Vallata - brevi cenni storici - L'Apostolo delle Calabrie Ven. P. Vito Michele Di Netta - Capitolo II - L’apostolato - Idea generale.

CAPITOLO VII.

L’apostolato - Idea generale.

SOMMARIO. — L’imitatore di S. Alfonso — Il proposito di rimirare Gesù nel prossimo — 1 37 anni di apostolato — Percorre gran parte delle regioni Calabre — La passione delle Missioni — Vero Apostolo — Attraeva e convertiva — Effetti meravigliosi — Instancabile — Gloria di Dio e salvezza delle anime — La predica grande — La missione del 1842 in Tropea — La perorazione — Il corpo di riserva, ossia la predica della Madonna — Altri mezzi di conversione — Un suo segreto: preghiera e penitenza — Il soprannaturale nell’apostolato — Miracoli dappertutto — Risultato di quest’azione miracolosa.

    Dire adeguatamente, e dire tutto dell’apostolato del Ven. Di Netta, non mi par possibile, perchè studiato egli da questo lato, riesce inarrivabile, ed il suo apostolato ha solo analogie con l’apostolato del suo santo Fondatore, Alfonso dei Liguori. Tra i suoi proponimenti vi ha il seguente: «Rinnovo il proposito di essere fedele osservatore delle mie regole, e d’imitare per quanto potrò la vita del mio B. Padre Alfonso ».
    Sotto tanti rispetti il Venerabile P. Di Netta fece in sè rivivere il suo S. Fondatore, e se è vero che in lui non si ammirarono tutte le grandi doti ed i miracoli del Liguori, tuttavia si può affermare che il Signore gli concesse la grazia di divenirne il fedele imitatore nell’Apostolato.
   
S. Alfonso era Gesù Cristo che vedeva nel prossimo, e da ciò i grandi prodigi e le meraviglie di un apostolato senza riscontro: e il Di Netta esclama: «Propongo di riguardare Gesù Cristo nel prossimo e di non fare cosa alcuna che disgusti lo stesso nel confessare, nel predicare, e nel trattare». E altrove ripete: «Risolvo e rinnovo il proposito di considerare Gesù Cristo nel prossimo, e trattarlo come dovrei trattare Lui medesimo».
    Da ciò i prodigi e le meraviglie anche dell’apostolato del P. Di Netta, e di un apostolato pure senza riscontro.
    Se si volesse enumerare tutto quello che il Di Netta fece in 37 anni di Apostolato nelle Calabrie, tutte le fatiche che ei sostenne per la salvezza di quelle anime, sarebbe cosa troppo lunga e impossibile. Basta solo affermare, come si accennò, che evangelizzò quasi tutte quelle contrade, e di preferenza quasi tutti i paesi delle diocesi di Troea e Nicotera, di Mileto, di Oppido di Gerace, di Squillace, di Reggio, e molti pure di quella di Cosenza, passando   di missione in missione, da una fatica ad un’altra, senza interruzione, dal mese di Ottobre a tutto Maggio, e per ogni anno di seguito.
    Può dirsi che egli avesse la passione per le Missioni. Considerandolo nel tutto assieme così deve affermarsi. Nel periodo di tempo prossimo alla partenza per esse, si vedeva irrequieto, in gran moto, tutto intento agli oppurtuni apparecchi, aspettare ansioso il momento per andare, e sfavillante addirittura dalla gioia. Tutti, che lo avvicinavano in quei giorni, se ne accorgevano, e si diceva sorridendo: Il .P. Di Netta è nel suo centro.
   
Non aveva grandi doti personali e nemmeno attitudini speciali per siffatta specie di predicazione, tuttavia era un vero apostolo, un vero missionario.
