Comunità di Vallata tra Chiesa Madre, Cappellanie e Regia Dogana - Sergio Pelosi — Don Amato.

Capitolo VI
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6.5 Don Amato.

        Era il 3° figlio di Don Antonio Pelosi, che già nel 1739 apparve come locato della Regia Dogana in locazione Vallecannella ma che, dal momento che sposò Donna Dorotea Cristiano, figlia di Giovambattista, lo divenne anche in Feudo d’Ascoli. Infatti, suo suocero, Don Giovambattista Cristiano era già da tempo un locato della Regia Dogana di Foggia ed era censuario di terreni a pascolo situati nell’agro di Canosa che ricadeva in quella locazione.  In occasione delle nozze di sua figlia Dea, con i capitoli matrimoniali redatti con il consuocero Don Antonio Pelosi, le passò anche un diritto di censuazione sopra 7 versure di terre nell’ambito della “Posta de Porcili” che si trovava proprio al confine con la ”Defensa delle Razze Reali” in locazione di Feudo. Ma, quel diritto, donna Dorotea, due anni dopo il matrimonio lo cedette, dietro compenso, a suo fratello Don Mattia Cristiano che a Vallata fu anche il responsabile dell’unità del Buon Governo. Le nozze furono celebrate nella Chiesa Madre di Vallata il 26 Maggio 1742 e, fin quando fu in vita, Don Amato non solo amò molto sua moglie, ma si dedicò alla casa, alla famiglia, e da vero cristiano, frequentò sempre la Chiesa assieme al fratello Pasquale con cui curava i comuni interessi con gli altri fratelli. Ebbe due figli Vincenzina e Saverio, ma il 10 Agosto 1753, dopo 11 anni di felice matrimonio, Amato esalò l’anima a Dio ed i fratelli che si fecero coraggio per annunciare quel triste evento e che comparvero come testimoni sul certificato di morte furono il Mag.co Don Nicolò ed il Mag.co Don Domenico. L’Arcipresbiter Don Ciriaco Cataldo celebrò la messa in un’atmosfera resa ancor più triste per la presenza sull’altare del fratello del defunto, Don Pasquale Pelosi che, a quella data, era ancora suddiacono a San Bartolomeo dove, dopo alcuni mesi, nel 1754 venne ordinato sacerdote  “fidei donum”. La funzione sacra fu celebrata tra la commozione e le lacrime di tutti e la stessa cosa avvenne anche in occasione del trigesimo della sua dipartita a cui parteciparono tutti, compresi il vecchio Don Antonio Pelosi che, nonostante i suoi settantaquattro anni, arrivò nella Chiesa di San Bartolomeo con non poche difficoltà e grazie all’aiuto dei figli per porgere l’estremo saluto a suo figlio. In quella occasione, Don Pasquale, chiese ed ottenne dalla cognata Donna Dorotea che il piccolo Saverio, figlio orfano di Amato, gli fosse affidato affinché potesse essere lui il suo precettore di studi e così forse, avrebbe potuto continuare quella tradizione consolidata in casa Pelosi che vedeva un discendente svolgere quelle funzioni ecclesiastiche per le quali lui si stava da tempo preparando proprio lì nella Chiesa Madre di Vallata. Saverio, con l’amorevolezza ed il beneplacito della mamma Dorotea, frequentò assiduamente la Chiesa e lo zio, e sin da piccolo, lo avviò oltre che allo studio del latino, all’arte dell’agricoltura e della zootecnia, come antico retaggio di famiglia. Frequentò luoghi consacrati e pii, e Saverio fu sempre in prima linea alle processioni, specialmente quella del Venerdì Santo, che è stata sempre stata una gran tradizione per Vallata. Ma, in linea con il detto che l’uomo propone, ma Dio dispone, Don Saverio arrivò ad essere Diacono, ma non sacerdote come avrebbe desiderato lo zio Pasquale, perché morì il 1783 per un male oscuro ai polmoni che all’epoca seminava morti in tutti gli strati sociali. Rimase così in vita solo la Mag.ca Donna Vincenzina che sposò il notaio Andrea Sauro di Vallata e che ebbe un ottimo rapporto