle croci del Calvario, impiantate dallo stesso Servo di Dio.
    Però il nostro Venerabile dalla sua unione con Dio restava altresì illustrato da un lume interno soprannaturale, che lo accompagnava sempre nell'esercizio del ministero apostolico, e che si esplicava specialmente col dono della scrutazione dei cuori, per il quale i pensieri più occulti, i sentimenti più nascosti, i peccati taciuti, tutto tutto diveniva a lui manifesto e aperto.
    Confessando preveniva il penitente nell'accusa, e rivelava tante volte le colpe a colui che voleva nascondergliele.
    In S. Cristina d'Aspromonte alla Sig.na Domenica Longo-Mazzapica disse tutto ciò che in lei era passato nello spazio di tre anni, da che non l' aveva veduta.. — Ad un tale Antonio Rombolà di Brattirò, uomo di pessimi costumi e carico di delitti, e convertito poi dal Servo di Dio, rivelava ogni volta i peccati di che era per confessarsi, e quelli di cui taceva per dimenticanza. — La Sig.na Domenica Petracca afferma di sè: «Nella confessione generale che feci al Servo di Dio mi vidi da lui rivelata a me stessa la coscienza, tanto da restarne non poco meravigliata ».
    Filippo Mincione, Vescovo di Mileto, desiderava fondare una Casa di Liguorini nella sua Diocesi, e seco stesso, senza rivelarsi ad anima viva , trattava i mezzi come attuare la sua idea. Capitò il Servo di Dio in Mileto, verso la fine del 1847, e parlando col Vescovo, senza preamboli relativi alla cosa, gli disse che non avesse pensato per allora alla fondazione... Monsignore ne restò sorpreso e meravigliato non poco, e parlando poi della cosa soleva ripetere: Oh! il Di Netta mi ha letto nel cuore. — La Sig.na Alfonsina Basite aveva altresì un segreto nel cuore , non rivelato mai a chicchessia. Andò una mattina a confessarsi, ed il Servo di Dio le dice senz'altro: « Perché tacere?... vuoi vedere intanto che io so i tuoi segreti e quanto hai chiuso nel cuore? E le svela tutto minutamente. — La stessa afferma che ad una sua sorella, di nome Emmanuella, svelò il desiderio che avea di confessarsi al P. Caprioli. « L'accompagnavo, ella dice, al confessionale del Servo di Dio, perchè io volevo che si fosse invece confessata da lui; ma egli: Va, le dice, va, e confessati a quel Padre cui desideri. E sì dicendo le additava il confessionale del Caprioli... » Ne restarono arabe meravigliate, perchè era cosa non manifestata ad alcuno.
    Che dire poi del dono dei miracoli? Scorrendo solo il Sommario di suo Processo si incontrano numerosi gli attestati di morbi fugati, e di prodigi di ogni sorta ottenuti, o alle preghiere, o al contatto, o al semplice comando del Servo di Dio. Ne parliamo di alcuni soltanto.
    Reduce da una Missione, e prima di giungere a Tropea trovò per via un uomo che gli chiedeva limosina. — E perchè, o, figlio, gli disse il Servo di Dio in tuono di rimprovero, perché non lucri il pane lavorando ? — Padre, come lo posso che sono attratto nelle gambe ? — Attratto ? ripiglia il Venerabile, eh via! alzati in nome del Signore e cammina! — E sì dicendo , gli fa un segno di croce sulle gambe. Immediatamente lo storpio si sentì guarito, e si pose a gridare: — Padre, un miracolo mi fate, un miracolo ho ricevuto !....
    Ma egli: — Miracolo? e che, sono santo io? il miracolo te lo ha fatto Dio: va figlio, fatica, e portati bene. Le Signore Rosaria Zinnato e Caterina Polito-Menina, con il Sig. Giuseppe Galati fu Donato raccontano che il prodigio, divulgato in Tropea dal vetturino, menò rumore dapertutto, e se ne parlò per un pezzo.
