Studi Sociali e Giuridici - Tommaso Mario Pavese

3. — Opinioni di filosofi e di giuristi

         Molti filosofi, pur riconoscendo giustamente l’esigenza ideale dell’ indissolubilità del matrimonio, ammettono la necessità pratica del divorzio: tra essi Hegel e Trendelenburg. Hegel dice: Il matrimonio deve considerarsi in se stesso indissolubile; però ha in sè la possibilità di sciogliersi, e le leggi debbono rendere difficilissima questa possibilità.
         Il Trendelenburg dice che il matrimonio è di natura indissolubile, e che la sua forza etica riposa soltanto su questo presupposto. Ammette però anch’egli alcuni casi assai ristretti di divorzio, e stabilisce questo principio: in generale, la legge deve provvedere a cio, che solo il male che una parte fa all’altra, e non il male che le viene per caso, possa sciogliere il matrimonio. Kant, pur riconoscendo l’indissolubilità del matrimonio, lo definisce: Il legame di due persone di diverso sesso, per lo scambievole possesso per tutta la vita delle loro facoltà sessuali. Da questa definizione dovrebbe dedursi che, venute meno le facoltà sessuali, il matrimonio non ha più ragione giustificativa per essere indissolubile. In verità, qui, Kant appare troppo materialista.
         Ahrens considera l’indissolubilità del matrimonio come un ideale che non si attua compiutamente nel fatto. Il Miraglia dice che l’ideale del matrimonio esige l’indissolubilità, ma l’assoluto è sempre in alto e il relativo in basso. Bene si esprime anche il Gioberti: «L’amore è di sua natura indissolubile e perpetuo». L’idea dell’unità, dell’esclusione, dell’indissoluhilità è inseparabile dall’ idea e dal sentimento del vero amore.
         Chi lo nega non ha mai amato. Il coniugio è armonia, e il divorzio è la poligamia sono conflitti, disunioni, discordanze. L’amore tende all’ eterno, ed è un senso che ha dell’immanente. Ti amerò sempre, in etterno; il mio amore non cesserà che per morte, è l’espressione naturale dell’ amore. Il divorzio adunque si oppone alla natura dell’amore, non meno che la poligamia e la poliandria. Vero è che il cuore umano e incostante; ma questo è vizio da frenare, non da allargargli la mano. E ciò fa il coniugio. E l’incostanza e vinta dalla santità del vero amore. Vero è pure che, quando il coniugio è fatto dal capriccio, dall’interesse, dal caso, dalla prepotenza, non dal vero amore, il divorzio può parere un minor male e quasi una necessità, ma non si deve imputare alla natura il difetto degli uomini. L’unità e l’indissolubilità unite insieme formano l’armonia dialettica del coniugio.
         La poligamia e il divorzio sono la sofistica. Il primo è una venere vaga, il secondo un adulterio palliato». Da alcune parole del Gioberti sembra che egli giustamente ammetta talora la necessità pratica del divorzio, il quale teoricamente va sempre respinto. — Il Rosmini dice: Il matrimonio è l’unione dell’uomo e della donna in tutta la sua pienezza; ora l’unione non sarebbe piena, se non fosse indissolubile; dunque l’indissolubilità procede dalla natura del matrimonio. Al Rosmini, che unicamente si esprime in termini così recisi ed assoluti, può obiettarsi che, solo finchè durano la concordia e l’amore fra i coniugi, la loro unione è piena; ma se manca questo, non è e non può esser mai piena la loro unione.
         Accennato così alle opinioni dei principali filosofi, quasi concordemente favorevoli al divorzio, in date gravi circostanze, esaminiamo anche brevemente che pensano i giuristi, in proposito. Il congresso giuridico di Firenze, seguendo un ordine del giorno proposto dal Villa, nel 1891, espresse il voto che si riconoscesse per legge la giuridica necessità del divorzio, nei soli casi nei quali lo stato matrimoniale dei coniugi fosse divenuto moralmente e materialmente impossibile, salvo il concetto generale dell’indissolubilità del vincolo coniugale. L’ Ulrici accetta il divorzio. Il Filomusi-Gueifi, nella sua Enciclopedia giuridica, lo combatte assolutamente, quasi sempre ripetondo che l’ideale del matrimonio è l’indissolubilità, e che il coniugio deve sempre mantenersi, ancorchè, per far ciò, occorra sacrificarsi.
         A tale teoria — seguita anche dal Lilla, già professore nell’ Università di Messina — può, con fondamento logico, obiettarsi che la vita pratica, non quella esclusivamente ideale, deve dettare le norme giuridiche, e che il sacrifizio non va imposto coattivamente per legge, ma deve spontaneamente abbracciarsi, altrimenti non ha nè merito, nè valore. Tra i migliori, in Italia, hanno scritto contro il divorzio anche Salandra, Gabba, Gianturco, Chironi, Simoncelli, Polacco e Fusco. Ne hanno scritto a favore molti del congresso giuridico di Firenze, nonchè Fiore, Sechi i Colaianni, Cimbali, e Ferri, che lo crede adatto a diminuire la delinquenza, oltre a Villa. Berenini, Borciani, Cocco-Ortu e Zanardelli, che ne furono o sono tanto entusiasti, da farsene promotori di progetti ministeriali e parlamentari. Infatti, fra i progetti italiani presentati alla Camera pel divorzio, vi è il progetto ministeriale Villa del 1881, che ebbe una relazione parlamentare favorevole; un altro progetto di iniziativa parlamentare fu presentato anche dal Villa nel 1893; un altro dai deputati Berenini e Borciani nel 1901; dai ministri Zanardelli e Cocco-Ortu nel 1902, ai quali la maggioranza, negli ufficii della Camera e della Commissione parlamentare, si mostrò contraria.
         Vari altri successivi progetti di divorzio non Vanno neppur essi ottenuto voto favorevole.

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