Angela Cataldo - Vito Antonio Nufrio - La festa-fiera di San Vito a Vallata - Festa di San Vito e folclore locale.

Festa di San Vito e folclore locale.
__________________________________________

        Nei tempi andati, nei due giorni di festa (14 e 15 giugno) ma soprattutto la sera del giorno 14, nel piazzale antistante la cappella di San Vito, non mancavano giovani con costumi tradizionali, che, in coppia, ballavano e cantavano motivi di vario genere, concludendo quasi sempre con una lunga estenuante tarantella locale.
        Le ragazze, fazzoletto colorato in testa, camicia bianca a mezze maniche, uno scialle annodato sul petto, gonna lunga e grembiule, scarpette basse; i ragazzi, camicia bianca e maniche intere, gilet a quattro bottoni, pantalone a ginocchio di velluto, calzettoni bianchi, scarpe basse comode per la danza.
        Negli anni 75-85 un bel gruppo folcloristico, accompagnato preferibilmente dal suono di organetti e talvolta, di mandolini, si è esibito nella festa di San Vito, oltre che sul palco all'aperto allestito per i cantanti più rinomati, in vari centri della Campania e della vicina Puglia, riscuotendo meritato successo.
        Da molti anni, però, questa iniziativa è stata abbandonata, non sorretta sufficientemente dalla scuola, dal Comune, dalla Pro-Loco.
        Il gruppo folcloristico cantava, la sera della festa, motivi di vario genere e, preferibilmente iniziava da "Indovinello", la "Vallatele", "Appresso alla processione"108.
        Nel primo che nominava le due piazze più antiche del paese (Tiglio e Fontana), la chiesa con il campanile, due contrade (San Vito e Tendiera) e tre rioni con belle ragazze, si esprimeva lo sconforto per la gente che partiva, abbandonando i campi, lasciando le attività dei padri.
        Nel secondo affiorava il forte legame con il paese natio (Vallata) ed ancora la sofferenza per la partenza della persona amata:"Vallata nostra è un bel paese / evviva! / l'aria buona e il cielo è turchese / questa bella vallatese / quanto la voglio amar... / E sarebbe ancora più bello questo paese /mala gente scappa per cercar tornesi / questa bella vallatese / sempre la voglio amar... ".
        Nel terzo si faceva intendere che la processione era una manifestazione di religiosità ma consentiva anche ai giovani di scambiarsi occhiate di desideri e voluttà, apprezzamenti e giudizi compiacenti ma anche espressioni di gelosia: "Canta Lucia, vedi la' Francescantonio / che ora ti guarda come un demonio".
        Molto nota, ancora oggi, la ballata intitolata "La mugliera" (la moglie), di argomento giocoso e un po' burlesco; le strofe iniziano con: "Io ho una moglie malandrina... /Io ho un moglie petto-rotondo... /Io ho una moglie culo-rosso... /Io ho una moglie testa- bianca... /Io ho una moglie monacella ... con il ritornello, ad ogni strofa:" Ti voglio amar, ti voglio amar, ti voglio bene/ e dammi un altro bacio, ne viene quel che ne viene"109.
        Molti erano i sonetti, le serenate, le mattinate, accompagnati sempre dalla musica, indirizzati all'innamorata, alla donna pretesa, agli sposi novelli durante la "settimana ri' la zita" (della sposa).
        I motivi erano semplici e musicalmente piacevoli e si presentavano come lettera d'amore, esprimendo gioie e dolori , ansie e passioni: "Rammi la mano nenna ri core/ e io ti cando stu cando d'amore" (Dammi la mano ragazza di cuore/ e io ti canto questo canto d'amore).110
        Bello anche questo congedo:" Bora notte, nenna ri core / viva l'amore e Ki lu sa fa" (Buona notte, ragazza di cuore/ viva l'amore e chi lo sa fare). Talvolta affiorava l'ingiuria. "Faccia ri cicoria amara amata/ Cristo ti l'ave luvòto lu culore" (Faccia di cicoria amara amara/ Cristo te l'ha tolto il colore); "E rinniddo pure a mammeta / ca' sta zèza èja firmata / cuna. razza ri cornuti/ nun vulimmo apparinta" (E di pure a tua madre / che questo approccio è finito/ con una razza di cornuti non vogliamo apparentarci).
