SCRITTI VARI - Tommaso Mario Pavese - Beni demaniali di Vallata.

Beni demaniali di Vallata.

        La distribuzione de' beni degli enti pubblici ha agitato le menti e gli animi di popoli, di uomini politici, di economisti e di giuristi, dall' epoca romana ai giorni nostri, attraversando — con varia vicenda — diversi periodi, tra i quali notevoli il normanno, l’ angioino, l’ aragonese, l' austro — spagnuolo, il borbonico, sino' alle leggi di Giuseppe Napoleone sull' abolizione della feudalità e sulla ripartizione de' demani, e sino alle leggi demaniali del Regno d' Italia. Questo argomento, perciò, va oltre l’erudita esposizione di un problema storico, varca i limiti del passato ed, entrando nella piena luce de' tempi presenti, attira su di sé l' attenzione dio classe di persone, dagli statisti più insigni ai più potenti, che cercano di carpire tutto, anche le bricciole del patrimonio lasciato in eredità a' più umili, dalle più lontane generazioni. — Presupposti necessari degli studi sulla feudalità sono i tempi, le leggi e gli ordinamenti, dalla caduta dell' Impero d' Occidente sino al primo periodo Borbonico cessato nel 1806. E questa storia è storia del diritto, storia di dominazioni, di leggi, costituzioni e riforme, anteriori o coeve al fenomeno feudale e demaniale. La divisione delle terre per quote individuali, attinta dalle dottrine economiche del secolo XVIII — pur se conforme allo spirito d' individualismo che pervade gli animi degli agricoltori e li rende cupidi di un lembo ancorchè minimo di terra, ma in libera proprietà personale —, ha però l' inconveniente di polverizzare i dominii pubblici collettivi in una miriade di minuscole proprietà private, facili ad essere travolte nella miseria, nella vendita volontaria o nell' espropriazione, prima che si sia ottenuta un' intensificazione culturale delle piccole quote individuali. La ripartizione individuale non è consigliabile, per evitare l'impoverimento del Comune, per far sì che i terreni conservino il loro stato di boschi o di pascoli, se a ciò sono più adatti; e pecche i bisogni indifferibili della vita quotidiana, le stagioni infide, la mancanza di abitazioni, di scorte vive e morte e di istrumenti meccanici rurali, la difficoltà di finanziare ogni grande quantità di piccole aziende, rendono impraticabili un miglioramento agrario generale, e travolgono continuamente i rachitici proprietari nella miseria. Perciò, anzichè dare la terra in quote ai soli coltivatori, è da domandarsi se non sia preferibile unire le forze col vincolo di un comune interesse all' incremento di una grande azienda propria di ciascuno e di tutti, formando de' demani popolari su regime cooperativo, e personificandoli in un Ente autonomo de' Demani Popolari. Il corpo sociale che ne usufruirebbe sarebbe rappresentato da ognuno avente l' età consentita dalla legge per il lavoro de' minorenni, cittadino per nascita o per involato, purchè in condizione di esercitare personalmente una qualunque arte, industria o prestazione d' opera nell' azienda sociale, secondo il cui valore e la cui entità si percepirebbe una quota annua proporzionata dal patrimonio della Università. L' Ente Università, persona giuridica proprietaria dell' azienda, nell' interesse della collettività degli utenti, gestirebbe l' esercizio e l'amministrazione del patrimonio, costituito dai terreni demaniali, da quelli soggetti ad usi civici, nonchè da quelli incolti, pubblici o privati, da espropriarsi per pubblica utilità, coltivandoli. Ciascun lavoratore sarebbe pertanto un condomino nel godimento degli utili netti dell' azienda, con una quota annua proporzionale all' opera prestata.
        Il 25 giugno 1810, il Consigliere di Stato Commissario regio per la divisione de' demani nei Due Principati, C. Paolo Giampaolo, nella causa del Comune di Vallata in Provincia di Principato Ultra per la divisione de' Demani Comunali ed Ecclesiastici, secondo i processi verbali, rilevava apparire che nel suddetto Comune vi fossero tremilacentocinquanta moggi circa di beni patrimoniali, parte boscosi, parte ad uso di pascolo, e parte colti ; più fondi ecclesiastici, in vari pezzi, dell'estensione di moggi duemilanovecentosettantacinque, sui quali l' Università ha il diritto dell'erba. E, secondo misure di periti, i diversi corpi erano annunziati come segue : Mezzana Perazze di moggi mille e trenta; Valloncastello nuovo di moggi cinquanta ; Macchitella di moggi quarantatrè, divisa tra cittadini sin dall'anno 1805, per ordine dell'abolita Regia Camera della Sommaria ; Valloncastello vecchio di moggi duecentocinquantasei ; Fasullo di moggi cinquantadue e mezzo ; altri piccoli pezzi, che in uno formano moggi centodiciassette, come dalle piante ; Costa