SCRITTI VARI - Tommaso Mario Pavese - DISCORSI - Religiosi.

DISCORSI.

Religiosi.

        Per l' Azione Cattolica* — Non una gretta mira umana, ma un fervore sincero di fede deve qui spingerci ad adunarci sotto la raggiante bandiera di Cristo. Il segno della Croce che protesse e fece trionfare Costantino, e che fu, poi , l’ insegna ideale e gagliarda da cui trasse gli auspici Goffredo di Buglione per la guerra santa, qui ci chiama per una nuova crociata, onde veramente " instaurare omnia in Christo,, in quest'epoca che lascivamente e turpemente folleggia, avendo quasi abbandonato i Suoi santi insegnamenti.
        Ond' è che io , ultimo soldato tra voi , mi propongo qui di svolgere, con la vostra saggia cooperazione, un' azione morale e religiosa ben più che un'azione cattolica, per richiamare nella nostra società l'amore e lo spirito cristiano, con quell'entusiasmo religioso e spirituale che recuperai sui campi di battaglia, e che di lì poi, in prigionia, fece a se stesso proposito come di una missione , per sostituire così, nella moderna vita corrotta, la lealtà alla frode, l'ordine alla violenza, all'ingiustizia il diritto. E ciò anche e specialmente per questa nostra gioventù, tremula corolla efflorescente al bacio di Dio, la quale erediterà da noi la buona o marcia civiltà che le lasceremo. — Trionfi, nella famiglia e nella scuola, un santo ideale, che si traduca poi in opera feconda di bene, per formare così l'integro patriotta nell'Italia, il sano e forte cittadino nel mondo.
        E per tanto raggiungere, eleviamoci con l'anima oltre questa bassa marea umana , per rintracciare in Cristo la fede ed il cammino: per adorare Iddio, non lasciandolo isolato ed inerte lì sugli altari, ma per ammirarlo in tutto questo mondo che ci circonda, in quest' aria , arpa eterna di amore fra la terra e il cielo , per sentirlo vivere e palpitare in ogni goccia del nostro sangue, in ogni cellula dell'esser nostro. Viva Gesù e Maria!

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* Dal Corriere dell'Irpinia, Avellino, 3 gennaio 1925.

