GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - b) La Chiesa riscopre l'agonia di Cristo negli oppressi

b) La Chiesa riscopre l'agonia di Cristo negli oppressi
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        Dopo questo lungo periodo di partecipazione agonica alla passione di Cristo, con cui sembra ormai spegnersi il microfono di Dio, il Signore permette a questa sua creatura privilegiata di tuffarsi nelle sofferenze di quel Cristo, che ancora oggi agonizza in milioni e milioni di uomini oppressi ovunque, ma soprattutto nei Paesi dell'America Latina, dove lo sfruttamento del "potere" economico e politico è giunto all'esasperazione.
        Lo sfarzo della Chiesa fra tanta miseria e la sua complicità coi poteri oppressori, suscitano fermenti di riscossa alla base, interpretati e sostenuti dalle anime più sensibili, tanto da spingere un sacerdote diocesano di Bogotà ad imbracciare il mitra, l'arma della disperazione.
        Camillo Torres, questo martire dei nostri tempi, viene ucciso in uno scontro il 15 febbraio 1966. Ma come il sangue dei martiri della fede, al dire di Tertulliano, generava nuovi cristiani, così il sangue dei martiri della giustizia continua oggi a generare nuovi testimoni di Cristo, in una Chiesa "sempre da convertirsi" e in un mondo "sempre da aprirsi" alle esigenze del Regno di Dio.
        Dopo la "notte oscura" surricordata, già nei primi mesi del 1972, Lombardi si apre totalmente a questa nuova esperienza, che sconvolge, scalpella, lima interiormente lo "intransigente e integralista" crociato di ieri in un convinto sostenitore della teologia della liberazione che, con una lama di luce, apre un nuovo varco nell'oscura oppressione di intere popolazioni.
        A Bogotà incontra un guerrigliero che, prima di raggiungere gli altri in montagna, gli confida: «Ho perduto la fede. Ma resta la sete di giustizia, l'opposizione allo sfruttamento nordamericano alle differenze di classe divenute caste sociali. Per questo ora lascio la famiglia, la ragazza e vado a lottare».
        Lombardi gli assicura: «a modo tuo e secondo la tua coscienza, anche tu servi il grande Regno della giustizia tra i fratelli, e quindi implicitamente anche Dio. Per questo sei disposto a rischiare la morte»
.
        Un seme di speranza lanciato nel cuore di questo giovane che, prima di allontanarsi, chiede al padre di... confessarsi!
        Parecchi vescovi dell'America Latina trovano nel Mondo Migliore, ormai maggiorenne, stimolo e sostegno per dar vita a numerose comunità cristiane di base, che diano una testimonianza di Chiesa postconciliare più viva, partecipe, liberatrice.
        Helder Camara, il vescovo "rosso" di Recife dichiara a Lombardi senza mezzi termini: «La Chiesa si è legata ad essere un potere economico e Dio la sta liberando. L'Opera del Mondo Migliore è la scopa in mano allo Spirito per ripulire la Chiesa. Ed ora dovrebbe fare qualcosa per liberare il Papa, prigioniero della Curia».
        In Messico, il Vescovo di Cuernavaca, Sergio Mendez Arceo, di fronte al latifondismo oppressore gli confida: «Non possiamo continuare a considerare la proprietà privata così sacra».
        In Ecuador, uno dei vescovi nel mirino dei latifondisti Leonidas Proano di Riobamba, molto vicino al Movimento, prende decisamente le difese degli Indios.
        In Salvador, Oscar Arnulfo Romero, Vescovo ausiliario nella capitale, pone già le premesse che lo porteranno al sacrificio della vita, il 26 marzo 1980, novello martire della Chiesa postconciliare.
        In Colombia, incontrandosi con il Vescovo Edoardo Pironio, nell'analisi che fanno della situazione ecclesiale, riconoscono che «ciò che manca nei riguardi del Concilio è la conversione».
        Per la situazione in Italia e in Europa, puntualizza al segretario generale della CEI: «La Chiesa appare più preoccupata del passato da conservare che dal futuro da creare con orizzonti positivi».
        Durante il Cenacolo del 1972 P. Arrupe fa questa diagnosi della situazione generale: «Non vedo tanto una crisi della Chiesa oggi, quanto una grande sfida del mondo alla Chiesa e una straordinaria opportunità per essa. Il mondo pensa di poter fare a meno di Dio, in realtà ne manifesta senza saperlo una sete immensa. La Chiesa non ha altra via per venire incontro a questo bisogno: incarnare nel mondo tutta la ricchezza della vita divina».
