Angela Cataldo - Vito Antonio Nufrio - La festa-fiera di San Vito a Vallata - OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Vito Antonio Nufrio

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
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        Quanto al luogo e al culto del Santo, quali indispensabili punti di partenza della ricerca, particolarmente preziose sono risultate le informazioni attinte dagli studi di Tommaso Mario Pavese e Don Gerardo De Paola, autori locali, che hanno consentito di tracciare in apertura un breve profilo delle vicende storiche di Vallata e di individuare l'origine e l'affermazione del culto di S. Vito, soprattutto dal Medio Evo fino al sec. XVI, e della successiva istituzione della festa e della fiera, rimaste inalterate, in gran parte, nei tempi e nelle modalità organizzative, fino ai giorni nostri.
        Si è voluto anche dare risalto al saccheggio e all'eccidio del 6 maggio 1496, perpetrate contro i vallatesi dal Marchese di Mantova Francesco Gonzaga, in quanto il tragico episodio, nei secoli successivi, è stato sentito come motivo di orgoglio identitario e di civica fierezza: un tratto distintivo, appunto, quello del temperamento forte, non disgiunto dalla generosità e dal senso dell'ospitalità, che caratterizzano, come già segnalato da Don Gerardo De Paola, il comportamento dei vallatesi.
        Per quanto riguarda il senso dell'ospitalità, è stato sufficiente riportare la testimonianza del luogotenente Gaetano Negri, inviato a combattere il brigantaggio in Baronia, che a proposito di Vallata, 23 ottobre 1869 scriveva al padre.
        "...è questo un brutto paese di montagna, ma di cui non posso dir male, tanta è la cordialità degli abitanti.. ".
        Per il periodo che va dall'Unità ad oggi, ci si è limitati a pochi rilievi di carattere socio-economico, istituzionale, culturale, con qualche proposizione augurale su possibili sviluppi dell'imprenditoria industriale, artigianale, agricola e zootecnica, turistica.
        Quanto al culto di San Vito, si è ritenuto opportuno definirne le forme proprie in relazione al culto di altri Santi protettori e di altre manifestazioni religiose, come la sacra rappresentazione del Venerdì Santo.
        Prima Patrono e poi compatrono di Vallata (da alcuni secoli il Patrono è San Bartolomeo) San Vito è figura che appartiene alla storia e alla devozione popolare, con gli attributi taumaturgici riconosciutigli, da invocare per le messi abbondanti, per la protezione degli animali domestici e da pascolo e delle persone, contro l'epilessia, la rabbia, la corea o "ballo di San Vito", il colera, il morso dei serpenti, ecc.
        Devozione profonda, quella dei vallatesi per San Vito, che si esprime in modo spontaneo, con elementi anche di carattere magico-superstizioso e con aspettative, che risalgono allo spirito medioevale, di dispensa di grazie, e protezione da malanni e sventure. San Vito in Vallata non solo è venerato con profondo sentimento religioso, ma è ritenuto – soprattutto in virtù del cerimoniale civico del 14 giugno, con l'offerta delle "panelle" e i "tre giri" intorno alla cappella, ufficializzati dalle autorità religiose e civili - parte integrante del paese e della sua storia, motivo di costruzione e conservazione, nel tempo, del sentimento di appartenenza comunitaria, parte viva, insomma, del "campanile". La festa in onore del Santo, per lungo tempo unita ad una fiera importante, soprattutto di animali (bovini, equini, ovini, ecc), di prodotti agricoli d'ogni genere, di prodotti dell'artigianato locale, è stata vissuta, essenzialmente, come evento religioso e civico capace di fortificare, appunto, il sentimento di appartenenza locale e di promuovere iniziative nel campo economico, sociale e culturale, nei limiti, tuttavia, propri di una comunità che si è sviluppata a passi lenti per le ridotte risorse a sua disposizione e per le frequenti "erosioni" dovute a fenomeni di emigrazione determinati dal bisogno di una più sicura sistemazione economica e sociale; ed il ritorno in paese degli emigranti , in occasione della festa che testimonia l'insopprimibile legame alla comunità d'origine, al proprio campanile, alle proprie radici, agli usi, ai costumi, ai riti, al folclore conservati nel cuore intatti con grande nostalgia.