        I Santi. — Tra le più nobili espressioni della santità cristiana , alcuni nomi maggiormente rifulgono. Paolo di Tarso, Agostino di Tagaste, Tommaso d' Aquino rappresentano essenzialmente gli atleti della dottrina cattolica. Tutti questi e, fra gli altri, Vito ed Antonio, Francesco d'Assisi e Rocco, formano , con gli Apostoli , gli astri più splendidi della costellazione cristiana. E le Sante ne formano un'altra, anch'essa assai rilucente. Vito affronta giovinetto gli strazi del martirio e , nei dolori atroci della tortura, canta gli inni fervorosi della fede. Antonio forma la sua tenera anima tra il profumo dei giardini portoghesi , conquista la sua dottrina in Italia e, alle sue magiche parole che cantano Dio , oltre alla folla innumere, accorrono miracolosamente i pesci sull'onde ; ed alla sua morte, irrorata di luce, stormiscono insieme le campane di Padova, non mosse da alcuna mano umana. Francesco è il santo popolare: è il santo dell' ingenuità lascia con sprezzo le ricchezze mercantili paterne e, dopo una vita giovanilmente movimentata, acquista da Dio, per la sua stessa semplicità, la potenza di oprare miracoli. Ed il miracolo è tanto più grande , quanto più egli crede di fare cose naturali, e non straordinarie. Un monaco è fatto segno d'ira, perchè i richiami della fame gli avevano fatto tagliare un piede ad un porcellino altrui. Francesco accorre e : Cos'è stato ? — dice, e rimette il piede a posto, come la cosa più semplice del inondo, come se avesse introdotto il filo all'ago o attaccato il cavalluccio al carretto, o meglio, come se con la gomma avesse attaccato foglio a foglio. Oh, potenza della colla divina ! Ma non l'aveva già fatta più grossa, in quest'ordine di miracoli, il suo divino Maestro ? Lazzaro era morto da quattro giorni, ed Egli aveva ordinato : Sorgi e cammina ! E il morto quatriduano scoverchia del sepolcro il grave masso, e conversa con le sorelle sbalordite. Il discepolo ricollegava così al corpo una parte ancor viva della vita ; ma il Maestro aveva ordinato alla morte stessa di rigermogliare la vita! Potenza della religione cristiana ! Dal nulla si crea l' infinito. Perchè Dio è grande? Perchè, in sette brevi periodi di tempi, senza la materia, crea il sole e glì altri astri, la terra, il mare, la vita, il cielo. Non sono grandi i sovrani del mondo, quando, con gli uomini e con le armi, vincono le guerre. È naturale che i cannoni abbattano città e distruggano popoli, se sono messi in funzione : è naturale che le vite e le tasse pagate dai contribuenti procurino ì mezzi per fare le guerre, e chi acquista maggior forza, ottiene la vittoria. Così si vince ; e, fin qui, nulla di straordinario : tutto è naturale ed umano. Ma, sulla guida, sull'esempio e con l'aiuto di Dio, i Santi le facevano assai più straordinarie. Accenno di passaggio che Francesco, nella sua semplicità e bontà, quasi infantile e commovente, trova persino la fonte della più soave nostra poesia ; e chiama il sole frate Sole, la terra sorella terra e l'acqua sorella acqua: anche gli elementi sono, dunque, a lui congiunti da parentela naturale. Volano attorno al santo le tortore, attratte dalla sua mitezza, ed egli le avverte di non lasciarsi più prendere. Ed il lupo pure gli è fratello : esso, ha fatto già molta strage di armenti e di persone. Francesco n'è informato e : Frate lupo — dice —, perchè fai tanto male ? Il lupo ferocissimo, a queste parole, alla mite carezza di Francesco, diventa buono, s'acqueta, e non tocca più alcuno. Infine, poi, Francesco spira, ed imprime, bocconi, il suo corpo, in guisa di croce, a modo di suggello, sul suolo donde era nato e, secondo la sua volontà, fu sepolto nudo e piagato, come il suo divin Redentore. Ma è per due lati che il Santo d'Assisi più s'accosta al Santo di Montpellier, oltre che per il miracolo, imitando il Maestro : per il volontario abbandono delle notevoli ricchezze e per l'amorevole cura ai lebbrosi ed agli infermi. Intanto, Francesco ebbe più mente, Rocco ebbe più cuore acceso per soccorrere le umane .sofferenze. Rocco, con sovrumano ardire, succhia perfino la piaga di un lebbroso : ed in questo campo la gloria di Francesco impallidisce di fronte alla gloria di Rocco. Francesco fu il sublime entusiasta, che rifiutò per la sua adottiva sorella Povertà — dopo averle, però, un po' godute — le mercantili ricchezze paterne; che senti prepotente la tendenza alla religione, dopo aver preso, però, parte al fremito delle armi e forse anche a quello delle passioni ; che, dopo aver conosciuto giovinette e suore, forse ineccepibili, si ritirò in eremo, in santa .adorazione. Ma Rocco rifiuta, invece, onori e ricchezze da principe, e non mercantilmente procurate ; vive sempre attratto da una sublime sete per Dio ; non si cura di conoscer donne ; non sente l'apostolato dell'eremo, ma vive in uno slancio inarrivabile di apostolato sociale, fin quando non dà per questo tutta la sua vita. Fu più grande Francesco, per aver respinto, nauseato, il fremito delle passioni ; o Rocco, per non averlo voluto conoscer mai ? Questo non so ; ma Rocco sempre, anche nell'età matura, è puro come il giovinetto Vito; forse, pure per ciò, fu suo il merito maggiore. Si dice però : Rocco non fu che un discepolo di Francesco. Sì ; ma — meglio — entrambi non furono che discepoli di Cristo. Una cosa sola mi dispiace in San Rocco : che sia stato francese di nascita, mentre io l'avrei voluto italiano; ma vollero così gl' imperscrutabili disegni della Provvidenza, ed egli esplicò del resto proprio in Italia la maggior parte della sua opera santamente umanitaria. Rocco è il più popolare, il più invocato e, dirò anche una parola dura ma, come sempre, vera, è pure il più temuto tra i santi. Per la missione impostagli dallo stesso animo suo, lascia le principesche ricchezze, gli onori ed i patagi aviti, prende il grave saio ed il bastone del pellegrino, e s'avvia all' Italia. Dall'Alpi nevose d'onde Annibale aveva mirato dapprima, sogghignando, la gloria di Roma, la sente invasa dalla peste : e non s'arresta : è lì, anzi, proprio perciò, che anela andare. E va muto e solo, ma col cuore fiammante di carità. Gli echi della morte s'affollano, più che al suo orecchio, al suo animo : e gli sembra di esser tardo, e rimprovera a sè la lentezza del piede e la lunga via. Funerea la peste avvolge e piccoli e grandi, e figli e genitori, persone singole ed intere famiglie. Il morbo sempre più si aggrava, perchè l’igiene non era allora puranco conosciuta; ma, se pur fosse stata conosciuta, per Rocco il compito, sarebbe rimasto intatto ed uguale, perchè aveva una ardente febbre interna che lo spingeva. E va, s'affretta, mosso dalla febbre pura dell'amor cristiano, quella febbre stessa per cui Gesù già aveva dato la vita. L'essere suo si annienta e scompare nel pensiero del bene altrui. Non è egli che vive, è Cristo che vive in lui ; e Cristo gli detta e gl' impone una legge ed un esempio. Omne quod est, a Deo est ; e Dio impone la santa legge alla vita che gli dà. Pallidi visi smunti ed emaciati dalla peste, tenere madri, che affannosamente vi abbattete sui figli agonizzanti, fanciulli deserti e miseri che chiamate a gran pianto il genitore che sta per lasciarvi, ecco compare l'Angelo, il Confortatore ! Non lo riconoscete, perchè ha le vesti lacere, e pesantemente si appoggia sul bastone ricurvo, stanco ; non lo riconoscete perchè, fido e pio, il cane di Gottardo l'accompagna. Ma non vedete qual fiamma d'amore brilla nei suoi occhi, ma non sentite l'afflato di Dio che lo sospinge ? ! Ecco, egli viene, ed il male si calma, cede alla forza d'amore di Rocco, che riesce ad attenuare il lampo, forse, della giustizia divina. Ma, sull'esempio del Maestro, la sua vita si è andata, così, già consumando per gli altri : doma il male che travaglia i suoi simili, e ritorna ai lari delle sue memorie. Quasi che fossero stati scarsi i suoi passati travagli, una ben triste prigionia, per opera de' suoi stessi congiunti, ancora lo attende. Ma, quando il raggio delle sue pur ardenti pupille si spegne, mirando il Signore, una luce d'oro s'effonde nella sua cella, e più risplende la scritta:
        “Eris in peste patronus !„.
        E l'animo puro gli faceva indicare al suo ginocchio la piaga impura. Salve, o Rocco ! Ma noi, noi specialmente uomini moderni, siamo di te più saggi, più accorti, e siamo perciò furbi ed ipocriti anche. Noi no, non facciamo la carità, ma la filantropia allegra, filtrando, ballando e palpando ; noi no, non le mettiamo in mostra le nostre piaghe, assai più numerose e diverse: saviamente, abilmente le ricopriamo di un ben spesso velo: e non è facile agli illusi ed agl'idioti scorgerle, perchè si annidano, profondamente ne' cuori. Si annidano nel seno delle famiglie contaminate dalla corruzione giovanile e dal malcostume, che imperversa; si annidano nella Società, vessata dall'usura, dal mercimonio, dall'fin. gordigia del danaro. Ma tu che domasti, fra il popolo che ti venera, la peste fisica, doma, sconfiggi, distruggi, annienta anche la nostra non unica, multiforme piaga, la nostra peste morale. Tu ne proteggi, dunque, dal morbo morale, non meno che da quello fisico. Doma la violenza, abbatti l'intrigo e l'inganno: punisci i rei i O almeno, no ! consigliali e purificali. Tu, o santo, che gli avi nostri misero a salda custodia delle porte del nostro villaggio, insieme con S. Vito, rendici, così, seguaci de' dettami predicati da Cristo ; rendici degni della ,luce eterna di Dio. (Gennaio 1925).