    La Sig.na Vittoria Del Duce, rimasta con le sue sorelle orfana di padre e di madre, talvolta non aveva lavoro, e per questo mancavate sino di che sostentarsi. Un giorno, desolata più del solito, non sapendo come fare, nè a chi ricorrere, si portò dal Servo di Dio a confidargli le sue angustie. « Va, le disse questi, fatti animo, e torna in casa: ivi troverai come lavorare e mangiare.
    Credè ella, e tornata in casa, prodigiosamente trovò soccorso e lavori impreveduti.
    Per la stessa ragione andavano spesso da lui indigenti e poveri a raccontare i propri bisogni temporali. La parola del Venerabile nostro era insieme di consolazione e di soccorso : Andate, diceva, andate in casa che troverete la Provvidenza. Obbedivano, ed in casa trovavano davvero abbondanza di soccorsi inaspettati.
    Si ammalò a morte in Tropea il figlio del Signor Giudice Francesco Barone. Andò a visitarlo il Servo di Dio, e vedendo - il genitore cotanto afflitto, fece un segno di croce sul moribondo, e disse, rivolto al padre: Giudice mio, sta allegro, il ragazzo starà bene, il Signore ti farà la grazia. La guarigione infatti si avverò prontamente.
    In Tropea stessa ,fu presentato a lui un ragazzo con le glandole estremamente gonfiate ed aperte. Faceva pietà, e la madre, come attesta la Sig.na Maria Aurora Grillo, lo condusse al Servo di Dio, il quale compassionandolo, esclamava: povero figlio! povero figlio! Indi passandogli le mani intorno alla faccia, quasi lo accarezzasse, ogni male sparì.
    La Sig.ra Marianna Mazzitelli, presentossi da lui un giorno. Da più anni soffriva pene indicibili, tormentata com'era da scrupoli e agitazioni di coscienza. Gli chiedeva con le lagrime agli occhi un rimedio !... Il Servo di Dio le disse semplicemente: Quietatevi, questa è tentazione, non pensatevi più, ed io pregherò per voi. Tanto bastò : finì tutto, e per sempre.
    Altra volta, tornando da Missione con un cielo dirotto, non si bagnò col vetturino Nunziato Divite, che gridava per la commozione : Miracolo, miracolo. — Spesse fiate, per l'istessa causa viaggiando per mare, e sorpreso coi compagni da violenta tempesta, ad una sua piccola preghiera, ad una sua benedizione, ad un suo cenno, tornava la tranquillità alle onde, ed incolumi si riusciva al porto. — Impedito tal'altra dal predicare per sopravvenuta infermità, bastava che sonasse la campana della predica, e si alzava tosto, e correva in Chiesa, risanato del tutto...
    Ma su di ciò non ci fermiamo di vantaggio, essendosene fatto cenno a suo luogo nel corso di questa istoria, dove si sono descritti di tali prodigi, e di altri consimili. Ammiriamo piuttosto ora per po' la potenza taumaturga del nostro Venerabile sui pesci del mare e sui segreti misteriosi di questo. Essendo Tropea città marittima, e molti dei suoi cittadini pescatori, non era raro il caso che si corresse a lui per ottenere abbondanza di pescagione.
    Un anno, tra gli altri, si penuriava non poco per questo, e la povera gente languiva. Poteva chiamarsi quello anno di carestia di mare. Si recarono dal Servo di Dio un giorno parecchi pescatori, desolati, ma fiduciosi nella potenza di lui. Questi bonariamente esclamò: Fidate, figliuoli, fidate in Dio. E senza altro benedisse il mare... Subitamente si gettarono le reti. Ed ecco il mare diventare di botto fecondo e ricco di abitatori: le reti infatti si trassero estremamente cariche e piene. E perchè era il 24 di Ottobre, giorno sacro a S. Raffaele, quella pesca fu chiamata « la pesca di S. Raffaele ». Se ne parlò per un pezzo, e molti se ne ricordano ancora.