        P. Lombardi non solo si ritrova in questa puntualizzazione del Superiore, ma si sente spinto ad armarsi di "santa audacia", per incalzare tutti i responsabili delle comunità cristiane a reinventare una nuova immagine di Chiesa dell'avvenire.
        In una traccia, alla fine di un corso di Esercizi spirituali al Centro, 3-11 maggio 1972, la sintetizza così ai corsisti:
        «La pastorale per la Chiesa del futuro si fonda sulla teologia della Chiesa come mistero di comunione interpersonale degli uomini in Dio. Tale pastorale si edifica coerentemente cominciando dalla comunità di base e sale fino ad una immagine nuova della Chiesa universale. Per realizzare siffatta pastorale occorre richiamare l'uomo vivamente alla profondità della coscienza, più che ad osservanze esterne e massive, e scoprire là dentro il dialogo ineludibile e perenne con Dio, così da formare la Chiesa più nella sua realtà umana e divina che nella sua esteriorità, più come comunione che semplice istituzione. Bisogna insistere sulla coscienza, sulla teologia dell'incarnazione, su quella della speranza, oggi tanto in voga nell'attuale fallimento». (Q, Un Nuovo profetismo e l'Opera). Intanto, nello spirito del dialogo offerto a tutta l'umanità dal Vaticano II, sta maturando sempre più in lui un'immagine di Chiesa del Duemila, totalmente aperta a raccogliere in sé l'ansia di salvezza espressa dagli uomini di ogni religione. Un forte stimolo a tale apertura l'ha ricevuto dal viaggio di Paolo VI in India, come gli faceva notare l'internunzio James Robert Knox «il pericolo sarebbe stato di dare alla visita un carattere missionario, quindi proselitistico, quindi con un certo alone di interpretazione politica, mentre col carattere di pellegrinaggio è stato accettato da tutti con entusiasmo» (D, 1° febbraio 1965).
        In Pakistan, ascoltando l'invocazione pubblica ad Allah dai Minareti, è stato impressionato «dalla buona fede possibile e certamente anche reale in non cristiani... la fede possibile dei Musulmani, possibile la carità e la grazia». (D, 11 febbraio 1965).
        Un teologo indiano Raymundo Panikkar, figlio di un indù, gli parla dei valori positivi dell'induismo: «Hanno fede, hanno spiritualità. Sono persuaso che occorra rifondare tutta una nuova teologia, in accordo e anzi in sviluppo dell'ecumenismo del Concilio, una teologia nella quale il cristianesimo sia presentato come la pienezza della luce in ciò che gli altri, ma fors'anche i cristiani, vedono solo in parte» (D, 16 gennaio 1965).
        Queste ed altre testimonianze gli saranno confermate dalla riflessione teologica postconciliare, soprattutto di Karl Rahner, secondo la quale «la fede e l'amore che salvano possono trovarsi anche in chi teologicamente li nega: l'importante è la posizione libera ed esistenziale dell'uomo. Se questa è buona, siccome tutti siamo già sempre nell'ordine soprannaturale, l'amore onesto sarebbe carità salvante». Tesi che trova favore in Lombardi, per il quale «se Rahner avesse ragione, sarebbe meraviglioso per la salvezza di tanti» (D, 7 settembre 1969).
        Quattro anni più tardi, anche alla luce delle nuove esperienze, raccolte nel mondo e filtrate attraverso la sua personale partecipazione agonica alla Passione di Cristo, in quei lunghi nove mesi da marzo a novembre 1971, poteva affidare al dialogo queste sue riflessioni: «Il problema che mi occupa di più è quello della Chiesa e della salvezza universale offerta a tutti... Centrare il piano di Dio sulla Chiesa che deve invadere santamente il mondo o invece centrarlo sul Regno universale di Dio su tutti gli uomini aperti all'amore, con un posto speciale riservato alla Chiesa come testimonianza e segno?...
        Un messaggio per la Chiesa di oggi... tutto un ripensamento della Chiesa, con l'obbligo di vivere intensamente l'amore, i valori evangelici, e insieme si soddisfa l'istinto moderno di credere alla salvezza offerta universalmente, e una nuova idea delle missioni... Gesù, Gesù, parlami Tu, per la Chiesa. E' un ridimensionamento della Chiesa istituzione»
(D, 7 febbraio '73).
        Il Signore permette ancora una volta che queste idee passino attraverso il "fuoco" di un'altra crisi nell'agosto '73, con un crollo psicofisico ancora più grave di quello precedente, come egli stesso riconosce: «Sono finito, sono sfinito... non riesco quasi a dir altro che il mio stato di morte... Dio, che mi fa partecipare a quella situazione come in una agonia. Capisco la provvidenza di tutto ciò. Credo di non avervi mai detto di no, ma certo c'è tanta ombra». (R, La salute, Pag. 5).