        Trilogia. Inno alla Vergine. — Accanto ai santi, ai martiri, a gli eroi, rifulgono le sante, le martiri, le eroine della religione. Se , nel campo dell' intelletto e del patriottismo, la donna dette non di rado preclare ed insigni affermazioni , essa le dette ancora maggiormente nel campo delle virtù cristiane. Anna e Lucia, Eulalia e Teresa, Caterina da Siena e Giovanna d'Arco sono nomi che sempre s'impongono all' ammirazione delle menti e de' cuori. Ma, qual sole che fa impallidire la luce delle minori .stelle, Maria rifulge come la più eletta fra le donne, la migliore fra le madri , fra le sante la più santa. S' adorna di lei l' umile casa di Nazareth, mentre Gesù e Giuseppe lavorano di sega e d' ascia. È ella che beve la divinità raggiante dal volto ancora infantile del Grande Precursore , od è l' umana bontà e la purezza soave di lei , che si trasfonde, per divinizzarsi, in lui ? E, da allora, la più umile tra le donne diventa fra le donne regina. E, tra le regine, Regina : perchè il suo soglio non s' ammanta di porpora , nè di brillanti , ma è ella stessa la gemma , la luce e lo splendore più prezioso. Quanto più umile, tanto più risplendente; e passa per le vie, mesta e dolorosa : col soggolo bianco e con la veste nera, svolazzante, qual'insegna premonacale , raccolte le mani , che le grazie adunano, col viso madido di lagrime, l'eletta accompagna al Calvario il Figlio volontario del dolore. È sacrificata ed oppressa : i dolori di Gesù, con sette aspre spade , si ripercuotono in lei e la trafiggono; ma, pur nel dolore, essa è regina; ed i piccoli, le donne, il popolo più l'ammirano, quanto più s'abbatte : umiliata, l'elevano su gli altari e,, dopo la dicono assunta, anima e corpo, in Cielo. Ave, o bella regina, o splendore di donna, o virtù incarnata ! Ave, o regina nel dolore tuo, che ti darà poi la potenza e la forza di calmare, di spezzare l'altrui dolore terreno ! Tu soffri ; ma quanti poi soffriranno si rivolgeranno a te, affinchè tu calmi. il loro dolore. E tu, invisibile o visibile eterna, andrai al letto dove la madre agonizza, e infrangerai la falce della morte, perchè il suo bambino più non pianga e non resti solo : tu, madre degli afflitti, consolerai la vedova che geme ed, a suo conforto, le serberai il bambino ancora in vita: tu, invocata con i nomi di Loreto, di Lourdes, del Carmelo, de' Fiori, dell'Addolorata, del Rosario, e con mille altri nomi, talora pure appari e fermi a mezzo dell'abisso l'operaio precipite, ed a mezzo de' gorghi il naufrago ; ed avvolgi in una corazza ferrea il combattente devoto, perchè la cannonata non l'inghiotta... Ave, maris stella, Dei mater alma, te salutano i naviganti. Ave, o Maria : troppo è la mia mente debole, e forse nulla sa di te ritrarre. L'aquila s'affissa nel sole, e può rimanerne abbagliata ; ma io sono tutt'altro che aquila, e tu sei più che il sole. La mia mente è debole, ed il cuore neppure è abbastanza pieno di te, perchè possa esso medesimo parlare, invece della mente. Lo guasta il temperamento, non a sufficienza calmo e sereno ; lo guastano le passioni dell'età e del secolo, lo guasta la malignità altrui, che quasi esige una doverosa risposta da parte nostra. Ma, o rosa soave di Gerico, o dolce fanciulla di lesse, tutt'avvolta di faville d'oro, è tale la tua luce ed il tuo splendore, che pur un raggio - ne penetra sin nelle mie più fitte tenebre. Perchè sei tu stessa lo splendore e la luce, e non .si può di te parlare, senza che la stessa, sublimità del tema non tramandi il più grato profumo. Ma, per meglio cantarti, io vorrei avere ancora l'anima più buona di oggi, come allorchè ti sognai e ti vidi, nella mia fanciullezza, nel delirio di una grave febbre ardente ; e tu, nell'effigie per me indimenticabile dell'Addolorata, mi dicesti : " Hai corso un grave pericolo, ma io ti ho salvato ! „ Madre, ridonami il cuore di allora, perchè meglio di te io parli. O almeno quello di quando, tra il fragore della guerra, tra il crepitare delle mitragliatrici, fra il rombo orrendo e squarciante delle cannonate e delle bombarde, io, dapprima novizio alle armi, rimanevo stordito ed atterrito, e non trovavo altro conforto vicino, che te, Gesù, Dio ; te che, prima di partire per il fronte, avevo ardentemente invocata, in una chiesa del Piemonte ed in una del Lazio, nell'effigie santa del Rosario, che porta in braccio il Bambino che regola e regge tra le sue piccole mani il disco pesante del mondo ; te che chiamai poi, nelle veglie delle gelide notti invernali, che il lume continuo della luce elettrica rendeva più lunghe e più vissute, quando la prolungata inedia della prigionia mi faceva a te intensamente pensare, con passione e con amore, e mi dettava il bel proposito, che ora comincio ad attuare, di cantar un giorno,come meglio avrei saputo, le tue grandezze : te che portai sempre meco, col cuore che non dimentica, in una medaglietta, sin da quando partii la prima volta per la guerra. Salve, o regina, non solo del Cielo, ma anche della terra; o Maria, Vergine perchè predestinata tale nella volontà onnipotente di Dio. Perdona, se oggi male comincio a compiere il mio voto : non sarà questa la mia unica colpa, nè la maggiore ; ma dammi tu la forza di poter far meglio in seguito ; tu che ispiri le tele ai pittori, a gli scultori le statue, gl'inni ai poeti. Tu che sei tanto potente, da piegare tal volta a misericordia (sempre e solo in omaggio alla tua bontà infinita) perfino la spada della giustizia divina. Ave, o Maria, piena di grazia celeste, personificazione e fonte sempiterna delle grazie terrene; Dio è con te, benedetta tu sei fra le donne, e benedetto il figlio tuo divino, Gesù. Santa Maria, madre di Dio, prega per la nostra umanità che non sa lasciare il peccato; prega adesso e specialmente nell'ora della nostra morte, quando si abbandoneranno le ricchezze, la gloria, la potenza, e ritorneremo umili e piccini, lasceremo il rispetto mondano, ed avremo supremo bisogno del tuo alto patrocinio, perchè tu ci guidi alle vie eterne del Cielo, o fra le donne la più eletta, fra le madri la migliore, fra le sante la più santa. Così sia.

