GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - e) Unità nella collegialità... sempre da costruire

e) Unità nella collegialità... sempre da costruire
__________________________________________

        Il n° 23 della LG, rifacendosi a S. Cipriano, afferma chiaramente, dopo aver richiamato l'unità della Chiesa universale con il Romano Pontefice, che "i vescovi, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e per le quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica..." concludendo con un invito a conservare la varietà delle tradizioni e attuali possibilità della collegialità: "Questa varietà di Chiese locali, fra loro concordi, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa".
        Una indivisibilità sempre da costruire sia nella collegialità dei vescovi col Pontefice, sia nella collegialità dei presbiteri col vescovo.
        La prima ha avuto un inizio "faticoso" già nella formulazione del testo conciliare fra Padri aperti allo evangelicamente nuovo e i nostalgici del Vaticano I, che privilegiavano il radicalmente autoritario, tanto che qualche espressione (forse entrata, a dir di qualcuno, addirittura "di soppiatto"!) si presta ad interpretazioni ambigue, che mascherano i problemi, celando l'urgenza della questione del quadro con tensioni irrisolte. Del resto, è noto che il cammino della collegialità è "in salita".
        La seconda, del Vescovo con Presbiterio, non ha un cammino più facile, sia per quanto riguarda il Sacerdozio ministeriale, che per quello comune ai fedeli.
        In occasione della venuta del nuovo Pastore in diocesi, il solito Zino ha pubblicato sul settimanale provinciale "Il Ponte" del 10/2/1990, un articolo che si riporta qui integralmente, per un eventuale, fraterno confronto.
        E' doveroso precisare al lettore che il titolo da lui dato era: "Presbitero e Vescovo nella Chiesa locale. Dov'è il Vescovo là è la Chiesa o dov'è la Chiesa là è il Vescovo?"
        La redazione, senz'altro per un suo diritto, ma anche per non correre il rischio di un nuovo richiamo "autoritario", ha cambiato il titolo così: "Nella ecclesiologia del Vaticano II = dov'è il Vescovo là è la Chiesa, dov'è la Chiesa là è il Vescovo."
        Anche un bambino può capire che l'eliminazione di quel ... punto interrogativo, ha annullato il significato provocatorio della domanda. Cose che... capitano!
        Nella ecclesiologia del Vaticano II, il Presbitero è presente come l'uomo della comunità, che agisce "in persona Christi capitis" a servizio della stessa, quale membro del Popolo di Dio, fratello tra fratelli, amico tra amici, "per consacrarsi interamente all'opera per la quale lo ha assunto il Signore... " (PO 3).
        Per essere fedeli a questa missione è necessario condividere "gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono... " (GS 1), con le loro specifiche attese di liberazione e di salvezza; interpretare tutte le parole nuove che Dio scrive nella storia; percorrere con tutti gli altri il duro cammino della vita, per renderla più umana e più giusta per tutti.