        "Recuperate alla bell'e meglio le forze, viaggia da settembre a dicembre di nuovo in Oriente, tra Cina, Corea e Giappone. Un'idea lo insegue: quella del Regno di Dio come più vasto della Chiesa e la possibilità di diversi gradi di appartenenza alla Chiesa visibile. Pare quasi albeggiare in lui la convinzione che l'orizzonte più autentico e universale del Mondo Migliore sia il Regno di Dio, nel disegno universale della salvezza, più che la Chiesa istituzionale...
        Costeggiando la Cina sulla rotta di S. Francesco Saverio verso Macao, l'immagine di quest'immensa umanità non battezzata, eppure già misteriosamente presente nel disegno della salvezza, lo inquieta ad ogni istante: «anche loro sono chiamati al Regno; al Regno eterno di Dio, sicuramente...» .
        Così egli riesce a cogliere una solidarietà profonda tra i ventisei martiri crocifissi della Cappella di Nagasaki e le migliaia di vittime della bomba atomica: «Bisogna cercare Dio con occhi aperti» afferma nella città-cavia della prima atomica, dinanzi ad una quarantina di preti venuti a sentirlo persino dalle isole del Sud, dopo ore di viaggio in battello o in aereo.
        Buddisti, musulmani, induisti, persino gli atei, tutti possono essere salvi: solo Dio sa il grado minimo necessario e sufficiente per la salvezza, l'uomo non può presumere tanto"
(Pagg 431-32).
        Questa sua maggiore chiarezza dell'universalità della salvezza è "condita" ancora da una prova durissima che lo colpisce nel febbraio '64 negli Stati Uniti, rasentando la disperazione con «ogni sorta di tentazioni, dalla fede alla sfiducia, dalla sessualità alla paura fino al suicidio» (Q, Esercizi di due mesi di angoscia, 2 febbraio-2 aprile 1974)
        L'amico più caro, P. Rotondi, gli è vicino e lo invita a «saper perdere il tempo per gli altri... Vivere una vita meno razionale e più relazionale suggerendogli anche una bella Preghiera Della Terza Età, che egli trova provvidenziale:

  Signore, insegnami a invecchiare!
  Togli da me l'orgoglio dell'esperienza fatta
  e il senso della mia indispensabilità...
  Fa', o Signore, che io riesca ancora utile al mondo,
  contribuendo con l'ottimismo e con la preghiera,
  alla gioia e al coraggio di chi è di turno
  nelle responsabilità, vivendo uno stile
  di contatto umile e sereno con il mondo
  in trasformazione, senza rimpianti sul passato,
  facendo delle mie sofferenze umane
  un dono di riparazione sociale.
Che la mia uscita dal campo di azione
  sia semplice e naturale come un felice tramonto di sole.
Perdona se solo oggi, nella tranquillità,
  riesca a capire quanto tu mi abbia amato e soccorso.
Che almeno ora io abbia viva e penetrante
  la percezione del destino di gioia che mi hai preparato
  e verso il quale mi hai incamminato dal primo giorno di vita.
Signore, insegnami a invecchiare così! Amen.

        Rotondi cerca di scuoterlo continuamente e incalza: «Lei ha vissuto una vita sempre progettata per l'apostolato. Ora, non più. Ora deve Lasciarsi più vivere, per essere degli altri più di prima. A sessantasei anni deve imparare a coltivare un hobby... ».
        «Forse la pittura!» sussurra Lombardi. «Mi metterei a dipingere il Regno di Dio, la Chiesa..., ma non ho la minima idea di come si faccia».
        «Macché pittura!» tronca Rotondi. «Il suo hobby dovrebbe essere l'Apro, dovrebbe cioè interessarsi veramente dell'altra persona, uscendo di più dall'interesse per se stesso»
.
        Il 6 ottobre 1974 Lombardi è in condizione di affrontare un altro viaggio asiatico a Bombay, Hong Kong, Djakarta, Singapore, di nuovo Saigon, quindi in Thainlandia.
        A Bangkok, una circostanza imprevista (come la provvidenza scherza con le sue creature!...) gli permette di fare per alcuni giorni un'esperienza diretta della vita di una comunità monastica buddista, lasciando nel suo cuore profondo stupore per la loro disciplina, la preghiera, la contemplazione.
        «Volere il Regno di Dio nell'umanità, l'umanità trasformata in Regno di Dio» scrive in quei giorni di clausura buddista «significa sforzarsi di edificare nello Spirito una società universale, con nuovi rapporti e nuove strutture». Com'è bello riuscire a leggere dietro la trama delle esperienze di vita, anche negli imprevisti di percorso che creano "fastidio', il disegno di Dio, che noi tante volte leggiamo solo a "rovescio"!