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Da La Guida Diocesana, periodico ufficiale per Conza,. S. Angelo Lombardi e Bisaccia, pag. 186-187, Subiaco, settembre-ottobre 1925.

        Gesù. -- 753 anni erano trascorsi da quando Romolo, abbattuto il fratello, aveva inciso, nel solco. profondo scavato con l'aratro a piè del Palatino, i sacri confini della città quadrata, dal libero augure-volo di uccelli traendo gli auspicii. Ed il popolo romano, attraverso una serie quasi ininterrotta di lieti eventi, era passato di vittoria in vittoria, affermando sempre più il nome ed il valore dell' Urbe. Erano, pertanto cadute la Gallia e Cartagine, ed ancora gran parte del mondo giaceva domata dalle sue aquile altere. Già poteva dirsi che il grave peso della sua stessa grandezza lo minacciava : " magnitudine laborabat sua ,, . Così, ai Re, alla Repubblica era succeduto l'Impero che, sotto Cesare, scrittore e guerriero aveva attinto i più alti fastigi.
        In quest'epoca, sotto Augusto, dall'umile terra di Giudea s'irradia come una sorgente di splendore :nasce quel prodigio che—i profeti prima e — Virgilio poi aveva vaticinato col suo verso “Magnus ab integro saeculorum nascitur ordo„ un grande riordinamento spuntava dalle vicende dei secoli.
        Una stella era apparsa dall'Oriente ed i Magi l'avevan presa a guida del loro cammino: essa ora scendeva sulle pianure, ora. s'innalzava luminosa sai colli, e indirizzava i re mistici ad una grotta. Lì appunto Cristo, il gran predestinato da sè stesso, schiude i suoi raggi eterni alla luce mortale; di lì, dall'ambiente più modesto , comincia ad effondersi il suo vagito , tenue nota musicale che cresce man mano di vigore, e diventa sempre più armoniosa attraverso lo spazio e nei secoli ; scintilla appena sprizzantesi, che dal cielo scende alla terra, e che illumina poi di rinnovato fulgore e terra e cielo.
        Modesto nasce, ma più grandi non possono essere i destini ! E quale gioia suprema deve essere per Lui l' aver per Madre la piú eletta fra le madri : quale melodia di affetti profondi deve riversarsi dal blando occhio nero di Maria alle pupille soavemente infantili del piccolo Gesù!
        O gran fortunato che, in umiltà divina, lavorando nella paterna bottega , passi i tuoi primi anni ! Ti inoltri per poco nella fanciullezza, e crescono i tuoi prodigi. Giuseppe e Maria stessa ne sono inteneriti per la meraviglia e per l'estasi. La Sua più che santa dottrina e la Sua dolcezza soave inondano le rive del Giordano : ed il più grande de' nostri poeti contemporanei, il Carducci, la canta, diciannove secoli dopo, così:

        “Oh, allor che del Giordano a i freschi rivi
        Traea le turbe una gentil virtù
        E ascese a le città liete d'ulivi
        Giovin messia del popolo Gesù,

        Non tremavan le madri ; e Naim in festa
        Vide la morte a un suo cenno fuggir
        E la piangente vedovella onesta
        Tra il figlio e Cristo i baci suoi partir.

