GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - b) Povertà di mezzi e di missione

b) Povertà di mezzi e di missione
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        Il Signore, nel suo provvidenziale disegno, permette che anche i suoi ministri passino per questa esperienza, perché il loro "annunzio", orale o scritto che sia, avvenga sempre nella "povertà" sia dei mezzi che della missione stessa, nella "dimensione di croce!" essendo essi soltanto "inviati" da Colui che è l'unico responsabile del successo, cui contribuire soltanto con la propria parte di sacrificio.
        L'evangelista Marco, che ci accompagna quest'anno nell'iter liturgico, ci ricorda le parole brucianti di Gesù: "... per il viaggio, prendete un bastone e nient'altro; né pane, né borsa, né soldi in tasca. Tenete pure i sandali, ma non due vestiti" (Me 6,8-9 = traduzione interconfessionale).
        Da ciò possiamo dedurre che, se la povertà dei missionari è "suadente", la povertà della stessa "missione" è essenzialissima, per non insegnare altro, ci ricorda S. Paolo in I Cor, Cap. 2, che "...Cristo e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione... la vostra fede non è fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio".
        Questo "annunzio" poi, incalza S. Paolo altrove, è da attualizzare nel corso del tempo attraverso la "crocifissione" dell'inviato stesso sulla propria pelle, fino a pagare con la morte, sull'esempio del Battista, il coraggio di aver parlato chiaro ai "grandi" di questo mondo.
        E' tutto qui il mistero della "missione", nella linea vetero-testamentaria, realizzata pienamente in Cristo e continuata nel tempo, attraverso i suoi inviati ad annunziare una parola che... brucia, per la sua "terribilità", ma anche conforta ed esalta per la sua "dolcezza".
        La missione di Cristo, così come esplode da tutto il Vangelo, è sempre in conformità del "fortiter et suaviter" della linea profetica di tutta la rivelazione, che parte dal Vecchio Testamento, si realizza in pienezza in Cristo, per continuare, sotto l'azione dello Spirito, in ogni luogo e in ogni tempo con i suoi inviati, sino alla fine dei tempi.

        Particolarmente emblematica per noi "servi della Parola" oggi, può essere la figura di Geremia, che è significativamente così definita nel "Commento della Bibbia liturgica" (preferisco citare parti del testo, perché anche il lettore possa cogliere, nella loro freschezza e incisività, le pennellate di questo "ritratto" del grande profeta: Edizioni Paoline 1986 pagg 637 ss).
        Geremia è il profeta che potrebbe essere definito con una sola parola: l'uomo. Che egli si scontri con Dio, critichi il re, accusi il popolo, si confessi a voce alta, sempre e in qualsiasi forma letteraria, egli rivela una carica d'umanità e d'affettività così forte, che chi lo ascolta non sente tanto un profeta, un sacerdote, o un dirigente, ma soprattutto un uomo che soffre, grida, protesta e si rivela come qualsiasi altro mortale.
        Nasce nel villaggio chiamato Anatot di lunga tradizione separatista, cinque chilometri a Nord-Est di Gerusalemme, verso l'anno 650 a.C. Figlio del sacerdote Chelkia, godeva d'una situazione abbastanza agiata che gli permise di dedicarsi al ministero senza la necessità di procurarsi il pane e il vestito. Visse uno dei periodi più turbolenti dell'antico Medio Oriente, paragonabile con la prima metà del nostro secolo...
        Geremia sente la voce di Dio che lo chiama ad essere il profeta del suo popolo per le altre nazioni. Aveva vent'anni, ed era celibe per esigenza divina, perché non gli giovava nulla avere figli e figlie. In Osea l'elemento simbolico era il suo matrimonio con una prostituta; in Geremia è il celibato. Il valore delle cose non sta tanto in se stesse quanto piuttosto nella relazione che hanno con Dio e col popolo. Il suo ministero profetico si protrarrà per quarant'anni in Giudea e per altri sei in Egitto.
        Geremia si mostrò favorevole alla riforma fino al punto di meritarsi le antipatie dei suoi compaesani di Anatot e di doversi trasferire a Gerusalemme. I capitoli 2-6 della sua opera corrispondono a questo periodo.
        Il suo intento è denunziare l'apostasia religiosa, morale e sociale e annunziare il castigo. Il castigo non venne, e Geremia fu considerato dalla maggioranza come un falso profeta; e per questo, egli si ritirò a capo basso per qualche tempo.
        Trascorrono sei anni, e la riforma di Giosia giunge al suo culmine. Nell'opera di purificazione del tempio, egli ha trovato il "libro della legge", una parte dell'attuale Deuteronomio. Questo offre l'occasione per rinnovare l'alleanza,
        e il popolo lo fa ad una sola voce. Da quel mormento tutto il culto è centralizzato in Gerusalemme e sono aboliti tutti i santuari locali. La riforma è imposta dall'alto, con la forza, e si esige da tutti l'osservanza della legge fino ai più minuti particolari, ora codificati.
        In un primo momento Geremia si impegnò in quella riforma che gli pareva provvidenziale; ma non ritardò a comprendere i pericoli che comportava il modo di realizzarla, e passò assai presto all'opposizione. Era una religione stabilita con la forza, politicizzata, legalista e superficiale. L'unicità del santuario trasformava il tempio in una specie di mito o di feticcio. La religione non solo non era una realtà vitale, ma si era trasformata in un elemento istituzionale: era la morte della vera religione.
        La missione profetica di Geremia consistette in una lotta mortale per ottenere quello che la riforma si proponeva, ma non con la forza esteriore, bensì con la convinzione e la conversione delle coscienze; e anche questo non attraverso le vie umane, ma attraverso le vie divine.