        La maturazione lenta ma costante di quest'idea del Regno in lui, troverà una sua organicità e sistematicità in un libro, uscito ai primi di febbraio 1976, che egli stesso definirà come «il traguardo di tutti i precedenti scritti e della sua stessa vita».
        Per l'incidenza che il libro ha avuto in Italia e nel mondo, nonostante la fatica di crescita del Regno, e per le reazioni suscitate, ho il piacere di passare la parola, ancora una volta, a Zizola, che così le sintetizza, per poi concludere il suo lavoro con la "toccante" descrizione degli ultimi giorni di vita di questo grande profeta del secolo.
        Il "saccheggio" effettuato dalla sua prestigiosa opera è stato di grande aiuto per uno "scandaglio" in profondità del più grande evento di questa seconda metà del secolo, che ha segnato la storia civile e religiosa, in Italia e all'estero, proiettandola verso un futuro più umano e più giusto per tutti, da costruire "planetariamente", alle soglie del 2000.
        "Il piano divino di salvare il genere umano è offerto a tutti... la Chiesa, essendo istituzione ma anzitutto mistero, «si dissolverà come comunità nel futuro, mentre il Regno nel suo senso pieno è eterno. La Chiesa è pellegrinaggio nel tempo, il Regno consumato è la gloria alla fine dei tempi, realtà definitiva... Non la Chiesa ma il Regno di Dio è il fine della creazione: la nuova creazione in cui la differenza fra Chiesa e mondo scomparirà e resterà appena un ricordo».
        Come già per le tesi sul Concilio, anche per quelle sull'universale salvezza Lombardi ha presentato il fianco all'accusa di un certo individualismo, di preferire avventurarsi da solo allo scoperto, spinto dalla generosità apostolica, dall'intuizione, spesso geniale, delle necessità e delle sfide... richiama l'attenzione su qualche squarcio di mondo che meriterebbe forse più attenzione di quella dedicata alle questioni di abbigliamento su cui la Chiesa sembra attardarsi:
        «Mi trovo qui in Asia, visitando e parlando con varie chiese locali, e sentendo l'emozione profonda di questo mare di non cristiani che ci circonda da ogni lato. Mi preme da dentro l'assillo di servire in qualche modo il Regno universale di Dio, anche se l'enorme massa umana non potrà battezzarsi almeno per secoli»
(Doc, Lettera di P. Lombardi a Mons. Benelli, 21 marzo 1976).
        Angelo Fernandes, Arcivescovo di New Delhi, gli dice: «sono idee che ho sempre pensato. Finalmente lei, padre, le predica ad alta voce! Nel servire la diffusione del Regno di Dio, inteso nei cuori di ogni uomo, sinceramente in buona fede, anche senza il credo cristiano, sta la funzione più universale della Chiesa».
        L'arcivescovo di Djakarta Leo Soekata, un gesuita, si spinge più avanti: «A lungo andare, la diffusione della Chiesa si otterrà meglio perdendosi in certo modo nella costruzione del Regno totale che chiudendosi in un'angustia esclusivametne ecclesiocentrica. Date e vi sarà dato, cercate il Regno di Dio e tutto il resto vi verrà in sovrappiù».
        Nel tentare un primo amalgama di così varie e contrastanti esperienze, dopo decine di tavole rotonde con teologi e cardinali, nunzi, missionari e suore, Lombardi ritrova un filo rosso che già altre volte è affiorato nella sua esistenza: il tema della morte mistica della Chiesa, del suo annientamento, nel travaglio del mistero pasquale. «La Chiesa è invitata ad assumere il medesimo destino di Cristo, a morire con lui, ad essere con lui sepolta perché l'umanità possa risorgere».
        Egli ne è certo: finché la Chiesa non cesserà di porsi come Chiesa di potere, circondata da un certo clima triofalistico, e di intrattenere una mentalità di privilegio, una esagerata sicurezza di sé, difficilmente potrà annunciare il Vangelo in modo autenticamente universale. Confida a Lucian, uscendo da una fastosa nunziatura nella miseria tropicale di Manila: «La Chiesa dovrebbe essere come Cristo, ridursi a pane, farsi mangiare dalla gente per comunicarlo all'umanità... Ma come, con queste cattedrali di stile occidentale, questi conventi confortevoli, queste scuole cattoliche per i ricchi, questi pranzi diplomatici? Come con questa mentalità clericale, secondo cui il privilegio ci compete? Sono sconvolto, mi vergogno nel profondo del cuore. Se il piano di Dio è il Regno universale, la Chiesa è solo mezzo privilegiato per servirlo. E certe conseguenze si debbono trarre»...