    Non aveva, ad esempio, grande e robusta statura, come la voce non gli era molto forte, nè sonora, però la sua parola era incisiva scultoria,e insieme toccante, accompagnata sempre da una cotale unzione propria di lui che come calamita attirava a sè i cuori, e come dardo li penetrava, e spezzava. Quindi qual meraviglia, se folle di uomini e di donne correvano a lui per ascoltarlo, anche da lontani paesi? ecclesiastici e laici, signori e plebei, di ogni età, di ogni condizione, di ogni classe?
    Alla forza del suo dire non si resisteva. Parlava con tanto di zelo e veemenza, che alle volte perdeva anche la voce, ma senza che per questo intermettesse dalla fatica. I grandi colpevoli, i peccatori più induriti, si davano per vinti sin dalle prime sere delle missioni, e si notavano sensibilmente le manifestazioni più belle della grazia, non soltanto durante il corso di esse, ma lunga pezza dopo. Così rimanevano deserte le bettole, e chiuse le case di peccato, spenti gli spiriti di parte, cessate le lotte, e tutti piangere con vero sentimento i propri trascorsi, e lodare e ringraziare il Signore pubblicamente.
    L’instancabilità e attività sua nelle missioni, doveva dirsi cosa al tutto straordinaria, sopraumana: altrimenti come spiegare quel suo assiduo confessare dalla mattina alla sera, fino ad ora tarda, perchè nessuno restasse defraudato? Come spiegare quel suo trasporto specialmente verso i rozzi, gl’ignoranti, gli abbandonati? quel togliere ai compagni la fatica per farla propria? Diceva loro: Se vi capitano persone, che voi non potete o non volete confessare, mandatele a me. Come spiegare 1’interessamento al tutto singolare per l’istruzione catechistica dei fanciulli e per apparecchiarli alla prima Comunione? quel non intermettere dalle fatiche del ministero neppure tra le sofferenze e gli spasimi delle malattie? quell’andare talvolta tutto solo in missione - quando i Padri erano altrove occupati - con l’aiuto di un Fratello laico, al quale aveva imparato fare un po’ di Rosario, e riserbando a sè tutto il resto? Come spiegare quello scegliere per sè sempre il peggio e il più povero, la più povera cavalcatura, il più povero letto, il confessionale più incomodo? Come spiegare quell’essere egli pronto a tutto e sempre? quel supplire gli altri, quando venivano meno? quel non rifiutarsi mai, qualunque si fosse il lavoro?
    La gloria di Dio
e la sa1vezza delle anime: ecco i due poli del suo continuo orientamento. Per queste due cose egli viveva, e ciò formava l’anima, il sospiro, l’ ideale di tutto sè. Qui convergeva tutto: le missioni, i privati discorsi, l’amministrazione incessante dei Sacramenti, i suoi fervorini di notte, che tuttavia si ricordano e che scuotevano mirabilmente dal sonno del peccato uomini e donne di mala vita: qui miravano la direzione spirituale delle anime pie, l’istituzione di congregazioni di spirito, il suo pregare continuo, le sue continue mortificazioni e penitenze corporali: qui i pensieri, i desiderii, i moti, le tendenze, le inclinazioni tutte dell’animo suo.
    Sempre sulle tracce del S. Fondatore non cercava far egli pompa di sublimità di discorsi, nè di peregrine dottrine, ma annunziava semplicemente il loro peccato ai Calabresi col potente linguaggio della convinzione: le frasi scelte, i torniti periodi, le speciose figure... erano merce per lui affatto sconosciuta; invece le auguste terribili verità della fede, e dei divini giudizi eran le armi potenti di cui servivasi per le stupende e abbondanti conquiste sue.
    Nelle Missioni faceva sua quasi sempre la predica sulle massime, detta comunemente predica grande, ed in questa il suo linguaggio era spontaneo, mai ricercato, sempre intelligibile a tutti. Il tema della prima predica era la Divina Misericordia, ed essa sola valeva un’intera Missione; perchè secondo l’attestazione dei contemporanei suoi, da quella prima predica, da quel primo giorno, potevasi dire assicurato l’esito della Missione.