        Il luogo di San Vito a Vallata, come luogo del culto, della festa , della fiera, sulla scorta dei rilievi di Berardino Palumbo119, costituisce, quindi, un punto di riferimento importante dell'identità locale, del patrimonio culturale locale.
        Luogo, culto, riti, festa, fiera possono essere intesi, sempre sulla scorta dei rilievi del Palumbo, come "indici inequivocabili di qualità connotanti i più intimi, tradizionali, modi di essere degli uomini e delle donne... "120 che in tale luogo e in tali manifestazioni vengono a trovarsi e ad agire.
        Naturalmente le manifestazioni locali, che essenzialmente vogliono esprimere un luogo / identità e un patrimonio / identità vanno oggi collegate a processi economici, sociali, culturali che vanno al di là del "campanile" e risultano di portata più ampia e di maggiore problematicità antropologica.
        La persistenza del culto e della festa di San Vito a Vallata dimostra la difesa, nonostante le immancabili modificazioni e i continui "restauri", di una tradizione, di un patrimonio culturale popolare significativo sotto molteplici aspetti.
        Come festa di paese, quella di San Vito a Vallata, ripropone modalità che si rintracciano in molti paesi dell'Italia. In proposito risulta opportuno un riferimento alle osservazioni di Gian Luigi Bravo nel suo "racconto etnografico"121.
        A proposito delle feste, il Bravo sottolinea, in particolare, che in esse ci si impegna "nello scavo della tradizione rituale, della storia locale e dei resti di cultura materiale agraria, preindustriale e proto industriale"122 e che, "gli organizzatori locali non rinunciano all'inventiva, stimolano la domanda con un ventaglio di proposte, qualche volte subalterne, qualche volta caduche (il cantante di rilievo nazionale... la miss ... la festa della birra "123
        Feste e cerimonie tradizionali, quindi, secondo il Bravo, risultano oggi come un "prodotto ibrido" in cui si incrociano tradizione popolare e cultura di massa, con qualche apporto semicolto o colto (di storia o etnografia locale, nei casi di maggiore elaborazione)124.
        Nella festa-fiera di San Vito a Vallata, questo processo singolare di ibridazione (tradizione / innovazione socioculturale / esigenze di consumo) si è nel tempo sempre più affermato, senza tuttavia comprimere o cancellare i beni tradizionali, le espressioni tradizionali propri della cultura popolare particolarmente legata al culto di San Vito.
        A questo punto, una riflessione viene spontanea: le tradizioni rappresentano il culto del passato; esse, però, per restare vive e attuali, hanno bisogno di stimoli che provengono dal presente, dalle urgenze della vita quotidiana, dai progetti di cambiamento della vita comunitaria, dalle nuove proposte politico-economiche, sociali, culturali.
        Tutt'oggi, per un verso consumiamo beni culturali omologati, massificati a livello mondiale, per altro verso restiamo, legati a ciò che è tradizionale, che fa parte della cultura locale, che è "popolare" in senso stretto.
        In proposito, risultano efficaci le osservazioni di Alberto Cirese, che si rifà al concetto di cultura popolare di Antonio Gramsci: "Gli studi che diciamo demologici debbono in ogni caso fare i conti – e non genericamente – con la realtà socio-culturale contemporanea, con le forze e le ideologie che la animano, «con il rigore dei concetti che il suo studio reclama, trasformandoli in conseguenza" 125
        Fabio Mugnaini conferma un tale orientamento interpretativo, rispetto alla "tradizione" e alla "cultura popolare", quando afferma: "Oggi più che mai, le risorse tecniche e pertanto, in ultima istanza, economiche, a disposizione degli individui e dei gruppi cui danno vita, acquisiscono rilevanza anche dal punto di vista della fruizione culturale... Mai come oggi la circolazione culturale è stata così turbinosa multi direzionale, imprevedibile, tanto da rendere difficilmente sostenibile la stessa distinzione di ruoli tra l'osservatore e il proprio oggetto"126.
