Angela Cataldo - Vito Antonio Nufrio - La festa-fiera di San Vito a Vallata - Partecipazione popolare

Partecipazione popolare
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        Una festa, in fondo, si articola secondo uno schema organizzativo consolidato nel tempo e via via riadattato, in base alle cifre economiche effettivamente disponibili e in base alle concrete istanze dei partecipanti sempre più sofisticate, ma si consuma nel flusso di aderenti variegati che si riconoscono, nonostante le diverse modalità di approccio, come comunità celebrante un evento che, segnato da ritmi festosi, coinvolge un intero paese con i suoi molteplici volti e le sue molteplici vibrazioni emotive, sociali e, a volte, anche estetiche.
        I partecipanti di una festa, per servirci di una metafora, potrebbero essere i rami inondati di foglie verdi di un albero che ha radici profonde (la tradizione), ma che, per essere vivo e forte, ha bisogno anche di cure, di innesti, di aria fresca, di rivitalizzazione, di modernità.
        Il calore — colore — umore dei partecipanti determina il successo o l'insuccesso di una festa e ne caratterizza l'espressione di senso e di significato che essa porta sempre con sé.
        Se la festa ha anche, come nel nostro caso, un aspetto religioso, i partecipanti, chi più e chi meno, ne percepiscono la "solennità" che dà un tono particolare anche all'implicita dimensione di "divertimento" (nel senso più ampio del termine).
        Fu il grande poeta Leopardi, proprio in riferimento alla festa di San Vito a Recanati, che pure si celebra, come a Vallata, il 15 giugno, a far risaltare il duplice significato di una festa religiosa tradizionale e popolare, in "La sera del dì di festa": / Questo dì. fu solenne, or dai trastulli /prendi riposo... / Ahi per la via odo non lunge il solitario canto / dell'artigian, che riede a tarda notte, / dopo i sollazzi, al suo povero ostello / e fieramente mi si stringe il core, / a pensar come tutto al mondo passa. / ecco è fuggito / il dì festivo e al festivo il giorno / volger succede, e se ne porta il tempo / ogni umano accidente... /
        Nella mia prima età, quando s'aspetta /bramosamente il dì festivo, or poscia / ch'egli era spento, io doloroso in veglia / premea le piume: ed alla tarda notte / un canto che s'udia per li sentieri / lontanando morire a poco a poco, / già similmente mi stringeva il core" 74.
        Sono versi di tale efficacia e limpidezza espressiva, da non aver bisogno di commento, tranne il rilievo della malinconia o meglio dell'angoscia del poeta rispetto alla fugacità della vita; alla brevità dei suoi momenti di festa, di gioco, di magia, di divertimento.
        In "Il passero solitario" lo stesso Leopardi ci fa guardare alla giovinezza come l'età più adatta alla festa: i giovani partecipano alla festa (sempre quella di Recanati, San Vito, il 15 giugno) con gioia, spensieratezza, sospiri d'amore mentre il poeta si strugge in solitudine pensosa, capace di contemplare, descrivere e partecipare emotivamente, ma non fisicamente, narcisisticamente: è il paradosso di chi osserva con assoluta lucidità e descrive in maniera sublime, ma intellettualmente, esistenzialmente resta distaccato, forse perché privo di magica ingenuità, di capacità di abbandono sentimentale al flusso degli eventi: "Tutta vestita a festa / la gioventù del loco / lascia le case e per le vie si spande, / e mira ed è mirata, e in cor s'allegra".
        Essere giovani, insomma, ci suggerisce il poeta, uscire di casa e gironzolare allegramente per le vie del paese, vestirsi di vestiti festosi ed eleganti, ammirare ed essere ammirati: è questa la forma più appariscente di una festa che coinvolge, a diversi livelli di partecipazione, una intera comunità locale.
        Ma lo stesso poeta ci suggerisce di guardare oltre la scena, dietro il sipario, ove sempre si cerca di ritrovare il significato più profondo della vita umana costellata di "feste", di gioia, ma anche di sventure e di dolore.
        I partecipanti di una festa rileva P. Apolito, talvolta restano anche "estranei" alla festa stessa 75 e E. Tabes rileva: "...è stata una festa bellissima, era veramente una festa: e tuttavia una festa di quindici persone solitarie" 76.
        E tutto ciò fa intendere che la partecipazione è varia e non sempre intellettualmente e sentimentalmente piena, totale. Sul Tema, tuttavia, si insisterà più avanti.