        E' meraviglioso vivere il sacerdozio in questa solidarietà di condivisione con tutta l'umanità in cammino verso la salvezza- liberazione: ci rende più vicini a gli uomini, più umili, meno isolati, sollecitandoci a debellare ogni residuo di orgoglio, superiorità, dominio, paternalismo o clericalismo... La sferzante pagina evangelica di Mt 23 può aiutarci a essere più ù veri, più autentici, più liberi... in piena disponibilità all'azione dello Spirito. Questa capacità di consonanza con tutta la famiglia umana, esige anzitutto la presenza in noi di alcune fondamentali virtù umane, ricordate dal Concilio: "... bontà, sincerità, coerenza, fermezza d'animo, costanza, giustizia, gentilezza... " e non si può dire che noi preti eccelliamo in queste virtù umane, pur avendo nel laicato frequenti esempi di persone che vivono con carica profetica la logica dell'incarnazione...
        Certo, ben sappiamo che per capire gli uomini del nostro tempo, non basta immergersi nel fondo della situazione: dobbiamo immergerci anche nel fondo della santità... servi gli uni degli altri nella comunità ecclesiale e nel mondo intero, facendoci "tutto a tutti".
        In tale prospettiva si può capire meglio il nesso strettissimo che intercorre fra Presbiterato ed Episcopato, con la conseguente relazione fra Sacerdozio presbiterale e Sacerdozio episcopale. La Presbyterorum Ordinis al n° 7 mette a fuoco questo legame: "Tutti i Presbiteri, insieme con i Vescovi, partecipano in tal grado dello stesso e unico Sacerdozio, e Ministero di Cristo, che la stessa unità di Consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei Presbiteri con l'Ordine dei Vescovi... uniti al loro Vescovo in sincera carità e obbedienza...". "come corde alla cetra", suggerisce S. Ignazio di Antochia.
        Il Concilio sapientemente rileva poi che "l'unione trai Preti e i Vescovi è particolarmente necessaria ai nostri giorni, dato che oggi, per diversi motivi, le imprese apostoliche debbono rivestire non solo forme molteplici, ma anche trascendere i limiti di una Parrocchia e di una Diocesi".
        Successivamente la riflessione teologica ha focalizzato il pensiero, precisando che fondamento di questa relazione è l'unità di consacrazione e di missione, non puramente giuridica ma sacramentale.

        Non può essere quindi, come si riteneva nel passato, un rapporto sovraggiunto a lo "essere sacerdotale", ma un rapporto inscritto nella definizione stessa di prete, come si può desumere dalla Lumen Gentium, dove spesso Vescovo e Sacerdote si identificano, per cui quando si parla di sacerdozio ministeriale, ci si può chiedere: si tratta del Presbitero o del Vescovo? E si scopre che si tratta di ambedue.
        Del resto, una nota al n° 4 della PO dice esplicitamente :"Ciò che è stato detto dei Vescovi può ritenersi vero e valido per i Presbiteri" e la LG al n° 28 afferma: "Nelle singole comunità locali dei fedeli, i Presbiteri rendono in un certo modo presente il Vescovo", non tanto su un piano individuale, da persona a persona, quanto in rapporto di collegialità, non solo dell'Episcopato ma anche del Presbiterato, come spesso viene sottolineato anche altrove, sulla scorta di antichi testi liturgici e patristici.

        La Chiesa è mistero di comunione "a tutti i livelli", non solo nella realtà più profonda, quella interiore, come ebbi modo di evidenziare in un mio precedente articolo, ma anche nella sua struttura esteriore, sotto l'azione dello Spirito Santo, che parla nelle Scritture, viene offerto nell'Eucarestia e si esprime nei carismi.
        Pertanto Papa, Vescovo e Presbitero non sono princìpi primi dell'unità, ma sono soltanto segni e strumenti di unità (Cfr J. Ratzinger in Introduzione al Cristianesimo, pag. 286). Di conseguenza, sia il Presbitero che il Vescovo, pur essendo incardinati in una Diocesi "particolare", non possono dimenticare la dimensione universale del loro Sacerdozio ma, come corresponsabili della Chiesa universale, debbono farsi carico di tutta la Chiesa e del mondo intero. Il Concilio, senza mezzi termini afferma: "nelle singole comunità locali dei fedeli, i Presbiteri rendono, per così dire, visibile la Chiesa universale" (LG 28).

        Ora proprio perché il Presbiterato è sacramentalmente unito all'Episcopato, ne deriva una esigenza insopprimibile di reciprocità e di collaborazione dell'Ordo Presbyterorum con l'Ordo Episcoporum e, in particolare, col Vescovo locale, a servizio della comunità, nel ministero della Parola, nella celebrazione dei Sacramenti e in tutta l'attività pastorale.
        Nella Chiesa pertanto, l'obbedienza è l'espressione di questa "relatività sacramentale" del Presbiterato all'Episcopato, e dell'Episcopato al Papa. Precisiamo però, come osserva il Card. Garrone in "I sacerdoti nel pensiero del Vaticano II" (U.A.C. Roma, 1966, Pag 39) che "questo legame deve essere concepito più in termini di comunione che di dipendenza".
        Proprio per questo, il decreto PO ha inteso chiarire meglio il pensiero della LG; questa afferma: "Il Vescovo consideri i sacerdoti come figli e amici" (LG 28); quello a sua volta afferma: "i Vescovi abbiano i Presbiteri come fratelli e amici" (PO 7). Gioco di parole o esigenza di autenticità? Per prevenire ogni ambiguità, la puntualizzazione dovrebbe aiutare a superare "un certo disagio" avvertito di fronte ad alcuni interventi dell'autorità, con conseguente sfiducia nei suoi confronti.