    È celebre ancora in Tropea la Missione del 1842. Il Servo di Dio dà principio a tale Missione, reduce con sei compagni da un’ altra, predicata in Reggio. Nel viaggio ebbero fortuna di mare, e furono salvi per la protezione della Vergine di Romania I), invocata da lui in quel frangente. Giunti in Tropea, il P. Di Netta fa l’apertura, accenna alla grazia ricevuta, ed esclama con veemenza e commozione grande: La Madonna vuole la missione, eravamo perduti, e siamo salvi per miracolo...
    Indi dà di mano alla sua predica sulla Misericordia, e tostamente produce sull’udienza impressione profonda. Lo si ascolta da tutti con le lagrime agli occhi, e, come afferma un testimone oculare, l’uditorio resta del tutto guadagnato, quando in sul finire della predica esclama: Che temete, o peccatori? non abbiamo la Mamma nostra che è potente presso Dio, suo Figliuolo? E non possiamo in ogni tempo ricorrere a Lei? Non è dessa l’ancora di nostra speranza? Chi è ricorso a Lei, e non ne rimase esaudito?… Non pareva più lui che parlava, appariva un angelo... Ebbene, da quella prima sera tutta la Missione fu un crescendo meraviglioso: si ottennero effetti insperati, conversioni senza numero, e, tra le altre, di persone abituate nel vizio e nella bestemmia, peccatori pubblici, che si conservarono buoni in tutto il restante di loro vita. Di quella Missione in tutta Tropea fino al giorno di oggi non vi è chi non abbia un ricordo.
    Era egli singolare altresì nella perorazione. Non avendo, come si è detto, voce molto sonora, non riusciva felice in quella specie di tonetto, solito a farsi dai Missionari nelle parti meridionali d’Italia. Pure compiva prodigi, e se nel caso vi fosse stato peccatore non conquiso nel corso della predica, lo era di certo alla perorazione, al momento della così detta «mozione degli affetti». Qui giunto si verificava una commozione indicibile, spesso anche clamorosa; le lagrime correvano da tutti gli occhi, non si valeva a resistere, e si udivano allora spontanee, e ad alta voce le proteste di mutar vita, di non voler più offendere Dio, con le risoluzioni di voler vivere da buoni cristiani, e con la promessa di fuggire le occasioni della colpa. Pareva in quei rincontri, come tornato il tempo delle Missioni di S. Leonardo da Porto Maurizio, e di assistere a quegli spettacoli di conversioni, di che si legge nella vita di quel Santo.
Che se con tutto questo non avesse trionfato.
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I) La vergine di Romania è immagine antica, assai miracolosa, e si venera in Tropea quale Protettrice.


      Dopo sua morte perciò, parlandosi di qualche ostinato peccatore, si era solito dire: Ci vorrebbe ora il P. Di Netta per convertirlo.
Un altro segreto egli aveva, e che fu in vero il segreto di tutti i santi Missionari, cioè quello di ricorrere alla preghiera e di affliggere il proprio innocente corpo con oggi sorta di rigori.
    In tutte le ore libere lo si vedeva pregare, e pregare con preghiera fervida, insistente. Chiedeva anche il soccorso delle preghiere altrui, e specialmente quelle delle sue innumerevoli penitenti. Poi per quanto le sue fatiche apostoliche fossero gravose ed estenuanti, pure non interrompeva affatto le consuete mortificazioni: discipline, cilizi, polveri amare nelle vivande, sonni disagiati, astinenze  nel cibo. Non interrompeva il suo fervore di spirito, le sue meditazioni in ginocchio, le visite prolungate avanti il Sacramento. E quando non poteva farlo di giorno, lo faceva di notte. In Sa Domenica, borgata nelle vicinanze di Tropea, abitando nella Canonica, attaccata alla Chiesa parrocchiale, fu visto tutte le sere, sbrigati gli esercizi comuni coi compagni, scendersene avanti al Sacramento, e ivi starsene le lunghe ore, pregando e disciplinandosi. In Oppido Mamertino, nella Casa dei Signori Grillo, fu notato che nel cuore della notte se ne andava nella cappella domestica, trattenendosi a lungo nelle sue orazioni.