        Sorridean da i cilestri occhi profondi
        I pargoletti al bel profeta umil ;
        Ei lacrimando entro i lor ricci biondi
        La mano ravvolgea pura e sottil„ .


        Non tremavan le madri, perchè era nato chi doveva dare il crollo alla barbarie, all'oppressione, alla schiavitù trionfanti : non tremavano , anzi gioivano le madri, perchè incominciava a divulgare la sua Buona Novella Colui che al regno del terrore doveva sostituire il regno dell'amore.
        Ed Egli ingaggia da solo una così ardua guerra, senza esitazione, senza timore, senza tregua. Già, in vicende ancora leggendarie, Orazio Coclite, fatti ritrarre indietro i compagni d'arme, aveva romanamente difeso, solo contro tutti, “unus contra omnes „ il ponte sul Tevere da Porsenna irrompente su Roma, a capo degli Etruschi. Ma questo Coclite nuovo, questo straordinario nuovo combattente, Gesù, non si serve, come il primo, di scudo e di spada , per abbattere re e tiranni ancora più potenti, perchè coalizzati insieme con la forza del terrore, di militi e d' armi , contro la religione e contro il verbo novello. Egli affronta intrepidamente la lotta, ben conscio della sua sovrumana missione.
        Ed alla Sua nuova parola sono attratte turbe infinite di popolo , che seguono con entusiasmo e con ardore gl'insegnamenti della sua dottrina. Po, ,veri e ricchi non ricusano di dare la vita per la fede che hanno in Lui. Ardono i roghi, si elevano pali su cui bruciano vittime umane al cielo, si moltiplicano i supplizi , per le vie , su i colli , per gli ,antri, per le catacombe, per i circhi di Roma; eppure quei fremiti di vita che si spengono, non tacciono, ma coraggiosamente, tra i martirii, cantano e tramandano ai secoli il loro inno al Signore: Amo Christum !
        Ed il paganesimo viene così, con mezzi pacifici, e non con la guerra , poco a poco debellato : la Venere libertina comprime le sue orge nei recessi della Suburra; ed all'amore esclusivamente terreno profano si sostituisce un amore nuovo, la spiritualizzazione dell'amore, quello di Vinicio e di Licia, di Renzo e di Lucia poi , che già avevano avuto esempio dall'amore volgare di Maddalena redento e purificato ai piedi di Gesù. Questa nuova specie di amore, come baldo corsiero che poggia il piede sul monte per balzare di lì a volo per i più liberi cieli, parte dalla terra per salire, per elevarsi sino a Dio; per innalzare l'essere amato, in un perenne ardore, che non subisce pause per vicende di mali o di età , in una sfera sempre piú radiosa e sublime, che dà profumo, essenza , vita alla morte stessa ed alla vita.

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Dal periodico quindicinale Don Basilio , Avellino , 5 gennaio 1927.

