Emilio Paglia - LAMPAMI E TRE - ‘‘Tu t’ la cant’ e tu t’la suon’’’ (tu te la canti e tu te la suoni)

“Tu t’ la cant’ e tu t’la suon’”
(tu te la canti e tu te la suoni).
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        S’avviò dalla sagrestia il parroco con i chierichetti in mozzetti bianchi e la Croce in testa fra il portaincensiere e il portaspersorio. Seguivano in processione i componenti della Congrega con la larga fascia viola a tracolla e, infine i quattro portatori a spalla della predella per il trasporto del feretro.
        Era morta la moglie di Nicola, agiato agricoltore, ora sostenuto dalle valide braccia di due giovani perché, sopraffatto dal dolore, non voleva far richiudere la cassa con le spoglie della cara sposa rapita al suo affetto in età ancor giovane.
        Il Capitolo giunse e, dopo le consuete preghiere, l’incensata e la benedizione finale con l’aspersorio a mo’ di croce da parte del parroco, fu impiegata non poca forza per allontanare Nicola dal feretro onde permettere la ricomposizione del corteo per raggiungere, dopo buona distanza e per via malagevole, la chiesa madre.
        Qui il parroco aveva convocato l’organista del paese vicino ed un altro sacerdote coadiutore nella funzione funebre che doveva avvenire in forma solenne, così come si conveniva per defunti importanti per i quali gli eredi potevano pagare il tutto.
        Non erano trascorsi ancora gli otto giorni dal solenne funerale, quando don Rocco, con l’aiuto del bastone e fazzoletto a portata di mano per detergere il sudore, si presentò, ansimante, alla masseria di Nicola che ancora non si dava pace.
        Questi accolse il parroco con una buona soffiata di naso per schiarire gli occhi lacrimosi, invitandolo a sedere.
        Don Rocco, dopo una breve pausa, iniziò il discorsetto introducendo parole circostanziate di condoglianza e, con un po’ di tossetta, giunse allo scopo per il quale aveva affrontato quel disagevole cammino visto che l’interlocutore non s’era presentato in parrocchia per saldare tutte le spese per sì solenne funerale.
        S’alzò di scatto dalla sedia, Nicola, sbattendo la coppola sul tavolo:
        "Come! I’ chiangev’ e vui a sunà e cantà e mò vulit’ lu riest’! Nun v’è bastat’ lu d’vert’ment’? S’ nu sparit’ subb’t’ da qua vad’à slegà. li can’!"
        (Ma come! Mentre io piangevo voi stavate a suonare e cantare e adesso volete anche il resto! Non v’è bastato il divertimento? Se non ve ne andate via subito andrò a slegare i cani!)
        Il parroco, constatata la determinazione che si leggeva negli occhi stralunati dell’agricoltore, alzò i tacchi alla volta della canonica borbottando:
        "N’cò quann tu schiatt’ ’n cuorp’, manch` r’ campan’ t’ fazz’ sunà!"
        (Nicola, quando tirerai le cuoia, non ti farò suonare neanche le campane!)

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