di Santo Stefano di moggi duecentoventidue ; costa di Santa Maria di moggi diciannove; Demanio di Maggiano di moggi trecentottanta, dei quali censiti settantuno ; Piano delle Rose boscoso di moggi centoquarantasei ; Mezzana Valledonne di moggi mille e settantasei, de' quali censiti trentacinque.. Notava inoltre che vi era una numerosa industria di, animali, che il terreno in coltura ascendeva a circa undicimila moggi, e la popolazione a quattromilatrecento anime. Valloncastello nuovo o Castelnuovo, Macchitella o Mezzana Perazze, Aia del lago o Macchia Alvino, Madonna della Nova o Madonna della Grazia, Salitto o lazzano sono tutte contrade sinonime, o limitrofe. — Vallata, il cui territorio. è nel complesso di circa 5000 ettari, ha un patrimonio demaniale di circa 1400 ettari di terreno, per la maggior parte seminatorio, boscoso e frutteto, del valore di parecchi milioni, quando si consideri che ogni tomolo o moggio, pari ad ettaro 0,33,65, attualmente costa dalle mille alle tre- mila lire, e in qualche località anche 5000 lire. Però, ne ricava ben poco, mentre potrebbe e dovrebbe ricavarne tanto da metterlo in condizione di diventare uno de' migliori e più civili villaggi. d'Italia, pur sembrando oggi uno dei più miserabili. Il patrimonio demaniale del Comune ha triplice origine: universale, feudale, ecclesiastica. Quella universale si disperde nella notte de' tempi ; la feudale si riporta all'ex feudo del Principe Orsini, duca di Ora-viva. Secondo notizie di rivele fatte pel Catasto Onciario il 10 novembre 1753, essa università fittavi l'erbaggio autunnale ed invernale detto della Montagna anche ad Abruzzesi che calavano in Puglia. Le vecchie notizie sull'estensione de' piccoli demani non sempre sono concordanti tra loro. Il demanio ecclesiastico fu trasformato in demanio comunale. dopo le leggi eversive della feudalità. Un real dispaccio del 12 ottobre 1805 divise in quote fra i cittadini alcuni demani universali, e propriamente quello Mezzana Perazze di ettari quattrocentotrentasette in 786 quote, Macchitella dell'estensione di ettari 16,48,78 in 34 quote, e semina-torio Coste di ettari 7,17,57 in sei quote. In base all'ordinanza del Commissario ripartitore Giampaolo già citata, il 21 novembre 1810 venne fatto il sorteggio delle quote, e nel gennaio 1811 ne fu fatta l'assegnazione. Sono andati dispersi piante ed altri agiti relativi ai demani, per noncuranza o addirittura per sottrazione da parte de' posteriori amministratori del Comune, alcuni de' quali, insieme con loro parenti, furono i principali, usurpatori del demanio comunale, in misura talvolta eccessiva, diventando così tra i maggiori proprietari del luogo. Perciò mancarono le verifiche delle usurpazioni. Con istrumento dei 25 dicembre 1811, in esecuzione della, legge 1° settembre 1806 per la divisione de' beni comunali, si davano in perpetuo, a titolo di concessione enfiteutica, a ciascuno de' cittadini in esso nominati le rispettive porzioni notate in verbale. Ogni demanio veniva riportato in confini, estensione, dati catastali, natura e storia. Il demanio di Valloncastello vecchio, dell' estensione di ettari 89,16,88, veniva diviso in 40 quote; il demanio Valloncastello nuovo , di ettari 16,65,62, in 35 quote; il demanio Maggiano (staccato da terre feudali del duca di Gravina), di ettari 127.81,47, in 80 quote; il demanio Serracampese , di ettari 22,76,46, in 7 quote ; il demanio Pozzillo, di ettari 1,56,59, in 3 quote ; il demanio Giardino, di ettari 3,36,49, in 40 quote con un sperone. Il 9 novembre 1811 i due demani San Pietro in Olivola e Scampitella venivano divisi in dodici parti uguali, di cui cinque erano assegnate all'ex feudatario e sette ai due Comuni di Trevico e S. Agata, da dividersi in due parti uguali, una spettante a Trevico col suo Casale di Vallata, e l'altra spettante a Sant'Agata. Cosi parte delle terre di S. Pietro fu divisa a metà fra Trevico col suo Casale di Vallata, assegnando a quest'ultimo ettari 108,12 di terreno boscoso ed ettari 292,06 di, terreno di seconda classe. A questa divisione però, con deliberazione del decurionato del 9 settembre 1813, il Comune di Trevico, rimasto contumace durante le operazioni divisionali, si oppose, sostenendo che Vallata non dovesse concorrervi, non essendo mai stata casale di Trevico, trattandosi di uno sbaglio o scambio col Casale di Amano. Il Comune di' Vallata naturalmente con- testò questo assunto. Tali terre sono state sempre però, e sono attualmente, godute dal Comune di Trevico, nel cui tenimento si trovano. Da detta epoca sino al 1882 trascorrono molti anni di assoluto silenzio, durante i quali il demanio tutto del Comune lentamente, te, ma progressivamente si rimpicciolisce per effetto di