        Per ora sarà opportuno porre in un quadro d'insieme i diversi soggetti partecipanti alla festa di S. Vito a Vallata, così come essa si svolge nei due momenti, uno civico e l'altro religioso e civico insieme, nei segnalati giorni 14 e 15 giugno.
        Il giorno 14 giugno al centro della partecipazione, per la già ricordata cerimonia tradizionale dell'offerta-benedizione delle "panelle" e i "tre giri" in torno alla cappella di San Vito, è senz'altro il Comune, con il Sindaco in fascia tricolore, accompagnato dai vigili con il gonfalone (corona turrita in palma di alloro e quercia, ricamata con seta e bacche in oro), lo stemma (scudo con tre gigli e due spighe di grano incrociati), la bandiera nazionale (che viene innalzata su asta a fianco della cappella); l"'alzabandiera" segna l'inizio della festa, un tempo l'inizio della festa-fiera.
        Il corteo parte dal Municipio, attraversa la piazza centrale, via XX Settembre, via San Vito e si ferma sul piazzale antistante la cappella. Segue immediatamente l'ingresso in cappella di quanti riescono ad entrarvi (gli altri rimangono all'aperto) per la benedizione dei "panellini" (che vengono acquistati, poi, dai devoti).
        Il volume del corteo non è sempre uguale: il numero dei partecipanti, in verità, oscilla in ragione della presenza o meno di emigrati, di turisti di "casa", di forestieri curiosi, di cittadini desiderosi, tra l'altro, di testimoniare il proprio consenso non solo alla cerimonia tradizionale ma anche al Sindaco e all'Amministrazione tutta per il loro operato a favore dello sviluppo complessivo della comunità locale.
        Quando il corteo, soprattutto per la parte che riguarda lo staff amministrativo, i professionisti, le categorie produttive è di dimensione ridotta, il Sindaco, per primo, percepisce un certo "dissenso" e poi un po' tutti esprimono, in proposito, un commento a caldo.

        Ritenendo di dover essere un protagonista dell'evento, difficilmente il Sindaco delega un assessore a presenziare alla cerimonia.
        Quando lo fa, tutti intendono che vuole dimostrare fiducia e stima nell'assessore delegato.
        Il Sindaco invita ufficialmente alla cerimonia i consiglieri di. maggioranza e di minoranza e talvolta estende l'invito anche a persone che hanno operato per il passato, o opera per il presente, quali responsabili di associazioni culturali, di volontariato.
        Accanto al Sindaco, partecipano ovviamente il parroco, il presidente dell'Associazione Cattolica, le suore. Queste ultime, insieme, alle madri curano la partecipazione di bambine e bambini, di ragazzi e ragazze, quali portatori delle ceste di vimini addobbate di fiori, rose, di piccole tovaglie ricamate, contenenti le "liste" di panellini da benedire e distribuire (generalmente, dietro qualche offerta) ai fedeli legati alla tradizione.
        Numerosi sono sempre i contadini che partecipano sia al corteo, sia alla simbolica inaugurazione della fiera; i più anziani si commuovono, ripensando agli anni dell'adolescenza , quando i genitori li portavano ai "tre giri" sui carri trainati dai buoi, con i galli, il formaggio, le uova da donare al Santo, affinché proteggesse la loro vita e i loro raccolti.
        Sono i più anziani a raccontare, nella circostanza, aneddoti legati alla festa, a ricordare aspetti folcloristici, a cantare, talvolta, motivi propri della tradizione popolare "dialettale".
        La loro partecipazione è molto gradita da tutti, perché testimonia, di per sé, la longevità della festa e il legame tra il passato e il presente.
        I giovani partecipano al corteo, ma generalmente, subito dopo il rito della benedizione dei panellini e dei "tre giri" (questi durano anche per tutto il giorno dedicato al Santo), o si esibiscono in una gara podistica (tradizionalmente una gara di tremila metri dalla contrada Sferracavallo fino alla cappella) o partecipano ed assistono ad una "finale" di torneo calcistico organizzato allo stadio "S.Vito" molto vicino alla cappella stessa.
        In uno stand appositamente attrezzato, il Sindaco e gli Amministratori tutti offrono personalmente bibite e qualche prelibatezza locale a quanti vi si riuniscono anche per scambiare delle idee, benevolmente polemizzare su qualche tema di attualità locale, ironizzare allegramente su episodi di natura politica, sociale, culturale.