    In tale maniera, e con siffatti mezzi egli riforniva perennemente le sue forze apostoliche ed il suo zelo, che meravigliosamente non gli vennero mai meno fino alla morte.
    Si aggiunga poi il dito manifesto di Dio lo straordinario, il soprannaturale, che lo irradiava daperutto, e si resta sempre meglio convinti di sua missione celeste.
    Il miracolo già lo accompagnava sempre, lo vedremo a suo luogo, ma anche qui se ne potrà dire qualche parola, perchè veramente lo accompagnava di preferenza nelle Missioni: spesso lo precedeva, tal’altra lo seguiva, ed era come lo stigma divino che contrassegnava il suo ministero, e lo faceva brillare di quella luce, di che apparvero sempre circondati i Santi.
    Veniva a Tropea da Reggio per la Missione del 1842 con altri sei compagni, e sbattuti per via, come sopra si disse, per fortuna spaventevole di mare, si fu salvi per la virtù prodigiosa del Servo di Dio. Al discorso di apertura egli stesso lo manifestava ai commossi Tropeani con le lagrime agli occhi. - In questa stessa Missione egli oltre la predica grande al popolo, predicava pure gli Esercizi al Clero. Fu assalito da infermità fastidiosa, una specie di foruncolosi, eppure non intermise un giorno, per un’assistenza dell’ alto, dai suoi lavori.   
    Altra volta era in Missione col P. De Blasio, e stava a letto infermo per un piede, che il giorno innanzi gli si era slogato, scendendo dalla cattedra. Al suono della campana, che la sera seguente invitava alla predica, spinto da un impeto arcano, si alza di botto, e battendo col piede a terra esclama:
Non voglio darcela per vinta al demonio.
    Si sente guarito all’ istante, e va in Chiesa a predicare. Si pensi con quanto frutto e commozione, giacchè il popolo sapeva dell’incidente incorsogli.
    In altra circostanza trovavasi coi PP. De Blasio e Ilaria per mare, diretto per una Missione. A un tratto vengono sorpresi da furibonda tempesta, così da trovarsi petto a petto con la morte. Egli solo resta sereno, mentre gli altri piangono costernatissimi. Allora esclama: Figli, non temete, noi saremo salvi; facciamo voto a S. Filomena di celebrare ad onor di Lei la Messa, appena toccheremo lido, e non ci incorrerà male alcuno. Pronunziata la promessa, si fè tosto bonaccia, e i suoi compagni attestarono di aver veduto accanto a lui, durante il pericolo, una giovinetta dal viso angelico, che ritennero essere S. Filomena.
    Spesso, sia andando in Missione, o tornandone, tanto lui quanto i compagni rimasero asciutti, pur camminando per ore intiere sotto di un cielo dirotto. - Spesso pure ripigliava di tratto la voce, perduta per il soverchio e prolungato sforzo nella predicazione.
    Nemmeno le infermità più gravi gl’impedivano di smettere dalle fatiche apostoliche, e sparivano, curandole con dei mezzi assai sproporzionati: ad esempio, bevendo una tazza di acqua calda, dov’era stata cotta la pasta. – Anche le infermità dei compagni finivano per incanto ad una sola sua parola, ad un segno di benedizione sua. Il P. Bellucci, inabile al lavoro da più giorni, ad una parola del Servo di Dio sentissi rinvigorito e completamente sano, da poter predicare in quella sera stessa e nelle altre successive. - Finivano pure per incanto le mene dello spirito maligno a suo danno, od almeno senza nuocergli affatto. Così nella Missione di Delianova, essendo solito scegliere per sè sempre il peggio, dormiva sotto di una misera volta. Ad un tratto di notte si leva, e correndo a svegliare i compagni, loro dice che non avessero temuto per quello che tosto avverrebbe. E mentre parlava, ecco cadere con gran fracasso la volta di sua cameretta: conseguentemente senza danno di alcuno. - In Brattirò invece predice al popolo nell’atto che predicava, una scossa di terremoto: Fra poco, esclama, vi sarà novità, ma non v’intimorite, perchè non si avvereranno disgrazie. Dopo pochi minuti avvenne quanto il Servo di Dio avea predetto, e senza disgrazie di sorta.
