Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

9.— J’ accuse.

        Inneggiando al miglioramento degli operai e delle classi povere, così scrissi negli anni 1908-1909. Varie mie proposte hanno già trovato accoglimento in riforme legislative. Ma ora gli avvenimenti svoltisi negli ultimi anni richiedono nuove altre riflessioni.
        Già l’asservimento alla plebe portò alla decadenza morale e materiale dell’impero romano. Il ricordato grido panem et circenses segnò l’inizio della romanità decadente, essendo andata in rovina la finanza pubblica, quando l’imposizione demagogica del pane gratuito assunse carattere di stabilità. Caio Gracco conseguì la sua grande popolarità solo con tale sfruttamento demagogico delle classi inferiori, che gli servirono di sgabello. Neppure le spoglie de’ popoli vinti erano sufficienti al pubblico erario, giacchè il popolo poco produceva e molto pretendeva. Dopo che scarseggiarono, perciò, le risorse interne, i Romani, per procurarsi da vivere, spogliarono violentemente altri popoli produttori. Savi uomini politici avevano proposto di dare al pane almeno un minimo prezzo; tutta via, per guadagnarsi il favore del popolo, ambiziosi tribuni, tra i quali Druso, largheggiarono eccessivamente. Silla, invece, fu un tiranno, ma restaurò l’autorità dello Stato, col combattere il diritto di sedizione che si era arrogato la plebe romana: tiranni sembrano tutti quelli che non si piegano alle imposizioni, non sempre giuste, della piazza. La politica del grano adoperata da Roma arrecò danni alla stessa attività agricola di quel tempo. Il Mommsen ricorda che Roma divenne così soggetta all’importazione del grano dalle provincie che, per affamarla, sarebbe bastato bloccare le vie di comunicazione; mentre, durante le guerre puniche, era stata indipendente per le sue sussistenze. Nella vita ultramillenaria della stirpe di Roma, solo in brevi periodi di decadenza, fu possibile asservire lo Stato alla plebe; ma poi le aquile imperiali si levarono sempre più in alto, in nuovi meriggi di splendore.
        Il diritto all’esistenza de’ veri poveri e degli inabili era stato riconosciuto anche da Solone. Speriamo che le aspirazioni e le fortune delle classi lavoratrici non siano, a torto, contrastate dal fascismo. Ma bisogna distinguere i veri lavoratori dal volgo che patteggia con torvi sobillatori e che non ha attitudine o, peggio, volontà di produrre. Come avvertì lo Spencer, tra quelli che non sanno e che non hanno, vi è una maggioranza di fannulloni e di uomini senza dignità, per i quali lo Stato non dovrebbe provvedere a sostenerli. L’intervento dello Stato nel beneficare le classi umili diseredate attutirebbe il senso della capacità e della responsabilità individuale; mentre l’obbligo di produrre deve essere sentito ed imposto non solo come precetto giuridico per sopprimere l’ozio, ma anche come precetto etico, che assicura il miglioramento ed il progresso alla società e ha conservazione all’individuo. E’ necessario formare la coscienza de’ cittadini, prima che lo Stato intervenga a soccorrere la scarsa od inesistente attività di alcuni di essi. Non solo i recenti interventisti dello Stato, ma anche altri filosofi politici si sono occupati, da tempo, dell’ alimentazione generale. Hegel disse: « Non si tratta solo che non vi siano famelici: la vera veduta è che non vi sia volgo. E mentre la società civile è in dovere di nutrire gl’individui, essa ha il diritto di costringere ad aver cura della propria sussistenza. » Anche gli animali si procurano il cibo, ed il volgo stesso dovrebbe, quindi, sentire, non solo il dovere, ma persino il diritto di procurarsi, col lavoro, i mezzi di sussistenza, senza distruggere la propria dignità, vivendo di elemosina. Una massima ammonisce: qui non laborat, nec manducet. Lo Stato non può mai bastare ad assicurare le sorti di un popolo che poco o male produca, giacchè le imposte non possono creare ciò che gli individui debbono produrre e non si possono pagare senza un proficuo lavoro. Dalla fortuna di cui ognuno è artefice a sè stesso, risulta la prosperità generale dello Stato, in cui ogni individuo che ne ha l’invidiabile capacità deve, direttamente od indirettamente, produrre, col lavoro intellettuale o materiale.