        Di qui l'esigenza di una rinnovata simpatia per l'autorità della Chiesa, con cui stabilire, nella luce della fede, un dialogo (che non sia monologo né dall'alto verso il basso, né dal basso verso l'alto) più fraterno, più cordiale, più sincero e più frequente, per prevenire anche il solo sospetto di ipocrisia o di servilismo.
        L'ideale sarebbe che l'autorità, in una relazione permanente di dialogo, di ricerca, di verifica con la comunità, avvertisse profondamente e vivamente l'esigenza di interpretare la volontà di Dio su ogni singolo soggetto, l'appello unico e irripetibile che lo Spirito rivolge a ciascuno, così che ognuno possa realizzare la sua specifica vocazione, sviluppando la sua genialità e i suoi carismi.
        Certo, l'unica autorità in senso vero, assoluto e incontestabile nella Chiesa, è quella di Cristo e del Suo Spirito. Lui è il "Pastore eterno", il "Vescovo delle nostre anime", lo "Arcipastore o Sommo Sacerdote" (I Pt 2,25; 5,4). Noi (Papa, Vescovi e Sacerdoti) siamo i segni che visibilizzano questa "Auctoritas Christi", siamo i "Vicari dell'amore di Cristo", per esercitare un'autorità che è servizio di amore "Officium Amoris" (S. Agostino).
        Alla base di questo servizio non possono mancare alcune caratteristiche fondamentali: intelligenza, intraprendenza e pazienza.
        Nell'ansia di rinnovamento e di libertà, che percorre oggi l'umanità, il pastore (Prete o Vescovo che sia) deve caratterizzarsi per la sua intelligenza cristiana degli eventi, con una specifica abilità nel cogliere le autentiche attese e proposte, che lo Spirito va sussurrando alla Sua Chiesa in cammino nel mondo. Con la sua carica profetica deve saper leggere la storia con l'occhio di Dio, per coglierne con prontezza e chiarezza le sollecitazioni.

