Vallata - brevi cenni storici - Opuscolo in Onore di San Vito

Tratto da un opuscolo stampato nel 1940 in Onore di S.Vito Martire
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ANTICA STORIA POPOLARE
DI
S. VITO MARTIRE

ANTICA CANZONE POPOLARE
IN ONORE DI
S.VITO MARTIRE

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Aiutami, Maria onnipotente,
di vero cuore ti voglio pregare;
dammi forza allo spirito, e alla mente,

i tuoi devoti non li abbandonare.

Il Padre Eterno che ne sta contento
il suo privilegio gli donava;
e, sceso dalla gloria, splendente
l’angelo santo io stava a adorare.

In nome di Dio Padre Eterno,
quello che primo il mondo edificava,
odoriamo il Figliuolo, ente superno,
il terzo Spirito Santo laudiamo.

Datemi lume per poter discerne,
altro non ho a chi mi confidare,
il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo
mi dà forza al mio dolce canto.

Noi sol la mano destra abbiamo franca
a fare il segno della santa Croce,
si mette la mano al petto, a destra e a manca,
ogni buon cristiano che n’è devoto.

A tal che il nemico non ci tanti (tenti),
sopra di noi non ci abbia a noce: (nuocere)
alza l’occhio al Ciel con propria mente,
Dio ne libera dalla pena ardente.

Gloria celeste e onnipotente,
insieme con i Santi in compagnia,
Rubini, Serafini e quanti siete,
dài intelletto a me, corteggio a Vito.

Un fanciullin di tenera etate,
conforme la Scrittura parla e dice,
di dodici anni fu battezzato,
la lasciava di far la legge antica.

C’era un giudice chiamato Diocleziano,
uomo gentile Ila e potente,
manda avvisare a suo padre,
Ila di quello non sapeva niente.

Il tuo figlio è andato a battezzare,
te lo farò morir miseramente;
il nostro re non vuole adorare,
da me avrà gran patimenti.

Gli parlerò io con parole umane:
Figlio non me ne dar sconsolamento,
il nostro re non vuoi adorare,
il giudice ti dà gran patimento.

Io non sento quest’ordine che voi dite,
magari me ne volete dare martirii,
io credo a Dio che mi deve premiare.

Ora si parte con sdegno Ila,
va dal giudice accusare a Vito:
Vito io non lo posso umilire (ammorbidire),
ve lo consegno nelle vostre mani.

Il giudice i suoi servi fa venire,
manda a pigliare a Vito carcerato,
innanzi alla sua presenza lo fece ire
dai piedi lo comincia a bastonare.

Con bastone di ferro lo batteva,
San Vito come agnello resisteva;
Dio conosceva la fede che aveva,
ce le fece le braccia seccare.

il giudice dal padre fa ritorno:
tuo figlio sarò un’ gran maaro (mago)
quando mi son voluto divertire,
esso mi ha fatto le braccia seccare.

Ai piedi di quel’ Santo voglio andare.
potessi i miei guai rimediare.
ho non son fattucchiero, nè magaro,
nemmeno i tuoi guai posso rimediare.

Se mi prometti di lasciarmi via,
Dio ti farà le braccia sanare
Io prometto di lasciarti via,
basta che (pùrchè) Dio le braccia mi sana.

San Vito fece preghiera a Dio,
e libero rimase dallo ciompia (delle mani).
Il giudice dal padre torna a andare:
Per Vito vedi tu come puoi fare.

Vito che adora Dio e sta contrito,
ogni grazia che cerca Vito l’ave (l’ha).
Ohimè, che mala sorte è la mia,
un figlio tengo e mi vuole lasciare!

Con questa lontananza, padre mio,
pure mi puoi venire a trovare;
e se tu te ne vuoi con me venire,
andiamo a adorar quel Dio che ci ha creato.

Il padre se ne andò a consiglio
da amici, parenti e compari.
Ohimè, che mala sorte è la mia,
un figlio tengo e mi deve tormentare!

Questi non san tormenti, padre mio,
pure te ne dovresti rallegrare.
Il padre dubitava dell’inganno,
dentro una camerella fu serrato.

Con suoni e canti e preziosi panni,
con gioia di gentili, elette donne.
Santo Vito alla fede ritorna,
sempre all’eterno Dio si raccomada.

Allontanatevi da me, false donne,
voi premio non mi fate cu sì (con codeste carni)
Le donne dal padre fan ritorno:
Non abbiam potuto a Vito cascar (recar) danno.

Noi a Vito lo vogliamo lasciar ire,
si contenta piuttosto di morire.
Ohimè, che mala sorte è la mia,
se ne vuole andar tanto lontano!

In questa lontananza, padre mio
pure mi potete venire a trovare.
E se tu te ne vuoi con me venire,
andiamo a adorar quel Dio che ci ha creato.