    Di tali pesche miracolose ed inaspettate se ne contano parecchie, ma io le tralascio per parlare di una sola, che si collega a belle circostanze. La narra la testimone D.a Mattia Barone-Di Tocco, ed io trascrivo le sue parole : « Era il giorno ono- mastico del Servo di Dio, ella dice, e il padre mio, perchè a lui divotissimo, voleva usargli un'attenzione particolare, e perciò lo invitava con la Comunità per un divertimento in campagna. Il Servo di Dio non accettò nè per sè, nè pei suoi compagni. Allora mio padre, essendo proprietario di varie barche pescherecce, propose una pesca, per mandare poi il prodotto di essa alla Comunità. La pesca in quel giorno si sarebbe fatta alle sponde della marina sottostante al Collegio dei Padri. E perchè al Servo di Dio non dispiacque l'idea, mio padre lo invitava ad essere presente insieme ai suoi Confratelli. Promisero questi recarvisi, però dopo sbrigatisi dalle confessioni in Chiesa. Ma cominciare la pesca a tale ora sarebbe stato troppo tardi : per la qual cosa i marinai si posero all'opera da soli di buon mattino. Opera vana!.. Le reti furono gettate varie volte, e sempre senza profitto... Arrivò intanto il Servo di Dio coi Padri, e tosto si fece a domandare del prodotto. Ma che, rispose il padre mio costernato, non si è pescata neppure una coda. E P. Di Netta si fece serio e disse: In nome di Dio gettate le reti. E indicava il punto dove bisognava gittarle. I marinai risposero: Ma proprio qui, Padre, ed in altri punti circonvicini abbiamo gettate le reti, e sempre inutilmente. Ed egli: Gittatele e fidate. Lo fecero, e questa volta la pesca fu così abbondante di ogni sorta di pesci, da riempirne sei sporte ».
    Da quel giorno, aggiunge il fratello della nominata signora, D. Giovambattista di Tocco, tra i marinai rimase il detto: « Quando non si prendono pesci, ci vuole la benedizione del P. Di Netta ».
    Tal fiata il Venerabile nostro nell'operazione dei suoi prodigi servissi di reliquia di santo o delle cartine dell'Immacolata, certo ad occultamento di sè, e per spirito grande di umiltà.
    Il Cavaliere, infatti, D. Filippo Taccone - Gallucci racconta di sè, che essendo giovane trovavasi in pericolo di perdere l'occhio sinistro per un tumore cistico cresciuto sul sopracciglio. « Mia madre, continua egli, ch'era tutta del Servo di Dio, a lui ricorse, qual suo consigliere e protettore, e questi le porse una reliquia di S. Alfonso per applicarmela sull' occhio. Lo feci , e immantínenti restai guarito. Fui perciò vestito dell'abito liguorino per riconoscenza a S. Alfonso ».
    É anche degno di nota quanto si depone dallo Avv. Francesco Brancatisano di S. Cristina di Aspromonte. « Mia zia Pasqualina, ei dice, aveva un affetto speciale pei gatti. Un giorno fu morsa da uno di questi animali, il quale subito dopo morì idrofobo, e la povera mia zia cominciò intanto coll'essere malinconica, e indi a poco a poco col sentire tutti i sintomi dell'idrofobia. Si trovava allora nel mio paese il Servo di Dio, a cui andò il fratello dell'inferma per pregarlo di aiuto. Il P. Di Netta gli rimproverò la trascuratezza in tal caso; ma poi gli diè per la zia tre cartine dell'Immacolata, perchè le ingoiasse. L'inferma lo fece, indi si addormì. Svegliatasi, si sentì bene, e del tutto sana, quantunque il Dott. Nunzio Lacava avesse asserito il morbo essere inguaribile ».
    Ma basta di ciò per discorrere di un altro dono di cui fu supremamente adorno il Servo di Dio, il dono della profezia. Iddio lo favori di siffatto dono con tale abbondanza, che è una meraviglia. Egli profetizzava, e leggeva nel futuro con tale facilità e spontaneità, come se a lui ogni cosa fosse presente. Spesso pure un tal dono era congiunto all'altro, di sopra accennato, della scrutazione di cuore, e della visione in lontananza; e perchè non possiamo defraudare il lettore del racconto di alcune almeno di tali profezie, ne faremo argomento di un capitolo a parte.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home