        Saper discernere i segni dei tempi, ovunque si manifestino: anche al di là della comunità cristiana, anche al di fuori dell'istituzione ecclesiastica, anche oltre gli schemi abituali con umiltà e simpatia critica (Card. Suhard). La LG al n° 26, dopo aver descritto la trasformazione profonda e radicale, che è in atto oggi nel mondo, conclude: "Lo Spirito di Dio che, con mirabile provvidenza, dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione ".
        Per valutare poi l'autenticità delle proprie intuizioni carismatiche è necessario compiere una costante verifica con tutti i membri della comunità ecclesiale, confrontandosi con la Parola di Dio. Ogni Pastore d'anime, lasciandosi guidare dallo Spirito, deve acquisire sempre più quella caratteristica fondamentale, propria del pastore: il vero pastore, anche nel deserto, dove il vento cancella ogni traccia, ha l'istinto dell'orientamento...
        In questo momento della storia del mondo, assai confuso, dovremmo chiedere al Signore per tutti i Pastori un supplemento del carisma di discernimento, per cercare con tutti gli uomini di buona volontà, come diceva Papa Giovanni XXIII, "non ciò che divide ma ciò che unisce".
        Insieme all'istinto di orientamento, non deve mancare in noi lo spirito di intraprendenza, essendo il pastore un camminatore: "... anche se dovessi camminare in un valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me..." Sicuri di avere Dio come compagno di viaggio, dopo aver molto pensato e pregato, dobbiamo tentare, osare... Mons. Guano, qualche anno addietro, lanciava questo appello: "Oggi il rischio peggiore della Chiesa, sarebbe quello di non voler rischiare". Un monito inquietante!
        Oltre al discernimento e all'intraprendenza, non può mancare al pastore una buona scorta di pazienza, tanta pazienza: con tenace rettitudine bisogna camminare sempre, senza stancarsi o scoraggiarsi, anche di fronte a risultati poveri e deludenti.
        L'immagine che Gesù offre al Suo Ministro, con grande finezza pedagogica, è quella del contadino, che affida alla terra il suo seme, pazienta per molti mesi e raccoglie (magari solo qualcosa) a giugno, per riprendere poi il ciclo in autunno.
        Quella del ministro è una coltivazione che dura, nel rispetto della libertà di ognuno, la stagione di tutta una vita, per far nascere e crescere un "uomo nuovo ": sappiamo bene che ogni nascita è faticosa, ogni crescita è graduale; è "uno strapparsi alla propria pelle, per inguainarsi in un corpo estraneo" (P. Claudel).
        Precisiamo però che la pazienza non è pigrizia mentale, ignavia o passività. La pazienza è operosità creatrice, senza precipitazione inconsiderata; è rispetto della coscienza altrui e del diverso ritmo di crescita; è un grande atto di fiducia nell'uomo, che può sempre convertirsi ad una visione oblativa della vita.
        P. Congar, in una intervista riportata nel 1972 in "La Rocca" (n° 21, Pagg 19-21) faceva così il punto sul rinnovamento post-conciliare: "Siamo al tempo della lunga pazienza. Bisogna educarsi alla pazienza attiva, per camminare insieme verso una verità più totale e più unanime". Verità che non è monopolio di alcuni fortunati, ma verità sempre da fare col contributo di tutti, in ogni momento della storia e in ogni angolo del pianeta terra, in modo che nella comunità ecclesiale, cresca più la consapevolezza e la volontà di vivere e testimoniare la missione affidatale dal Signore Gesù, di essere "per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza" (LG 9), in cammino verso la pienezza del Regno.
        Mi è gradito concludere queste riflessioni, citando un tratto di commento che Mons. Ravasi fa sulla figura del pastore nel salmo 23 (Il Libro dei salmi, Vol I Pag 435): "Il pastore, per il semita esprime qualcosa di più della semplice guida, che sa inaspettatamente puntare verso un pascolo o verso un'oasi, o che sa procedere su una pista non pericolosa. Egli è soprattutto il costante compagno di viaggio, per cui le ore del suo gregge sono le sue stesse ore, stessi i rischi, stessa la sete e la fame, il sole batte ugualmente implacabile su lui e sul gregge. Solo lui sa dare certezza e sicurezza, perché i sentieri dispersivi o erronei sono con precisione scartati dal suo bastone. Il pastore è perciò il salvatore, la sua capacità di condurre ad uno spiazzo erboso decide il destino delle pecore ".

        Vallata, 17 gennaio 1990

Sac. G. De Paola


        In forza delle idee espresse nell'articolo, comunicate e confrontate in precedenza in un fraterno incontro a Conza, con i più sensibili alla problematica, sono stati fatti vari tentativi di confronto dialettico all'interno della Chiesa locale, per un profondo e vivo bisogno di verifica e di crescita comune nella famiglia diocesana.
        Zino, dopo il 1° Convegno Diocesano indetto dal neo-Pastore, con "cruda" sincerità, puntualizza le stesse idee in una lettera diretta al Vescovo e, per conoscenza, ai responsabili delle zone pastorali, perché se ne facesse oggetto di fraterna discussione al 1° incontro zonale, e ad alcuni confratelli, insieme a pochi altri implicitamente citati nella lettera.

Vallata, 12/9 Festa di S. Maria 1990

       Cristo regni!