        Da qualche decennio è certamente cresciuta la partecipazione femminile, sia al corteo sia al momento di convivialità che segue alla cerimonia religiosa, come indice di una maggiore autonomia e condivisione degli eventi riservati un tempo agli uomini.
        Si parla, ovviamente, della partecipazione agli eventi relativi alla festa nei suoi momenti di spettacolarità e convivialità; quanto, invece, alla cerimonia religiosa, secondo una ininterrotta tradizione, la presenza femminile è stata sempre più rilevante rispetto a quella maschile sia sul piano numerico che sul piano emozionale.
        La sera del 14 giugno, dalle dieci in poi, uomini, donne, giovani, ragazzi e ragazze, turisti, forestieri, emigrati in vacanza, affollano il piazzale di "San Vito" per assistere allo spettacolo musicale, andare in giostra, assistere a qualche spettacolo circense.
        I giovani, terminata la festa, verso le ore ventiquattro, si riversano nei pub, nei bar, nella pizzeria, fino all'alba. Ci si prepara poi, alla festa del giorno successivo, dedicata totalmente al Santo, almeno per tutta la mattinata, fino alle prime ore del pomeriggio; la sera, come è ormai diffusa consuetudine nelle feste paesane si ritorna al divertimento variamente inteso e agli spettacoli.
        Insomma, la festa è occasione di mediazione religiosa ed espressione di venerazione della Santità da un lato, dall'altro è "festum" (gioia pubblica) e "feria" (astinenza dal lavoro)77. Ed è fusione di sacro e profano, di religiosità e senso civico come sentimento di legame comunitario, di socialità spontanea, di comunione identitaria.
        Ovviamente, l'alone religioso avvolge l'evento in una più profonda significatività umana e sociale, ma lo scopo immediato resta quello di una tregua rispetto al lavoro, ai contrasti, ai problemi e di una apertura alla più larga convivialità, al più spensierato divertimento.
        Se per la festa del 14 giugno, il protagonista è il Sindaco come rappresentante dall'amministrazione comunale e dell'intera comunità locale, per la festa del 15 giugno, dedicata al Santo, il protagonista è il parroco, cui spetta la regia, con tutto l'apparato parrocchiale (preti concelebranti, eventuale vescovo in visita parrocchiale, suore, organista, lettori del Vangelo, cantori, ecc., eventuale predicatore "specialista" in. panegirici), delle funzioni religiose che si aprono con una messa mattutina nella cappella di San Vito, con una messa solenne alle undici in Chiesa Madre e si concludono con la processione lungo le vie principali che girano intorno al centro storico attraversando la piazza centrale del paese.
        In processione il Santo (statua a mezzo busto) è portato a spalla da giovani che, il più delle volte hanno il Suo nome e provengono dalle borgate rurali.
        Nel gruppo dei giovani che si onorano, talvolta con offerte spontanee, ma senza particolare competizione, di portare in processione la statua del Santo figura qualche emigrato particolarmente devoto e particolarmente motivato dal sentimento di appartenenza alla comunità valla tese da manifestare, appunto, in questa particolare circostanza.
        Il parroco precede la statua con a fianco chirichietti con crocifissi. Seguono la statua le autorità (Sindaco, eventuali rappresentanti del Parlamento, della Regione, della Comunità Montana, della Prefettura, del Consiglio Provinciale, degli Istituti scolastici, della ASL, della Caserma dei Carabinieri), numerosi professionisti (medici, avvocati, ingegneri, insegnanti, ecc ... ) e poi, in doppia fila persone di ogni ceto sociale, in prevalenza donne (mature, anziane e giovani) con vestiti di sobria eleganza (un tempo, fino agli anni cinquanta, si usavano costumi tradizionali o, soprattutto da parte delle contadine, vestiti dai colori vivaci).
        Tra il gruppo in prima fila e la doppia fila si colloca la banda che suona brani musicali non sempre in "tono" con la "religiosità" del momento, ma comunque ravvivanti e rallegranti.