        Per arrivare a questo scopo egli fu costretto a volte a criticare duramente la riforma stessa. I capitoli 7 e 26 del suo libro riflettono. questa situazione. Nell'attività profetica di Geremia si registra un nuovo silenzio di tredici anni,
        e giungiamo all'anno 609...
        ...Religiosamente egli costituì l'opposizione sistematica al movimento idolatrico di Ioiakim e al vuoto culto del popolo. La sua parola suonava ingrata agli orecchi di tutti. Gerusalemme sarebbe stata distrutta ed essi sarebbero stati condotti in esilio. Percosse, catene e carcere offrono la ricompensa per questa predicazione. I suoi concittadini di Anatot cercarono di metterlo a morte. Scoraggiato, egli maledirà il giorno della sua nascita e quasi si ribellerà alle disposizioni di Dio: perché dev'essere proprio lui a predicare la distruzione a quel popolo che ama?
        Per influire più profondamente sul re, egli scrive le sue prediche e gliele manda. Il re le brucia ed egli deve riscriverle e nascondersi per salvare la pelle. Poco più tardi, egli rinfaccerà al re il suo dispotismo e la sua irreligiosità, e gli annunzia che avrà la morte e la sepoltura che merita un asino (22,13-19). ... Geremia continua a esortare il popolo alla conversione e a minacciargli l'esilio. Essi hanno visto la prima prova, ma è stato inutile. Egli affronta un popolo che è duro d'orecchi e ha un cuore di pietra. La suprema catastrofe stende ormai la sua tetra ombra sul capo di quella gente.
        ... In questo tempo Geremia subisce un vero martirio: consultato da Sedecia, gli risponde invariabilmente: Arrendetevi. Quelli della corte cercano di eliminarlo a ogni costo. "Scoraggia il popolo", dicevano; e per questo lo imprigionano, lo maltrattano e cercano di toglierlo di mezzo, gettandolo in una cisterna.
        ... Questo è l'uomo... l'uomo che sarà ricordato in tutta la tradizione VT come il martire del suo popolo, il profeta dell'esilio e che giungerà fino al NT con gli onori di grande profeta.
        La sua presenza nella liturgia come predicatore, profeta e teologo del messianesimo ha fatto di lui una vera figura e un tipo del Messia sofferente e ispiratore dei cantici del servo di Yhaveh del Deuteroisaia.
        ... profeta al quale sono stati dati appellativi di ogni genere. Infatti la sua personalità è così profonda e così semplice, così forte e così sentimentale, così umana e così divina, che nessuno gli si può accostare senza lasciarsi prendere nelle reti della sua dolorante simpatia.
        L'aspetto più incantevole dei suoi scritti è che non ci trasmettono verità religiose, ma una religione incarnata in una vita, nella sua vita. Se in Gesù Cristo la parola s'è fatta uomo, nella persona di Geremia si è rivelato il cuore di Dio. Per questo gli evangelisti, per dipingere Cristo, terranno presente la ieratica figura di questo profeta.