        Eccellenza Reverendissima,
        ieri tornando da Materdomini, pensavo di telefonare immediatamente per fissare un appuntamento, in cui chiarire con "simpatia critica", alcune mie impressioni sulle relazioni ascoltate.
        Ho ritenuto poi più conveniente affidare prima a questo mio scritto qualche
        flash, che sia di preparazione all'abboccamento da stabilire successivamente.
        Anzitutto, Eccellenza, mi permetta di pregarLa vivamente di "non giocare a rimpiattino" col sottoscritto che, con rispetto ma anche con molta sincerità, subito dopo la Sua presa di possesso della Chiesa che è in S. Angelo L/di, in un fraterno colloquio durato circa un'ora, si autopresentò col dire che il Suo primo discorso, pur teologicamente esatto, mancò sorprendentemente di un, anche minimo, riferimento alle tre letture proclamate. Pertanto, la Sua "Omelia" contribuì alla radicalizzazione di una S. Messa predisposta (certo senza Sua responsabilità), come pura coreografia, ma confermata come tale dal Suo discorso, che meritava un contesto diverso. Ricordo bene che questa mia autopresentazione provocò in Lei, come ebbe a dire personalmente, una risposta di "sincerità per sincerità", che mi lasciò. sperare bene, per cui il colloquio si prolungò su linee programmatiche, da valutare poi con tutti, al momento opportuno.
        Una ulteriore puntualizzazione di come io intendo la Chiesa locale in conformità col Vaticano II, (Cfr Il Ponte del 10/2/1990) ho cercato di farla e verificarla praticamente nella Chiesa che è in Vallata, come V.E. ha avuto modo di darne atto pubblicamente all'intera comunità: minimamente mi permetto di dubitare della sincerità di quelle Sue parole.
        Dopo questa illuminante premessa, mi permetto di confidarLe che sono profondamente ferito nella mia dignità di "uomo", per alcune espressioni delle Sue due relazioni, e angosciosamente stupito dell'interpretazione data da V.E. ai miei due interventi, offrendo adito ad alcuni confratelli di omologare la mia provocazione, che si rifaceva al Vangelo e al Magistero della Chiesa.
        a) Il Vangelo ecclesiale di Matteo che riconosce ormai la presenza del Cristo anche nella visibilità della storia, attraverso l'Ecclesia, di cui traccia un significativo profilo nel cap. 18, presentando la Chiesa come luogo di fiducia, correzione fraterna, preghiera, perdono.
        b) CHIESA LOCALE "... in qua vere inest et operator Christi Ecclesia" da me integrata con la citazione della LG 23, in cui si parla di chiese particolari "in quibus et ex quibus una et unica ecclesia catholica exsistit", e con il riferimento paolino di fare la verità, una verità da attualizzare in piena consonanza ed in costante ricerca.
        Le Sue puntualizzazioni di "... meditazione offerta all'assemblea e di interpretazioni ereticali da evitare" hanno subito trovato riscontro in ipocrite omologazioni di alcuni: "... predicozzo... predica domenicale ripetuta in assemblea... disquisazione teologica sulla espressione paradossale del meno o più vescovo e sacerdote... ed infine il colpo scuro dei fuochi pirotecnici di colui che ha messo a posto contestatori e teste calde..." vanificando così la provocazione che lo Spirito aveva proposto a me ed a tutti "cum episcopo": sarei veramente un "eretico" se mi ritenessi escluso da questa sollecitazione alla ricerca di "fare la verità" insieme agli altri.
        Queste comode omologazioni hanno richiamato alla mia mente quanto uno scrittore contemporaneo, il Cioran, afferma in "La Tentazione di esistere", con stroncature di sapore apocalittico ma di profonda intuizione: "Consumato fino all'osso, il cristianesimo ha smesso di essere fonte di stupore e di scandalo, ha smesso di scatenare vizi e di fecondare intelligenze e amori". Schiaffi salutari! Mi piace concludere con una stupenda frase di Is. 29,4: "Dalla polvere saliranno fioche le tue parole". Anche dalla polvere della terra può risuonare la Parola di Dio: è un bisbiglio soltanto ma è sempre Parola di Dio.
        Attendo una cortese e fraterna risposta a questo mio "sfogo" in sincerità e con viva esigenza di comunione, nel faticoso ma entusiasmante cammino di agire insieme... in persona Christi capitis. Fraterni ossequi

Aff/mo in X° Sac. G. De Paola

 
        All'autore di un servizio di cronaca, riportato sulla stampa provinciale, inviavo subito il surriportato testo con la seguente lettera di accompagnamento.

