Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - Capitolo II - Vocazione religiosa = Prime prove.

CAPITOLO II.

Vocazione religiosa = Prime prove.

SOMMARIO. - Le grazie tra le lotte - Prime ansie - I Liguorini - A Deliceto - Vane aspettative - Ostacoli del Regalismo - In S.Angelo a Cupolo - Entra in Noviziato - Grande profitto - Sue parole preziose - Professione religiosa - Pace che dura momenti - Viene sbalzato fuori - Novizio in patria - Prove più dure - Premure del suo Superiore - Vittoria finale - Il 25 Aprile 1808.


    Il primo che pose a parte della grazia ricevuta, fu il suo zio Arciprete D.FeIice. La riconoscenza e la pietà ve lo spinsero, ed anche un certo tal quale presentimento che le cose non doveano riuscirgli tanto facili. Perchè le grazie più elette che il Signore fa ai suoi, quasi sempre sono accompagnate da lotte e da amarezze senza numero. Il nemico delle anime, geloso del nostro bene ce ne contrasta il conseguimento in mille modi, e Dio poi lo permette sia per far meglio apprezzare il suo dono, sia per rendere più manifesto il suo trionfo finale.
    Quest' ammirabile provvidenza il nostro santo giovanetto dovette esperimentarla, e bevve in quegli anni giovanili all'amaro nascosto nel calice delle divine benedizioni.
    Egli era certo della chiamata di Dio; ma in che modo corrispondere? dove andare? quale Istituto abbracciare?... Ecco dei dubbi che gli partorirono un soffrire indicibile. Aveva per di più un'indole piuttosto timida e riservata, che in simili circostanze essa sola è già un tormento, e poi la famiglia di lui non disponeva neppure di grandi mezzi... Quindi se da un lato egli godeva sentirsi chiamato dal Signore a vita perfetta, dall'altro per tutto questo assieme di circostanze, era in preda a penosissime ansie!... Laonde la sua fiducia dopo Dio, la ripose tutta nel suo amatissimo zio, e cominciò così a vedere un po' di luce.
    Questi conosceva molto i Missionari Liguorini, per altro già divenuti popolari, per le continue Missioni ed altri lavori apostolici coi quali evangelizzavano i popoli di quelle contrade, fino all'estremo lembo delle Puglie; Essi inoltre possedevano due Case proprio in quelle vicinanze, in Caposele e in Delicato, dove spesso si recavano i Sacerdoti dei dintorni per i santi Spirituali Esercizi. Se ne conoscevano quindi le virtù, se ne ammiravano la lodevole condotta e lo spirito di perfetta osservanza, e si sapeva universalmente il bene che facevano alle anime. Lo zio quindi al santo nostro giovanetto consigliò abbracciare l'Istituto del Liguori.
    A conferma celeste del pio suggerimento, un fatto si aggiunse che sa di soprannaturale. Perchè Iddio non manca mai di apparire chiaramente a coloro che son nati a forti e grandi destinazioni. Si presentò quindi un caso, che si direbbe fortuito, ma fu provvidenziale a togliere da ogni dubbio il santo giovanetto, e rassodano nel suo proposito.
    In quel torno di tempo capitava in Vallata il santo e dotto P. D. Antonio M. Tannoia3 , il quale dopo aver celebrata la Messa assistita dal chierico Di Netta con angelica modestia e divozione, fissandolo in volto, e come inspirato, gli disse: Il Signore ti chiama nella nostra Congregazione, per divenire uno zelante Missionario nella sua mistica vigna.
    Fu una vera profezia, e non ci volle altro perchè egli volgesse e fermasse là ogni suo pensiero ed aspirazione, cioè all'Istituto del Liguori.
    Lo zio stesso volle espletarne le prime pratiche, e lo inviò per gli esami di ammissione in Deliceto, ove era allora il Noviziato Liguorino per tutto il Regno di Napoli, provvedendolo altresì di una lettera di raccomandazione al P. D. Nicola M. Laudisio, che fu poi Vescovo di Policastro, in data 7 ottobre 1804.
    La lettera si esprimeva così: " Avendomi scritto il Sig. Duca4 che oggi sarebbe venuto alla Consolazione ho stimato col medesimo incontro mandare il mio nipote affinchè il Padre Tannoia, come mi fu scritto, l'esaminasse, e scandagliasse il talento del figliuolo. Con la sua mediazione, la quale prego adoperare con tutta l'efficacia perchè venga ricevuto, mi auguro l'intento. Il giovine benchè non perfezionato nella umanità, ha del buon talento, onde nel ritiro farà certamente dello sviluppo. Dunque si cooperi con impegno, ed attenda farlo ritirare consolato... ".