        La tarantella '"Vurjia" iniziava così."Sta bella tarantella vurrja ballà cu' tè / mammanonna fece a mamma / oje né, né, nà / mammanonna fece a mamma / e mamma ha fatto a me" (Questa bella tarantella vorrei ballar con te/ mia nonna fece mamma/ e mamma ha fatto a me).111
        In un canto di mietitori è espressa la rabbia per il lavoro mal retribuito: un morso di pane, due cipolle e un sorso di vino costituiscono un'alimentazione inadeguata.
        E così esplode la ribellione intima: "Hrano ri la Puglia fatt'addreto / ki t'ave siminato t'adda mete;/ ki t'ave siminato t'adda mete/ hrano ri Furmicuso fatt'addreto (Grano della Puglia, fatti indietro/ chi ti ha seminato, ti deve mietere / grano di Formicolo (Vallata) fatti indietro)112.
        Durante la fase del raccolto, in effetti, molti proprietari terrieri si mostravano avari e petulanti; seguivano passo passo il movimento dei. coloni (mezzadri) per paura di essere derubati.
        Stavano in modo assillante dietro i mietitori, i trasportatori di "gregne" (covoni), i trebbiatori fino alla divisione e al trasporto del raccolto sul granaio.
        Così anche per le altre colture come: il granturco, i legumi, l'uva, la legna, ecc. senza contare che bisognava passare loro anche la "spesa" (il pranzo).
        Alla luce di tutto questo, si comprende bene l'invettiva contenuta nel canto sopra riportato, come si comprende l'usanza di "regalare" ai notabili galli come quelli portati in omaggio il 15 giugno a San Vito.
        Nel primo caso si doveva trattare certamente di doni forzati, non certamente spontanei.
        Ancora oggi molto conosciuta è la canzone "La padrona mia".
        Si sa che nella civiltà contadina, la donna è considerata la padrona, quasi la vestale della fattoria (masseria); ad essa, un tempo, spettavano le decisioni riguardanti i lavori domestici, compreso l'accudimento degli animali da cortile; in "La padrona mia", canto d'amore, sono cantate le bellezze e le virtù' della compagna della vita: "Oi quant'è bella la padrona mia/ quanne si mette /la unnella nova / e gire e gire attorno a la massaria / mi pare na palomba quanne vola... " 113. (O quanta è bella la padrona mia / quando si mette la gonnella nuova / e gira e gira intorno alla masseria / mi sembra una palomba quando vola).
        Si tratta, in effetti, di una ricca antologia di brani ai quali qui si è solo accennato, con accenti poetici semplici ma appassionati, ancora più armoniosi quando sono accompagnati dalla musica e dalla danza, con espressioni tipiche del dialetto locale e vere e proprie rivelazioni sulle condizioni e i modi di vivere propri dei secoli scorsi in Vallata come in tutti i piccoli centri dell'Irpinia.
        Riproporre oggi il folclore vallatele, soprattutto durante la tradizionale festa di san Vito non è un fatto privo di significati, anzi è un modo convincente di mescolare il sacro al profano, senza fare offesa ai buoni sentimenti di appartenenza e di allegra socializzazione, e di mantenere vivi alcuni aspetti interessanti del tradizionale costume di vita locale, perché ci si possa confrontare con il passato senza rinunciare alle novità che continuamente si annunciano nell'incessante progresso materiale, culturale, morale della vita associata 114.
        La religiosità, nel culto di San Vito e soprattutto nella festa a Lui dedicata, non è espressione di una fede fredda e semplicemente intellettuale; essa, anzi si esprime con gesti, comportamenti, canti e suoni, espressioni folcloristiche intrisi di schietta umanità, di tradizioni popolari, di sentimenti di bontà e di cordialità sociale.
        Ben annotava Domenico Farias al Convegno regionale sui Beni Culturali e le Chiese di Calabria (Reggio Calabria: Gerace 24-26 ottobre 1980)."Per un credente il degrado dei beni culturali ecclesiali comincia quando la vita sociale dei cristiani si affievolisce, la Parola di Dio non interessa più, la liturgia non è frequentata, le opere di misericordia languiscono" 115.Occorre quindi, interpretando la religiosità popolare, concentrare l'attenzione sull'uomo, che vuole incontrare il trascendente nel quotidiano.