Vallata, 15 settembre Festa della B. V. Addolorata 1990

        Cristo regni!
        Carissimo don ....
        mi è giunto questa mattina "Il Ponte", in cui ho trovato una relazione "a senso unico" del nostro ultimo convegno di Materdomini, firmato M.M.: ho immediatamente telefonato a te, per comunicarti, come al solito, la mia impressione "a caldo" e per assicurarmi se l'articolo fosse tuo.
        Non avendoti trovato in casa (la sorella te lo avrà comunicato) ho riletto il testo, e la conferma di autenticità l'ho trovata nello "stile" di uno che, pur nascondendosi dietro un dito, si è rivelato aduso a salire sul carro vincente.
        La relazione meritava almeno un accenno alle tante provocazioni provenienti non da "teste calde" ma da "testi del Vangelo e del Magistero della Chiesa", come la fotocopia ti può ricordare.
        Attendo una tua risposta per un confronto di autentica comunione. Tanti auguri per la tua nuova esperienza pastorale.
        Ti abbraccio in unione di preghiera

Aff/mo in Cristo
Gerardo


...,19/09/1990


        Carissimo don Gerardo,
        ho ricevuto la tua lettera. Mia sorella mi aveva comunicato la tua telefonata. Ne avevo intuito il motivo, ho chiamato un paio di volte e non ti ho trovato. Il mezzo epistolare ci rimette in fraterna comunicazione.
        Il tono pungente della tua non mi sorprende più di tanto; da un po' di tempo sono abituato ai tuoi frizzi: ne faccio tesoro per la mia conversione.
        Ero tentato di risponderti per le rime, ma alla celebrazione eucaristica di questa mattina lo Spirito del Signore mi ha donato di meditare sulla Parola di Paolo ai Corinzi: "La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta ".
        Meravigliosa pagina, che i maestri di spiritualità sempre ci invitano a tradurre nella quotidianità dei nostri rapporti reciproci: come sarebbero veramente fraterni, senza pregiudizi, senza livori, ricchi di reciproco rispetto!
        Certo, rientra in questo anche la correzione fraterna, di cui tu giustamente parli e, penso, in buona fede. Ma sarebbe deleterio ritagliarsi sempre il ruolo di chi corregge, mai quello di lasciarsi correggere!
        Ritornando all'articolo ti assicuro innanzitutto che èmio, ma la sigla M.M. è stata messa dal redattore. Non rientra nel mio costume nascondermi nell'anonimato; la mia modesta storia attesta che mi assumo sempre le mie responsabilità.
        Ti racconto la genesi dell'articolo. Lunedì era presente al convegno il dott. Nino Jorlano di Lioni, il quale mi pregò di scrivere un servizio "sintetico" (mi raccomandò), entro la mattinata, perché nel pomeriggio l'avrebbe consegnato a don Capaldo, col quale il giorno dopo sarebbe partito per la Sicilia, per il convegno dei settimanali cattolici. Mi resi conto che avrei potuto riferire solo l'essenziale, a titolo informativo (anche l'informazione nella Chiesa ha la sua importanza), cercando di immaginare tutto della seconda giornata. L'unica cosa che mi è sfuggita, è stata quella di dire a Nino di rivolgersi a te. Anche tu sei collaboratore, certamente avresti fatto di meglio.
        Ora, in questo tono amichevole, vorrei fare ancora qualche dimessa osservazione. Dico "dimessa", perché non vorrei cadere nel vezzo del presuntuoso, che ritiene giuste soltanto le proprie idee ed opinioni, e sbagliate quelle degli altri. Non ci sarebbe dialogo, ma soltanto autoelogiazione, pur nell'illusione di rifarsi al Vangelo, nel quale c'è anche scritto: "Non giudicare per non essere giudicato... Prima di vedere la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, cerca di togliere la trave ne è nel tuo occhio... ".
        Nemmeno vorrei apparire narcisista, tenacemente attaccato alle proprie cose dette e scritte. Vorrei solo precisare che nel mio primo intevento, anche se non intesi fare alcuna "provocazione", la mia sottolineatura integrativa (e lo rilevò anche Pietro Cerreta) non era né "omologazione", né "predicozzo", ma tendeva a cogliere, nella profondità del "mistero" (I Cap. della Lumen Gentium), la Chiesa-Comunione, "icona" della SS.ma Trinità, "adunata nell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", secondo la classica definizione di S. Cipriano ripresa nel paragrafo 4 della LG.
        Ricambio l'abbraccio in unione di preghiera.

