Emilio Paglia - LAMPAMI E TRE - Supplenza

Supplenza
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        S'era premurato di radersi la barba, don Francesco, prima della scadenza abitudinaria bisettinanale, perché invitato dal parroco di Anzano per sostituirlo per una settimana nella cura delle funzioni religiose durante la sua assenza per motivi di salute.
        La barba rasa, innanzitutto, per presentarsi ai fedeli di un altro paese in accorta decenza (già molto bruno in viso, la barba incolta avrebbe conferito più tono scuro alla sua pelle) il lungo abito talare festivo, per l'occasione, che copriva i copponi dei pantaloni a fior di tomaia, scarpe lustrate, rigido colletto, il tutto per un abbigliamento che doveva conferirgli rispettoso decoro sacerdotale in un paese forestiero.
        Giunse così, puntuale, alla funzione pomeridiana del mese mariano destando quella naturale curiosità fra le fedeli in attesa del sacerdote supplente.
        Passando accanto ai banchi per raggiungere la sagrestia, giunse al suo orecchio qualche commento malevolo diretto alla sua persona, ma tirò dritto.
        Una volta in sagrestia, visibilmente contrariato, indossò alla svelta gli indumenti talari per la funzione e, a passo svelto, raggiunse l'altare e, prima del commiato (ite missa est), si rivolse alle fedeli apostrofandole nel suo dialetto:
        "Passando fra i banchi ho sentito bisbigliare "È arr'vat' lu brutt'!" oppure "Maronna che facc' niv'r!" (È arrivato il brutto! Madonna che faccia nera!)
        Volete sapere una cosa? Io so' venut' qua a dì messa, nò a cangià la rr'azza!"
        (Io sono venuto qua a dir messa e non a cambiare la razza)

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