continue usurpazioni de' proprietari finitimi, sia per l'occupazione di quote per la maggior parte abbandonate, sia pera occupazioni di terreni non quotizzati ; e contemporaneamente le rendite del Comune vanno di mano in mano diminuendo., Contribuisce a tutto ,ciò la forte emigrazione perle Americhe, accentuatasi dopo il 1882. Con R. Decreto del 10 gennaio 1889 venne definitivamente approvata una nuova quotizzazione de' demani così ripartiti : Mezzana Valledonne o Mezzanella in 649 quote, col canone di L. 10 a quota ; Piano delle Rose in 61 quote, col canone di L. 10 ; Fascia Piano delle Rose in 5 quote, col canone di L. 8,50; Fascia Mezzana Valledonne in 54 quote, col canone di L. 8,50 ; Mezzana Perazze in 321 quote col canone di L. 8,50.. Dalla storia documentata si ritraggono le seguenti denominazioni de' diversi demani, che corrispondono perfettamente a quelli attuali, in ettari : Demanio Valloncastello vecchio ettari. 89,16,88; Valloncastello nuovo 16,65,12 ; Maggiano 127,86,47; Mezzana Perazze 437,42,18; Serramartello 16,82,43 ; Serracampese 5,94,03 ; Pozzillo 1,56,59 ; Giardino 3,36,49 ; Valledonne e fasce id 370,13,00; Terre clerali 94,55,26; Forma 0,16,82; Piano delle rose e Fasce 41,72,33 ; Macchitella 16,48,78 ; Seminatorio Coste 7,17,76; Seminatorio erbifero coste S. Stefano 74,56,39; Canoni antichi; Demanio erbifero ,S. Vito, 2,91,18 S. Rocco 5,38,38; Sterile molino della Rogna 1,11,95; Foresta 0,12,69 ; Farullo 17,49,80; Madonna del Carmine 0,50,47 ; Fontana Maggiore 0,02,82 sono in uno ettari 1392,34,34, di cui buona parte usurpata, piccola parte quotizzata e il rimanente fittato o abbandonato. Fino al 1826 la quotizzazione del 1811 rimase esattamente conservata ; nel 1826 incomincia un lieve abbandono di quote. Successivamente, per abbandono da parte degli originari quotisti, furono usurpate oltre la metà del demanio Maggiano ed una zona, a Mezzana Perazze, di oltre cento ettari, vincolata ad erbaggio. Per tutte le quote è stfto finora pagato il relativo canone, ma attualmente molte di esse non si trovano nelle mani degli originari quotisti, nè de' loro eredi, ma di terzi aventi causa da essi, che pare abbiano acquistate le terre con regolare istrumento, però prima dello scadere dei termine del divieto. Occorre anche accennare che, naturalmente, tutte le numerosissime stradette, tratturi, viuzze di accesso sono scomparse, ristrette o deviate, per comodità e abusi di occupatori illegittimi o de' quotisti. Numerosi carrari, carrarelli e vie vicinali sono stati anche nella maggior parte usurpati. Dopo la quotizzazione del Piano delle rose, soli ettari sei rimasero e sono attualmente vincolati a bosco, e così debbono rimanere. Nel demanio Cdste, terreno pascolatorio, con forte inclinazione da 30° a 45 di pendenza, cosparso di ginestre, vi sono varie usurpazioni. Anche sulle coste di S. Stefano, terreno incolto, montuoso, petroso, ad uso di erbaggio, si trovano usurpazioni da parte dei confinanti. Il demanio erbifero San Vito è all'estremo nord-est dell' altura su cui si trova il paese, ed è completamente adibito a pascolo; e così pure il demanio San Rocco. Nell'elenco de' beni comunali, la contrada Chiusano è compresa sotto il nome di Mezzana Valledonne o Mezzanella, cui è contigua. A questa ed alle contrade Altieri e Carosina è pure limitrofa la contrada Macchialvino, che da un lato è anche in prossimità di strade importanti, e dall' altro in prossimità di Piano delle, Rose , da cui è divisa solo dalla contrada Casino. Secondo gli ultimi dati catastali, il Comune di Vallata ha attualmente in sua ditta al Piano, delle Rose, bosco ceduo, ettari 7,11,10; alla Carosina 1,48,20 ; alla Mezzana Perazze 114,76,00 ; alle Cesine 2,62,60; alle Coste 25,22,30 ; alle Coste S. Stefano 17,39,90; al Vallone Annuccia 17,80 ; a S. Maria 4,49,00 ; a San Vito 3,14,30; a S. Pietro 4,95,10; a Macchitella 55,30; a Mezzana Valledonne 6,85,97; a Vallon Castello Vecchio 3,43,00; a Vallon Castello Nuovo 4,76,90; ed in tutto solo ettari 197,71,47. Il moggio o tomolo locale equivale ad ettaro 0,3387363 ; ogni ettaro, quindi, equivale a moggi locali 2, misure 22 più 314. Tutto poi il territorio del Comune di Vallata ammonta ad ettari 4556, are 55 e 13 centiare. — La popolazione di Vallata, prevalentemente rurale, era prima dedita in gran parte ad ogni specie di pastorizia, bovini, ovini, capre. Questi animali, con altri da soma, venivano abbondantemente nutriti su gli estesi pascoli che circondavano, ai quattro punti cardinali, l' abitato del Comune. Fioriva quindi l' industria de' latticini; e carni e pelli venivano trasportate pure, altrove, come, scarsamente però, anche oggi. In complesso, erano parecchie centinaia di ettari a pascolo e bosco.