        Ogni ministro, chi di più chi di meno, prima o poi, in un modo o nell'altro, passa per questa trafila nel predicare la "pazzia della croce", senza certo adeguarsi ad annacquamenti di sorta, ma filtrando questa pazzia attraverso le strettezze della sofferenza interna ed esterna.
        Un maestro di questa pazzia, S. Giovanni della Croce, afferma che per accedere alle ricchezze della sapienza divina, la porta è la croce. Si tratta di una porta stretta, nella quale pochi desiderano entrare..." (dal Cantico spirituale = strofa 37).
        Anche Zino, per quel senso di mistero, o meglio di provvidenza, che avvolge la vita di ciascuno, in tutti i suoi messaggi, orali o scritti si è auto-presentato come uomo che soffre, grida, protesta, si esalta per qualcosa che gli brucia dentro e che non riesce a contenere, senza farla giungere, nello spessore della croce, anche ad orecchi, cui può sonare "ingrato".
        Di qui incomprensioni e diffidenze, nonché denigrazioni sussurrate anche al Pastore, reo, secondo loro, di permettere la pubblicazione di "certe cose".
        Questo clima di diffidenza raggiunge l'acme al momento del "regalaccio" dell'inserto in appendice di ristampa del "libello", che suona sfida aperta e... ad oltranza, per sussurroni e pastore. La sfida "sbocca" in un vero e proprio linciaggio morale, oltretutto "incuneato", durante il ritiro mensile del clero, in una meditazione sulla lettura breve di Terza, con toni aspri, mortificanti, umilianti...
        Inoltre, come se ciò non fosse bastato, anche nel fare delle riflessioni sulla Gaudium et Spes, si ha un "supplemento" di strumentalizzazione "a proprio uso e consumo", anche di questo documento conciliare del... dialogo della Chiesa col mondo, accentuando con gli articoli di "comodo" il tema del "verticismo" in antitesi col "basismo", come se il concilio avesse completamente ignorato il tema della "collegialità" (anche se resta tutto da riscoprire) tra Papa e Vescovi, tra Vescovo, presbitero e comunità.
        Il vergognoso linciaggio è sempre per le "teste calde", che (riporto le parole testuali):
        - non credono nemmeno ad una promessa di preghiera assicurata ad uno (assente, oltre tutto, in quel ritiro), in occasione di un... onomastico! (indicazione ben precisa);
        - pensano di fare sempre del protagonismo questi contestatori e operatori, o meglio... agitatori sociali ... (anche per questa frecciata un altro degli interessati era... assente);
        - questi malati di protagonismo si permettono di giudicare sempre liturgie ed omelie (anche se il discorso continua al plurale, la persona, questa volta, è unica ed è... presente);
        - considerano la parrocchia, da 30 o 40 anni, "monopolio", riserva personale, sempre da soli, per tanti anni, inamovibili, senza nemmeno provvedere alla libertà di confessione dei fedeli (proveniente quest'ultima precisazione da un sussurrone, alquanto sornione, ed... ipocrita!);
        - ripiegati su se stessi, io, io... per dire che da piccoli si era... così o colà (la freccia avvelenata mirando, anche questa volta, ad un preciso e scomodo obiettivo, cerca di colpirne vigliaccamente l'autore).
        - Il Vescovo nota, osserva, ma non si lascia pigliare per... fesso! (anche queste sono parole testuali... degne di un nuovo "modello" di meditazione, in cui ci si serve della.Parola, per dare sfogo ad emotività di bassa lega...).
        Così il "bombardamento", sollecitato a monte da alcuni... finalmente gongolanti di gioia, accettato o subito dagli altri con... gelida passività, lascia Zino in una "sorprendente" serenità interiore, non senza però aver superato una prima reazione immediata di lasciare l'aula gridando: "siamo servitori o... masnadieri della Parola?!?"