    L'esito dell'esame, com' era da prevedersi, fu felice, e il santo giovane, lieto oltre ogni dire, se ne torno al Seminario, aspettando il momento, in cui il Rev.mo P. Rettore Maggiore, D. Pietro Paolo Blasucci, mandasse il suo consenso per ammetterlo in Noviziato.
    Aspettò sino alla fine del mese, ma sempre invano..... e non sapendo egli darsi ragione della tardanza, ecco che mille pensieri gli si affollano in mente, e quindi daccapo nei dubbi, e nelle sofferenze come prima.
    Non doveva però far meraviglia il ritardo. In quei tempi, tristi pel così detto regalismo, eravi legge che proibiva al Rettore Maggiore di accettare giovani nel suo Istituto senza un dispaccio reale che glielo avesse consentito. Tale dispaccio tardava a venire; ed alfine un mese poi non era troppo, perchè chi non sa in simili cose quanto sia lungo e fastidioso il giro della burocrazia? Ma al santo giovane un mese pareva già un secolo, e sebbene rassegnato, pure l'aspettativa gli riusciva sommamente penosa, tanto più che col primo mese, passò pure il secondo e il terzo, e la desiderata ammissione non arrivava.
    Si aggiunga la notizia che ebbe dell'entrata_nell'Istituto di un tal Monaco ,giovanetto suo concittadino, e non ne sapendo spiegare il mistero, ne scrive tosto allo zio. " Ho inteso che Gaetano Monaco sia stato ricevuto nella Religione dei Padri Missionari. Com'è possibile? Per me ci voleva il dispaccio, e per il detto no? Forse vi saranno stati più impegni? Come si sia, non deggio affliggermi. Ma vi prego ad impegnarvi fortemente: che almeno io sia ricevuto per il 21 maggio, piacendo al Signore".
    Il netto era che il Monaco avea bensì richiesto di essere ammesso in Congregazione, ma essendone stato respinto per la stessa ragione del regio placito, avea rivolta la sua domanda non più ai Redentoristi del Regno di Napoli, come il Venerabile credeva, ma a quelli dello Stato Pontificio, ai quali presiedeva il P. Francesco Di Paola, residente in Frosinone, e questi l'aveva accettato, credendo di poterlo fare in forxa di un Rescritto Pontificio.
    Come si seppe ciò, andante qual'era e sospiroso, perchè la grazia pone le ali ai piedi e l'impulso nel cuore, non pose tempo in mezzo, e con l'occhio sempre fisso all'asilo desiderato, pregò pure lui quel Superiore, e insistette per essere accettato colà. L'ottenne. E il giorno 14 marzo 1805 egli da Sant'Angelo a Cupolo, ov'era il Noviziato per lo Stato Pontificio, poteva scrivere al suo zio D. Felice: " Domani ad otto, venerdì venturo, speriamo nel Signore di entrare nel Noviziato... ". Ma non fu così. La sua Vestizione e quella degli altri, e quindi 1'ingresso in Noviziato, per circostanze sopravvenute, fu differita al 1 Aprile 1805.
    Questa data giunse, ed egli soddisfatto nelle aspirazioni del suo cuore, credè un momento di essere in Paradiso.
    Dico un momento, perché mentre egli si credeva dì aver conseguito il tutto, si trovava invece al principio di nuovi e più gravi fastidi. Ad ogni modo, ignaro dei disegni di Dio, si credeva già in Paradiso perché raggiunta la meta; e, com'è proprio di tutti i Santi, non pensò più ad altro che a corrispondere a tanta grazia ricevuta. Si vedeva già nel Noviziato religioso, con addosso le lane di S. Alfonso, circondato da confratelli, emuli al par di lui, delle virtù dei Santi, tutto assorto in pratiche di pietà e di perfezione.... Non gli rimaneva dunque altro se non sospingersi innanzi con alacrità, e toccare senza meno la cima del monte misterioso.
    E si pose all'opera davvero, con energia sempre crescente, avendo a maestro l'ottimo P. Fastaglia insigne guida nelle vie dello spirito, e fissandosi innanzi agli occhi quale forma della sua santità, il fine stesso dell'Istituto abbracciato, che è l'imitazione di Gesù Redentore.