Aff/mo in Xto... (Lettera firmata)


Vallata, 21 sett. Festa di S. Matteo '90,
Evangelista dell'Ecclesia


        Cristo regni!

        Carissimo don...,
        mi sarebbe stato facile ripagarti con la stessa moneta, rifacendomi al fariseo della parabola ma, essendo alieno per natura e formazione, da discussioni di tipo "teleologico" di "servirsi della Parola per... " mi limito a dirti che, a quella tua "dimessa" osservazione di acclamarti immune da "presuntuosità... autoelogiazione... narcisismo... ", avrei preferito la "risposta per le rime" dalla
        cattedra alla mia provocazione, non sulla genesi ma su "contenuto e stile" del tuo articolo sul Ponte, cui faceva riscontro la mia lettera "sfogo" inviata all'Arcivescovo (questa non ti ha detto nulla?). Tutte le tue deduzioni vanno oltre la premessa, forse perché la logica del sillogismo si è resa evanescente nei tuoi voli "teologici", per cui la risposta è stata "sottile", ma farisaicamente l'evasiva ".
        Spero pertanto di riprendere il discorso "senza pregiudizi e livori", a quattr'occhi, con estrema sincerità, forse anche "feroce ", ma pur sempre fraterna.
        Frattanto ti offro uno spunto di riflessione con i due articoli acclusi in fotocopia che, guarda un po', avevo letti e "chiosati" poche ore prima che ricevessi la tua lettera: anche attraverso le banali circostanze della vita, il Signore fa giungere a noi il Suo "bisbiglio". Ti pregherei pure di dare alla tua teologia, un po' "sclerotizzata" (permettimi la battuta!), un "respiro internazionale" con l'abbonamento a "Concilium", dove sul numero 4 troverai anche un lungo articolo su come si è giunti alla Nota Praevia, su cui si è basata tutta la prima relazione del convegno. Da questo potrai anche capire la mia rovente puntualizzazione del "salto sul carro vincente". Mi auguro che sia la prima lettera che riceverai da Pastore della "Chiesa che è in...".
        In unione di preghiera e di ideali al neo-parroco di... da parte di un parroco meno giovane

Aff/mo Gerardo

        Ad uno dei confratelli, cui si faceva riferimento nel testo della "famigerata" lettera, fu inviata questa lettera di accompagnamento:

Vallata, 1519 '90
        Caro don.... mi permetto farti pervenire fotocopia di una lettera inviata a S.E. l'Arcivescovo e, p.c., ad alcuni confratelli, perché fosse oggetto di discussione nel prossimo incontro zonale di clero, non per denuncia ma per una viva esigenza di comunione autentica.
        E', ancora una volta, una testimonianza travagliata delle conseguenze delle nomine di Vescovi fatte "a tavolino". Puoi farne l'uso che ritieni opportuno. Ti abbraccio in unione di preghiera
       
Aff/mo in X° Gerardo

... 18/09/1990

        Carissimo don Gerardo,
        dal tuo gradito, ma un po' sorprendente scritto, rilevo:
        1) un forte impegno di fare sul serio; e di ciò siamo sempre stati convinti; 2) una certa tensione ed ipercritica nel forzare l'interpretazione di ogni frase ascoltata, forse anche oltre la normale portata contenutistica.
        Preciso che la mia estemporanea espressione "predica domenicale...", non aveva niente di dispregiativo, tanto meno di omologazione e di ipocrisia, ma era coscienza dei propri limiti e totale consenso alla Parola di Dio ed a ciò che ha riferimento alla Chiesa locale.