        Dio. — Dio, il centro della religione, anzi il sole de' soli intorno a cui si aggira tutta la vita e la religione stessa, spesso non ha nel culto degli uomini la considerazione e la cognizione che giustamente ne è dovuta. Ogni anno, per dir meglio , ogni mese, qua e là si fanno feste in onore del tale o tale altro dei Santi, che pur meritano anch'essi grande stima; si celebrano solenni feste per questa o quella Madonna — alla quale è impari ogni elogio —, sempre una, sempre varia e sempre bella, e che è sempre una delle più fulgide stelle della fede, non come dovremmo, ma di tanto in tanto ci ricordiamo pure di Gesù-Dio, specialmente nel Natale e nella Pasqua ; ma di Dio Padre ci ricordiamo forse soltanto, e debolmente, quando si recita l'orazione domenicale, alle volte ne' quaresimali, o quando s' insegna la dottrina cristiana ai bambini. Le vite ed i miracoli de' Santi, i meriti della Madonna, questi o quei tratti della vita di Gesù sono ben noti, perchè i panegiristi spesso e dappertutto, ne parlano ; il tema invece dell'esistenza e dell'essenza di Dio è molto trascurato, ed è quindi conosciuto meno di come si dovrebbe. Sono assai scarsi persino i quadri e le statue che Lo rappresentano, in confronto di numerosi idoli e santi di ogni specie, da per ogni dove diffusi. Molti, non avendo, alcun concetto di Dio, ne sono quasi inconsci, o sono quasi indifferenti verso di Lui. In modo inadeguato, come posso, io cerco di tracciarne una ,pallida idea. Eppure tutti i Santi, e la Madonna stessa, non sono che satelliti, che astri minori, i quali si aggirano intorno al sole de' soli, Dio ; sono raggi multicolori, molteplici, ma finiti, che convergono ad un unico centro infinito, Dio ; sono .zampilli di santità, di cui unica è la sorgente, Dio. Maria stessa, che genera Gesù, Uomo-Dio, fonte di vita, — pur Madre Vergine, perchè così volle Dio, che tutto può, (anche creare dal nulla un mondo) —, è figlia di quel Dio, che già prima, nel suo pensiero eterno, l'aveva, preconoscendo, col Figlio, ideata : creata Genitrice. — Ma, come l' Innominato nella notte terribile, è, invece, pur bene :rivolgersi la domanda ansiosa, spasmodica : Chi è, ,dunque, questo Dio da cui la Santità ed il mira-.,colo emana; verso Cui l'umanità tende, sente, sospira? La religione, rapporto necessario fra la creatura ed il Creatore, si esplica in due modi : con la fede in Dio (teoretica) ; con l'osservanza della legge divina (pratica). Dobbiamo perciò avere una conoscenza anche teoretica di Dio, i cui comandamenti dobbiamo tradurre poi nella vita pratica. L'ordine ed il movimento che per l'universo si :squaderna, l'aspirazione dello spirito umano, il consenso generale e continuo di popoli pur tra loro diversi, provano l'esistenza di un Dio. La logica e la bellezza superiore, nella dottrina Cristiana, ad altre religioni, dimostrano che il nostro è il vero Dio. Si vuole da alcuni ritenere quasi che Dio sia una forza emanante dalla natura, in essa identificantesi, ed ordinatrice della materia. Così Dio verrebbe a confondersi con la natura stessa. Ma, allora, chi avrebbe creato la natura, se non Dio ? G poteva la natura, limitata, finita nelle sue esplicazioni, creare un essere infinito ? No ; mai ! È superfluo, perciò, dire che, in sostanza, tino ha dovuto essere il Creatore increato. Di qui non si esce. Se mai, Dio soltanto, data la sua onnipotenza, prima di creare il mondo, potè autoprodurre ab aeterno sè' stesso, unico autore del suo essere. È questa un'autoproduzione di cui, per impossibilità logica e sostanziale di fatto, nessun altro poteva essere — ed infatti non fu — l'autore ; giacchè Dio ha in sè soltanto la ragione del proprio essere, poichè egli solo è la vita e l'essere. Il Figlio, che è sempre Dio, e che fu poi vero Uomo, non fu mai creatura, neppur quando fu rivestito nel mondo di carne umana: genitus non factus; e nell' Eucaristia si trova come Dio e come Uomo e, per la Sua inscindibile qualità divina, conseguentemente vi si trovano, per concomitanza, anche il Padre e lo Spirito Santo. Si parva licet comparare magnis, come un trinomio costituito da tre monomii uguali ; come tre rivi di unica fontana ; come la stessa sorgente può esser-prima fiume, poi lago o mare, pur essendo sempre la stessa acqua ; come tre luci di unico sole, e come dal, sole emana luce, calore e vita ; come capo, tronco e gambe, come intelligenza, memoria e volontà, come mente, anima e corpo, tutti e tre concorrenti a formare in modo inscindibile un unico vivente essere umano ; pur con tre fisonomie distinte, analogamente — in modo approssimativo —, non similmente, il Padre, il Figlio, il Paraclito formano, così, nella loro Trinità, una sola essenza, la Divinità. Dio è specialmente ne' cieli con tutta la sua essenza; nell'universo con la manifestazione esteriore de' suoi attributi, quali l' infinità, l'eternità, la giustizia, la bontà, l'onnipotenza. Dio vive esplicando la sua vita ad intra con la generazione del Verbo, mediante atto intellettivo, che è lo stesso pensiero divino ; e con la produzione — mediante atto volitivo di amore—dello Spirito Santo, che rappresenta l'amore procedente fra il Padre ed il Verbo: perciò Dio è uno nell'essenza e trino nelle persone.
        Dio vive inoltre esplicando pure una vita ad extra, tra l' altro , con la creazione e con la provvidenza conservatrice del mondo. Dio non vuole, ma permette il male nel mondo , per lasciare alle facoltà dell' uomo quella libertà che è il maggiore dono che a questo fece creandolo, e per ricavare dal male stesso un bene di ordine superiore. Infatti, dalla permissione del male morale abbiamo la manifestazione della giustizia divina, che si esercita — a preferenza nell' altra vita — contro chi lo commette, ove non sia avvenuta prima la conversione del peccatore; dalla permissione del male fisico deriva anche il bene che si esercita richiamando pertanto a salvezza l'anima, col pentimento, con la penitenza, con una vita più religiosa. Il male o dolore ed il bene o piacere sono poi qualche cosa di contingente , di relativo : per alcuni è male ciò che per altri è bene, e viceversa; l'aspra e crudele espressione mors tua vita mea è tante volte, purtroppo, veritiera. Il bene ed il male, come il piacere ed il dolore, hanno, quindi,sempre qualche cosa di relativo. Sembra poi un paradosso, ma è pur certo che persino il dolore può talora riposare ed essere gradito, quando ha la segreta bellezza di una passione che eleva. Non bisogna però confondere un bene col bene preso in senso assoluto. La ricchezza, da molti tanto