        Sinceramente l'interessato, che ha pure fama di essere complessato ed irruente, quasi mostro di... si meraviglia egli stesso di quella calma, fino a sorprendere lo stesso arciere, come lui stesso ha confidato dopo tre giorni in un lungo (durato circa due ore) e chiarificatore (almeno si spera!) colloquio.
        Alla fine del colloquio, Zino, con la sua solita e sferzante vena umoristica, ha definito al colloquiante questo lungo abboccamento come un "concentrato annuale", a confronto dei "tranquillanti colloqui mensili" da parte di altri, cui aveva fatto riferimento nella meditazione-bomba! Va a capire che c'è dietro questi misteri! nemmeno poi tanto indecifrabili, come si potrebbe pensare, soprattutto se letti con umiltà e sincerità, mettendo insieme i vari tasselli del... mosaico.
        La famigerata appendice della ristampa del libello, messo implicitamente da parecchi all'indice, per un confratello abituato a "reclamizzare" su un mensile provinciale... "grandi" eventi di cronaca diocesana, era stata pure occasione per rompere il "silenzio agghiacciante", cui da quasi tutti il testo era stato "condannato" per circa un anno, con un articolo di tardiva "riparatura", quasi a risarcimento!
        Per dare modo al lettore, estraneo all'ambiente, di farsi un'idea della sincerità estrema, quasi impietosa, con cui si dicono le cose, ma soltanto per una profonda esigenza di comunione ecclesiale, si riportano a questo punto sia l'articolo pubblicato su "Il Ponte" del 2 ottobre '93, sia la lettera inviata successivamente all'articolista e p.c. al pastore della diocesi.


Volume di Don G. De Paola - VALLATA - STORIA DI UNA VOCAZIONE

        "Quando mi fu donata la prima edizione di Zino e Molok di Gerardo De Paola, nel periodo di preparazione al Natale 1992, la lessi con interesse, ma mi trovai un po' indeciso nel dare un giudizio su di una "storia di una vocazione contrastata e ... contrastante". Passò un po' di tempo e me ne dimenticai. Perché indeciso? Innanzi tutto perché il libro non è tanto semplice come potrebbe apparire. Merita una lettura attenta e riflessiva. Richiede particolari conoscenze e capacità di leggere sotto il velo dell'allegoria, fatti veri, che, tante volte, se non conosciuti, non si comprendono bene e possono dare adito ad equivoci.
        Infatti il libro può esser letto in chiave critica, metodologica o col semplice desiderio di voler apprendere qualcosa...
        In chiave critica può sembrare un tentativo di ostentazione per mettere in mostra le proprie capacità creative; in chiave metodologica, sembra voler proporre un metodo che non può andar bene per tutti, né può piacere a tutti, quello della durezza e del riuscire ad ogni costo; in spirito di umile desiderio di voler imparare, fa ammirare la capacità di un "mastro ", che ha saputo prima costruire se stesso con ripetute picconate nella fabbrica di laterizi della propria patriarcale famiglia, a Vallata, come ragazzo vivace nelle scuole del paese; come seminarista impegnato nei Seminari di S. Andrea di Conza e Regionale di Salerno. Poi come "mastro fatto", in qualità di docente e Superiore nel seminario diocesano, in tempi abbastanza difficili e con confratelli-colleghi intelligenti ed aperti alle istanze dei tempi moderni.
        Infine come "parroco-mastro", a Vallata, nella Parrocchia di S. Bartolomeo Apostolo. E qui tutto dedito ad abbattere, a raddrizzare, a costruire con un tenace lavoro di evangelizzazione, fecondato da sacrifici e preghiera scaturita dalla Parola di Dio. E' il lavoro che ogni buon cristiano deve fare per non
        consumare invano la propria esistenza, ogni padre responsabile svolge nella propria famiglia, ogni maestro nella sua scuola, ogni zelante sacerdote nella comunità affidata alle sue cure pastorali per avere dei cristiani veri, nuove creature con Cristo risorto. L'opera è alla ristampa, dopo aver raccolto lusinghieri giudizi di alte personalità della Chiesa e della cultura, ma anche di gente semplice, che ha saputo cogliere il messaggio intimo di Zino contro il mondo moderno, che si rivela sempre più un ingombrante Molok. E' un lavoro molto positivo anche dal punto di vista letterario, per i richiami al proprio territorio, ma ancor più per la genuina testimonianza che ci offre, anche se le vie del Signore sono infinite".

Vallata, 12/10/93

        Cristo regni!