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E l’Angelo gli disse: Piglia via,
sempre alla tua presenza io, Vito, stavo (sto).

E San Vito si trova in compagnia
di due fanciulli, Modesto e Crescenzo.
Verso l’Italia hanno preso la via,
con festa, giuoco e risa, allegramente.

Quando arrivarono alla marina.
non trovarono alcun impedimento:
trovaron barche, marinari e vento.

Disse lu fortunato marinaro:
Abbiam fatto una bella mercanzia,
con poche spese la barca è pagata,
ci troviamo coi Santi in compagnia.
Vito, Modesto e Crescenzia imbarcaro,
in un momento l’italia passàro.

L’imperatore lo stava a aspettare
con molta servitù e riverenza.
Il servo disse: Mò (ora) è venuto il medico bravo,
se la vostra figlia la volete far sanare.
Tengo la mia figlia che sta male.
è stata spiritata molto tempo.

Se mia figlia me la vuoi sanare,
sarai premiato certamente:
li darò lo scettro e la corona,
dell’ imperio in io sarai padrone.

Tu questo scettro che mi vuoi donare,
l’Angelo dal cielo me l’ha donato,
mi libera in terra dalla tentazione,
Egli è principe in Cielo e mio avvocato.

San. Vito l’andò a visitare
questa flgliola misera e morente,
le fa la santa Croce con la mano
in nome di quel Dio onnipotente.
Con la mano le toccò la testa
‘sta donna spiritata libera resta.

Uscite fuori, cifre infernali,
nel nome di quel Dio avete partire.
Non potettero i palazzi far cascare
chè stavan molti tempii dei Gentili.

Fumo dall’aria, ne videro uscire,
tuoni dall’aria videro calare,
lampi e saette fecero battaglia,
de’ Gentili caddero le muraglie.

Il re sta meravigliato:
Io di te mi sono innamorato,
tu devi essere sposo di mia figlia.
Ti dono lo scettro e la corona,
e dell’impero mio sarai padrone.

Che ne fai che tieni ‘sta corona?
Tu sei padrone di regni e città,
ma se abbracci la fede del mio Signore,
t’incorona in Cielo per una eternità.

Arrabbiato stava l’imperatore
per ‘sta sentenza che Vito gli ha dato:
Ti metto dentro al carcere in prigione
mentre la fede mia la negate.

In quel brutto carcere fu menato,
in un attimo si vide illuminato.
Dentro al carcere stavano in armonia,
l’ufficio di Gesù stanno a cantare.
Vito, Modesto e Crescenzo
si dicevano l’ufficio contenti:

« Deus in adiutorium meum intende ».

Massimiano ai suoi servi scrive,
li manda a dire che sono maàri (maghi).
Questi lo fanno per mio dispetto,
stanno dentro al carcere a cantare.

Ora è giunto un martirio nuovo,
la caldaia per voi è preparata
di piombo, resina e bitume.
Da quelle fiamme ti farò bruciare.

Videro la caldaia che bolleva,
animosamente si buttarono,
non e amara la pena cara e doce (dolce).
Vito e Modesto con eletta voce
se lo dicevano l’ufficio contenti,
Deus in adiutorium meum intende.

San Vito parla ai compagni suoi:
Dobbiamo sopportar pene e tormenti.
Disse Modesto e Crescenzia:
A morire con te siamo contenti.

Si partirono tutti tre con amore,
videro la caldaia preparata:
di capo dentro al fuoco si menarono.
Dentro al fuoco stavano in armonia,
cantando l’ufficio di Maria.
Vito, Modesto e Crescenzo
Deus in adiutorium meum intende.

Ora si va sapendo per la città:
Andiamo a vedere i Santi di bruciare.
Massimiliano ai suoi servi scrive:
Non li vedete che sono magàri?
Quelle genti che credevano vedere
li santi di bruciare,
li trovaron meglio che stevano,
dicevano che era Dio che li aiutava.

Ora è giunto un altro martirio nuovo:
con quello non ci possono maarìe (magìe):
nemmeno il Dio tuo ti può aiutare.
San Vito in camera serrato
con gli animali feroci.
Li manda a scatenare l’imperatore,
di Vito ne facesssero un boccone.

San Vito li fece la croce,
s’ inginocchiarono avanti a tutti tre.
Avanti a tutti e tre s’inginocchiarono,
a Santo Vito i piedi gli leccarono.

Oh, che miracolo novello,
i leoni son diventati pecorelle:
son gli animali e conoscono il Signore,
tu turco scellerato e senza fede.
Arrabbiato sta l’imperatore.

Ora è giunto un altro martirio nuovo:
la catasta per voi è preparata.
Con quella non ci puonno maarìe,
manco lu Dio tuio ti può aiutare.