        Particolarmente utile è risultato, per questo lavoro il suggerimento dello stesso Mugnaini a prestare attenzione ai testi, agli istituti, agli oggetti non solo, ma anche e soprattutto ai "processi che li determinano, ai soggetti sociali che ne fanno uso, ai contesti che ne registrano o ne provocano l'insorgenza o l'adozione"127.
        La tradizione, come rileva Gerard Lenclud, filtra, seleziona ciò che del passato merita di essere conservato riprodotto, in quanto culturalmente e socialmente significativo128. Essa, osserva ancora il Mugnaini, "è un valore aggiunto ai prodotti tipici venduti via telematica... "129
        In effetti, come osserva Ray B. Browne, "è opportuno occuparsi di tradizioni e di cultura popolare, dando rilievo alle espressioni culturali della maggioranza delle persone e partecipando ad esse con schietta umanità "130. Ma, per Pietro Clemente, è importante anche, oggi, inserire lo studio delle tradizioni e delle manifestazioni significative di cultura popolare nel quadro "della società di massa e dei media e della realtà della globalizzazione"131.
        Questo orientamento può facilitare la comprensione di manifestazioni tradizionali, come è quella di una festa dedicata ad un Santo, ma vissuta come espressione di identità comunitaria, fatalmente soggette a modificazioni, nel tempo, dovute a molteplici fattori: culturali, economico-sociali, di costumi , di ritualità religiosa, di modalità organizzative.
        Nella festa di San Vito a Vallata, accanto al rito religioso, a partire, con ogni probabilità, dagli inizi dell'età moderna, si è affermato un rituale civico (il corteo per l'offerta delle "panelle" ufficializzato dalla presenza dell'autorità del Comune – con tutti i suoi simboli e le sue rappresentanze), che testimonia l'esigenza di un vera e propria consacrazione dell'identità comunitaria e dell'alleanza tra potere politico e Chiesa.
        Il popolo, in processione, dietro l'autorità religiosa e l'autorità politica, è tipico di un cerimoniale molto diffuso in Europa già dal tardo Medioevo, come ci fa rilevare Edward Muir, in uno studio molto interessante sui riti di passaggio, feste carnevalesche e rituali di violenza, cerimonie religiose e regali, nel quale una particolare attenzione è rivolta, appunto, ai rituali civici.
        Muir osserva che, tra la grande varietà di politiche rituali finalizzate alla costruzione dell'identità comunitaria, due risultavano particolarmente utili: "il culto dei Santi e le processioni civiche".
        Muir precisa, poi."Ogni città aveva il proprio Santo patrono o a volte diversi Santi patroni che, si pensava, prediligevano quella città sopra ogni altra, e su cui si poteva fare affidamento perché vegliassero su di essa e intercedessero per lei presso Dio. Uno dei principali compiti rituali dei cittadini era quello di garantire la benevolenza del santo patrono, attraverso atti propiziatori e implorazioni"132.
        Ancori oggi, d'altra parte, il messaggio religioso, durante una festa in onore di un Santo protettore di una comunità, piccola o grande che sia, teso a risvegliare il sentimento della carità cristiana, dell'amore del prossimo, della solidarietà reciproca, si lega all'istanza di identità comunitaria tesa alla ricerca e alla affermazione piena del bene comune, della difesa dei comuni valori che rinsaldano i vincoli di appartenenza e sollecitano i progetti di progresso collettivo in direzione economico-sociale, politica, culturale.
        Interessante l'avvertimento finale di Muir, circa l'atteggiamento da assumere nei confronti dei rituali, atteggiamento che, al di là dell'intolleranza, dell'indifferenza, o del deprezzamento, può e deve costituirsi come esigenza di interpretazione (del sacro come del civico) soprattutto delle manifestazioni spontanee, emozionali, senza trascurare, tuttavia, l'attenzione a tutto ciò che spontaneità non è, poiché si carca di elementi ideologici, politici, effimeri e consumistici.
        Secondo Alessandro Falassi, già nelle feste del Medioevo si mescolano il sacro e il profano, la religione e la politica, e si evidenzia il bisogno di celebrare l'unità, l'identità comunitaria133.