        Le donne e, fra queste, particolarmente le più anziane intonano lungo tutto il percorso un breve ma significativo canto, con il quale si chiede l'intercessione presso Dio del Santo protettore e compatrono e l'aiuto nei momenti di pericolo della vita: "Tu che sei di questa terra/ o gran Vito il protettore' fa che segua in tutte le ore/ la tua grande fedeltà/ / E per tutti i tuoi martiri / prega a Dio per noi, pietà / / Nei perigli della vita drizza a noi la tua pupilla/ed un raggio che scintilla/ dalle tue benignità/ E per tutti i tuoi martiri /prega Dio per noi pietà".
        Da antiche canzoni popolari, che ricordano la vita e i miracoli di San Vito per alcuni vallatesi, si dirà più avanti, quando si faranno dei rilievi sui modi più antichi di venerare il Santo.
        Molti gli spettatori che attendono il passaggio della processione nella piazza centrale del paese; pochi, ormai, osservano la processione dai balconi di casa, addobbati, qua e là, di tovaglie, coperte, lenzuoli, tappeti dai colori vivaci, finemente lavorati e, talvolta, impreziositi da ricami di esperte artigiane locali (attive fino agli anni cinquanta del secolo scorso).
        Seguono e affiancano entusiasticamente la banda i giovanissimi e, portati per mano dai genitori, anche i più piccoli.
        Tutti quelli che hanno un impegno inderogabile o ospiti o festeggiati in casa, ovviamente non partecipano a tutto il rito religioso, che dura dal mattino fino alle 13:30
14, ma comunque si disimpegnano almeno per osservare la processione in uno dei punti di passaggio.
        Nelle famiglie che festeggiano il 15 giugno, l'onomastico di uno dei loro membri, soprattutto nelle contrade rurali, è antica consuetudine, chiaramente legata al culto del Santo, cucinare uno o più "galli", farciti, al forno, con o senza patate, o in ragù per condire un buon piatto di tagliatelle all'uovo "fatte" in casa.
        Molti sono soliti acquistare i "galli" sacri al santo la mattina del 15 giugno; e si tratta dei "galli" donati dai contadini spesso insieme a "forme" di formaggio fresco o "primo-sale".
        Va anche ricordato che fino a qualche decennio fa soprattutto ai notabili del paese che festeggiavano l'onomastico, il 15 giugno, o qualche giorno prima, si usava portare in regalo uno o più galli.
        Il "gallo", insomma, era e, in parte è tuttora, un protagonista simbolico della festa di San Vito, sotto l'aspetto religioso e sotto l'aspetto della relazione sociale motivata da manifestazione, spontanea o meno, di ossequio, di rispetto, di gratitudine verso persone ritenute degne di particolare considerazione, in un giorno di festa profondamente e diffusamente sentita e condivisa.
        Per testimonianza raccolta dai più anziani del paese, risulta che un tempo i più festeggiati e considerati erano i medici, le autorità, i professionisti, gli insegnanti con il nome "Vito".
        In tale occasione, ai medici, tuttavia, andavano i regali più numerosi e consistenti anche perché, in tempi difficili, a molti, di umile condizione, veniva offerta un'assistenza del tutto gratuita, anche se specialistica.
        L'omaggio alle persone più influenti del paese, da parte dei contadini talvolta poteva essere determinato non solo da forme di rispetto e gratitudine, ma anche da una sottomissione, derivante soprattutto dal rapporto tra proprietario terriero e semplice agricoltore dipendente.
        I notabili, in Vallata, agli inizi dell'Ottocento erano, in numero non superiore ad una decina, i più grandi proprietari terrieri che mantenevano i fittavoli in condizione subalterna, imponendo anche i sistemi e i tipi di coltivazione, considerando la proprietà terriera come simbolo e garanzia di uno strato sociale, non investendo per innovazioni necessarie per conquistare mercati78.
        La condizione di subalternità dei contadini, in Vallata, come in molti centri del Mezzogiorno è durata, forse, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, con tutte le conseguenze sul piano delle relazioni sociali comunque condizionate spesso da fattori economici.
        Nel volgere dell'ultimo Cinquantennio, rispetto alle consuetudini rilevate, si è registrata una profonda, radicale trasformazione, che ci fa pensare a nuove forme di ossequio, gratitudine, di dono che non esprimono in alcun modo atteggiamenti di sottomissione, senza escludere, tuttavia, ricerca di amicizia e di protezione.