        Nel 1887 scomparvero i boschi e i pascoli, e subentrarono le culture agrarie. Oggi gli scarsi pascoli sono insufficienti ai rimasugli dell' antica industria Pastorizia. Va perciò sconsigliata ogni ulteriore quotizzazione. Vincolata a bosco resta oggi solo parte della fascia Piano delle Rose ; e a pascolo sono adibiti scarsi terreni della Forma, delle Coste, Coste S. Stefano, S. Vito, S. Rocco e parte di Mezzana Perazze. Tranne gli appezzamenti relativamente poco estesi vincolati a bosco ed a pascolo, i demani del Comune furono tutti ripartiti fra i cittadini. Per i demani che non furono mai divisi, occorre reintegrare l' estensione esatta, eliminando le usurpazioni, specie quelle recenti, quelle ancora in corso e, successive, ed apponendo i termini lapidei. Avendone il Comune avanzato domanda al Commissario degli usi civici, a norma del R. decreto 22 maggio 1924, convertito nella legge 16 giugno 1927, n. 1766, attende da lui la risoluzione della controversia. Con provvide disposizioni, Giuseppe Napoleone, con l' art. 1 della legge promulgata a Napoli il 2 agosto 1806, abolì la feudalità con tutte le sue attribuzioni; e con gli articoli 1 e 4 della legge 1 settembre 1806 stabilì che i demani di qualsivoglia natura, feudali o di chiesa, comunali o promiscui, fossero ripartiti fra i cittadini, per essere posseduti come proprietà libere di coloro ai quali fossero toccati, col peso della corrisponsione di un annuo canone, proporzionato al giusto valore delle terre. I demani erano di tre specie : comunali o universali, feudali o baronali, ecclesiastici o di chiesa, e tutti erano aperti alla promiscuità ed agli usi civici di legnare, di pascolo e simili. Con gli articoli 31 e 32 della legge promulgata pure da Napoli il 3 settembre 1808, Gioacchino Napoleone dispose poi che le parti di terreno toccate in sorte a ciascuno non potessero in alcun caso vendersi nè ipotecarsi per lo spazio di dieci anni ; che, per pari tempo, fossero esenti azioni de' creditori, cui era permesso di sperimentare le loro ragioni solo sui frutti ; e che i concittadini concessionari fossero riguardati come padroni delle quote loro spettate, godendo della pienezza del dominio e della proprietà, essendo però tenuti alla corrisponsione del reddito e devoluti dai fondi concessi qualora non pagassero il reddito per un triennio. Un ottimo perito dovrebbe accertare la precisa estensione ed i precisi confini de' demani tutti, verificare le usurpazioni e classificare le terre, anche come delegato tecnico. Agente demaniale per il Comune e perito nominati perla verifica delle usurpazioni debbono sentire le partì interessate, per conciliare con le stesse il canone dovuto ed i frutti indebitamente percepiti. Sono state successivamente occupate delle zone demaniali, che è necessario reintegrare al Comune ; il quale , in conformità del R. D. L. 22 maggio 1924, n. 751, ha domandato il riconoscimento dei diritti degli usi civici di cui all'art. 3 del citato decreto-legge , e la reintegra e revindica delle terre soggette a gli usi civici, stessi, illegittimamente sottratte al patrimonio comune. Perciò è stato adito il Comissario regionale per la liquidazione degli usi civici , per le operazioni relative al decreto suddetto : (assegnazione de' terreni alla categoria degli utilizzabili con coltura agraria, o a quella de' boschi e pascoli permanenti, ripartizione di terre, ecc.). Bisogna reintegrare al Comune le quote del suo vasto demanio alienate nel termine del divieto. Quando ciò sia richiesto, prima di decidere sulla reintegra, va esaminato se possa applicarsi o meno la legittimazione de' terreni posseduti. E, mentre la domanda di legittimazione, di regola, è ben proposta innanzi al Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici, la domanda di reintegra va meglio proposta, invece, innanzi all' autorità giudiziaria, in conformità di quanto ha stabilito qualche recente decisione. Dunque, come é stato accennato, in terreni demaniali di natura diversa vi furono sempre usurpazioni mai legittimate con regolari ordinanze e con la sanzione sovrana; e per l' art. 31 delle istruzioni 3 settembre 1808, il termine del divieto, prima delle legge 1862, era di soli dieci anni ; bisogna, quindi, riconoscere le quote che furono alienate nel termine del divieto. Bisogna confrontare il già riferito numero delle quote assegnate col R. Decreto 10 gennaio 1889 con quello che risulta attualmente. I nuovi accertamenti catastali hanno forse attribuito a zone contigue terreni che i vecchi dati catastali attribuivano, ad altre zone ; certo però risulta, secondo i nuovi dati, una quantità globale attuale del patrimonio, comunale inferiore di parecchie centinaia di ettari a quella precedente, che era di ettari 1392, 34, 34, mentre ora risultano solo ettari 197,71,47 ; ciò forse perchè una parte delle quote è stata ora intestata direttamente agli attuali livellaria o fittuari ; e forse anche perchè, per molti anni, frequenti usurpazioni non sono mancate. Si dovrebbe pure riscontrare il numero delle quote effettivamente date a canone od a fitto a ciascuno : perchè c'è chi ne possiede più, mentre paga il canone od il fitto per meno ; e qualcuno che prima figurava come livellario o fittuario del Comune, attualmente, pur forse ancora possedendo, non paga nè fitto, nè canone. Ma ciò che ha più continuamente e più vivamente indignato l'opinione pubblica è il fatto che gli usurpatori, pur facendo da padroni de' beni comunali, non hanno però da tanti anni pagato neppur la fondiaria, giacchè i terreni sono stati sempre nominalmente intestati al Comune che ha pagato, mentre altri ne hanno riscosso le laute rendite, e sono diventati ricchi. Nè dovrebbe concedersi un numero di parecchie quote a qualche proprietario che ne fa speculazione, facendole poi coltivare da altri ; mentre paga al Comune solo un canone molto piccolo in confronto della rendita che percepisce, e mentre poveri contadini—ai quali legalmente e moralmente più le quote spetterebbero —non possono averne in concessione neppure una, per coltivarla direttamente. È bene ora ricordare le principali disposizioni del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751. Secondo l'art. 7, qualora sulle terre di uso civico appartenenti ai Comuni siano avvenute occupazioni, queste, su domanda degli occupatori, potranno essere legittimate , ma per una estensione adeguata alla capacità di lavoro di una famiglia di agricoltori, sempre che concorrono unitamente le seguenti condizioni : che l’occupatore vi abbia col proprio lavoro apportato sostanziali e permanenti migliorie; che la zona occupata non interrompa la continuità. de' terreni; che l'occupazione duri almeno da dieci