        Carissimo...,
        volutamente, nel nostro ultimo incontro di Materdomini, tenendo presente un criterio di comportamento suggeritoci da S. Gregorio M. nel mattutino di domenica scorsa: "Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare", non ho aperto il discorso di valutazione del tuo articolo pubblicato su IL PONTE del 2/10/93. Ero sotto lo shock, anche se con serenità, di un "vero e proprio linciaggio incuneato in una... Meditazione!", da te giudicata di "apertura", fino a congratulartene, e da me di "radicalizzazione " su certe posizioni, telecomandate oltretutto da tanti malati di piaggeria per mettere a tacere le solite "teste calde"...
        Ieri mattina ho avuto un abboccamento con chi si è lasciato manovrare da queste "insuffiazioni", onde mettere a punto la situazione, per cui sono nello stato d'animo adatto a comunicarti qualche mia riflessione.
        Lo scopo propostoti in partenza di riparare alla... dimenticanza!, ha avuto come risultato una interpretazione molto limitativa del libro che, a tuo dire, meritava "una lettura attenta e riflessiva", per cui la fretta di riparare, dopo il "colpo di grazia" dell'Appendice, non ti ha permesso di coglierne il filo logico sotteso al discorso d'insieme, trascinandoti addirittura a falsare alcuni dettagli da te evidenziati.
        E' stato questo il motivo di fondo che ti ha spinto al balbettio con le tue "circonlocuzioni" di riparazione: "velo dell'allegoria... fatti non conosciuti... che possono dare adito ad equivoci", donde le tre "chiavi di interpretazione... "
        Caro ..., cerchiamo di giocare a carte scoperte... Fraternamente ti ricordo che i fatti sotto il velo dell'allegoria, cui ridicolmente ti sei appigliato, riguardano pochissime pagine del libro, che non vanno utilizzate come "pretesto" per rifiutare il tutto con ragionamenti filosofeggianti o vaneggianti. Ci si vuole nascondere dietro un dito? Del resto, è significativo che in paese ha riscontrato lo stesso atteggiamento in quei pochi che, pur essendo stati artefici di quei "fatti veri", sono ricorsi alle stesse tue "perifrasi" perché "quan lu cavall nun vol vev - dicono a Napoli - hai voglie e sciscà!". Da questo puoi capire come "pre-concetti e pre-giudizi" possono vanificare tutto.
        Chi invece, in piena libertà, in paese e fuori, si è lasciato stimolare dai problemi riguardanti famiglia, scuola, comunità civile ed ecclesiastica... toccati nella narrazione non autobiografica ma "memorialistica" (Cfr le due prefazioni), ha trovato vivo interesse e profonda esigenza di dialogo per un confronto di idee, tanto da rendere necessaria, nel giro di pochi mesi, la ristampa del "famigerato " libro.
        Del resto, come professore di lettere, tu sai che la letteratura contemporanea, con la narrativa memorialistica, sta riscoprendo il valore di "memoria", nel significato biblico del termine.
        Sono comunque contento che sei stato il primo in diocesi, e te ne do atto, a rompere il "ghiaccio" per un eventuale fraterno e dialettico confronto a "chiarirci le idee ".
        Frattanto, se è giunta anche a te la "laida lagna" (scusami la cacofonia) di qualche sussurrone che, alle spalle, vigliaccamente e solitamente, non avendo trovato un plausibile "motivo per la pubblicazione del libro", ha trovato però da ridire "sui milioni spesi per la stampa, da parte di uno che parla in ogni occasione di... povertà", puoi riferirgli a nome mio che se la spesa sortisse l'effetto di un leale confronto, anche se duro e spiacevole, ma certamente salutare, sarei contentissimo di spenderne altrettanti, sottraendoli alla mia pensioncina.

        Te ne sono grato e ti abbraccio

Aff/mo Gerardo


        P.S. per una viva esigenza di comunione ecclesiale, invio copia della presente anche a S.E. l'Arcivescovo.

 
        L'interessato, purtroppo, né ha avuto l'iniziativa di riprendere il discorso, quando ci si è incontrati, come sarebbe stato augurabile, né il coraggio di rispondere, più per... paura del mostro, che per "evitare polemiche", come ha sussurrato ad una battuta scherzosa del Vescovo, in un momento conviviale.
        Non si creda però che questi momenti di frizione si verifichino solo all'interno della Chiesa locale; nella fedeltà alla radicalità evangelica, per un disegno... misterioso, si verificano casi analoghi anche col mondo esterno.
        Nella mia precedente pubblicazione "Zino e Molok", spesso ho parlato di questa lotta ad oltranza contro i Molok odierni (Cfr elenco in sintesi a pag 238, nell'Appendice di ristampa). E' opportuno ora analizzare alcuni dettagli significativi.

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