PRIME LIRICHE 1901-1903 - Da Orazio - Libro 3, ode II degli epodi - Tommaso Mario Pavese.

XIII.
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Libro 3, ode II degli epodi.

Lungi le cure, o cittadini: si estima
        beato chi la prisca gente imita
        e, coi propri boxi, ara i campi aviti,
                ogni usura fuggendo.

Suon fragoroso di guerresca tromba
        i sogni a lui mai non disturba; il mare
        irato e tempestoso, mugghiante,
                sicuro, ei non paventa.

Fugge le liti e il foro e, con via piede,
        le soglie de' potenti mai calpesta;
        quindi, libero essendo, o agli alti pioppi
                de le viti l' adulta

propaggine marita; o, d' erma valle
        ne 'l cupo fondo, vede i greggi errare,
        muggendo a la pastura; o il dolce miele
                ne l' anfore raccoglie.

E, quando il mite Autunno il capo eleva
        da' campi, adorno di soavi frutta,
        ei de 'l coglier le pere e la dolce uva
                porporina compiacesi,

ed indi a te la sacra, o padre Priapo,
        o a te Silvano che i confin proteggi.
        Or lieto sotto ad un' antica quercia,
                or su l'erba tenace

stendesi e dorme; mentre a lui mormorano
        d' attorno, acque scendenti da alte ripe,
        e gli augelletti a lui cantano a gara,
                ne la cupa foresta,

e le palpèbre gli allettano a 'l sonno.
        Ma quando, a l' arrivar de l' invernale.
        stagione, Giove imperversa furente
                da l' alto, e piove e gelo

su la terra diffonde, ei per i boschi,
        con molte cagne movendo, i cignali
        feroci caccia, e ne l' opposte maglie
                trepidi li ripinge.

Or egli, su ben levigata pertica,
        a' tordi edaci reti tende rare;
        ed or straniera gru o lepre timida,
                con gioia a' lacci coglie.

Chi de' mali, così, non si dimentica?
        Fra tai piacer, chi d'amor le malvage
        cure non sprezza ? Che se a ciò n'aggiunga
                una pudica moglie

che de la casa abbia cura e de' figli,
        e il focolar d' aride legna ammonti,
        quando il marito stanco è per tornare;
                che il mansueto gregge

entro gli orditi graticci racchiuda,
        spremuto il latte da le mamme tumide;
        che il dolce vino a 'l caro doglio attinga
                e incompri cibi appresti

a la mensa frugal: più a me gola
        non farebbe de 'l lago Lucrin l' ostrica,
        nè rombo o scaro, nè affrican gallina:
                ma la matura oliva

ed il lapazio che ama i prati aprici
        o la malva salùbre a' corpi gravi
        o un agnello o una capra a 'l lupo tolta
                sarian miei lieti pasti.

Oh, come piace vedere le greggi,
        ben pasciute tornar lente a l' ovile,
        languido il collo vèr la terra chino
                e il vomero riverso

Bello è mirare de i figli de' servi
        lo sciame, de la ricca magione
        custode vigile, d' attorno a' tersi
                lari, seder festoso.

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