"Vestige di Roma in Vallata e nel suo territorio" di Don Arturo Saponara

Sac. D. Arturo Saponara


Vestige di Roma in Vallata
e nel suo territorio




Avellino — Tipografia Pergola

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        Iannacchini, nel Capitolo su Vallata( Top. stor. dell'Irp. vol. III) così scrive: « Niente di monumentale o di antico ho trovato segnato intorno a questa contrada ». L'Avvocato Tommaso Mario Pavese è dello stesso avviso, e si esprime diluendo il medesimo concetto: « Nulla di monumentale o di antico vi si trova ora, nè si hanno accenni degli storici in proposito » (Scritti vari).
        Vallata, adunque, pensa il lettore, non ha origini remote.
        Il suo territorio non ebbe, non ha importanza storica...
        Così si è creduto. Anche domani si crederebbe così se la evidenza non diventasse di pubblica ragione.
        L'indolenza, nel corso dei secoli, ha impedito ai Vallatesi ogni utile e proficua ricerca. L'ignoranza, non ha fatto valutare i casuali rinvenimenti archeologici, dei quali, gli storici non ebbero mai notizia. La medesima, pel bisogno di pietre da murare, ha fatto spezzare dal martello del muratore la statua di pietra d'un guerriero Romano, detta dal popolo San Maggiano e molti cippi sepolcrali dell'era pagana e di storico interesse: ne abbiamo un esempio nella lapide dei Messia e nel frammento d'altro cippo a forma di baule recanti pochi segni grafici, che io notai nell'area dello scomparso casale di S. Lucia, in quel di Treviso; presso il quale nel 1947, si rinvennero molti scheletri « ventre a terra » forse perchè Saraceni.
        La brama di guadagno, pur irrisorio, ha fatto vendere ad antiquarii e speculatori girovaghi, per vilissimo compenso, pezzi archeologici di valore. Se si fossero valutati e conservati i vasi lacrimatorî, le lucerne fittili — talvolta di rara bellezza — gl'idoli di terracotta e di bronzo, le lapidi — anche se frammentarie — le anfore, i cippi, i capitelli ed altre pietre scolpite, le innumerevoli mo-nete di bronzo, spesso d'argento, talvolta di oro, e le armi rinvenute nel nostro agro, Vallata avrebbe oggi il suo piccolo museo. Basti dire che, in poco più di vent'anni, da solo, son riuscito a scoprire non poco materiale archeologico.
        Ciò premesso, ammetto il silenzio degli storici — incolpevole, perchè dovuto alla mancanza di informazioni da parte dei nostri Avi —, ma nego nel modo più assoluto la carenza di oggetti e monumenti antichi in Vallata e nel suo territorio e, senz’altro, passo a dimostrarlo.
        Nel soccorpo della Chiesa parrocchiale — dedicata all'Apostolo San Bartolomeo — nel basamento d'un pilastro è murato un magnifico cippo sepolcrale a quattro facce, dell’altezza di m. 1,35, comprese le cornici e la cimasa, e della larghezza di cm. 43.
        Densi strati di latte di calce ne coprivano interamente l'epigrafe, quando io la sospettai tale. Durai fatica a liberarnela, servendomi d'un grosso raschino da indoratore e d'una spazzola di duro vegetale; la cimasa la scoprii più tardi, con lo scalpello. L'epigrafe è la seguente:

D ♦ M ♦
ACCANIAE ♦
FIRMINAE
C. CAECILIUS
FELIX ♦ CUM ♦
QUA VIXIT AN
NIS XXIII ♦ SINE
QUERELLA ♦
COIUGI INCO
NPARABILI
BENEMEREN
TI ♦ FECIT ♦

        In questa epigrafe, tra i segni grafici, si notano ben nove cuori.
        Quanta affettuosità!
        Del cippo è visibile la sola faccia anteriore: la forma, la cimasa e gli scandagli eseguiti ci assicurano che, ha quattro facce.
        Doveva formare un bel monumentino. Si levava, su almeno due file di gradini quadrangolari.
        Il 29 luglio 1932, tra le macerie della Cappella di S. Maria di Montevergine, nella via omonima, una volta extra moenia, s'invenne un cippo sepolcrale a forma di baule (in tutto simile a quello di Taverna delle Noci, dei quale si occupò il Momsen grazie alla segnalazione del colto Canonico Calabrese di Trevico) lungo m. 1,44x1,18 di circonferenza, con questa epigrafe:

D. M.
C. FANNI
OC JOVI
MIANO

        Rotolato nel letto del vicino torrentello Acqua del Medico, questo cippo fu portato via poco dopo dalle acque d'un nubifragio. Pare che giaccia in un piccolo gorgo, nel podere degli eredi del Colonnello Pelosi.
        Dato il peso considerevole e il volume rilevante, questi due cippi, assai difficilmente si sarebbero potuti trasportar da lontano, nè valeva la pena di trasportarli, per poi Collocarli nelle murature, come pietre qualsiasi. Sono, quindi, indiscutibilmente indigeni.
        Altra lapide scoprii nello stesso anno, in un muro, presso il Mercato, all'imbocco della scorciatoia di Trevico. Logora per l'età e le intemperie; mutilata, imbrattata di latte di calce e di cemento, illeggibile ne era l'epigrafe; ma dopo lungo, paziente lavoro riuscii a decifrarla:

.... D.
(M)ESSIAE FORT
UNATAE MESSIA
SECUNDINA MA
TER F. S. DULCIS.

        Essendosi di lì a poco demolito quel muro, la lapide mi fu offerta, ed è presso di me. Potei così studiarla e farne il ricalco. E' un informe frammento di un cippo a baule, evidentemente delle medesime proporzioni di quello dei Fannii su descritto. Si vede chiaramente che, un muratore lo spezzò per murare agevolmente.
        Questa epigrafe ricorda la ben nota famiglia Messia. « Messi clarum genus osci » (Horat. Lib. I. Sat. V. v. 34) nominativo frequente in questa plaga. Infatti, a Taverna delle Noci, sul cippo a baule, si legge:

D. M. = PLATORIAE = CASTAE = Q. MESSIUS GEMINUS = CON. B. M. F.; e a Frigento: D. M. = PIAE TORTAE = CASTAE = C. MESSIUS = CON. B. M. F.

        Nella seconda metà del secolo decorso in contrada Maggiano, durante l'aratura d'un campo, fu scoperta una grande statua Romana, in pietra. Rappresentava un guerriero: Traiano, ritennero i nostri vecchi; ma, non resero nota la scoperta a mezzo della stampa. Trasportata in Vallata con un carro, per interessamento del Sig. Francesco Netta (+ 14-8-1880) fu collocata in un piazzale, alle spalle dell'ex Palazzo Ducale, ove offrì un ottimo bersaglio alle sassaiole dei monelli che la danneggiarono fortemente. Il popolo la denominò San Maggiano, dal luogo del suo rinvenimento. E' frequente, ancor oggi, in Vallata, l'esclamazione: « Che Santu Masciano! » che si riferisce a persona tozza e grossolana. Fu spezzata dai muratori per farne pietre.
        Recentemente, nella medesima contrada, e precisamente nella località detta Serra Martina, si sono scoperti vari resti umani, in tombe di cotto (chiancole) molte lampade fittili di discreta fattura, nonchè un cippo a baule con l'epigrafe:

D. M.
FONTEIO C.
RESIMO FON
TEIUS FIRMUS
P. F. G. F.

        Si noti che, questa non è l'unica iscrizione di questi luoghi, ricordante un Fonteio. Nel contiguo agro di Scampitella che, nel 1948, ottenne l'indipendenza, staccandosi dalla materna Trevico, se ne scoprì un'altra ricordata da Iannacchini:

D. M. = FONTEIO MARC = ELLINO FONTE = IO IANUARIA FI = LIO DULCISSI - MO B. M. F.

        Nel 1953, tale cippo, da me precedentemente studiato fu, dal suo padrone - certo M. De Salvatore - collocato in un muro, e l'epigrafe non è oggi più visibile!
        La località in cui dette cose furono rinvenute, sulla sinistra del Calaggio, merita di essere esplorata; interessa l'archeologia. Vi passava con certezza una via Romana.
        Tutti questi monumenti funerarii ci dicono che, il territorio di Vallata fu abitato, o per lo meno frequentato da cospicue famiglie Romane patrizie, quali i Cecilii, i Messia, i Fontei; infine i Fanni, che pur essendo d'origine plebea, vantano personaggi illustri, tra cui un C. Fannio. Console nel 122 a. C.; ed appartengono all'era pagana, come ci accertano le iniziali puntate: D. M. (Diis Manibus = agli Dei Mani).
        Se il Momsen ne avesse avuto contezza, non avrebbe esitato a catalogarne le epigrafi nel suo « Corpus inscriptionum latinarum ».
        Non posso tacere d'altri frammenti epigrafici. Uno di esso fu rinvenuto dal Colonnello Ippolito Laurelli nel 1953, presso gli avanzi della Torre dell'antico Castello:

... M
V IDII M
DI SAC

        L'altro fu da me scoperto l'anno prima, nella Chiesa parrocchiale, nel vano che mette in comunicazione la Cappella di S. Michele con quella di S. Antonio di Padova:

I. A. X. X. T.O.

dalla grafia profonda e d'uno stile che non si riscontra in nessuna lapide della Regione. E ancora: SEBASTIANUS REULUS F. F. A. si legge nel massiccio architrave d'una porta, con uno sgorbio che vorrebbe essere un « 87 » inciso recentemente da mano profana.
        Nè posso tacere delle statuette, delle sculture in pietra, dei vasi giganteschi di terracotta, venuti alla luce nel territorio Vallatese.
        Le due cariatidi dell'artistico portale di S. Maria la Nova (Madonna della Grazia) a giudizio della Sig.na Romano della Sovrintendenza d'Arte Mediovale e Moderna di Napoli, sarebbero dell'era pagana. E d'un tempio gentile dev'essere avanzo il bel capitello corinzio a tre facce, in cui un ingegnere napoletano notò « un certo che di Pompeiano » Questo capitello, da me scoperto nel pie-trame del Lamione della Chiesa, cioè di quel voltone che s'alza sulla via Luigi Antonini (già via Piazza di Sotto) e forma il passaggio all'ingresso principale della Chiesa parrocchiale. Esso fu demolito dietro mie continue insistenze, perchè collabente e pericoloso per la pubblica incolumità, nel 1954, e ricostruito immediatamente in mattoni, dal Genio Civile di Avellino, coi fondi della Cassa del Mezzogiorno.
        Farò pur menzione dell'antichissima maschera in pietra, rappresentante forse un Fauno, murato su uno dei portali di destra di via Triunfi; della pregevole statuetta in bronzo di Athena (Minerva) dell'altezza di 85 mm. rinvenuta in contrada Padula, sul cadere del secolo decorso bellissimo idoletto — e delle due belle, se non fini terrecotte — senza dubbio due Dee — dell'altezza di 25 cm. scoperte insieme a minuscoli vasi, in altra località.
        Grosse anfore Romane, di forma e consistenza varia si son trovate in contrada Padula, al Piano delle Rose, e in altri luoghi; perfino sul monte che è a cavaliere dell'abitato — durante i lavori di rimboschimento —(1953) in località alpestre e remota.
        Anche in altre contrade si son trovati cocci d'anfore non solo gigantesche, ma anche minuscole e delicate, dalle forme più varie, talvolta colorate in rosso. A Macchialvino, sul poggio che fronteggia Villa Tullio, la lor quantità è così notevole che fa pensare a una fabbrica di terracotte.
        Ovunque poi tombe di grossi mattoni. Ricorderò la piccola necropoli di Piano delle Rose (fondo di Raffaele Gradone) e quella di Mezzana Perazze, ove Angelo Quaglia scoprì, in tombe accurate, scheletri in ottimo stato di conservazione, con accanto svariati utensili di terracotta, spilloni metallici — certamente ornamenti muliebri — ed altri oggettivi che furono gettati via, perchè giudicati inutili da persona che avrebbe dovuto conoscerne il pregio!
        Che dir poi delle monete di rame e d'argento, anche di tempi remoti? Rari, a quel che io sappia, gli esemplari oschi; frequenti quelli d'argento della Magnagrecia (bellissima testa muliebre greca, in bel rilievo, che ha nel rovescio il toro dal volto umano dalla lunga barba, sorvolato dalla Vittoria alata (io ne ho visto ben tre dello stesso tipo, con l'istessa testa, avente leggere varianti); frequentissime le monete Romane di rame e d'argento.
        Dell'era Repubblicana citerò: la testa galeata della Dea Roma, in argento, avente nel rovescio la biga in corsa col suo auriga e l'iscrizione C. CATO ROMA, e il pezzo molto ben conservato, parimenti d'argento, con la bellissima Dea Roma nel lato diritto, la biga e l'iscrizione SAFRA ROMA nel rovescio. Noto in questa iscrizione che la S è di stile differente dalle altre lettere, per cui io la interpreto in questo modo: S (Stellion) AFRA (Afranius) ROMA.
        Non rari i pezzi di rame DIVUS AUGUSTUS PATER, nel cui rovescio è coniata una matrona che fila, tra le lettere S. e C. (Senatus Consulto). Citerò due rari argenti con bei rilievi: A. VITELLIUS.... IMPERATOR PONTIFEX MAXIMUS, avente nel rovescio due mani intrecciate in rilievo con la dicitura CONCORDIA EXERCITUM, e la testa laureata DIVO NIGRINIANO, avente a tergo il forte rilievo d'un cavallo in corsa col suo cavaliere e la parola CONSECRATIO, moneta postuma che ricorda la divinizzazione del personaggio fatta dal Successore.
        Tra gli altri bronzi imperiali ricorderò: IMP. LICINIUS AUG. ed Antonino Pio, dall'orlo martoriato da strumenti agricoli e l'iscrizione pressocehè distrutta... Nell'insieme da l'idea d'un medaglioncino. Nel rovescio ha una figura muliebre ritta ed S. C (Senatus Consulto).
        Trovo poi, nella libreria Colella un medagliere in legno, vuoto, con ancora i cartelli recanti le iscrizioni delle interessanti monete che contenne, rinvenute nel nostro agro tra il '700 e il '900: HERCULES, DEA TEMPESTA, MARCIA OTACILIA SEVERA Philippi Seniorìs Uxor et Junioris Mater, MARCUS AURELIUS PROBUS, IMP. MARCUS AURELIUS CLAUDIUS et ejus frater Quintilius, IMP. LUCIUS VERUS et ejus uxor Lucilla....
        Ce n'è abbastanza per giudicare irragionevoli e infondate le asserzioni di Iannacchini e di Tommaso Mario Pavese? E di quanto sostengo posso esibire documentazioni e prove! Ma non è tutto! Se il cippo dei Fannii, la statua di pietra d'un guerriero e, forse d'un Imperatore Romano, i sepolcri, le innumerevoli lampade e i vasi venuti alla luce in contrada Maggiano rivelano l'esistenza d'una via Romana attraverso le nostre valli, i moltissimi pezzi di anfore antiche, i copiosi avanzi di murature, l'idoletto di bronzo, le tombe della contrada Padula indicano l'esistenza di un pagus in quel luogo.