anni. Nel caso di reintegra totale o parziale di terreni migliorati, il compenso delle migliorie da attribuìrsi alt' occupatore , a norma dell' art. 705 dei Codice civile, potrà essere assegnato in terre anche diverse da quelle occupate. Le stesse norme valgono per la legittimazione dell'acquisto delle quote de' demani comunali delle Province napoletane e siciliane alienate durante il periodo del divieto. Secondo l'art. 8 del decreto stesso, nel concedere la legittimazione il Commissario imporrà un canone di natura enfiteutica corrispondente al valore attuale delle terre diminuito di quello delle migliorie ed aumentato di almeno dieci annualità di interessi. Detto canone potrà essere di misura inferiore quando l'occupatore avrebbe potuto beneficiarsi della quotizzazione. Le legittimazioni dovranno in ogni caso essere sottoposte all'approvazione sovrana. Per l'articolo 9, i terreni posseduti da Comuni, università. ed altre associazioni agrarie sui quali si esercitino usi civici saranno distinti in due categorie - a) terreni convenientemente utilizzabili come bosco e come pascolo permanente ; b) terreni convenientemente utilizzabili con la coltura agraria. Nell'articolo 10 é stabilito che .peri terreni di cui alla lettera a, i Comuni e le associazioni non potranno alienarli o mutarne la destinazione, senza l'autorizzazione del Ministero dell' economia nazionale. I diritti delle popolazioni su detti terreni non potranno eccedere i limiti stabiliti dall' art. 521 del Codice civile. Ed infine l' art. 11 dello stesso decreto stabilisce che i terreni indicati alla lettera b dell'art. 9 sono destinati ad essere ripartiti, secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria ed avviamento culturale , fra le famiglie de' coltivatori diretti del Comune o della frazione, con preferenza per quelle meno abbienti, purché diano affidamento di trarne la maggiore. utilità. Gli atti della ripartizione saranno omologati dal Commissario e sottoposti all'approvazione sovrana. Sebbene forse difficilmente si potrà addivenire a reintegra , poiché trattasi di usurpazioni ab antiquo, tuttavia, quando la revindica può effettuarsi, questa può comprendere anche i terreni migliorati, ancorché posseduti da terzi acquirenti, giacché le migliorie potranno essere compensate e valutate nel modo espressamente stabilito dall'art. 7 della citata legge 22 maggio 1924, quando però non si tratti di terreni di natura soltanto patrimoniale, e non siano applicabili le prescrizioni stabilite dagli articoli 2135 e 2137 del codice civile. I beni d' uso pubblico , contemplati nell'art. 432 del cod. civ., appartenenti alle province ed ai comuni, a differenza di quelli patrimoniali, debbono pertanto ritenersi imprescrittibili ed inalienabili , analoga-, mente a quanto è stabilito nell' art. 430 per il demanio dello Stato. Quindi, i beni destinati ad usi pubblici, civici, generali, quali cose fuori commercio, non debbono essere colpiti da prescrizioni o da alienazioni , ancorchè le illegalità e le usurpazioni siano state effettuate ab antiquo, (art. 2113 c. civ.). Analogamente poi a quanto dispone l' art. 8 del decreto stesso, i canoni possono, anzi debbono essere aumentati , proporzionandoli al valore attuale delle terre, diminuito di quello delle migliorie, dove ce ne siano, ed aumentato di almeno dieci annualità di interessi, poichè é anche giusto tener conto del diminuito valore della lira. In conformità di tali principii, può essere aumentato anche il canone che attualmente il Comune esige dagli eredi o legittimi aventi causa degli originari quotisti. Secondo le norme del menzionato art. 8 della legge 1921, specialmente ai possessori illegittimi, il canone può essere aumentato in base a valutazione del terreno ad un attuale prezzo medio equo di mille lire per ogni tomolo o moggio, diminuito del valore delle migliorie, ed aumentato del cumulo L almeno dieci annualità di rendita che queste 1000 lire possono dare che, al 4 %, sono lire quaranta per ogni anno: in tutto ogni tomolo L. 1403 che, sempre al 4 % danno L. 56 di rendita , e quindi di canone imponibile, per anno. Altrimenti, siccome il canone di dieci lire di una volta corrispondeva, presso a poco , al prezzo di un tomolo (56 litri) di grano o di granone, il canone dovrebbe anche oggi prestarsi in derrate, o pagarsi un prezzo proporzionato. — Possono legittimarsi i possessi dei terreni migliorati con opere visibili e permanenti, e quelli de' terreni legalmente acquistati — trascorsi i termini del divieto — dai legittimi assegnatari o loro eredi, quando però sia avvenuta la prescrizione almeno ultradecennale. Anziché fittane direttamente i demani, è preferibile che il Comune ne ripartisca il godimento, più che la proprietà , fra i cittadini meno abbienti. da' quali potrebbe ricavare un canone nella misura indicata , maggiore di quanto percepisce ora in fitto. Con le rendite aumentate con la revindica dei terreni usurpati , e con l' aumento de' canoni in base all'accresciuto valore del terreno ed alla svalutazione subita dalla lira, il Comune potrebbe — con giuste economie e con un riordinamento generale della sua sistemazione attuale — provvedere meglio a spese necessarie ed utili alla generalità, togliendo qualche tassa, invisa alla. popolazione perché recente , e perchè non ha contribuito sinora ad un miglioramento concreto, effettivo , almeno limitato , del paese. Il Comune farà meglio ad insistere, a preferenza , sulla revindica de' demani già adibiti ad usi civici e sull' aumento de' canoni nei limiti stabiliti dalla legge 1924, accertando il numero delle quote effettivamente possedute da ognuno, senza credere a quello fraudolentemente denunziato in molto meno. Non è bene però ingannare il popolo con false promesse, quando si è sicuri di non volerle mantenere; nè si deve aggravare il bilancio con quelle spese di revindica che si conoscono certamente come improduttive di pratico effetto. Ma solo un Governo autorevole ed energico, quale è, ad esempio, quello di Benito Mussolini, può risolvere tale annosa quistione, importante e vitale per molti Comuni, specialmente del-1' Italia meridionale ; altrimenti non si risolverà mai. È giusto, intanto, sperare che un tale provvedimento possa essere attuato dal Ministero Mussolini che, oltre all' affermazione dello Stato italiano anche all'estero , ha il merito di aver represso la serrata e lo sciopero , tentando un accordo — speriamo leale e sincero — tra capitale e. lavoro, mediante i sindacati corporativi. Un savio ed opportuno decreto di reintegra, facendo evitare lungaggini amministrative e giudiziarie, provvidamente asseconderebbe il giusto desiderio per tanti anni nutrito da questo popolo laborioso.

