Satire - Tommaso Mario Pavese

Ringraziamo il Prof Severino Ragazzo che ci ha messo a disposizione parte del suo materiale, frutto delle sue ricerche personali.

 

- Il cameriere del duca -

A raccoglier ossa va a pranzo e a cena,
divaricando la sua larga buca,
quei che col cul profondo si dimena.

Ad aspettar che a loro vada il duca,
stanno le sue sorelle, in … agonia:
col prete e il brigadier lor si conduca!

Ei il damin va a far di compagnia,
barcollando, talora, o ruzzolone,
a chi finge ignorar chi egli sia.

La giubba nera e bigio il pantalone,
la zucca insana nel cappel laghetto,
e si muove a rimbalzo il ciondolone.

Perché crescer non s’è fatto il becchetto,
per lisciarselo insieme ai mustacchini?...
il copione sarebbe più perfetto!

Come il babbo, offre pizze e pasticcini:
va a fare giorno e notte il ruffiano:
si perpetuan così buffi arlecchini!

Per darsi aria gentil, bacia la mano
L’abietto precettor di bassi vizi,
come se non fosse vile baggiano.

Prestarsi a pubblici e a privati uffizi,
losco, il bieco animal pluricornuto:
suol fare d’ogni genere servizi.

Col telegrafo avendo combattuto,
presidente volea nominarsi a fatti,
lo spiantato ridicolo sfottuto.

Quel lumacon ruba il mestiere ai gatti;
l’intrigo e l’intruglio è a lui giovato;
così può fare pure il leccapiatti.

Nell’animo è di ognuno assai spregiato;
pure altro mestier certo può fare;
qual portiere a bordello star piantato.

Talora il duca mandalo a chiamare?
Davver?! Somministrar gli vuol la vrenna
di un individuo tal che ne può fare?!

Non solo porta il lapis, ma anche penna
-certo per non sembrare assai dappoco-
L’amorin vilipeso, alla cotenna.

Rigurgito scacciato da ogni loco,
s’attacca ora al comma, mignatta vera,
sapendo anche altro far, insegna gioco.

Quei che rischiò per droghe la galera
avendo messo su le bancherelle,
torna ad essere bestia si com’era!..

Che, se pensasse più alle sorelle
il gran citrullo gabbeo, lo scorpione
al caglio che desian lor scodelle!..

Con viso smorto in stupido zuccone,
con lingua che s’imbroglia ad ogni parola
viene goffo a tanto innanzi il pappolone.

Solo l’addottorò paterna scuola;
rachitico, panciuto, a larghi reni,
arcuate gambe e corte, quanto spalle.

Fedita arpia che il culo tuo dimeni,
al quale hai ben profonda bocca,
tempo è che contro tè l’ira mia sfreni.

Melesso insulso dal piede alla nuca,
a tempo perso fai il bellimbusto,
ricredi amico e non lacchè del duca!

Tu a sputarti in viso ecciti il gusto,
o a darti al deretan quelle pedate,
che spesso hai evitato al basso fusto!

Succhione ignobile, lecchino di mal nate
femmine, vivi sol d’espedienti;
quante ti han dato retta hai sporcate!

Il brigadier non seppe gli elementi
del tuo fallo(?), se no nel cul consunto
membro prendevi, oppur altri ingredienti

Rettile strisciante, segni punto a punto
I passi che ognora muta il duca;
che credi combinar, cervello smunto?

In quel che hai non è cosa che luce,
solo nel malaffar tu hai soci;
esser moglie ti può solo una cinca?

Proventi cerchi tu da mille fori;
tra i contendenti fai l’altalena;
sei abile soltanto a accattar noci!

Giacchè a trar la zappa non hai lena,
fai in tant’altre cose il faccendiere:
or su, pure immondizie a casa meni!

Sai far il ruffiano e il droghiere;
la laurea prendesti …. Elementare;
fosti adatto così d’ogni mestiere.

Vergognati, o cartel di lupanare!
Sta al tuo posto, faccia piperina!
Il prossimo con male arti non scroccare.

L’arte tua è pulire la latrina,
e non di corteggiare la duchessina.



-Il baciamani alla vescovessa-

Sparuto marinar dal tetro aspetto,
ora non più il prete ti confessa?!..
t’attende dal ruffian tuo al braccetto,
l’arcigna matronale vescovessa.

Umile vanne, vanne penitente;
fatti, prostrato, alla matrona sotto;
eri prima pudico eppur paziente,
mentr’or la facci tien del passerotto.

Respinse ella la tua umilitate,
cacciò via lo sposo e la pulzella,
evitasti, per tema di pedate,
la madre della vispa raganella.

Ermita, mio tesor, fa la valigia;
madamigella cara ciance altrove;
su con la papalin, la veste bigia,
a dar di falza divozion le prove.

A conchiudere un tanto pateracchio,
per unire la bella al meno bello,
non fu che l’esterina s’ebbe un cacchio
ma solo in dono un pinto pipistrello,

Così si unì l’incenso a Gingillino,
alla pura si unì la vescovessa,
la sardella sposò lo morticino,
e il prete al baccanl tradì la messa.

Sognò castelli, principi e milioni,
fu lo spinto folletto delle sale,
partecipò a danze e a veglioni,
or s’accaparra pesci al litorale.

E quelle che fu sempre immacolata,
men che nel peccato originale,
dalle bimbette sue circondata,
ha cattedra fulgente di morale.

Pure le pulci tengono la tosse;
sul cadaver così di quel cantone
sìassise, ricordando che uomo fosse,
chi dalle donne mai ebbe attenzione.

Amai prima i bioni e poi i bruni,
amai prima i lunghi ed ora i corti,
scherzai sia con gli altri che con gli uni
e poi risi sulla cenere dei morti.

Musicò col maestro core a core,
molleggiò, come lui, su d’ogni piuma,
ma non fu come lui un grande pittore,
non si tinse perciò il ciuffo bianco.

Prendi la madre e lascia star la figlia,
ruzzola pure la nota di gallina,
dice il proverbio; il simil tuo t’appiglia
ancorché l’onta danni alla latrina.

Iddio prima li fa e poi l’accoppia,
se simile famiglia ora s’appaia;
di sopra era e di giù famiglia doppia,
si prendono perpetuando la famiglia.

Come mena talor l’artiglieria,
per conquistare i regni e le città,
così fui messa anch’io in arte ria
per conquistare impieghi ed onesta

Come soglion talora intorno a cagna
Avvicendarsi i branchi a due a tre,
così sempre mi van in cu …. ticagna.
svariati spasimanti intorno a me.

Non esitò a prendere rimasugli
Perché ebbe egli altri rifuti,
a moine ricorse, a pregi, intrugli,
per aumentare il numer dei cornuti.

..Andate, andate, al bacio della mano,
prima che torni ancor l’ossespione,
insieme all’uno all’altro, ruffiano
a prendere fatal benedizione.

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