        Osservando statue e santini, analizzando canti religiosi e popolari è possibile, forse, scoprire un Vangelo iscritto nel cuore umano, una realtà viva di ogni uomo che scopre, agostinianamente parlando, Dio in se stesso e, come osserva il sociologo D. Giuseppe De Luca, "non in mero concetto e in puro sentimento, ma nell'amore". 116
        Si può parlare, come fa Mario Pompilio, di "Quinto Evangelo", del quale oggi si ha particolare bisogno, in quanto sembra che la vita si allontani sempre di più dalla meditazione religiosa.
        La cultura popolare tradizionale intrisa di religiosità è stata oggetto di riflessione da parte di Gabriele De Rosa ed Ernesto De Martino, ai quali non è sfuggito il fenomeno, vivo nel Sud, della resistenza ai dettai post-tridentini e dell'adesione ad una particolare religiosità ricca di espressioni spontanee di base, talvolta o quasi sempre miste a resistenti forme di paganesimo, superstizione, folclore.
        Molti canti religiosi tradizionali a volte non hanno molto da invidiare ai canti religiosi moderni, rappresentazioni sacre, drammatizzazioni, liturgie, vivacizzate da originale musica nostrana, che attualizzano il messaggio cristiano, traducendolo in espressioni adatte alla povera gente di campagna; folclore e feste patronali, che costituiscono sempre un importante momento di incontro e di socializzazione; santuari e chiese, che costituivano veri centri di fede e di arte, di formazione e di cultura; semplici edicole e croci, innalzate nei luoghi più impensati, come invito continuo a fare della propria sofferta storia una storia di salvezza.
        La religiosità popolare, intrisa di fede sincera, accompagnata dalle forme più vive della vita quotidiana, può sostenere tutti sul cammino di promozione di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, per poter cambiare insieme la sofferenza in sorgente di solidarietà, l'ingiustizia in condivisione fraterna, l'amore possessivo in amore oblativo, fino alla dedizione totale, che è il vero sogno della santità.
        E questa prospettiva rende certamente meno severo il giudizio su alcune forme di religiosità popolare del passato quali l'attaccar monete alle statue, strapparsi le vesti, andare all'altare del Santo con la lingua per terra, procedere scalzi in processione e fa perdonare, in parte, anche lo sperpero di denaro per concerti e cantanti, fuochi d'artificio e luminarie in feste che, insieme allo svago dovrebbero promuovere anche iniziative socialmente e culturalmente significative.
        Intanto, è importante convincersi che se le tradizioni sono importanti, altrettanto importanti e talvolta necessarie sono le innovazioni, anche in un campo così complesso com'è quello delle manifestazioni religiose nelle quali confluiscono molteplici elementi dell'anima popolare, non sempre ben disposta, in verità ad innestare sul tronco del passato elementi di positiva novità elementi, cioè, che possano rivitalizzare il passato stesso proiettandolo verso nuovi orizzonti, verso il futuro con le sue nuove proposte umane, culturali e sociali.

__________________________________________

108) Cfr. DOMENICO M. CICCHETTI, Un'isola nel mare dei dialetti meridionali, Tip. Cautillo, Vallesaccarda, pagg. 69-114.
109) D.M. CICCHETTI, op. cit., pag. 80
110) D. M. CICCHETTI, op. cit., pagg. 70-113
111) D.M. CICCHETTI, op. cit., pag. 114
         Cfr. anche L.R. DI MEO, Canti popolari vallatesi, Tip. Cautillo, Vallesaccarda, 2003, pagg. 53-81
112) L.R. DI MEO, OP. CIT., PAG. 57.
113) L. R. DI MEO, op. cit. pag. 55
114) L. R. DI MEO, Canti popolari vallatesi, Tip. Cautillo, Vallesaccarda, 2003, pagg,. 53- 81. Cfr. D.M.•CICCHETTI, Un'isola nel mare dei dialetti meridionali, Tìp. Cautillo, Vallesaccarda, 1987, pagg. 73-119.
115) G. De Paola, L'Irpinia oggi tra passato e futuro in Vicum, Anno IV, n. 3, sett. 1986, pag. 79.
116) D. GIUSEPPE DE LUCA, Introduzione alla storia della pietà, Roma 1962, pag. VII e ss.

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home