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L’avvucat’
(l’avvocato).
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        All'Ufficio di conciliazione di Trevico, negli anni '30, conveniva, ogni venerdì, la gente della comunità per le cause giudiziarie di poco conto. Fungeva da giudice il dottor Tommaso Petrilli, coadiuvato dal segretario comunale Giuseppe Sigillò.
        C'era molta animazione prima dell'udienza e a volte le accese discussioni finivano a 'n' g'nat' (a bastonate) ancor prima dell'ultimo verdetto spettante al giudice conciliatore.
        Queste scenette attiravano l'attenzione di noi ragazzi in attesa anche dell'arrivo degli avvocati di parte, fra cui Pennetta, con la solita mantellina, che veniva a piedi da Vallata.
        Questi era molto trasandato nel vestire perché proprio non poteva ricorrere a ricercatezze col magrissimo suo guadagno.
        Noi assistevamo ai vari dibattiti, fra i chiamati in causa e gli avvocati di parte, in un misto di italiano e dialetto fra cui quello vallatele dell'avvocato Pennetta che in verità era disatteso da tutti, pur essendo più bravo di altri suoi colleghi, proprio perché non aveva personalità e modo decente di presentarsi in pubblico. Noi ragazzi sussurravamo, passando di orecchio in orecchio, l'episodio grottesco capitatogli nella sua modestissima abitazione vallatele.
        Il Pennetta — si racconta — era seduto su di uno scannetto accanto al focolare con l'immancabile scialletto sulle spalle e i calzoni ancora più andanti per casa che erano squarciati di cavallo e poiché non portava biancheria intima, gli penzolava "qualcosa" fra le gambe divaricate che il magro gatto dovette scambiare per carne fresca tanto che si arrampicò con le unghie per addentarla.
        Al vivo dolore provocato, il Pennetta s'alzò di scatto e con un calcio sferrato in piena collera fece volare il malcapitato fuori dai vetri infranti della finestra fin sulla sottostante strada, gridandogli dietro vari "Mannagg' chi t'è muri e stramurt’”.

Trevico: Veduta invernale del Tiglio e la Cattedrale
(foto Italo Mustone)