invidiata e desiderata; l'intelligenza, la sapienza; l'onestà (c'è qualcuno che se ne ricorda ?); la bontà, la bellezza, sino ad un certo punto; la gloria, la potenza sono de' beni singoli; e chi possiede l'uno, chi l'altro di essi; ma non sono, singolarmente considerati, il bene completo. Tale potrebbe considerarsi la felicità, derivante però sempre dal possesso non di un solo, ma di più beni. Ma chi l'ha posseduta mai , per lo meno in modo durevole? A differenza de' ricchi, gli apparentemente poveri poi possiedono spesso la ricchezza migliore, il maggior bene, la tranquillità e la rettitudine dell'animo e, quindi, l'arra del Paradiso. Bene assoluto è, dunque, solo Dio, che concede la felicità, non però in questa vita. Con la vita intellettiva, poi, Dio ha conoscenza di tutte le cose , in qualunque tempo e luogo esse siano state o attualmente si trovino, avendole sempre presenti; e con la vita volitiva o di amore, crea, conserva e provvede a tutte le cose. Ma , di nuovo, chi è questo Dio? È uno spirito purissimo, che comprende nella sua essenza tutte le perfezioni, nel modo più assoluto e ad ogni altro superiore. Infatti, chi come Dio, quis ut Deus? La poesia, la musica, la pittura, la scultura sono pervase dall'alito di Dio. Nei fiumi, nel mare, nelle omeriche guerre, nel fuoco , nella bellezza, i pagani falsamente personificano tanti dei ; ma non scorgono mai l'unico Dio. Stupidamente, altre religioni lo adorano in maghi impostori , in statue, persino in esseri bruti. Invece , noti vi è un Dio, come pretendevano pagani e panteisti nel mare, un altro ne' fiumi, un terzo -nel fuoco , un quarto che presiede all' amore , e così via; ma vi è un unico Dio che dà il sussulto e la carezza alle onde , il sorriso all' aria, il profumo ai fiori, a gli uccelli il canto; che apporta le nuvole ed il sereno, il dolore e il gaudio; che atterra e suscita; che affanna e che consola. Vi è un Dio unico che la natura presiede ed anima, ed al cui comando essa obbedisce. E questo Dio ha la sua sede preferita nel Paradiso, “qui es in coelis„ dove si trova con tutta la sua gloria. Là a Lui fa corona Maria ed il coro degli Angeli e de' beati. Vi splende una luce il cui raggio è eterno. Di Dio , che tutto muove e che da nulla è mosso, è tutto : F aria, la luce, le cose. E Dio vi fu, è e sarà. Vi è, tra l' altro , quando costringe Adamo a stentare il pane col sudore della fronte ; quando manda Caino nomade e disperato per le rocce deserte del mondo; quando a Noè fa costruire l'arca; quando ferma la mano di Abramo e guida il colpo della maschia Giaele ; quando a Mosè apre una strada in mezzo al mare. Vi è quando nel cielo sereno , disposti con ordine antichissimo e perfettissimo, brillano punti d'oro ed atomi d'argento, mentre la luna imbianca i veroni e distende per l'aria veli d'opale; vi è quando il sole inonda di luce i prati ed il mare d'aurei riflessi, mentre i fiori belli odorano, dispiega l'ala del canto la villanella, ed uccelli trillano, solcandola, per l'aria. È ordine, è bellezza, è amore. E vi è pur quando sul mondo si scatena la guerra, e quando ai combattenti infonde coraggio e vita; quando sul mare rugge la tempesta, ed il fulmine e la tormenta schiantano ed abbattono querce secolari e case. Vi è quando ride all'animo rosea la speranza e la gioia, e quando il cuore è dilaniato dal prepotente dolore. Egli è premio e castigo, letale stoccata e carezza. Ma Dio vi è sopratutto come spinta continua al bene. Solo per Lui la moralità è ancòra; non potrà mai perfettamente morire, anche perchè Egli non è solo a punire l'immoralità, ma la punisce pure col giusto giudizio del mondo. Quanti falsi idoli non hanno, nell'intimo, l'equo responso, l’unanime esecrazione della propria e dell'altrui coscienza! Non se ne curano ? Non è vero. Medio de fonte leporum surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat, notava persino un poeta ateo, Lucrezio. Lo stesso Giordano da Nola , che vanamente pretendeva di fendere i cieli e di ergersi all' infinito, si dice “in hilaritate tristis , in tristitia hilari„. Ma , oltre ai miscredenti, citiamo pure un poeta religioso, il Metastasio : “Se a ciascun l' interno affanno Si leggesse in fronte scritto, Quanti ognor che invidia fanno, Ci farebbero pietà„. C'è così, invece, persino nell' animo loro qualche rimorso che li attanaglia, celie li guiderà, forse poco invidiati, ma sfiduciati, nauseati, disperati di sè stessi, alla tomba. Perchè Dio esiste, e meglio lo sentiamo quando, in un modo o nell'altro, giustamente ci punisce. Dia la sua giustizia lo sgomento ai perfidi, ed ai buoni la pace. Quasi lo ripeto ancora, Dio, quindi, è pur con noi nelle nostre coscienze, nell'universo che ci circonda, nelle nostre case, nel sorriso de' bimbi, dei genitori nostri ; nel zeffiro che mormora lieto trai fronda e fronda; nella tempesta, nella folgore, nella morte, che anche l' iniquità designa ed abbatte. È nel mormorio che ritma la cascata, e nella placida carezza dell'onda; colorisce i variopinti fiori, e modula il canto a gli uccelli; matura al contadino, all'operaio, all'intellettuale il ben sudato pane, e sferza e dibatte il tristo con l' asprezza del rimorso,- s'asside nella capanna accanto al dolore, e pure il dolore sa consolare; prevede e provvede; anima il cuore ed il braccio di chi combatte e muore per una causa giusta ; e suggella e bacia la fronte al genio che canta la Sua gloria. E la cantano infatti i vostri artisti, templi di Milano, di Venezia, di Firenze, di Roma, di Lourdes, di Parigi; la cantano Giotto, Angelico, Raffaello, Tiziano dalle tele ; dal, marmo Michelangelo ; Palestrina , Verdi , Wagner, Perosi in musiche sublimi. Ancorchè attraverso falsi idoli , tu pur Omero senti nell' animo la sete e lo, spirito di Dio, tu pur così, Virgilio, che divini natali assegni a Roma , universale e nostra ; tu poi, Milton, descrivi la beatitudine dagli angeli perduta; ma tu solo, o Dante , cristianamente celebri Iddio, che punisce, purifica e premia. Zampilli di genio, diversi e perenni, che emanano da una fonte unica, ed eterna : Dio. Compendio e conchiudo. Iddio Padre genera ab aeterno il Figlio, il Verbo , da entrambi procede lo Spirito Santo, il Paraclito; e Dio uno e trino è dovunque nell'universo, con la manifestazione esteriore de' suoi attributi ; ma é con tutta la sua gloriosa essenza ne' cieli, nel santo Paradiso; giacché, come dice Isaia (LXVI, I): “ Il cielo è il trono di Dio, e la terra é lo scannello de' suoi piedi„. Nel primo canto del Paradiso e nel primo dell'Inferno, l'Alighieri scrive perciò :