        La "banda", prima di accompagnare la processione, fa il giro del paese, già verso le otto del mattino e con allegri motivi, mentre vengono fatti esplodere alcuni "fuochi" d'artificio e le campane della cappella di San Vito e della. Chiesa Madre suonano lungamente a "festa", dà il segnale d'inizio delle molteplici manifestazioni divenendo, così un elemento significativo (di grande e antica tradizione) della scenografia dell'evento.
        Nel passato, neppure troppo lontano, i musicanti venivano ospitati per due, tre giorni i locali di proprietà comunale o persino in alloggi privati e, se solisti o capibanda o direttori d'orchestra, nell'unico alberghetto esistente; la sera erano fatti segni di particolare, cordiale attenzione, di offerta di pietanze tipiche locali nelle numerose piccole osterie sparse per tutto il paese. E si confabulava fino a notte inoltrata, con diversi accenti e su temi relativi ad usi e costumi dei diversi paesi di provenienza dei musicanti.
        Qualche volta, negli. ultimi decenni, insieme alla "banda", ma solo per il giorno 14 giugno, grande vigilia della festa in onore di San Vito, si è esibito, per le vie principali del paese, nella piazza centrale e sul campo di calcio, prima di un incontro tra squadre in "torneo Baronia" un gruppo di majorettes, suscitando vivo entusiasmo soprattutto nei più giovani.
        Alle novene, che pure risultano essere state una costante della ritualità celebrativa del Santo, a volte con l'inizio alle ore 7:30 del mattino, a volte (soprattutto da qualche decennio) alle 18:30 del pomeriggio, la partecipazione riguarda per lo più donne anziane e di mezz'età, qualche vecchietto che abita nei paraggi del piazzale di san Vito, rappresentanti dell'azione Cattolica, suore e, quando sono in vacanza nel "paese d'origine", nel "paese del cuore" emigranti negli USA, in Canada, in paesi del Sud America, in Pesi europei e altre regioni d'Italia.
        Tutti questi emigranti che periodicamente ritornano per riannodare rapporti interrotti con parenti e amici, attraverso la piena adesione ai vari momenti della festa, ricostruiscono nel proprio animo il "vissuto", con evidenti note di accorata nostalgia, fanno offerte significative per la cappella e per la festa, talvolta (un tempo di più, ora di meno) mettono in mostra la propria generosità, senza provare alcun disagio per un gusto ormai desueto, attaccando banconote alla statua del Santo, durante la processione.
        Ma è proprio durante la novena che si riannoda il dialogo, a volte interrotto per decenni, tra persone radicate nel paese e persone che ne sono distaccate nella prospettiva di una vita migliore, di un destino diverso. E nove giorni di sereno e cordiale dialogo "fanno" un racconto interessante, una comunicazione scambievole di "storie" personali e comunitarie che saranno poi ripetute e rielaborate nei diversi luoghi di residenza, a casa e tra gli amici, degli emigranti ritornati per un breve periodo nel proprio paese natio.
        Fino agli anni '60 del secolo scorso anche le fanciulle e i giovinetti al primo innamoramento frequentavano la collina amena di San Vito, durante la novena (novena "galeotta").
        Un vecchio detto locale recita: "Lo spasso delle donne/ San Vito e la Madonna" (dialetto: "Lu spòssu ri re dònne /Santu Vito e la Maronna"79). Lo spasso, appunto, come divertimento, passeggiata ed eventuale incontro amoroso.
        Nel pomeriggio del 15 giugno, se si disputa una finale di coppa calcistica, allo stadio S. Vito accorrono numerosissimi tifosi di Vallata e di tutta la Baronia. E' una vera esplosione di entusiasmo, per persone di ogni età che "tifano" in maniera vivace ma composta, consapevoli che un diverso comportamento sarebbe ritenuto lesivo del clima proprio di una festa dedicata ad un Santo martire protettore del paese.
        Così l'esplosione dell'agonismo sportivo annuncia, in effetti, la serata dei concerti musicali, con in passerella uno e più cantanti, non sempre di "grido" ma comunque noti e popolari.
        Il pubblico partecipante è variegato, ma predominano certamente i giovani, molti dei quali giungono dai paesi vicini.
        Non sempre, tuttavia, i giovani esternano il loro entusiasmo a chi si esibisce; tale comportamento un po' distaccato induce al sospetto sulla tendenza attuale, propria dei giovani ad entusiasmarsi solo in presenza dei big della musica leggera, seguiti attraverso i mass-media o direttamente ascoltati nei concerti "oceanici" delle grandi città.