    Abbiamo una prova ne1le sue stesse parole: "Vito Michele, egli scrisse, a che fare sei venuto nella Congregazione? Perchè tanti impegni e tanta sollecitudine hai posta per fuggire dal secolo e ritirarti in Religione? Forse per menare una vita comoda ed agiata, per fuggire i patimenti ed i disprezzi? Ah! certamente che no... lungi sia dal tuo pensiero un tal fine. Il tuo soggiorno e la tua vita in Congregazione deve essere lo studio dìimitare più da vicino le virtù ed esempi di Gesù Cristo. Esso dev'essere il tuo modello, imitandolo in tutte le tue azioni, se vuoi godere pace in questa vita e la beatitudine nell'altra, godendolo da faccia a faccia. Onde se sei stato sollecito di ritirarti nella sua casa, devi essere anche sollecito d'imitare e praticare le sue santissime virtù".
    Questo fu il programma che si prefisse, e per attuano più facilmente prese come a modello più immediato l'inclito giovanetto S. Stanislao Kosta,e poi, afferma il P.     Fimmanò5, fece tosto il proponimento " che il mondo dovea essere per sempre crocifisso a Lui, ed Egli al mondo - e come S.Paolo sempre confitto alla croce del suo Signore ".
    Con siffatto programma, che in realtà non è altro poi che il compendio di tutto il Vangelo, e la sintesi della perfezione più sublime, fece tostamente voli nel cammino della virtù, laonde la diligenza e il fervore l'accompagnavano dapertutto, le fiamme della carità divina divennero in lui come sensibili di giorno in giorno, e mercè queste fiamme, l'amore al silenzio, alla solitudine, alla meditazione, alla preghiera: in modo speciale si vide egli più impegnato nella pratica delle virtù dell'umiltà, della modestia, della mortificazione, che dovean formare più tardi la caratteristica della santità sua. Talvolta lo si sorprendeva raggiante dalla gioia al pensiero di trovarsi nella casa del Signore, e la letizia del cuore gli si leggeva manifestamente nel volto.
    La volle pure tale letizia comunicare allo zio, ed in una lettera del 27 settembre 1805, tra le altre espressioni esclama: " Mi rattrovo al sommo contento, grazie al Signore, dello stato abbracciato, e di avere quivi preso il sentiero della vera saviezza...".
    Con sì liete disposizioni giunse alla fine del Noviziato, ed i Superiori innanzi ad una condotta al tutto virtuosa, ben volentieri l'ammisero alla professione religiosa il giorno 29 gennaio 1806 sacro al Santo della dolcezza, Francesco di Sales, col quale egli, come si vedrà in prosieguo, ebbe speciale analogia nello spirito.
    Con fervore di Serafino compiè la sua professione, ed ebbe l'animo di consacrarsi totalmente e irrevocabilmente, all'amore e al servizio di Gesù Redentore. Già oramai egli trovavasi nei forami sacri della colomba: quivi riposava tranquillo: e volse ogni pensiero a disporsi, mercè lo studio ed un incremento maggiore di virtù, alla sacra ordinazione.
    Lo pensò egli..., ma pur troppo fu dolce lusinga! Momenti soltanto gustò di tale pace e riposo, e tosto ricominciò furibonda la tempesta.
    La vocazione religiosa è tale grazia, che, come dice S. Alfonso, è la prima dopo quella del battesimo, e Iddio vuole che lo si riconosca: perciò l'avvolge, a preferenza di altre grazie, tra le spine di prove più diuturne, affinchè l'anima che la riceve, adornata così di nuovi meriti, ne diventi più degna e più idonea.
    Tanto avvenne per il nostro Vito Michele. Si può dire avere egli ripigliati appena gli studi, dopo la professione, e tosto nel giugno 1806 Napoleone I ,avendo tolto al Papa lo stato di Benevento, fece si che ne rimanessero i beni religiosi dispersi, i conventi e i monasteri soppressi, e gli abitatori di questi cacciati con la violenza. Fu forza perciò al nostro Venerabile, chiusa la Casa di Sant'Angelo a Cupolo, ripigliar la via della patria, col dubbio amarissimo di non poter più tornare nell' amata Congregazione, o almeno di dover aspettare chi sa qual lungo tempo...
    Adorò egli i divini giudizi, ritenne tutto come un effetto di sua indegnità, e con le lagrime agli occhi, eccolo ripigliare la via di Vallata.
    Quivi egli mutò dimora, ma non cangiò affatto tenor di vita: non cangiò l'orario della Comunità, non le pratiche della meditazione e della preghiera, nulla... Tuttavia di tentazioni e di lotte oh! quante ne ebbe !... Si sentiva, come sbalzato di tratto fuori del suo centro, disorientato, incerto, quasi senza vita. I giorni e i mesi si susseguivano gli uni agli altri, sempre gli stessi, ed alle pene interne si aggiungevano altresì quelle che gli venivano dal di fuori. Vi fu perfino chi gli consigliò di smettere del tutto l'abito religioso, e rivolgersi ad altra meta. Ma egli non vacillò mai, e rimase forte nella fiducia in Dio; pianse, ma non si scoraggiò, e a chi gli susurrava la parola del serpe, protestò sempre energicamente, e baciando il suo santo abito, esclamava " che lo avrebbe smesso soltanto con la morte ".