***

        Gli errori de’ socialisti nei metodi e ne’ programmi, specialmente in Italia, han fatto nascere forse dal seno stesso del socialismo (Mussolini insegna) il partito fascista, che ha annientato il partito socialista italiano. Gli operai socialisti, fuorviando e conculcando alcuni ideali dello stesso socialismo internazionale cedettero pochissimi anni or sono, con l’occupazione di molte fabbriche in varie grandi città, di potere e di dover sostituire — con l’espropriazione violenta — l’industria a capitale operaio all’industria a capitale borghese, ed un dispotismo socialista all’ attuale ordinamento plurisecolare di governo.
        Così il capitalismo, che essi, forse non a torto chiamano sfruttatore, avrebbe fatto solo un passaggio da una classe sociale ad un’altra, e la sostanza delle cose sarebbe rimasta la medesima; gli operai sarebbero diventati a loro volta gl’ invisi padroni e capitalisti: insomma, levati di lì, ci voglio stare io. Mercurio, da essi e da altri chiamato dio de’ ladri, dell’industria e del commercio, avrebbe dovuto deporre le insegne aristocratiche o borghesi, per assumere invece quelle rosse socialiste. Così, ripeto, il dio, cambiando vernice, avrebbe avuto pur sempre la medesima natura, ed il capitalismo, da gli operai inviso, sarebbe poi diventato il benvenuto in mani loro. Bel modo di intendere il socialismo !.... Nè basta. Gli operai, che avevano ottenuto salari ben elevati in compenso del loro lavoro, specialmente in alcune città e per alcune categorie di mestieri, credettero giusto, in loro coscienza, che gli operai del pensiero — i quali non meno di loro degnamente avevano lavorato e lavorano — fossero compensati a prezzi derisori; o, peggio, che fosse pur giusto che, mentre essi credevano di avere già in loro potere il sole dell’avvenire, i medici, gl’ingegneri disoccupati e gli avvocati, anche se socialisti, stessero a grattarsi la sgonfia epa, mal compensati e, per giunta, mal visti, nelle case, nelle cliniche, fuori degli stabilimenti e ne’ tribunali, magari rimpiangendo il sole….. del passato. Ogni operaio, ferroviere, contadino credette avere in sè la stoffa del deputato: e la gerarchia sociale era abolita.
        Negli ultimi tempi di preponderanza rossa, dunque, troppo invadenti erano diventati gli operai, che non sì contentavano già solo di far guerra alle grandi fortune, ma avevano preso di mira persino quella disagiata borghesia intellettuale, che modestamente lavorava. Verso il 1921, ero presso al portone dell’ Università di Napoli, con alcuni studenti, ed una folla composta di socialisti e partiti affini, passava, scioperando e rumoreggiando. Se mal non ricordo, qualche grido di protesta partì prima dagli studenti, ed alcuni operai fecero allora, di rimando, il viso minaccioso o, peggio lanciarono, quasi che essi fossero stati de’ milionarii monete di bronzo sugli studenti raggruppati, in tono di spregiante elargizione.
        Così facendo gli operai credettero far bene: Marx, Engels ed altri erano stati intellettuali per gl’ingrati.... Ripeto il grido zoliano: J’ accuse! Con sentimento di amaro rimpianto, in queste note che vogliono essere solo di fede sincera, di battaglia e di giustizia, accuso questi errori e questi metodi, questo pervertimento morale atto a non far svanire il ricordo della pur troppo verosimile favola del serpe e del contadino, che spesso, con vari esempi, sì rinnova; ed accuso pure, forse principalmente, gl’intellettuali stessi, che non seppero frenarli, educarli, disciplinarli, guidarli, con migliori intenti, verso un ideale più equo, anzichè verso una sostituzione di egemonia ad egemonia, di sopraffazione a sopraffazione.
        E’ ben vero che i cannoni puntati su gli stabilimenti industriali, meglio avrebbero operato, com’era loro dovere, a Caporetto; e che, nel reprimere il socialismo, i fascisti furono violenti, ed ebbero grave torto a conculcare la libertà di stampa, ad impedire ai deputati e ad altri pubblici ufficiali, eletti per volontà di popolo, la libera statutaria esplicazione del loro mandato! Mal si fa a reprimere qualsiasi lecito uso di libertà. Nè gli Italiani potrebbero tollerare una simile sopraffazione, senza essere indegni del loro buon nome e della loro storia, delle guerre da essi santamente e fortemente combattute, della vittoria ottenuta coll’eroismo, col martirio, col sacrifizio. Meglio morire, che viver servi. Tra gli altri, questo già confermò Catone:

«Libertà va cercando, ch’ è sì cara, Come sa chi per lei vita rifiuta ».