        Altri canti popolari. — Non è il mare che fa l' onda, Sono i pesci che vanno nuotando; Le figliole son petto tonde (rotonde), Fanno all' amore, e poi ti ingannano. La mamma ruffiana, Che le dà tanti vincigli, (le fa vincere tanti capricci) ; Chi la lascia e chi la piglia, Me la fanno spaventare; (variante : E chi la torna a pazzià, (a scherzare, a solleticare). Essa a la finestra, E io al balcone ; Quanto si ha da patire Per una passione ! Io al balcone, Essa in mezzo alla via ; Quanto s'ha da patire Per la passione mia ! Sera (ieri sera) andai in piazza, Andai in casa di una signora ; La trovai sopra il letto, Che piangeva per l' amore. — Cecilia : — Signor capitano, Fatemi un favore, Peppino mio in prigione, Cacciatelo a libertà. Senti, Cecilia, senti : La grazia è fatta a te ; Vuole dormire una notte II capitano con te. Signor capitano, Datemi un permesso, Quando domando a Peppino, Io presto tornerò. Ora va questa Cecilia, Va ai cancelli (del carcere), Va da Peppino suo bello, E gli va a domandare. Senti, Peppino, senti, La grazia è fatta a te ; Vuole dormire una notte Il capitano con me. Senti, Cecilia, senti, Una notte non puoi morire ; Guardati il tuo onore, E salva la vita a me. Ora va questa Cecilia, Va in camerino ; Si accomoda il lettino, Cuscini e materassini, Coperta di setino. Quando fu a mezzanotte, Cecilia sospirava ; Cecilia, perchè sospiri ? Un battimento di cuore. S' alza alla mattina, S' affaccia al balcone, E Peppiniello in prigione, L'andarono a fucilare. Signor capitano, M'avete ben tradito, M' avete levato l' onore, E il mio marito ammazzato.

        Canto religioso. — Imperatrice del cielo, palma fiorita, Madre che sei di tutti immacolata,. Stella che da ogni 'parte comparite, Quelli che abbiano fede voi chiamate. Venite zoppi, muti e storpiati, Chè vi guarisce Maria dell' Incoronata , (ha un santuario presso Foggia). Ora ne parliamo come fu trovata , Il conte Soriano a caccia è andato Al bosco di Cervaro nominato, Presso al fiume una cerva è comparuta. Alzò gli occhi a mira e il braccio stese, La cerva l'ha ferita e non l' ha uccisa. Per salvarsi la cerva in fuga si mise, Il conte si mostrava vittorioso. Tanto nella fuga il passo stese, La cerva sotto un albero si riposa ; Sicura che sotto un albero ci si mise, Dove stava l' Incoronata gloriosa. Perseguitar la cerva il conte lascia, Ferma in un punto e dà indietro un passo. Molti di quelli scalzi s' accostassero, Denuda i piedi suoi il conte stesso, Vede un lume santo in quello passo, Più glorioso è che non può essere. Innanzi al conte una scrittura lampeggia Di fabbricare la chiesa in quella reggia. E, strana coppia, con i bovi campeggia, Dopo nel bosco compari un raggio, Trovò che era all'oscuro Madre Maria, S' inginocchiò, l' adorò e poi partìa. Va al bosco e trova l' Infinita, La lampada a l' accendeva per una nottata , Ora dal cielo ne guadagnò la speranza, La notte la guardò per sicuranza.Quella mattina ci fu una grande adunanza, Principi e sacerdoti di gran potenza, Va il conte per prendere la strada, E innanzi trovò la chiesa fabbricata. Le grazie che si videro a migliaia, A molti ciechi la vista è venuta ; A quantità d'infermi e di malati Maria ce la recupera la salute. Spesso si volta e fa parlare i muti; La voce si spande tanto lontano, E la concorrenza di tanti cristiani. Ci concorre Barletta, Andria e Trani, Ruvo, Altamura e Castellana, Tardo viene Soleto e Putignano; Spinazzola, Lavello e Montrone, Bitonto, Bisceglie e Corato, Veniamo a visitare l' Incoronata. Ora ci concorre tutta la Basilicata, Rocca, Monteleone e Deliceto, Ascoli, Candela e Sant' Agàta, Melfi, Rapolla, Barile e Martina. Santo Fele, Bisaccia con Vallata, Calitri, Muro, Bitritto e Canneto. Ariano, Villanova ed Arcadia, Andiamo al bosco a visitar Maria. Santo Nicola della Baronia, Sant' Angelo, Lacedonia e Sant' Andrea, Frigento, Montaguto e l' Abbazia, La grotta santa di San Bartolomeo. Salerno, Capua, con Santa Maria, 1 casali di Napoli, che son trentasei ; La gente che viene da fuori regno Trova frutti e fiori sopra un legno (sulla quercia dov'è la Madonna). Palma piangente, e così molti regni, La Puglia, la Marina e la montagna, Albanesi, Tedeschi e Italiani, Chi vuole grazia venisse a questa fontana. Scalzi ne vengono i Foggiani, Lucera, San Severo e Buccino, Troia, San Paolo, San Marco e Rignano, Lesina di Manfredonia e Carpivo, I casali di Canosa e Cerignola, Chi va con fede a Maria se ne consola. Dove ci sta la fede ci sta il cuore, La volontà con noi ha da venire, Chi va con pompa e spasso in quella festa, Va per burlare e burlato resta. Questa è la cappella del divino amore, Dove sta l' Incoronata ad abitare, Sta. sopra un albero di fronde, frutti e fiori, Piena di conforto essa pare. Maria, quanto son dolci i tuoi costumi, Beato chi si serve dei tuo bel nome, Acqua sorgente e trascorrente fiume, Tu preparasti il Paradiso all' uomo ! Maria, sei chiara più di un cristallo, Di questo mondo tu sei la navicella, Purissima e castissima verginella, Tu sopra l' altre donne sei l' ancella (del Signore).