        « In contrada Padula - mi diceva mia madre mezzo secolo fa - ci doveva essere un paese ». L'aveva, a sua volta, udito dire da'suoi, i quali, essendo possessori di parte di quella zona, l'arguivano dai molti resti di murature, dalle condutture di acqua, dalla posizione soleggiata, ben arieggiata, pianeggiante e in piena valle, ricca di pascoli e di minuscole sorgenti d'acqua: un e Vicus ad Vallem » (Vallata orignaria?)
        La contrada Padula meritava d'esser studiata, circa due secoli fa, per lo meno, allorchè vi si praticarono i primi scassi per piantarvi le viti. Vennero allora alla luce, nel mio terreno avito e in quello limitrofo dell'Arcìpretura (a sinistra della strada Nazionale N. 91 - Val di Sele -guardando il Formicoso, e dove questa forma un rettilineo) tombe di grossi mattoni. misuranti cm. 50x50, armi, monete, murature, vasi grandi e piccini. In seguito, durante i lavori agricoli, emersero, in quel sito, e più volte di mano in mano che il terreno s'abbassava, molti avanzi di muri, che furono di volta in volta demoliti parzialmente, cioè solo quel tanto ch'era necessario per l'aratura. Mio fratello Ruggiero notò, anni or sono, fra l'altro, le fondamenta d'un importante edificio diviso in molti piccoli vani. Il colono G. Magaletta poi, nel rigidissimo inverno del 1956, avendo lavorato a zappa il terreno arcipretale (malandato per un decennio e mezzo d'aratura con aratri primitivi, detti comunemente « perticare ») ha pressoché eliminate le residuali murature, trasportandone altrove il pietrame.
        Vennero fuori: una tomba di mattoni cm 50x50, contenenti logori resti di ossa umane, una lampada a mano di terracotta di squisita fattura, già precedentemente mutilata, avente al centro, nella parte superiore, un bellissimo ariete, contornato da piccoli rosoni multiformi, intercalati da foglie, nonché dei basamenti di pilastri misuranti m. 1x1,15.
        Il 16 giugno 1956 ne visitai la località. Osservai minutamente il terreno. V'erano, dappertutto, innumerevoli frammenti di cotto. Alcuni di essi attirarono la mia attenzione. Ritenni elle fossero reliquie di massicce, gigantesche anfore. Osservai poi le pietre ricavate dalle murature disfatte, o raccolte nel terreno e... tra queste, con meraviglia e soddisfazione notai grossi frammenti di anfore, granarie e vinarie differenti per formato, per mole, per impasto, per colore, per qualità, per lavoro... per cottura. Son brani di vasi pesantissimi, poiché l'orifizio di alcuni raggiunge i 12 centimetri di spessore: ben otto tipi!
        Altro tipo di anfora, fu scoperto da un mio colono, nel terreno avito su menzionato. Affatto diverso dagli altri, poteva avere la capacità di 30 o 35 litri. Era di terracotta biancastra, fine, quasi pastosa al tatto, come argilla disseccata. Sottilissimo, finì in cocci perché si tentò di liberarlo dal terreno disseccato dalla caldura estiva (era il luglio 1928) e non s'ebbe la pazienza e la prudenza di rimandarne l'estrazione ad autunno inoltrato, dopo le prime abbondanti piogge. Conteneva... vari litri d'acqua. Il colono s'aspettava ben altro!
        Come ben si nota, è per me doveroso ringraziare la Provvidenza, per avermi favorito nelle ricerche e nelle scoperte casuali che accertano in quella località l'esistenza d'un « pagus » o « vicus » e ce ne indicano l'area approssimativa.
        Il « pagus » era abitato non solo (la pastori, mandriani e contadini: la fine ed artistica lampada portatile rinvenutavi, la non trascurabile quantità di grandi vasi, l'edificio dalle numerose camerette ci fanno pensare a una villa signorile provvista fra lo l'altro, di frumento e d'una «cella vinaria » Nel contempo i grandi vasi a fondo conico, ci fanno immaginare l'esistenza di una « taberna » o bottega, ricordata - forse per tradizionale imitazione - dal classico tipo di negozio Romano, ammirato fino a qualche anno fa, non solo nelle vie antiche di Vallata( ma anche in rioni sorti nel XVIII secolo - « extra moenia » - Ne ricordo ben sette esemplari, ma di essi non ne rimane che uno, in Via Sotto Corte.
        Il villaggio comunicava col Vallone di Chiusano, quindi con l'Ufita nascente, mediante una mulattiera, il cui tracciato è ben identificabile, perchè ce ne rimane ancora qualche tratto. Altra mulattiera doveva certamente condurre al Calaggio, passando o pel fondo del padule, e per Casino, o per Sferracavallo.
        Speriamo che, il materiale archeologico raccolto e le località su descritte vengano studiate da competenti della Sovrintendenza agli Scavi della Campania, per conoscere l'epoca in cui il territorio di Vallata fu primieramente popolato e da chi.
        Roma vi ha lasciato vestigi indiscutibili, ma non è da escludersi che esso abbia la sua pagina preromana!

Arc. D. Arturo Saponara.               

                                                      J. M. J
        Nihil obstat quosinius imprimatur
        S. Ageli de Lombardis die XVIII Martii 1957

                                     Canonicus Vincentius Gallicchio
                                                    Vicarius Generalis

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