        «Una Chiesa che si dona all'estremo, che quasi si dimentica di sé, affinché ciascuno e tutti siano aiutati a crescere nel bene che già possiedono in proprio, è la condizione perché il cristianesimo possa inculturarsi in questi paesi. Bisogna adottare queste culture come sustrato di ripensamento di sé».
        Quanto al comunismo, egli ritiene che «il maoismo in Cina ha portato alcuni valori positivi, misti con gravissimi errori e rovine materiali e spirituali... ora nella massa del popolo sono promossi di fatto certi aspetti del Regno, specialmente l'eguaglianza, il lavoro, un costume di maggiore solidarietà e sincerità.... I valori del Regno avanzano ora principalmente sulla linea del livellamento umano. Si spera che un giorno, su questa base, arrivi una maggiore fraternità universale».
        Per l'ecumenismo allargato che va progettando sogna obiettivi non solo interreligiosi ma anche secolari: riunioni comuni di preghiera, certo, ma anche comuni intraprese per il servizio sociale e per la pace mondiale. Il 20 giugno 1976, quando rimette piede a Rocca di Papa, il padre è stanchissimo ma euforico, carico di emozioni e di idee affascinanti: finalmente un viaggio fuori di sé, con il cuore e la mente aperti all'ascolto dell'Altro.
        Dopo aver girato il mondo freneticamente è immobile in una carrozzella o in una poltrona; dopo aver distribuito a piene mani le sicurezze del tempo è divorato dall'angoscia; dopo essere stato Microfono di Dio è ridotto al puro e pietoso silenzio...
        Ora ricorda più accuratamente di aver sempre sperato di finire l'esistenza terrena in forma contemplativa... facendosi contemplativo nel cuore... «La mia povera vita è stata sempre più attiva, ma anche sempre contemplativa: università, teatri, piazze, città, nazioni diverse,- in qualche modo il mondo. Tutto è stato eguale, perché c'era un fondo che non cambiava mai: il contatto con Gesù»...
        ... attingere il senso dello svuotamento di ogni forma possibile, anche attraverso l'oscurità più profonda della notte dello spirito,
per assumere la via passiva dell'ascesa interiore, la morte di sé perché solo Dio abbia posto, finché l'anima tocchi il momento in cui dica sempre sì al divino che la invade.
        Il 1978 è l'anno "dei tre papi". Montini muore il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo... Se ne va di colpo anche Papa Luciani, il tempo per simboleggiare nei 33 giorni di regno la brevità umanamente prevedibile del residuo destino del potere pontificio...
        Quando arriva l'epoca di Karol Wojtyla, Lombardi si affretta a "offrigli la vita"... l'elezione del primo non italiano in mezzo millennio, il primo papa slavo... «Il concetto della Chiesa come sacramento del Regno è ora al centro del nostro servizio (Doc, Lettera di P. Lombardi a Giovanni Paolo II, 1° novembre 1978).
        ... Coloro che lo avvicinano in questo periodo notano nel padre qualcosa di nuovo, di singolare: un'attenzione delicata alle persone, ai loro bisogni possibili. E' capace di tenerezza per coloro che lo assistono, perfino di scherzi e di allegria... Dopo il Lombardi tormentato, si conosce il Lombardi pacificato... il deperimento del corpo si associa ad un senso gaudioso di liberazione interiore, come per un'improvvisa vittoria sulla morte...
        Il 1° giugno 1979 il padre sale in Vaticano. Wojtyla lo riceve per qualche minuto alla vigilia del suo primo viaggio in Polonia... Il primo gesto di Wojtyla è di imprimere un bacio sui bianchi capelli del padre, un altro sulla fronte. Poi gli stringe il viso, gli prende le mani, gliele riunisce ed avvolge nel cavo delle proprie, come a scaldargliele. Egli sa che quell'uomo rattrappito sulla sedia a rotelle è stato umiliato per aver lanciato nel 1948 l'idea dell'elezione di un papa non italiano e di un Concilio di riforma. Entrambi tratti dal solco dell'intransigentismo, sa anche quanto abbiano contato le predicazioni anticomuniste di Lombardi in Occidente per sostenere il vallo della Chiesa ad Oriente. Entrambi di cultura e pietà cristocentrica...
        Il colloquio ha toccato le prospettive di un nuovo Concilio rappresentativo di tutte le religioni per rispondere alle attese dell'umanità...
        Egli vuole che nella Chiesa arriviamo a tale semplicità di relazioni che già non ci accorgiamo in che lingua stiamo parlando, per usare solamente quella che ci pone in contatto con il maggior numero possibile di uomini...
siamo stati creati per intenderci gli uni con gli altri. C'è solo una lingua con la quale tutti ci intendiamo.