    Per la scuola continuò ad andare dallo zio Arciprete, ed è meraviglia come fra tante angustie seppe trovare abbastanza di calma per compierel'intero corso della logica e metafisica del Capocasa1e, studiare l'aritmetica con la geometria, un po' di fisica, e il Dritto di natura e delle genti di Einnecio.
    Talvolta però l'amarezza dello spirito lo sopraffaceva, ed allora non poteva trovare altro rimedio che rivolgersi, per averne consiglio e conforto, al suo amato Superiore Generale. Questi gli rispondeva fraternamente, ed è buono riportare una delle lettere inviategli, per prova dell'interesse che di lui pigliavano i Superiori.
    " Per volontà di Dio vi trovate nella vostra casa. Dovete trattenervi in essa fintanto che Dio si degni disporre le cose favorevoli per la vostra sussistenza. Si aspetta il regolamento generale per gli Ecclesiastici ordinandi in futuro, con cui dobbiamo regolarci. Frattanto vivete ritirato e con tutta l'edificazione; frequentate i Sacramenti, e nell'orazione pregate Iddio che disponga le cose per la sua maggiore gloria. Vi benedico nel Signore.
    Vostro Fratello in Gesù Cristo, Pietro Paolo Blasucci della Gongregazione del SS. Redentore".
    Era il padre che consolava ed incoraggiava il figliuolo lontano..... E fu necessità il rassegnarsi, toccandogli di restare in patria circa un anno e     mezzo6. Egli pazientava e pregava: i Superiori dell'Istituto lavoravano e combattevano.
    Il dibattito con la Corte di Napoli fu lungo e molesto, ma alfine si vinse, ed in sul principio del 1808 il Novizio Vito Michele ebbe la consolazione di portarsi in Pagani, ove fu accolto con tanta cordialità che egli stesso non potè tenersi dal darne relazione allo zio.
    Da Pagani fu mandato in Ciorani a farvi qualche mese di Noviziato, e poi nel collegio di Deliceto, ove ripetè, in modo oramai definitivo, la sua professione ai 25 di Aprile 1808.
    Ogni individuo quaggiù ha una storia, ed in essa pagine raggianti di luce, ed altre irrigate da lagrime. Tra queste si numerano quelle che vengono scritte nei giorni della scelta dello stato. Quante ansie in quel periodo! quante perplessità!... Allora con Dio che parla, parlano pure le passioni, il mondo, Lucifero, frapponendovi ostacoli di ogni sorta. Nei Santi vince sempre Dio, tuttavia il cuore di essi stilla gocce di vivissimo sangue.....
    E questo, in breve, quanto si è narrato in tutto il capitolo.

_________________________________________________

[3] Il P. Tannoia nacque in Corato il 26 ottobre 1724 fece la sua professione religiosa nella Congregazione Redentorista il dì 8 Dicembre 1747, ed appena ordinato Sacerdote gli fu affidata la carica di maestro dei novizi, e poco dopo quella di Rettore della Casa di Deliceto. Visse una vita eroicamente paziente, perchè sempre circondato da incomodi e gravi infermità, come gli aveva profetizzato S. Alfonso; tuttavia si mantenne sempre fedele a tutti gli esercizi di pietà, alle fatiche dell’apostolico mi­nistero, ed allo studio. Compose varie opere molto stimate, e fra le altre, la pregevole Vita di S. Alfonso. Mori in Deliceto, in odore di santità, il 12 Marzo 1808.
[4] Si accenna al Duca di Bovino, città in vicinanza di De­liceto. ov’era sita Casa dei Padri Liguorini, detta « la Consolazione ».
[5] Il P. D. Massimiliano Fimmanò, nativo di S. Eufemia, in Provincia di Reggio Calabria, ebbe la fortuna di essere suddito del Venerabile nostro in Troppa, e naturalmente gli fu compagno nelle fatiche del ministero. Alla morte del Servo di Dio gli lesse un forbito elogio funebre.
[6] Dai contemporanei del Servo di Dio ci è riuscito sapere che egli non tornò mai più in patria, meno due giorni soltanto dopo l’ordinazione al Sacerdozio.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home