con sua madre Dea, come lei amava chiamarla in famiglia. Dal matrimonio tra Donna Vincenzina ed il Notaio Andrea Sauro, nacque Vito, Pasquale, che fu battezzato l’11 Novembre 1776 ed i testimoni furono il Dottor Don Nunziante Pavese e la Mag.ca Donna Rachele Pelosi, sua amata cugina. Nella Dg. II busta 637 fasc.13161 nel 1777 vi fu una causa della Mag.ca Donna Vincenzina Pelosi di Vallata, figlia del fu Amato, per via di una mancata eredità e citò zii e cugini. A Donna Vincenzina successe che lo zio sacerdote Don Pasquale, l’aveva nominata nel testamento e poiché era già passato un anno da quella data e non aveva ancora ricevuto nulla, ricorse al Tribunale dei locati a Foggia per citare i suoi parenti e per far valere i suoi diritti. Così si appresero diverse situazioni della sua famiglia d’origine ed in particolare che lo zio le aveva promesso una somma di 50 Ducati mai ricevuti. Il documento, composto di più parti, è molto cospicuo perché ci sono molte comparse in date successive a quelle date, ed al pari di quanto già successe per la zia Donna Caterina Patetta, anche lei iniziò la causa forte del consenso del marito notaio Andrea Sauro. La causa trovò risoluzione solo nel 1788, perché furono create le condizioni giuridiche per cui, Don Nicolò suo zio rifiutò l’eredità del fratello Don Pasquale, la stessa cosa fece lo zio Don Domenico, a tutto vantaggio del nipote Bartolomeo che era sotto tutela giuridica della madre e del fratello Don Michele che nel 1788 liquidò le spettanze alla cugina donna Vincenzina tramite un buon accordo passato per le mani di suo marito, notaio Andrea Sauro. In quello stesso anno Don Bartolomeo suo cugino, sposò la figlia dello zio Domenico, quindi, l’accordo fu essenzialmente basato su questo argomento.
        In una causa tenutasi presso la Regia Dogana di Foggia nel Fondo della Dg. II  b. 634 f. 13109, Donna Dorotea Cristiano citò un tal Pietro Villano e Vito Cornacchia di Vallata negli anni 1781/82, ma questo fu solo un pretesto per esprimere tutta la sua rabbia contro i suoi cognati e nipoti appartenenti alla famiglia  Pelosi. Il fatto fu che Donna Dorotea reclamava i canoni relativi ai due anni in questione che i due enfiteuti non gli pagavano più come una volta. Il fondo incriminato era quello sito in località detto AIRAIMPAIA che il suocero Don Antonio Pelosi aveva comperato come bene dotale su un anticipo di 35 ducati su di un totale di 70 che suo padre Don Giovambattista Cristiano le aveva dato per dote di maritaggio, più altri beni dotali, tra cui anche un appezzamento di 15 ducati nella città di Andretta, tutto riportato dal notaio Fabio Magaletta nel 1742. I due enfiteuti si difesero dicendo che loro non sapevano a chi pagare e solo per questo non avevano adempiuto all’annuo estaglio. Donna Dorotea, al contrario, con atto del notaio Gallo di Vallata, fece mettere a verbale che era lei e soltanto lei la padrona dei 50 tomoli di terra ad AIRAIMPAIA, ed a tale scopo produsse una dichiarazione dell’Arcipresbiter Don Donatus Zamarri, del 1782, recante il sigillo della Parrocchia di San Bartolomeo, dove si riportava tutto quello che lei affermava, cioè che era un bene dotale comprato dal suocero Dottor Don Antonio Pelosi, ora sepolto nella cripta situata sotto l’altare maggiore della Chiesa. Ma, Donna Dorotea, colse l’occasione per denunciare un altro fatto assai più grave del precedente e cioè che i cognati Don Nicolò il giudice e Don Domenico il fratello, nonché i nipoti Michele, Giuseppe e Bartolomeo figli dell’altro cognato l’U.J.D Don Carmine, nonché il suo stesso figlio Saverio, gli impedivano l’accesso su quei fondi e si comportavano da padroni, usando verso di lei modi bruschi e violenti. Pertanto, stanca di