        In Italia, nel Rinascimento c'è un vero e proprio "revival" delle feste tradizionali, organizzate dai Signori, rese spettacolari da giullari e professionisti dello spettacolo, fruite passivamente dalla massa di spettatori.
        Le feste fiorentine divengono modello di riferimento per le feste delle grandi città europee.
        Nell'età dell'illuminismo si affermano forme di festa tese a celebrare la vita collettiva, l'unità del popolo protagonista della sua storia134.
        Con ogni probabilità, anche il corteo civico che si svolge a Vallata il 14 giugno, nella vigilia della festa dedicata a San Vito, del 15 giugno, risale al periodo napoleonico, si afferma durante il Risorgimento (omaggio al tricolore, sentimento nazionale, forte senso di unità comunitaria) e nel periodo postunitario (con significativa attenzione al municipio e a quella che Carducci (definiva "del comun la rustica virtù").
        Nel periodo fascista le feste, generalmente, con qualche eccezione per quelle strettamente religiose, risultano tese a propagandare l'ideologia del regime e, soprattutto, a mantenere la gioventù agile, veloce, scattante, orgogliosa di appartenere alla razza italiana.
        Nell'ultimo dopoguerra la festa risponde ad un bisogno di liberazione, di ripresa, di slancio verso nuove conquiste politiche e sociali. Con il mutare della qualità della vita, certamente in tutte le feste tradizionali, soprattutto dagli anni '60 del secolo scorso ad oggi, il motivo folclorico, la componente turistica e la nuova cultura di massa, insieme a spinte di carattere economico, hanno modificato le forme non tanto dei rituali religiosi, che pure sono sentiti e vissuti in modo nuovo, ma certamente dei rituali civici e del divertimento, condizionato oggi fortemente dai mass media. Franco Cardini conclude il suo saggio sui "giorni del Sacro" affermando: "La ricetta per sopravvivere un po' meglio? Forse, far qualche festa ogni tanto" .135
        Ma perché una festa tradizionale conservi la sua vitalità, interagendo continuamente con le esperienze della vita quotidiana, occorre una particolare condizione, ben rilevata da Alessandro Falassi: "Se la festa, in ultima analisi mette in scena la cultura invece di limitarsi a rifletterla può, al contrario, essere l'occasione per riflettervi e poi indicare dei modi di convivenza e di interazione sociale possibili, insospettati, inadempiuti" 136.
        L'intento del libro è di andare otre la pura e semplice "curiosità" personale, nella rappresentazione del passato, per cogliere aspetti e motivi della vita comunitaria locale e significarne le possibili prospettive di sviluppo in vista di una maturazione umana, sociale e culturale più coerente e significativa.
        In quest'orizzonte di ricerca s'è cercato di cogliere elementi di continuità e di cambiamento nella organizzazione e partecipazione alla festa, come rituali, sulla scorta delle osservazioni di Herman Tak nel suo studio sulle feste in Italia meridionale137. Le feste, osserva, si esprimono attraverso rituali particolari, tipici di ogni realtà locale.
        Nel Meridione, le feste più importanti sono dedicate ai Santi patroni e coinvolgono, spesso, un gran numero di partecipanti. Così annota Tak: "Le principali piazze e strade sono addobbate con l'illuminazione a festa, si tendono balli in piazza e si sparano fuochi d'artificio visibili dalle contrade più distanti. Di solito il rituale è rappresentato da una processione dedicata, il più delle volte, ad uno dei santi patroni locali"138.
        I rituali , osserva ancora l'antropologo olandese, sono caratterizzati da ripetitività e continuità. Essi consentono di comprendere, in parte, il modo di affrontare i problemi della vita quotidiana, da parte di un gran numero di persone e sono "importanti espressioni simboliche delle relazioni di potere e delle egemonie sia di classe, eticità e nazione / stato, che della religione dominante".