        Festività in onore della Madonna del Carmine e di San Rocco. — A differenza di altre religioni, è nello spirito della religione cattolica l'onorare i Santi, non con un muto raccoglimento da cenobita, ma con una certa pompa esteriore, più adatta specialmente a quei popoli il cui temperamento è più vivace : servite Domino in laetitia. Secondo la consuetudine di una lunga serie di lustri, Vallata si accinge perciò a celebrare anche quest'anno le feste in onore di Maria SS. del Carmine e di S. Rocco, con quel decoro e con quella compostezza che, senza sconfinare nello sfarzo e nel lusso, rompano —almeno , una volta tanto — l'abituale monotonia del nostro laborioso villaggio. Oltre alle note del concerto cittadino, nei giorni 28, 29 e 30 corrente aleggeranno sulla quiete de' nostri campi aprici le soavi melodie del primario concerto musicale di Gessopalena, che sarà certamente pari alla fama che meritamente gode. L'orchestra e l'illuminazione saranno della ditta Fratelli Durante di Mirabella Eclano. Terrà il pergamo il ben noto oratore P. Ermenegildo Lupoli da Portici, il quale nel giorno - 29 farà il panegirico in onore della Vergine benedetta del Carmelo, e nel giorno 30 quello in onore del gran pellegrino di Montpellier. Chiuderanno la festa svariati fuochi d'artifizio. La Commissione ha fiducia in un benevolo e largo contributo de' cittadini che, mentre dia modo di fronteggiare le spese di questo e dello scorso anno, la incoraggi a far sempre meglio nell'avvenire.

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Da un manifesto dell'agosto 1928.

        Ancora proverbi e detti popolari. — Agosto, capo (principio) d'inverno. Quando hai cattivo vicino, male la sera e male la mattina. Signore, non peggio i diceva colui che era trasportato dall' acqua giù, abbasso, (prima di annegare completamente). Non c' è chi gli fa luce : chi gli dia retta. Il gatto che non può arrivare al lardo dice che sa di rancido. Quando rilampa (lampeggia), scampa (cessa di pio- vere). Paese che lasci e usanza che trovi : devi seguire l' uso del paese dove vai, non di quello che lasci. Chi vuol mangiare a due bocconi si affoga. Raccomandare le pecore al lupo : rivolgersi a chi è capace di far più male che bene. Tanti figli, tante provvidenze. I soldi hanno la figura del diavolo : subito spariscono. Da cento lupi ad una goffa (un mucchio) di spine : esagerare una cosa da niente : (un pastore invocò soccorso , di cendo di avvistare cento lupi , che temeva danneggiassero le sue pecore ; ma , vedendo meglio, di mano in mano dovè diminuire il numero de' lupi di cui temeva l' assalto , finchè si accorse che aveva preso per lupi una siepe di spine). Parlare a libro stracciato : con grande franchezza, apertamente. Finire le quattro mangiate ; appendere la falce : riferito specialmente ai mietitori, che mangiano quattro volte al giorno, cessare un lavoro e, piú propriamente, un godimento. Meglio solo, che male accompagnato. Chi va con lo zoppo impara, a zoppicare. Chi fa bene agl' ingrati é un gran... citrullo. Se troppo lo lisci, ti tira calci. Ribassa (il prezzo); chè (così) vendi. Pare che è campana che si perde l'intuono, (l’ intonazione, l' altezza della vibrazione): riferito a danno trascurabile. Padri e figli sono parenti a largo , (larghi, lontani) : è detto quasi sempre ironicamente., Qua ti voglio, zoppo, alla salita : provare nel difficile. Zitto zitto in mezzo al mercato: quando si crede di tener segreta una notizia, nel tempo stesso che si divulga. Brunetta tira affetto, e più brunetta miro, più l' affetto tira. Fare bove pasce e campana suona : non curarsi. La mal' erba cresce : l'erba che non vuoi nasce all' orto. Comando di donne, -regno distrutto. Non farsi passare la mosca pel naso : non farsi burlare, non tollerare abusi. Si sa dove si nasce, e non si sa dove si muore. Chi tiene polvere, spara : chi ha più mezzi, ne dispone. Tratta con chi è migliore di te, e fagli le spese. Il pastore che non ha che fare pinge la mazza. Si paga? No. E ungi per tutto : scherzosamente, quando non si pagano, si ordinano anche cose inutili. Chi perde paga e chi rompe consegna. Dopo che la s'posa si è maritata, si presentano tanti innamorati. Amore con amor si paga. Ogni tempo viene ed ogni ora passa ; chi vuole grazia da Dio non porta pressa (fretta). Aspetta aspetta il duca, e quello era uno... scemo come noi : dopo una grande attesa, trovare una persona o cosa da nulla. Fa bene e scorda, fa male e pensaci. L'acqua si perde ed i cani si arrabbiano: di ciò che è in abbondanza, eppure sembra non potersi ottenere. Una volta si nasce ed una volta si muore: suole dire chi non ha paura di alcuno. Figlio di gatto acchiappa i sorci; l' arte del padre è mezzo imparata. Stare come cani e gatti: in aspra lite. Chi rifiuta non merita; chi non accetta (un regalo) non ne è degno. La vecchia era vissuta cento anni e voleva viverne altri cento : per sapersi meglio regolare, dopo l'acquistata esperienza. Il sazio (chi è sazio) non crede a quello che è digiuno. Hai un bacile d'oro, ma dentro ci sputi sangue: di chi è ricco, ma sventurato. La lanterna in mano ai ciechi : è detto di chi ha un mezzo e non sa servirsene. Farsi tirare la calza : farsi pregare per una cosa magari utile per chi è pregato. Acino ad acino si forma la màcina: la quantità di grano che si porta al mulino per farla macinare ; a poco a poco si forma il molto. Il mare (come il ricco) , quanto più ha, più vuole. Sopra il monte cade la neve : le ricchezze tendono ad aumentare. Chi ha la rogna se la gratti : si deve cercare di poter restituire le offese direttamente, non chiedendo la cooperazione e l’aiuto di altri. Mettici aceto : sarcasticamente, a chi si dispiace per un fatto.