        Ma è pur vero che, nel far trionfare le loro aspirazioni, gl’intellettuali socialisti furono, a loro volta, disavveduti o ignavi, indisciplinati e discordi, così come i socialisti proletari avevano cercato e cercavano di essere ingiusti verso la borghesia, verso militari chiamati per legge al compimento di un loro dovere verso la patria, e verso il pubblico in generale, ormai indignatissimo anche de’ continui scioperi a fine economico.
        Nè si era compreso che il popolo italiano non ha per sua indole, tendenze socialiste, giacchè, pur chi possiede solo una capra, vuoi conservarne la proprietà, e non renderla ad altri comune. Ben s’intende, poi, che, se si tratta di proprietà altrui, il desiderio può essere diverso.
        Di chi, dunque, le colpe maggiori? Giustizia e coscienza sarebbero state necessarie, non ambizioni, non conquiste e sottrazioni di poteri. Chi ci assicura che, di tal passo, un governo socialista non sarebbe stato anche più liberticida di un governo aristocratico o borghese? Non si deve giudicare della bontà o meno de’ provvedimenti, a partito preso, nè dar lode o meno ai fatti, a seconda della loro marca di fabbrica e di provenienza; ma singolarmente, caso per caso, va data la dovuta lode o il meritato biasimo a ciascun atto, senza alcun preconcetto simpatizzante o partigiano Pertanto, è pur giusto e doveroso riconoscere che parecchie disposizioni risanatrici operate dal governo fascista hanno incontrato simpatia pubblica, come, ad esempio, l’abolizione della guardia regia e la soppressione delle squadre punitive fasciste, il rastrellamento de’ ferrovieri e di altri impiegati, col richiamo a quelli rimasti in servizio al compimento de’ propri doveri; alcuni dei quali provvedimenti ben furono chiamati sbardatura di guerra. Altre disposizioni, però, non si spiegano e non si giustificano bene; così, per esempio, la soppressione di alcuni pubblici uffici. Infatti, per quanto si accentrino i servizi solo nelle città più importanti le spese possono, ciò non ostante, presso a poco rimanere invariate, dato il lavoro che quivi si accumula ed il conseguente necessario aumento di personale, in proporzione dell’ aumentata quantità di lavoro.
        Sebbene il fascismo abbia valorizzato sufficientemente la vittoria, avrebbe dovuto, tuttavia, più valorizzare i veri combattenti, che dalla Patria, più di altri, certo ben meritano. E, nell’assegnazione de’ premii, la fanteria — divina, sempre negletta —, che più e meglio degli altri fece — secondo il suo dovere e secondo te sue mansioni — la guerra, ha ceduto, come al solito, i posti, le ricompense e gli onori, in gran parte, a persone di altre armi, spesso pretesi così detti combattenti, che — non durante la guerra, ma nel dopo guerra — più si son date da fare! Nè io debbo qui ripetere quello che ho scritto altrove sui meriti ineguagliabili della fanteria, regina delle vittorie, non protetta, in campo aperto, da lorica, nè da blindati ricoveri, ma solo dal proprio indomito coraggio e da patriottica fede. Tra i veri combattenti poi, va dato il maggior onore ai mutilati, ai feriti, ai meritamente decorati; ma non sono da considerarsi mutilati quelli che nessun serio danno fisico permanente riportarono dalla guerra, e che ebbero, invece, talvolta graffiata solo l’epidermide.
        I combattenti pugnarono per la libertà; ma, in questi ultimi tempi, a differenza di altri Stati, in Italia, sul cammino della libertà, si è avuto pur troppo un regresso. Avendone voglia, si può fare saggia opera di governo, anche senza indossare la grande uniforme, la redingote, il frack, la feluca e la camicia nera. Ed i veri principali meriti del fascismo possono riassumersi nell’aver fatto migliorare il nostro cambio, nel maggior rispetto procurato — per quanto è doveroso — all’esercito, nella vigorosa, utile e di noi degna politica estera, nell’eliminazione de’nauseanti continui scioperi, dannosissimi specialmente per la nostra reputazione all’estero e per la vita economica e morale della Nazione: il bilancio dello Stato ha avuto, pure, una tendenza al pareggio, con la diminuzione del disavanzo; ma varie tasse ed imposte — con ingiuste esenzioni ed attenuazioni per alcune categorie di ricchezze e di industrie — sono state però, a torto, ancora più inasprite. E per aumentare i già lauti stipendi ad alcune classi sociali privilegiate, canonici, parroci e vescovi, compresi, si aggrava di tasse la generalità, specialmente la proprietà fondiaria. E quelli che, nel periodo bellico, serbavano, in Italia, la pancia ai fichi, non vogliono lasciare ancora neppur minima parte delle ricchezze male accumulate durante la guerra.