        Sul piano strettamente antropologico, la difesa di particolari rituali, in un contesto locale, corrisponde alla difesa verso le incertezze del cambiamento. Ma il cambiamento è a vantaggio della stessa tradizione, cui fornisce nuova energia per conservarsi adattata alle esigenze imposte dai mutamenti di ordine generale. In altre parole, pensando alla festa-fiera di San Vito a Vallata, è ovvio rilevare che la fine della fiera ha comportato una profonda modificazione della festa, che non è più animata, come nel passato, dalla presenza di contadini, degli zingari, dei forestieri interessati all'acquisto degli animali, dei prodotti artigianali, dei prodotti agricoli tipici del territorio di Vallata.
        Intanto è opportuno osservare che la festa va oltre il rito, è meno finalizzata e più flessibile, più mobile nel tempo, "policentrica", secondo la definizione di Francesco Marano139.
        Anche Paolo Apolito definisce la festa "come un contesto in cui si svolgono azioni rituali, ma anche non rituali, orientate secondo l'uso del modo simbolico, ma senza che per esso venga riconosciuto o richiamata una esclusiva "auctoritas"140
        La festa va vista, quindi come un complesso evento sociale e non può essere ridotta a fatto semplicemente rituale e simbolico.
        Essa, pertanto, va vista e vissuta come un fenomeno suscettibile di un approccio multi disciplinare e interdisciplinare, ben evidenziato nell'incontro tra etno antropologia e semiotica; a tale riguardo, basi solide furono poste in un lontano Convegno su "Forme e pratiche della festa" (Montecatini Terme, 27-29 ottobre 1978)141. Qui, sul piano etno-antropologico, si espongono tesi di "revival", si individuano "nuove feste", si esaminano riti e cerimonie storicamente e geograficamente ben definiti, si descrivono feste di tipo etnicistico, si parla (Ruzler) di feste autentiche e di feste non autentiche, di feste di tipo capitalistico e di tipo pre-capitalistico (Di Nola), di feste come momenti pratici del tempo libero; si analizzano, inoltre, i rapporti tra festa e sport, tra festa e turismo.
        Per il versante semiotico, si registra la pluridimensionalità della festa, con i suoi molteplici codici, cinesico, prossemico, sonoro, alimentare. Importante anche il richiamo di Smith alla "efficacia simbolica" come criterio per distinguere la festa da altre rappresentazioni (giochi, sport, ecc.).
        Di particolare interesse, la relazione di Giulio Angioni che presenta la festa come un modo di usare il tempo libero (tempo, cioè, libero dal lavoro) per puro godimento, al fine, tuttavia, di arricchire sia se stessi che la comunità sociale di valori umani autentici:"Il vero tempo libero, afferma Angioni, consiste nella possibilità che lo si possa spendere in attività in cui a piacere si usano le proprie forze fisiche, intellettuali, spirituali in modo pieno, in cu. si fanno cose che hanno a che fare principalmente coi bisogni di godimento e di lineare esplicitazione di sé e non con la necessità di produrre per la sopravvivenza" 142.
        La festa presenta aspetti di ritualità, simbolismo, sacralità, godimento, competitività, scansione ritmica del tempo, fusione identitaria nello spazio sociale e, quando è legata ad una tradizione religiosa, sollecita anche la meditazione sui problemi morali ed esistenziali, così come può sollecitare iniziative culturali, sportive, folcloristiche e presentarsi, anche, come uno specchio delle caratteristiche espressioni di vita e di attività della comunità che vi partecipa. Tale aspetto è stato sottolineato a proposito della connessione, per la festa di San Vito a Vallata, tra festa e fiera, tra festa tradizionale e iniziative della Pro-Loco (sagre, rappresentazioni folcloriche, tornei di calcio, gare atletiche). La festa tradizionale, come giustamente osserva Martine Boiteux, è un rito pubblico: "La società opera una manipolazione simbolica che fa della festa un luogo di comunicazione"143.
        Questo rito ha i suoi tempi e i suoi ritmi, i suoi spazi, i suoi registri e i suoi esecutori, i suoi partecipanti diretti e i suoi spettatori. Nella festa, osserva ancora Boiteaux, si possono scorgere motivi ideologici, senso di pacificazione o contrasto sociale, stratificazioni sociali, scelte culturali.