-La mala nuova la porta il vento : le cattive notizie facilmente si diffondono, le buone no. E meglio andare tra i carabinieri (arrestato), che tra i preti (morto). Quando sei martello, batti (puoi offendere); quando sei incudine, tieni, (devi sopportare prudentemente le offese). Non aver peli sulla lingua; dire pane al pane e vino al vino. Asso (carta da gioco) piglia tutto : di chi vuol fare tutto suo. Darsi indietro : rifiutare una cosa. Gli devi tirare il braccio : a chi vuol farsi pregare per una cosa che gli è di vantaggio. Alla prim' acqua d'aùsto (pioggia d' agosto), abbottònati il busto. Ognuno alla casa che luce il fuoco : stia ciascuno a casa propria. E' meglio andare dal patito (per consiglio, da chi ha sofferto quella data malattia), che dal medico. Non sparare a polvere (per spauracchio), ma a pallini (o a palle : per offendere e ferire, anche moralmente). Cane di sette banchetti : (è chi si presenta dappertutto, per mangiare). Pensa al rancore, che ti passa l'amore. Fare come i ragazzi, che ora litigano, ora appaciano. Corpo buon tempo: scialacquone e spensierato. Fare o dare una cosa quando scappa dalla tasca : farla quando proprio non si ha più che farsene, o darla al più tardi. Vedere le stelle : provare un acuto dolore fisico. Uomo di vino cento a carlino : ogni carlino equivale a 42 centesimi, vale poco. Le dita della mano non sono tutte uguali : ci sono differenze tra le persone e le cose. A generi, figliastri e nipùti (nipoti) quello che fai è tutto perduto, (perchè sono ingrati). Suocera e nuora tempesta e gragnuola. Le porcherie più si muovono, più puzzano: è bene non insistere nella discussione di quistioni o di litigi. Essere come una mosca nel vescovado : persona o cosa di niun conto. Avere una fortuna e non saperla conoscere. Camminare come una gatta di piombo: lentissimamente. Di persone la cui età è riferita in meno si dice : ha tanti anni per coscia, o da fuori (oltre) alle notti e alle feste grandi. Meglio tardi che mai. A persona che non si desidera si dice : nè te, nè mal'annata. Lavorare come un cane: molto, sebbene io non sappia che il cane sia lavoratore; forse è riferito a quando il cane va correndo, con la lingua in fuori, durante la caccia. In tempo dì burrasca ogni pertugio è porto : è utile per ripa-- rarsi. In tempo di guerra (di litigi, di contrasti), bugie come terra, (in abbondanza). A vedere e non toccare (riferito specialmente a parti del corpo della donna), porti pericolo di crepare : perchè è cosa inutile, che serve solo ad esasperare il desiderio. Tra due litiganti il terzo gode. Ringraziare Dio con la lingua per terra : molto, per un fatto straordinariamente favorevole avvenuto. Presta, presta, mai raccogli tutto. Mettere mano alla tela : alla tasca, foderata di tela, per cacciar fuori danaro. Pietra che rotola non fa musco : gromma ; persona che va ora ad un posto, ora ad un altro non fa profitto, non fa bene. Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia e non sa quello che trova. Chi fabbrica in terra aliena (altrui), perde calce, arena e pietre. Chi non fabbrica e non marita il mondo non lo sa mica. Il cattivo ferro se lo mangia la mola : quando si affilano i coltelli. Hai sbagliato il palazzo ; rivolgiti ad un altro : risponde qualcuno che crede di essere menato per E naso. A chi si dice o si finge malato per niente si domanda ironicamente : Che hai ? l'osso nel piede ? Levarsi la pietra dalla scarpa : togliersi una seccatura. Puttane e guardiani quando son vecchi si muoiono di fame. Pure le pulci hanno la tosse: il farsi avanti di persone insignificanti. Essere come la formica sotto la zampa del bove. Andare per avere e rimanere a dare: diventare da accusatore accusato. I proverbi degli antichi non falliscono mai. Chi sta sopra (al piano superiore, ad abitare) gode, chi sta sotto (al piano inferiore) crepa. La puttana, prima che tu glielo dica, essa te lo dice: si dà, per prima a gli altri l'epiteto che si ha), il bove chiama cornuto l' asino. Il giorno dopo la festa, leggiera la tasca e carica la testa, (perchè si è speso molto e perchè si andò tardi a letto). Danno per danno (il vendicarsi) non è peccato. La via è larga e lunga : quando si dice a qualcuno che può - andarsene. Fortunato in amor non gioca a carte, (perchè perde nel gioco).

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