        Le elezioni amministrative e politiche non vanno poi fatte col manganello e tanto meno con le armi: altrimenti, meglio sarebbe non farle. Infatti, non può parlarsi di elezioni, se non vi è — secondo il significato proprio della parola — libera scelta, ma imposizione. Nè può proclamarsi vittoria elettorale quella ottenuta con tali sistemi, perchè voluntas coacta non est voluntas ed, in simili casi, si ha tutt’ altro che una vera maggioranza. E — quando l’elezione è stata imposta con la violenza specialmente materiale, pur prescindendo da quella morale — non vi è soddisfazione, nè per aver dato, nè per aver ricevuto il voto, perchè, se avesse agito una forza contraria, si sarebbe avuto un risultato diverso; ed il voto non è certo, in tal caso, espressione di simpatia, di fiducia e di stima sincera. Del resto le elezioni, rinunciando però così al progresso e tornando indietro nella storia, si potrebbero fare anche per decreto, che resterebbe tale, senza essere però elezione.
        L’ ordinamento degli studi è stato in gran parte migliorato, reso più pratico, più moderno e meglio rispondente, in generale, ai bisogni della cultura.
        Ben fu introdotto lo studio della musica, ed il latino anche ne’ corsi tecnici e normali. Roma non è morta, ma e sempre più viva, nelle nostre memorie e nel nostro culto. Questo, più di ogni altro, dovrebbero intendere e sentire gl’ Italiani.
        Intanto, lodevolmente i nuovi programmi si propongono il nobile ideale — peraltro, col modo prescelto, tutt’altro che facilmente raggiungibile — di migliorare l’istruzione de’ pochi che possono, stanti quelle disposizioni, conseguirla. Per le forti spese che si incontrano per tasse e per la residenza in città, l’istruzione è stata resa aristocratica: e la coltura generale delle masse dovrà, quindi, pur troppo diminuire. Riforme così radicali dovevano inoltre raggiungersi con un’ evoluzione graduale più oculata, meno precipitosa e meno farraginosa, tumultuaria e violenta. Del resto, il fascismo ha avuto un vizio proprio di origine: quello di dare un esagerato valore alla forza materiale, mettendo in seconda linea e, talvolta, a torto addirittura misconoscendo, i riguardi giustamente dovuti alla dottrina ed all’intelligenza. E la storia certo dirà che questo fu male, riferendosi specialmente ai primi suoi tempi, sia pure che fu un male imposto talora dalla società di reagire a violenze e scioperi socialistoidi, non sempre pero senza eccedere, e senza merito di coraggio perchè in gran parte protetto dalla forza pubblica e dal governo.
        Non ogni educazione ed ogni sentimento deve, poi, impartirsi solo nella scuola. Qualcosa debbono fare pure la famiglia ed i genitori, dopo aver procreato la prole. La scuola deve impartire principalmente l’istruzione, la famiglia precipuamente l’educazione. L’insegnamento religioso, facendo più parte dell’educazione, che dell’istruzione, meglio che dalla scuola, si può apprendere dalla famiglia, dagli oratori e scrittori cristiani, dagli ecclesiastici in genere, dalla coltura che ciascuno personalmente può e deve acquisirsi da sé stesso, dalla tendenza e dal sentimento proprio.
        D’altra parte, il ballo — assai meglio che nel tempio sacro alla scuola — è insegnato nelle case da thè ed in alcuni salotti più o meno allegri, mentre è certo che l’arte, la letteratura, la filosofia e la scienza non debbono diventare anche ballerine. Una sola avvertenza i nuovi programmi hanno dimenticata: quella di domandare agli studenti, prima di approvarli, la tessera del loro partito politico.
        Delle Corti di Cassazione, oltre Roma, si sarebbero dovute mantenere almeno le altre due esistenti nelle capitali del già Regno Piemontese — Sardo e del Regno delle Due Sicilie, Torino e Napoli. Così si sarebbe conservata una Cassazione almeno per ognuna delle tre grandi parti d’Italia, la settentrionale, la centrale e la meridionale, e non vi sarebbe stata una soppressione troppo brusca e troppo radicale. Nè si adduca a giustifica la ormai vieta pretesa dell’unicità della giurisprudenza, giacchè è noto che anche i componenti della stessa Corte, pur quando rimangono i medesimi, decidono talora diversamente sulla identica controversia, a seconda che è... luna crescente o luna mancante. Senza dire che, ad ogni modo, sarebbero poi sempre rimaste le celebri «sezioni riunite».
        Ogni partito può e deve avere almeno una idea bella.
        Il socialismo, pel quale simpatizzai, se non simpatizzo, ha indubbiamente delle idee utopisticamente belle ed umanitarie. Ma non mi sono mai iscritto a quel partito perchè, sotto quella bandiera che sfoggia alcune nobili e filantropiche idee, si annidano, con mentita fede, molti egoisti sfruttatoti e vili farabutti. Il mio socialismo autonomo ebbe, quindi, un solo interpetre, un solo capo ed un solo seguace: la mia coscienza,