        Nel modo di svolgersi, essa può anche sollecitare osservazioni del rapporto tra classi dominanti e subalterne144: Basti riflettere sull'offerta del gallo, nella festa di San Vito, da parte dei contadini, non solo al Santo, ma anche ai "notabili" proprietari terrieri. La festa, soprattutto quando si svolge in una piccola comunità, come quella da noi descritta e analizzata, crea una rottura con la quotidianità, coinvolgendo emotivamente un gran numero di persone.
        In proposito valgono le osservazioni di Pierre Smith, il quale riconosce alla festa una molteplicità di fenomeni e l'iscrizione, sempre, nel quadro di un insieme rituale. "Nelle nostre società, rileva P. Smith la nozione di festa comprende fenomeni molto vari, il cui comune denominatore, se si fa astrazione del pretesto o dell'occasione, non è dato da altro che da una gioiosa effervescenza sociale, che fa contrasto con l'ambiente quotidiano della vita lavorativa familiare"145.
        Le feste tradizionali risultano programmate, ben definite, cioè, nelle modalità rituali, nel tempo e nello spazio, con ruoli, compiti e comportamenti indicati ai partecipanti. Tuttavia, nell'incessante processo storico del vivere sociale, anche le feste tradizionali subiscono mutamenti significativi, perdendo alcune caratteristiche funzioni, acquisendo elementi di novità che contribuiscono, come già più avanti ho rilevato, a conservare le forme basilari della tradizione.
        I temi, poi, della "organizzazione" e della "partecipazione", propri della festa di San Vito a Vallata, sono stati esaminati, cercando soprattutto di individuare i diversi soggetti coinvolti nell'azione tesa ad assicurare all'evento (sotto i suoi diversi aspetti) il più largo consenso: un successo per rivitalizzare l'evento stesso e renderlo interessante anche al di là della comunità locale. Sulla scorta delle indicazioni di Francesco Marano, studioso dei "riti di attraversamento del fuoco in Lucania", che dedica un capitolo della sua indagine a "I partecipanti", si sono individuati quali soggetti più responsabili della festa i componenti del Comitato, il parroco, in parte anche l'autorità amministrativa, condividendo l'impostazione di Marano che, a proposito di istanze autoriali della festa, segnala i manifesti pubblici con l'illustrazione del programma delle manifestazioni spettacolari, il comitato ("procura"), il parroco (che incarna l'autorità religiosa e la tradizione).
        Giustamente, Marano fa notare che: —L'istanza organizzativa non è l'autore della festa ma solo l'autorità che conferma e garantisce le regole entro le quali la festa avrà luogo: quest' ultima va considerata come un "work in progress" prodotto da tutti i partecipanti, momento per momento"146.
        L'autorità della Chiesa resta legata agli aspetti specificatamente liturgici, quella politico-amministrativa riguarda la cerimonia civica e l'ordine pubblico, quella del Comitato riguarda i vari impegni organizzativi ed è più strettamente legata ai suggerimenti dei cittadini sulle scelte, soprattutto, relative ai momenti spettacolari. Non si è mancato di accennare al ruolo, sempre ambito, dei "portatori" della statua nella processione del 15 giugno, alla particolare devozione manifestata dagli emigranti presenti alla festa insieme ad un forte e nostalgico sentimento di appartenenza, alla compartecipazione degli abitanti dei paesi viciniori o di turisti occasionali. Rispetto a tutti i compartecipanti si è posto in rilievo il fatto che essi non svolgono solo un ruolo di semplici osservatori, non si limitano ad essere visti e a vedere, ma esprimono reazioni che possono influenzare, anche se non immediatamente, la pratica realizzazione dell'evento.