tante vessazioni, fece mettere a verbale la seguente dichiarazione: “essendo perturbata nel mio possesso, mi riservo per detti atti violenti una possibile causa criminale contro tutti quelli che prima ho citato, specialmente se quei gesti si dovessero ripetere”. Inoltre, Donna Dorotea aggiunse che tutti i parenti, compreso il figlio, insinuavano che le incisioni ai cerri ed alle querce del fondo fossero state provocate dal Villano e dal Cornacchia, ma in realtà lei sapeva bene che erano stati loro ad aver arrecati questi pregiudizi che si traducevano in danneggiamenti economici ed allora, visto che le cose stavano così: “chiedo formalmente la restituzione di ducati 20 di capitale quale valutazione del danno arrecato agli alberi e, poiché facevano parte dei suoi beni dotali, perché da suo padre furono dati 35 ducati di anticipo molti anni addietro sul totale dei 70 che comprendevano anche i 15 per il fondo comperato ad Andretta, adesso, pretendo da tutti gli eredi, quella somma che faceva parte del capitale iniziale e che corrisponde proprio al danno arrecatomi “. Poi, comparve una certificazione del notaio Celestino Novia dove c’era scritto che avendo preso in esame tutti gli atti del defunto notaio Gallo, ritrovò che Don Carmine e Don Nicolò il 12 Luglio 1778 si recarono da questi per iniziare la divisione dei beni mai effettuata prima, ma l’altro fratello Don Domenico era assente in quella data, pertanto, solo nel 1781, questi essendosi recato dal Notaio Andrea Sauro, marito e legittimo amministratore di Donna Vincenza, ratificò l’atto precedente dei fratelli, accettandolo parola per parola ed il notaio fece un nuovo istrumento. Quindi, Donna Dorotea aggiunse, “ora potete pagarmi i 20 Ducati, quelli che mi dovete per il mio capitale che adesso pretendo da voi !!!” Allora, Don Nicolò Pelosi, mostrandosi calmo e pieno d’esperienza, parlò a nome degli eredi Pelosi tutti presenti per l’occasione a Foggia al Palazzo della Dogana e le ricordò : “ormai sono passati molti anni da quel 1753, anno in cui morì Amato, nostro carissimo fratello e fosti proprio tu che supplicando chiedesti che a condurre i terreni fossimo noi, perché tu da vedova non potevi più occupartene”. E, Don Nicolò al Giudice Bonocore che l’interrogava in udienza a Foggia aggiunse: “pertanto, mai da nessuno di noi le negò l’accesso ma, non poteva Donna Dorotea ricordarsi che tutti noi dovevano passare di lì perché quella era l’unica strada d’accesso agli altri nostri fondi che erano più in basso rispetto al suo e pertanto interclusi?”. Ed allora, Signor Giudice : “oggi, lei pretenderebbe quello che non le spetta più perché si è risposata in seconde nozze con il nuovo marito Don Nicola Maglio di Castel la Baronia, che oggi è già defunto, che la dotò notevolmente e, solo oggi, Donna Dorotea, avendo saputo da suo genero il notaio Andrea  Sauro che la nostra divisione tra fratelli è conclusa, pretenderebbe da noi i 20 Ducati ? ”. Signor Giudice, un’ultima cosa voglio aggiungere e pretendo che sia messa agli atti : “anche nel testamento di mio padre che allego, c’era scritto che non bisognava dare niente a Dorotea se si risposasse, allora tutti noi eredi Pelosi ci opponiamo fermamente alla sua pretesa richiesta, firmiamo in modo solidale e chiediamo la giustizia che ci tocca!!!”. I fratelli Pelosi vinsero la causa con Donna Dorotea Cristiano che non ebbe alcun risarcimento e si dovette accontentare dei beni del 2° marito ed in seguito, per il diritto del congruo(=diritto di prelazione) vendette loro la sua quota di terreni confinanti e, assieme alla sua famiglia d’origine, in quegli anni si trasferì nella città di Minervino, nella Murgia barese.

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