    Non è credibile quanto tutto questo aumentasse il prestigio e la fama del santo predicatore, e quindi la sua persona si circondava di una vera venerazione, e le sue parole si ascoltavano con una specie di timore e rispetto insieme.
    Avveniva pure spesso che il prodigio era compiuto tutto a vantaggio degli altri, e di somiglianti casi colà, nelle Calabrie, se ne narrano parecchi.
In Sinopoli, in tempo di Missione vien chiamato a letto di una moribonda, a nome Maria Rosa, per apprestarle gli ultimi conforti religiosi. Egli invece se le accosta, e le dice: Maria Rosa, alzati a nome di Gesù e di Maria, e vieni alla predica. Dietro siffatte parole la moribonda si scuote, apre gli occhi, e sta bene.
    Dovunque andasse, era solito raccomandare a tutti di venire in Chiesa ad ascoltar la predica. Alcune, giovanette specialmente, si scusavano perchè lontane di abitazione, e perchè avrebbero dovuto attraversare luoghi pericolosi per la loro onestà. Ed egli: Venite, non temete, la Madonna vi accompagnerà. Ed era veramente così. Molti e molte raccontano il modo com’erano miracolosamente assistite.
    E semplicemente bello pure quanto fece a pro di un vetturino che lo accompagnava reduce dalla Missione in Oppido, nel Maggio 1844.
Il sole sferzava, e quel mulattiere non se la fidava più, arso da sete cocente. Il Servo di Dio lo compatisce; e pieno di carità: Andate, dice, dietro di quelle piante, e troverete da bere. - Eh! Padre, mi burlate, rispose; passo tante volte di qui, e conosco bene questi luoghi. - Andate, ripiglia il caro Padre, e potrete bere. Più per compiacenza che per altro si avviò colà il mulattiere, sicuro di non trovar nulla. Ma invece con sorpresa vi trova una piccola sorgente di acqua freschissima. Ne bevve. - Il giorno seguente, ripassando, volle ivi affacciarsi di nuovo, e questa volta non vi trovò più nulla.
    Anche gli oggetti che appartenevano al Servo di Dio, diventavano operatori di miracoli. Come lo zucchetto, il bastone... E servivano ad arrestare torrenti, a fugare infermità che impedivano l’accedere in chiesa e godere dei vantaggi delle Missioni, oppure a confermare le anime nel bene intrapreso...
    Ma di ciò basta, dovendo a suo tempo parlare più distesamente di questa azione prodigiosa del Servo di Dio, dalla quale era accompagnato dovunque e sempre.
    E per conchiudere il presente capitolo. Di quali risultati meravigliosi non dovea risplendere l’apostolato del Di Netta, accompagnato così dalle mille risorse individuali e soprannaturali? Ed ecco il perchè del celere diffondersi di tale apostolato per tutte quelle regioni Calabre. I benefici del suo zelo venivano reclamati dai Vescovi, dai Parroci, dai popoli, e il santo Missionario non valeva a resistere, avrebbe voluto moltiplicarsi...
    E poi dovunque appariva, lasciava l’orma luminosa del suo passaggio, e si notava sensibilmente la sparizione della colpa, il rifiorimento del buon costume, come il germogliare rigoglioso delle virtù più elette...
    Avremo opportunità convincercene meglio, proseguendo nella narrazione dei fatti.

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