![]() |
V.
I Mille.
3. Palermo
__________________________________________
Ammiccano ne l' aria serena le lucide stelle,
e i zeffiri di primavera soffian tra' prati fioriti;
i flutti de 'l mare gorgogliano, baciando la riva,
sonanti qual fremer di cetra, scossa da man leggera:
cani randagi latran, ne la notte, da' casolari.
E, quando l’aurora spunta bella, da’ crini di rosa
il rumor de le bombe ferisce già l’ aria solenne;
solcano esse il cielo, distruggon, tremende, uomini e case.
Il popol di Palermo manda urli di furor frementi,
e grazie a Garibaldi, splendente di luce e di vita.
Egli, su 'l cavallo, contento, gira per la città,
e le donne s' inginocchiano: baciandogli le mani,
alzan vèr lui, per benedirli, gli attoniti bimbi;
e tutte l’eroiche squadre sono inondate d' amore.
A stormo suonan le campane de 'l Vespro gloriose,
da 'l volto de' liberi Siculi la gioia traspare:
il popol redento abbraccia, lieto, i militi forti.
I raggi de 'l sol s' infrangon, ridenti, ne la marina,
e l' onde, da la brezza increspate, qual lame d' argento
splendono: invade la città un soffio di pace e di calma.
Sfilano intanto, meste, le borboniche lunghe schiere,
le navi, dondolandosi, fendono il glauco mar placido;
e, mentre ne l' aere risuonano inni e cantici allegri,
la verde campagna, presso, olezza profumi soavi.
__________________________________________