        Il rituale si afferma come una pratica identitaria, ma in esso si può scorgere anche il ruolo attivo dei partecipanti-osservatori, la cui attività, rileva sempre Marano "non consiste né nell'interpretare ciò che vedono né nel mero apprendere attraverso l'osservazione, ma nel manifestare sentimenti, provare sensazioni, emettere giudizi, confrontarsi o cercare complicità e contatti con altri partecipanti, incorporando tali esperienze proprio come qualsiasi altro partecipante attivo"147
        Ciò dimostra la coerenza di un'altra interessante osservazione dell'etnografo italiano, a proposito delle modificazioni intervenute, nel tempo, nella festa, modificazioni che rendono la festa stessa un evento più complesso rispetto a quello inteso soltanto come affermazione di identità collettiva. Le feste, oggi, anche quelle segnate dalla tradizione, sono eventi "aperti", soprattutto per la parte che riguarda l'aspetto spettacolare, il divertimento, provocazioni sportive, le iniziative culturali, sportive, enogastronomiche, folcloriche. Le feste spesso rivitalizzano, in funzione delle nuove proposte, oltre la pura e semplice tradizione, le potenzialità economiche, sociali e culturali di una comunità, soprattutto quando, come è il caso del mio piccolo paese, non vi sono, durante il corso dell'anno, continue occasioni di organizzare eventi significativi.
        Si sa che le feste bene organizzate possono, ad esempio, incentivare il turismo, con tutte le conseguenze positive che questo fenomeno può determinare. Tuttavia, "L'affermazione di un'identità collettiva non è un carattere intrinseco e costitutivo di una presunta essenza della festa, ma costituisce l'aspetto principale e il senso di alcune interazioni che hanno luogo nel corso della festa"148
        Il senso dell'identità collettiva, nella festa di San Vito a Vallata, si manifesta soprattutto nella cerimonia del. corteo delle "panello", dal Municipio alla cappella del Santo. La festa, secondo Lanternari, contribuisce a costruire e conservare l'identità comunitaria. "Far festa, osserva Lanternari, è, nella generalità dei casi, come porsi dinanzi allo specchio, ricercare se stessi e la propria identità... ritrovare se stessi e recuperare un equilibrio già sentito come precario" 149.
        Viene da osservare che la festa, da sola, non garantisce il raggiungimento di equilibri stabili; essa, tuttavia, può essere sempre l'occasione per riflettere sulla opportunità di rivitalizzare continuamente la disponibilità ai vincoli di amicizia, di. solidarietà, di costruttiva collaborazione, da parte di tutti i componenti di una comunità che compartecipano ad un evento di festa tradizionale.
        Quanto all'organizzazione della festa, sussiste la necessità di un Comitato strutturato in maniera più largamente rappresentativa ed attento alla formalizzazione corretta delle decisioni; per il Comitato stesso tornerebbero utili i contributi di proposte e sostegno materiale dell'Azione Cattolica, della Pro-Loco, delle altre Associazioni presenti nel paese, del I' Amministrazione Comunale.
        Nell' interpretare la festa, infine, fra tradizione e innovazione, s'è ribadito, anche sulla scorta di alcune indicazioni offerte da Paolo Apolito150, che nella festa di San Vito a Vallata, come in numerose feste tradizionali di paese, il rito si esprime, relativamente alla simbologia e ai rapporti tra officianti e partecipanti, in maniera rigida, mentre la festa è policentrica e investe molteplici aspetti. Giustamente Apolito considera il rito come il "testo" e la "festa" come "contesto", osservando: "Se il rito, insieme formalizzato di azioni cerimoniali, innanzi tutto "si fa", la festa innanzitutto "si sente"151.
        La festa, dunque, arricchisce il rito di emozioni e sentimenti, che variano di volta in volta rispetto a circostanze particolari e a officianti e partecipanti particolari. Esiste, insomma, come rilevano Valori e Lanternari, un ethos festivo espressivo di "una attività sociale piacevole" di "un'atmosfera della partecipazione".
        Ancora con Apolito, si possono individuare in una festa alcune regole fondamentali, che non si traducono, però, in modelli univoci di comportamento: "L'ethos, il modo simbolico, la presenza di più auctoritates di riferimento" . Abbiamo tentato di individuare gli elementi, nella festa, di fedeltà al sistema simbolico, ma anche gli elementi di "tradimento", di novità, rispetto alla tradizione. L'analisi e l'interpretazione della festa di San Vito a Vallata hanno consentito di comprendere la differenza tra festa di paese arcaica e festa nel senso moderno del termine, tra tradizione e fedeltà al rito e alla simbologia ed esigenza di incontro di persone, del paese ed estranee al paese, per un bisogno di socialità, di comunicazione creativa, di interazione volta ad arricchire il quotidiano, ad aprire nuovi orizzonti di vita e di attività. Rispetto al passato, tempi e spazi della festa, nei piccoli paesi come Vallata, certamente non hanno subito significative modificazioni, soprattutto per quanto concerne il cerimoniale religioso.
