Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

2. — Origine dell’ attuale ordinamento politico, giuridico, economico.

        Al cospetto del vasto, complicato, bizzarro e disarmonico edifizio dello Stato moderno, in cui i potenti dominano, i deboli servono, i ricchi godono, i poveri spesso muoiono di stenti e di fame, non possiamo non domandarci com’esso ha fatto a sorgere e quali erano le intenzioni prime dei costruttori. Prescindendo dall’opinione metafisica, secondo la quale diritto, società e Stato emanano da Dio, intorno a questa importante quistione, due correnti principali d’opinioni predominarono, e cioè quella della scuola del diritto naturale e quella della scuola storica.
        Secondo la scuola del diritto naturale, alla quale — pur con lievi e non sostanziali differenze tra loro — appartengono specialmente gli autori (Grozio, Rousseau, Locke, Puffendorf, Spinoza, Leibniz) che precedettero immediatamente la rivoluzione francese, con a capo il Rousseau del Contratto sociale, diritto e Stato sono il prodotto di un contratto concluso dai cittadini di una nazione, allo scopo di fondare un’associazione di Stato. Questa opinione è evidentemente erronea, poichè come può la mente di un popolo intero produrre un ordinamento di diritto privato che favorisca una piccola parte della nazione a danno della grandissima maggioranza? E come si può supporre che questa maggioranza di diseredati abbia dato il suo espresso o tacito consenso al privilegio più oppressivo che divide l’uomo dall’uomo?
        Secondo la scuola storica, fondata specialmente dal Savigny, diritto e Stato sono un prodotto dello spirito e della coscienza nazionale, cioè della speciale condizione psichica di un popolo.
Anche questa opinione è errata, perchè ammette intervento della nazione e del popolo in generale nel formare le leggi, mentre si sa che, quasi in ogni tempo ed in ogni luogo, non da tutto il popolo e da tutta la nazione il diritto e lo stato furono formati, bensì soltanto da un piccol numero di cittadini che, avendo in mano il potere, se ne servirono per fortificare e tutelare i propri interessi a danno di una maggioranza numerica di deboli. Escluse quindi queste due opinioni fino ad un certo tempo prevalenti, si e costretti da necessità logica ad ammettere che le condizioni giuridiche e sociali attuali sono sorte dallo svolgersi della violenza a benefizio di piccoli gruppi, e si fondano ancora tutt’oggi sulla forza. Perciò, quello che generalmente si considera come il bene pubblico e lo scopo dello Stato non è altro se non lo scopo personale e politico dei dirigenti.
        Ma una terza dottrina, sorta con a capo Emanuele Kant, il gran padre della filosofia moderna, anche più giustamente afferma che il diritto deve derivare dalla ragione, e che se il diritto positivo diverge dalla ragione, il diritto positivo rappresenta la legalità, il diritto razionale rappresenta il giusto assoluto; l’uno è relativo, variabile e particolare, l’altro, essendo un prodotto della ragione, è necessario ed universale.
        Perciò il diritto positivo vigente deve tendere a riformarsi secondo il diritto razionale, il quale è il modello che ci permette di valutare gl’istituti giuridici, i quali sono da approvarsi solo se ad esso sono conformi. Una sola obiezione, ma d’importanza capitale, potrebbe, penso, rivolgersi al sistema Kantiano: Esiste una ragione assoluta alla quale modellarsi? O piuttosto, come osservava il buon Manzoni, la ragione ed il torto non si dividono mai con un taglio netto, tanto che spesso un po’ si confondono insieme? Sulla medesima quistione, grandi filosofi e ragionatori spesso la pensano in modo diverso; ed allora quale opinione la ragione ed il diritto debbono seguire? Certo è però che se una ragione assoluta esistesse, il diritto positivo ad essa dovrebbe uniformarsi. Ma pur non esistendo talora una ragione assoluta, è certo che esiste una ragione relativa, che è rappresentata dall’opinione comune del maggior numero degli uomini saggi e dabbene e specialmente dei grandi filosofi e giuristi, i quali potranno divergere su punti particolari, ma facilmente si accorderanno su norme generali.
        A me sembra che la grande concezione Kantiana del razionalismo possa in se comprendere la scuola storica e quella del diritto naturale dianzi accennate, poichè il diritto positivo, per essere razionale, certo non dovrebbe prescindere dal tenere in gran conto le esistenze e le condizioni storiche delle società umane, perchè un diritto che a tali esigenze e condizioni non si adattasse sarebbe irrazionale e non razionale. — Un’altra importante dottrina è quella dell’ utilitarismo, propugnata da Hobbes, Smith, Bentham e Stuart Mill, i quali affermano che il diritto deve derivare dall’utilità; ebbene il sistema del Kant comprende in sè anche l’utilitarismo, perchè non può essere razionale ciò che non è utile. Quindi, tutte le diverse concezioni umane, e non teogoniche, del diritto, convergono nel grande sistema razionale Kantiano, che apportò una giusta rivoluzione in tutto il campo filosofico. Siccome, dunque, la ragione ci avverte che l’ordinamento giuridico-economico vigente spesso non è giusto, così deve essere trasformato e riformato secondo i principii di giustizia che la retta ragione consiglia.

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