        E' la lingua dell'amore.., ascoltiamo questa voce di Dio che ci parla dentro... Spero anche che tutti noi possiamo capirci per tutta l'eternità...
        Il 20 novembre 1979 il padre è colpito da un edema polmonare acuto. Riesce a superare la crisi, ma perde quasi completamente la parola...
        E' tempo di doni grandi e inattesi intorno al suo capezzale. Madre Teresa di Calcutta si curva su questo suo nuovo moribondo, a baciargli le mani... Pedro Arrupe gli porta una buona notizia: ci sono forti probabilità che il Papa accetti di riconoscere l'autonomia del Mondo Migliore dalla Compagnia di Gesù...
        La sera del 13 dicembre il padre trascorre il dopocena conversando con un missionario di Torino, che gli fa riascoltare la registrazione di un discorso del Microfono di Dio sulla "comunione con Dio" e sul tema della morte come ricongiungimento al suo amore... Poco dopo mezzanotte ha una crisi, si porta una mano sul cuore. Suor Fabiana interviene con la terapia di emergenza. Però il malato questa volta non reagisce. Mormora qualche parola, smozzicata: "Dio... Io... Basta... soffrire... ". Riceve l'Unzione degli Infermi.
        Quando l'ultima preghiera finisce, P. Riccardo Lombardi muore, serenamente, all'età di settantun anni. Sono le 2,45 di venerdì 14 dicembre 1979 festa di San Giovanni della Croce.
        La liturgia funebre si svolge a Roma, nella Chiesa del Gesù... All'omelia Juan Pedro Cubero dice: "Il Padre fu docile alla potatura di Dio".
        Sette anni più tardi, il 27 ottobre 1986, l'ultimo sogno di Lombardi comincia a realizzarsi: Giovanni Paolo II partecipa ad una giornata di preghiera per la pace ad Assisi insieme ai rappresentanti delle maggiori religioni mondiali, mettendo fine in modo formale all'epoca delle Crociate:
        Il Centro internazionale Pio XII viene venduto. Era nato per le masse, non è adatto alla dinamica dei piccoli gruppi ecclesiali. Proiettava la figura di una Chiesa centripeta, che chiamava da tutti i continenti a Roma. Oggi la Chiesa sta assumendo i volti locali, il Papa governa viaggiando. Su quelle mura erano incise le stigmate dell'Onnipotenza. Non sembrano adatte a servire la Chiesa della diminuzione, che tenta di ricordare che il suo è un Dio debole.
        "Ogni seme è silenzioso" sta scritto all'ingresso della sede del Movimento"
(Pagg. 538 ss).
        Ancora una "nota cronometrica" di storia vissuta, per stimolare il lettore ad abituarsi a scoprire, non certo per un bisogno di "miracolismo o rifugio", anche attraverso le circostanze più banali della vita, la tenerezza paterna e materna di Colui che fa sentire la Sua "Presenza Assente" a ciascuna delle sue creature, aiutandole a dipanare la "matassa" della propria esistenza.
        Zino aveva completato questa sintesi rievocativi di mezzo secolo di storia a notte avanzata, quando all'indomani, 28 settembre (anniversario della morte di un carissimo confratello), facendo la meditazione, come di consueto, sulle letture della domenica successiva, sullo schema da lui preparato nel lontano 1975, letteralmente "si sorprende" di trovarvi tantissime idee, espresse in questi primi tre capitoli del saggio.
        Per dare anche all'amico lettore la possibilità di "assaporare" meglio il "Mistero" di questo cammino in compagnia di Zino (bello questo cammino amichevole anche tra sconosciuti!), si riporta il testo integrale di tale schema, con l'intima soddisfazione di potersi, questa volta, autocitare, con un testo scritto quasi un ventennio prima).

5 ottobre 1975: XXVII domenica (Anno A)
(Is 5,1-7; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43)

"Si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine,
ed ecco grida di oppressi".


        In questo periodo di vendemmia, mentre nelle vigne fervono i lavori di raccolta delle uve e nei tini il mosto gorgoglia, la Chiesa ci fa meditare su due pagine bibliche che, partendo dalla vigna, spiegano realtà soprannaturali.
        Allegoria della vigna. Per comprendere sia Isaia che il Vangelo di Matteo è necessario pensare a certi vigneti, che la tenacia e la pazienza della gente dei campi hanno saputo ricavare sui declivi delle montagne, creando con le proprie mani dei piccoli pianori, disposti ad anfiteatro in pieno sole, difesi e circondati da siepi, da muretti di sassi, piantati con vitigni scelti e curati con amore per lunghi mesi.