        E' questo un chiaro segnale del cambiamento di gusto, di sensibilità, di adesione emotiva e sentimentale, di approccio critico-selettivo rispetto all'evento sonoro-canoro, a confronto con un passato in cui, nelle feste religiose e civili, si preferiva la musica classica (l'opera lirica) o semplicemente un "banda" di bravi musicanti, le cui "interpretazioni" riempivano di grande allegria il cuore di tutti i cittadini in festa.
        Ed è anche il segno che le feste, se non sono "morte" inevitabilmente, sotto molteplici aspetti si modificano80.
        I giovani come partecipanti sono motivati maggiormente dall'aspetto ludico-spettacolare della festa".
        Anche le sagre incontrano il favore dei giovani, anche se non si esclude l'interesse di persone di diverse età e di diverse categorie sociali.
        A volte queste sagre, coincidenti con la festa di San Vito compatrono o di S. Bartolomeo Patrono di Vallata, non hanno, in verità, nulla a che vedere con i motivi tradizionali e folclorici, culturali, religiosi della festa stessa.
        Solo nell'ormai lontano 1974, la Pro-Loco, per iniziativa condivisa con il Comitato della festa di san Vito, organizzò la "sagra del gallo" che fece registrare un gran numero di partecipanti, soprattutto per il manifesto riferímento all'animale domestico, così caro ai contadini (un tempo numerosi ed esperti allevatori di "polli ruspanti"), in quanto da essi ritenuto "sveglia" del mattino, simbolo del lavoro che in campagna aveva inizio alla prima luce, e sacro a San Vito come simbolo di "risveglio spirituale", di canto dell'anima tesa ai valori cristiani.
        Le varie sagre d'alto genere, sperimentale negli ultimi decenni hanno riproposto e rispecchiato una ormai diffusa tendenza (sagra della birra, perché si beve, non perché si produce!, sagra dei peperoni "ripieni"; sagra delle pannocchie, e così via) hanno dimostrato il loro lato debole nella mancanza di una motivazione che, appunto, riportasse, in qualche modo alla tradizionale festa di San Vito.
        Con il patrocinio del Comune e il sostegno finanziario della Comunità Montana dell'Ufita, di cui il Comune stesso fa parte, nei giorni 14 e 15 giugno del 2004, si è svolta la prima fiera dell'agricoltura e dell' artigianato, nell'ambito della quale si sono esibiti gruppi per la diffusione di canti e brani musicali folcloristici località.
        La manifestazione è stata riproposta anche per il 2005, ma la data è stata posticipata all'ultima decade di agosto, in occasione dei festeggiamenti in onore del Patrono S. Bartolomeo.
        In effetti nella prima edizione si è voluto ripristinare la tradizionale fiera di San Vito, che però per lungo tempo, anzi per alcuni secoli, era stata una fiera di bestiame (mucche, cavalli, muli, asini) nella quale protagonisti partecipanti erano i contadini di Vallata e dei paesi vicini (una fiera simile si teneva ogni anno a Trevico), durante i festeggiamenti in onore di S. Euplio; e i due paesi rivaleggiavano nella organizzazione della fiera, come nei festeggiamenti)83.

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74) G. LEOPARDI, Canti in Rioccardo Marchesi-Andrea Grillino, La letteratura, testi e percorsi, vol. III, La Nuova Italia, Firenze, 1996.
75) P. APOLITO, op. cit. 91
76) E. TABES, "Assenza di Dio" a cura di A. Folin. Alfabeta, 100, sett. 1987. pag. 25.
77) Cfr. A. FALASSI, "Feste, teste, tempeste" in A Falssi (a cura di), La Festa, Electa, Milano 1988, pag. 9.
78) Cfr. DI DATO, Credito e mercato della terra in un paese dell'alta Irpinia: Vallata 1860- 1880, pagg. 55-56 (Terra e denaro), La Stampa, S. Giuseppe Vesuviano, 2002.
79) Cfr. D.M. CICCHETTI, "Un'isola nel mare dei dialetti meridionali", Tip. Cautillo, Vallesaccarda 1987, pag. 128.
80) Cfr. A. FALASSI, op. cit., pag. 26.
81) Cfr. F. MARANO, op. cit., pag. 145.
83) Cfr. Mons. CARLO PETRILLI, "Trevico nella storia e nella tradizione", Artigiana Grafica, Roma, 1969, pag. 121.

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