       “La gloria di Colui che tutto move,
       Per l'universo penetra, e risplende
       In una parte più, e meno altrove.
       Nel ciel che più della sua luce prende,
       Fu' io ; e vidi cose che ridire
       Né sa, né può chi di lassù discende.
       In tutte parti impera, e quivi regge,
       Quivi é la sua città e l'alto seggio :
       O felice colui cui ivi elegge !„

        Qui é dolce quiete e luce infinita ; e soave spira un'aura di beatitudine piena ; e la più lieta fonte di gioia emana dal re de' re. E musici angeli — che Cecilia accompagna — modulano, su arpe e cetre di oro e di brillanti, ineffabili melodie, onde l'empireo risuona d'un'armonia divina. Qui stelle eterne e splendore di puro cristallo e di topazi ; e sorrisi di serafini, per l'etere diffusi, ma assai piú intorno a Colui, che, nella sua giustizia, bea. E Padre, Figlio e Paraclito son tre in uno, ed Uno in Tre. Alla destra di Dio Uno e Trino è Maria, la dolce figlia di Jesse, tutt'avvolta da faville d'oro. Vengono poi, man mano, intorno al loro Re, Serafini e Cherubini, ed Angeli vari con altri sommi Beati; e la rosseggiante candidata schiera de' Martiri, tra i quali sei tu, Vito, mio concittadino adottivo, perchè Patrono nostro, giovine bello, di linee e d'animo puro : e vi sei tu, Rocco che, insieme a Francesco, il Paradiso, come già in vita il mondo, intorno al divin Maestro, di carità infiori ; vi sei tu, Antonio, oratore a pesci ed a tiranni, santo animatore esanime di campane a Padova, bello e puro più del giglio che, a tuo simbolo, in mano rechi ; tu Agostino, esegeta del sentimento umano purificato dal misticismo, e tu, Tommaso Aquinate, il più profondo filosofo del divino; giovani sorrise da un soave candore, con le rinate lunghe chiome eburnee o d'oro, che in vita offrirono a taglio votivo ; e vi è tutta una schiera di sante e martiri leggiadre, splendenti di bellezza e di verginale divino amore. Varia erra la melodia, tra aura ed aura, tra sorrisi e cori ; regna letizia, di giustizia e sapienza piena ; il giubilo e l'amore riposano, carezzano, irraggiano in una viva pace eterna.
        Noi vogliam Dio nelle famiglie, nei tribunali, nella società. Sia gloria a Te, Signore ! Dalle messi bionde che ondeggiano pe' vasti campi ; dalle erbe verdi che si arrampicano su pe' monti; da' fiori che Tu germogli e che poi fai crescere in frutti, sia lode a Te. Lode a Te per l'ampio mare; lode a Te se il sole appare; se un sorriso carezza gli occhi ai bimbi, sia lode a Te. Te vogliamo a fianco alle nostre spose ; Tu proteggi le nostre case ; inculca al mondo la giustizia; e sia lode a Te. Tu salva naviganti ed areonauti, e salvaci per l'eternità. Tu proteggi la Patria. Speriamo in Te, misericordioso Redentore, che non disdegnasti farti uomo nel puro grembo di Maria, per aprirci così i regni del cielo. Tu da gli abissi del mondo ; Tu sullo .scroscio del tuono; da un polo all'altro sia lode a Te. Tu sull'universo la gioia effondi; Tu nell'infamia ci confondi ; alla culla ed alla bara noi vogliam Te. Vogliamo Te negl'imenei; guida Tu, forte, i trofei di chi combatte pensando a te. E sul mondo regni la pace ; tra noi la giustizia regni ; noi sempre loderem Te. Te sull'avito altare ; Te quando il sole appare; sempre a Te, lode a Te, gloria .a Te, Signor ! Te che cantano i Serafini Te cui inneggiano i Cherubini; Martiri e Sante su cetre .d'or. Gloria a Te sin dagli abissi del mare; gloria a Te su pel cielo infinito; gloria a Te nel mondo e sull'altare , lode a Te, gloria a Te, gloria a Te, Signor!

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