        Certamente, le modalità organizzative della festa non risultano più soggette a sistemi rigidi imposti dalla Chiesa, da istituzioni o centri di potere; è difficile, d' altra parte, individuare oggi una partecipazione privilegiata di soggetti particolari, come nel passato erano i contadini.
        Quanto ai riti religiosi, nella festa di San Vito, la Chiesa, pur adeguandosi alle nuove esigenze dei fedeli, esercita senz'altro la sua "auctoritas", in difesa della tradizione e dei simboli religiosi.
        La festa, tuttavia, come spazio vissuto dalla comunità locale in funzione della ricerca dell'identità e dell'integrazione collettiva, e come tempo di libertà dal lavoro e di ricreatività, ormai è da vedere e da interpretare come un fenomeno complesso influenzato da molteplici fattori, propri della civiltà contemporanea: mass media, pubblicità, nuove istanze economiche e sociali, nuovi usi e costumi e soprattutto nuovo modo di fruire del tempo libero.
        Come numerose feste tradizionali di paese, anche la festa di San Vito a Vallata si afferma non solo come memoria. del passato, come recupero della tradizione, come affermazione di identità comunitaria, ma anche come occasione di gioia collettiva, di relazione solidale e rassicurante, come espansione personale spontanea, interattiva, creativa.


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119) Cfr B. PALUMBO, l'Unesco e il campanile, Meltemi, Roma 2003, pp. 9-63.
120) Ivi p. 10
121) Cfr G.L. BRAVO, Italiani Racconto cit.
122) Ivi, p. 198
123) Ibidem
124) Ivi p. 199
125) A. M. CIRESE, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo,Palermo, 1973,p. 310.
126) P CLEMENTE — F.MUGNAINI, Oltre il folklore, Carocci, Roma, 2001, E Mugnaini, Intr. pp. 18-19.
127) Ivi, p. 21.
128) Ivi p. 36
129) Ivi, p.35.
130) Ivi, p. 59.
131) P CLEMENTE, "Una postfazione: rimuovere una tradizione di studi", in P. Clemente —F. Mugnaini, op. cit., p. 227.
132) R^E. MUIR, Riti e rituali nell'Europa moderna (1997), La Nuova Italia, Milano 2000, p. 283.
133) Cfr A.FALASSI, op. cit., pp.10-11.
134) Cfr. Ivi, p. 18.
135) E CARDINI, i GIORNI DEL Sacro, Milano, 1983, p. 248.
136) A. FALASSI, op. cit., p. 26.
137) H. TAK, Feste in Italia Meridionale. Rituali e trasformazioni in una storia locale, Hermes, Potenza 2000.
138) Ivi, p. 45.
139) Cfr. F.MARANO, op. cit., p.71
140) P. APOLITO, Il tramonto del totem. Osservazioni per una etnografia delle feste, Angeli, Milano, 1993.
141) Cfr. AA. VV.Festa. Antropologia e semiotica (a cura di Carla Bianco e Maurizio Del Ninno) Nuova Guaraldi, Firenze, 1981.
142) M. BOITEAUX, "Struttura e comportamenti", ivi p. 10.
143) Cfr. Ivi, p. 14.
144) P.SMITH, "La festa nel suo contesto rituale". ivi p. 212.
145) F.MARANO, op. cit., p. 84.
146) F.MARANO, op. cit., p. 84.
147) Ivi, p. 101.
148) Ivi, p. 164.
149) V. LANTERNARI, Festa, carisma, apocalisse, Sellerio, Palermo 1983, p. 27.
150) Cfr. P APOLITO, Il tramonto del totem, Angeli, Milano 1993
151) Ivi, p. H.

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