        Il canto della vigna: inno dell'amore di Dio per il suo popolo
        L'allegoria della vigna inaugura il tema delle nozze di Jahvé con Israele, tema che ricorrerà sovente nella letteratura biblica.
        Talora Israele è designato come vigna, talora come la sposa vezzeggiata e poi ripudiata. In questo canto di Isaia le due linee si mescolano perfettamente, attraverso quasi una sovrapposizione di immagini. L'intervento del profeta richiama il ruolo dell'amico dello sposo.
        Il canto della vigna di Isaia è un inno alla cura amorosa con cui Dio ha seguito il suo popolo: l'immagine già ricca nella tradizione religiosa del V.T., è ripresa da Gesù ed è arricchita con i motivi tipici del messianismo e dell'Incarnazione del Figlio, esprimendo inoltre lo scatto avvenuto nella nuova economia, che ingloba tutti, anche i pagani, quelli giunti all'ultima ora, che anzi sostituiscono lo stesso popolo chiamato alla prima ora.
        L'immagine è ricca di insegnamenti, ma noi fermeremo l'attenzione in particolare su tre punti: la cura di Dio per la sua vigna, che diventa il paradigma della storia della salvezza, dell'agire di Dio nei confronti del suo popolo e del mondo intero; l'uomo che, nella sua libertà, arriva a dare scacco a Dio e ai suoi progetti; il trionfo dell'amore di Dio sul rifiuto e sulla infedeltà dell'uomo
.

        1) Cura di Dio per la sua vigna
        In primo luogo la cura di Dio per la sua vigna: le espressioni e le immagini usate dal profeta e da Gesù sono eloquenti. Isaia è più poetico; intona un inno per cantare le premure di Dio.
        Descrizione particolareggiata, interessante, anche sotto il profilo del costume: terra ripulita dai sassi, vangata, piantata con virgulti accuratamente scelti, siepe, muretti di pietre a secco, torre di difesa contro i malintenzionati, cantina attrezzata di tutto.
        Nella parabola del Vangelo ricorrono gli stessi dettagli (del resto le cose erano rimaste pressappoco allo stesso punto, sino alla prima metà di questo secolo). Questa descrizione pittoresca intende illustrare le attenzioni usate da Dio verso il suo popolo. Egli lo aveva scelto come suo popolo, lo aveva preso in Egitto, dove si trovava schiavo, e l'ha trapiantato in Palestina, in terra libera e benedetta.
        Per mezzo dei profeti e poi per mezzo del suo stesso Figlio, G.C., Egli ha avuto cura gelosa di questo popolo, illuminandolo con la sua Parola, fortificandolo con la sua Grazia, difendendolo dagli errori, dai nemici, colmandolo di attenzioni proprio come un padre.

        2) Scacco a Dio da parte dell'uomo
        Anche la seconda parte della parabola è sostanzialmente comune a Isaia ed al Vangelo, ma alcuni elementi cominciano a cambiare. Nel primo caso la vigna, invece di produrre l'uva sperata, presenta un frutto asprigno, selvatico, inadatto sia per essere consumato sia per essere trasformato in vino. Nel Vangelo l'attenzione si sposta dalla vigna ai vignaioli, responsabili davanti al padrone.
        Non è detto che la vigna abbia prodotto frutti cattivi; può darsi che siano stati buoni ed anche eccellenti. Il difetto, la stortura è di altro genere: i cattivi vignaioli vogliono trattenere tutto per sé e non intendono riconoscere i diritti del padrone. La loro aberrazione arriva fino alla follia di uccidere i servi, e, colmo dei colmi, l'erede del padrone, con l'illusione di diventare essi padroni assoluti di tutto.
        Anche l'applicazione rimane modificata: non più attenzione a tutto il popolo, che è la vigna, ma ai suoi capi, agli scribi e ai farisei, che compresero perfettamente la lezione: "udite queste due parabole, i grandi sacerdoti e i farisei compresero che parlava di loro e cercarono di catturarlo".
        In un caso come nell'altro il piano di Dio va a vuoto. La vigna che il Signore aveva piantato e che aveva coltivato con tanta cura, che aveva custodito e protetto con tanto amore, si è inselvatichita, rendendo vana l'attesa del padrone.
        Questo fallimento divino ci lascia interdetti. Ma non è il primo e certamente non sarà l'ultimo. Dall'inizio della storia umana sino alla fine dei tempi è tutto un susseguirsi di fallimenti.
        La caduta di Adamo ed Eva è il primo fallimento clamoroso del piano ideato da Dio a favore dell'uomo...