«La buona compagnia che l’uom francheggia, Sotto l’usbergo del sentirsi pura ».

        Nè mi dispiace che, in tanto arruffio di opinioni, non ebbi duci e neppur seguaci fraintenditori. Ed il socialismo è per me godimento ampio di non dannosa libertà, miglioramento di benessere generale, con una più razionale divisione delle ricchezze e con una più equa retribuzione dei singoli meriti intellettuali e delle attività produttrici.
        Si temette, qualche anno fa, un’ egemonia militare; e l’esercito, simpatizzando per il prima piccolo partito fascista, facilitò a questo il raggiungimento del potere. — Certo il partito liberale ha il merito di aver grandemente contribuito a fare l’Italia una, da Porta Pia a Vittorio Veneto.
        Ma la democrazia, che aveva avuto, intanto, un’attiva organizzazione come gruppo parlamentare, da tempo esistente, ebbe invece una deficiente organizzazione extraparlamentare, tra le masse, come partito sociale.
        D’ altra parte, se si fosse creata una più seria e più ferma coscienza socialista, almeno negli stessi gruppi socialisti, questi non sarebbero, spesso, così facilmente passati, con una lieve scrollata di spalle, dal socialismo al fascismo.
        Il partito popolare, sotto l’esteriore manifestazione di un in parte lodevole programma, nascose però, probabilmente, qualche recondito non lodevole fine egemonico, dando una vernice di cristianesimo cattolico a quella che, intimamente e soprattutto, non era altro che una dottrina a scopo politico. Come il partito socialista e quello liberale e democratico, il partito popolare ha anch’esso avuto il torto di dividersi e frazionarsi, per secondarie divergenze, in specie e sottospecie, divagando in sterili, anzi dannose, interminabili discussioni, con grave detrimento di quella compattezza e di quella fusione, che è forza principale, forse unica, di ogni partito.
        Se non hanno saputo bene organizzarsi, gli altri partiti non accusino il fascismo della propria dissoluzione e dei proprio disfacimento. — Ricordate la leggenda liviana? Tre Orazi combattevano contro tre Curiazi; ma due degli Orazi erano giù caduti. Il superstite ricorse ad uno stratagemma: finse di darsi alla fuga. I tre allora, inseguendolo, si separarono; Orazio, assalendoli separatamente, tutti li uccise.
        La massoneria non mi riguarda. Sono credente: ma disprezzo i moltissimi preti cattivi, abbondanti come le pietre della strada; apprezzo e stimo i pochissimi preti buoni che, pur troppo, forse si contano sulle dita.
        Conchiudendo, senza disconoscere e menomare alcuni di quelli che già furono e sono gl’ideali alti e giusti del socialismo teorico, ripeto, quindi, che i socialisti italiani hanno, negli ultimi anni, errato pei programmi, per i metodi, per la consuetudinaria indisciplinatezza e per il pratico funzionamento del loro partito.
        Di qui ogni loro cattiva fortuna.
        Intanto, a preferenza dell’ Italia centrale e settentrionale, il nostro Mezzogiorno ha avuto, in questi ultimi anni, una triplice benemerenza, per aver tre volte, più che altri, contribuito, con la sua seria e disciplinata condotta, alla salvezza d’ Italia: la prima volta, quando dette alla guerra il suo generoso e nobile omaggio di vite, di sangue e d’opere, poco badando ad imboscarsi; la seconda, quando non partecipò alla minacciata rivoluzione comunista del dopo guerra, che serpeggiava vivamente in altre parti d’Italia; la terza, oggi che serba immutata fede alla costituzione, alla monarchia, alle sue liberali tradizioni democratiche, dimostrandosi invece poco disposto a subire la sferza di una dittatura.
        Caro buon popolo nostro!

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