San Vito dice ai compagni suoi
che l’ora di morire è avvicinata.
Prendiamolo in pazienza questo dolore
sino a che diamo lo spirito a Dio.

Allora disse: A la volontà tua.
Vide la catasta preparata,
e Dio l’Angelo Santo l’ha mandato.
Stanno aspettando la felice ora,
l’Angelo dal Cielo li dà la mano.
Quello fu l’ingegno del martirio,
sino al Cielo arrivaron li strilli.

Ci stava una donna chiamata Fiorenza,
il marito si chiamava Liberato,
diede sepoltura a quei Santi.
Guarda 'sta donna quanto è stata lesta,
ha seppellito Vito, Crescienzo e Modesto.
Le consegnaron la reliquia tutti tre.
Questi sono i martini di San Vito.

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MIRACOLI IN VALLATA (Avellino)

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Un giorno, era la festa di San Vito,
va un giovane a suonare la campana,
tanto dalla fune fu colpito,
lo cacciò da fuori al campanile.
Per l’aria lo chiamò a San Vito,
cascò a terra senza farsi male.

Corsero gente, moglie e buoni amici,
con pianto all’ occhio l’andavano trovando;
Lo trovarono innanzi a Santo Vito,
a pianger per la grazia che gli fece.

Zitto, moglie mia, non pianger più,
che a me mi ha aiutato Santo Vito,
chè prima ero malato, ora sto buono;
quanto ne tengo oro e vestiti,
tutti a San Vito li voglio donare.

Un altro miracolo fece San Vito.
C’era una moglie di massaro,
il carro a San Vito gli portava;
la ruota per sopra le passava,
per l’aria chiamò a San Vito.

Di lato si voltava lu marito:
O Santo che fai grazie infinite,
dalle modo di la confessare.
Risponde ‘sta moglie sepellita:
Zitto, marito mio, non dubitare,
a me mi ha aiutato Santo Vito.
Quanto me n’hai fatto oro e vestiti,
tutti a San Vito li vaglio donare.
Ogni anno il carro gli debbo portare.

Un altro miracolo fece Santo Vito.
C’era un massaro di vacche e giumente,
con poche pecorelle si campava;
la masseria ebbe un toccamento,
gli arrabbiaron tutti gli alimenti (allevamenti).
Subito ricorse a Santo Vito:
La meglio vacca ti voglio donare.

Quando fu tempo di la fiera ire,
la vacca alla fiera (di Gesualdo) la portava,
gli cambiava la buona per la trista (cattiva),
a San Vito fece tradimento;
la vacca dalla fiera si voltava (tornava).

A diritto a dritto camminava,
senza cibarsi di un filamento (d’erba);
tre volte la Chiesa (di S. Vito) attorniava,
innanzi Santo Vito s’inginocchiava.

La vacca non faceva partimento (partenza).
se non contava il fatto in massaro:
fu costretto a dirlo con la gente.
Con San Vito hai operato inganno.
E quanto ne teneva argento e oro,
tutto a San Vito lo volle donare.
Quello mercante che se la comprava
a Santa Vito la donava.

Un altro miracolo fece San Vito.
Per la campagna campariron i vrùcoli (bruchi):
ne comporiron in quantità infinita.
L’avevano distrutta tutta quanta.

Subito ricorsero a San Vito,
con processione e messa cantata,
con pianto all’occhio e col battersi il petto.
Le verginelle scapellate (scarmigliate)
vanno a cercare grazia a San Vito.

Santo Vito mio, fateci grazia,
dateci la buona Sorte
se no dateci morte!
San Vito comanda con la bacchetta,
e a la stess’ora si trovarono morti.

Voi cacciatori che a caccia andate,
andate a caccia felici e contenti,
appresso con i cani praticate,
potete avere qualche toccamento.
Non solo ai cani arrabbiati,
siamo soggetti a tutti gli elementi;
scorpioni e serpi avvelenate
stanno nascosti, e voi non li vedete.
Voi andate di fede a San Vito,
quello porta l’unguento per le ferite.

Vito Giuseppe Canio di Morra,
dei Strazza si mette il casato,
tiene lo stesso nome di San Vito,
e di San Vito la storia ha cacciato.

Cari Signori, vi lascio contento,
vi lascia con la pace di Maria,
lodiamo il Santissimo Sacramento,
è la storia di San Vito, e casì sia.


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Il popolo dettò; Tommaso Mario Pavese ne
raccolse le parole ed il sentimento devoto, in parte
correggendo e riadattando.

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A CURA DELLA COMMISSIONE:

Sac. FRANCESCO DEL SORDI, cappellano
Cav. GINO LAURELLI, presidente
ANGELO LA QUAGLIA fu Vito, cassiere
CARMINE CRINCOLI di Generoso
VITO PATERNOSTRO fu Gaetano
VITO STRAZZELLA fu Michele

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