Con affetto don... (Lettera firmata)
Vallata, 23/9/'90


        Cristo regni!

        Carissimo...
        mi stupisce la tua sorpresa per il mio scritto, in quanto non è la prima volta che, uscendo allo scoperto, in piena libertà di fronte a chiunque, dico la mia non per il gusto di denuncia, ma per una viva esigenza di autenticità, in fraterna attesa di integrazione o di correzione delle mie idee. A mio rischio ed in piena coscienza dei miei limiti, mi sembra di non essere stato mai affetto dal peccato "taciturnitatis", come piaceva dire ai moralisti di una volta, perché certe cose verificatesi nella Chiesa, universale e locale, non mi hanno mai trovato distratto o servilmente silenzioso, come tu stesso hai precisato nel primo rilievo.
        Mi dispiace se, per motivo di brevità, avendo incluso la tua espressione fra le altre, (non certo queste immuni, senza forzature di sorta, da ipocrite omologazioni) ho provocato la tua puntualizzazione di "estemporaneità non sprezzante ", e di questo ero convinto, ma che adesso posso fraternamente definire "alquanto evasiva" di fronte alla gravità della situazione: possiamo chiudere gli occhi ad una mortificante (per usare un eufemismo) realtà?
        La parte finale della lettera, scusa i miei limiti interpretativi, mi è ostica, per cui ti sarei grato di una, questa volta, "autopuntualizzazione", come gradirei sapere se ti ritrovi nella sintesi del convegno, fatta da don... su "Il Ponte".
        Con la cordialità di sempre, in unione di preghiera
Aff/mo in X° Gerardo


        L'evasività dell'interlocutore è confermata dal fatto che questa autopuntualizzazione non è stata mai fatta col sottoscritto, nemmeno oralmente, per cui, ancora oggi, non sono riuscito ad interpretare (si vede che la mia è proprio ignoranza crassa!) il significato di quel: "... ma era coscienza dei propri limiti e totale consenso alla Parola di Dio ed a ciò che ha riferimento alla Chiesa locale".
        Un altro confratello invece, libero da ogni pregiudizio, con molta sincerità ed umiltà mi confidava:
... 20/09/1990

        Carissimo don Gerardo,
        ti ringrazio di avermi fatto partecipe delle tue ansie e delle tue preoccupazioni in questo momento di programmazione diocesana.
        Ti confido che anche dentro di me ho sentito una certa difficoltà ad accettare "espressioni" e prese di posizione da parte del Vescovo nel convegno di Mater-domini.
        Chiedendo un parere ai laici che mi hanno accompagnato, anch'essi si sono meravigliati sia di come è stato ripreso P....,_ sia del tono usato, come anche delle infuocate espressioni rivolte a noi sacerdoti.
        Finora, ogni incontro si è concluso con requisitorie a volte anonime e a volte personali da far rabbrividire.
        Certo ci sono delle inadempienze nella nostra pastorale post-conciliare e che presto bisogna concordare, tuttavia il ruolo di intervento mi è parso piuttosto antievangelico.
        Mi auguro che trionfi un po' di umiltà, che regni un po' di pace, che si instauri un po' di dialogo come tra fratelli, che si possa camminare con gioia e serenità non per noi stessi ma per le comunità che ci sono state affidate.
        Le ansie e le preoccupazione del momento possono presto dissolversi nella speranza di un domani migliore. E' l'augurio che ci facciamo ad invicem.
In Xto con affetto
(Lettera firmata)

__________________________________________

Pagina Precedente Indice Pagina Successiva
Home