        Prima del diluvio, secondo il linguaggio umano carico di espressività della Bibbia, Dio disgustato delle cattiverie umane: "si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra, se ne dolse nel suo cuore e disse: «sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato» (Gen 6,6). La storia dei fallimenti continua coi profeti, questi messaggeri di Dio fra gli uomini, che vengono perseguitati e uccisi...
        Dio manda allo sbaraglio persino la persona più cara, suo Figlio. La gente avrà rispetto almeno per lui. Ci sarebbe da sperarlo. E invece quando arriva Gesù di Nazareth, non trova né una patria né una casa. E dire che veniva nella sua proprietà, nella sua "vigna". E' appena nato e già non trova chi l'accolga, deve rifugiarsi fra gli animali, perché gli uomini non si vogliono scomodare.
        E' costretto ad unirsi alle carovane dei profughi e degli emigrati lungo strade sconosciute. E prima di venire eliminato dalla società esclama: "Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli come una chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali, e tu non hai voluto". E come risposta a questo ammonimento accorato, ecco che gli viene preparato il patibolo sulla collina del Calvario. E va a morire fuori città, come fuori città era nato "E presolo, lo cacciarono fuori dalla vigna, e lo uccisero".
        Ma la storia dei fallimenti continuerà anche dopo la sua morte, com'egli del resto aveva predetto, con i suoi seguaci: gli apostoli, i martiri, i confessori, cristiani di ogni epoca e di ogni categoria sociale, laici, religiosi, sacerdoti, messi a morte ovunque, solo perché scomodi per la loro funzione profetica.
        Insieme ai testimoni antichi quanti testimoni attuali: Kennedy, L. King, Camillo Torres, (Moro, Mons. Oscar Romeno, aggiunti successivamente)... messi a morte in America come in Russia, in Italia come nella Spagna...
        La terra che calpestiamo continua ad essere vermiglia del sangue dei martiri del fascismo e del post-fascismo in Italia, del nazismo in Germania, del totalitarismo in Russia e in Cina, del razzismo in America, del potere economico nei Paesi dell'America Latina, del franchismo in Spagna... è storia appena di ieri!
        Il rantolo della morte della violenza e della contro-violenza, della mafia e della camorra, risuona ancora lugubre ai nostri orecchi... storia di oggi!
        Senza contare i milioni dei crocifissi incruenti di oggi, vittime dell'egoismo umano, dello sfruttamento, delle continue ingiustizie perpetrate dal potere economico, del colonialismo antico e moderno, del partitismo e sindacalismo, dell'autoritarismo nello Stato e nella Chiesa stessa... quanto sangue, non versato in un momento dietro il colpo di una pistola o di una spada, ma versato goccia a goccia, come in uno stillicidio, per tutta una vita di stenti, di disagi, di oppressioni, di emarginazione, di sfruttamento...
        E' Cristo che continua ad essere crocifisso oggi in questi fratelli, quasi a continuare il fallimento del piano ideato da Dio a favore dell'uomo: "Egli aspettava giustizia ed ecco spargimento sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi..."
        Tutto questo getta un fascio di luce sul rapporto Dio uomo, così misterioso per la nostra ragione. Dio prende l'uomo sul serio; gli lascia una libertà illimitata, si comporta con lui come un partner pronto ad accettare tutti i risultati della partita; sta alle regole del gioco senza eccezioni. L'uomo messo su questo piano, che possiamo chiamare di parità, arriva a dare scacco a Dio e ai suoi progetti.
        C'è solo da sperare in un orientamento diverso delle cose, allorché l'uomo prende finalmente coscienza che mettendosi contro Dio va anche contro se stesso. Il travaglio dell'esperienza che oggi stiamo facendo, dovrebbe insegnarci qualcosa!

        3) I frutti: il trionfo dell'amore di Dio sul rifiuto e sull'infedeltà dell'uomo
        Giunge infine il momento quando il Signore, per stare alla parabola di Isaia, viene a visitare la sua vigna o, secondo la parabola di Gesù, manda i suoi amministratori a ritirare il frutto.
        Non sono interventi straordinari, eccezionali, imprevisti che sconvolgono il ritmo naturale, sono i rendiconti previsti dalle leggi di natura. Si vuol raccogliere il frutto di quel che si è seminato.
        In Isaia la vigna viene abbandonata alla devastazione e alla desolazione: è la fine di tutto quello che era stato piantato da Dio stesso e che il popolo eletto non aveva saputo coltivare e portare fino al frutto, abbandonandolo al suo destino; nel Vangelo, il Signore con molta abilità fa dire agli stessi scribi e farisei quale sarà la loro sorte a conclusione della cattiva conduzione.
        Mentre Isaia parla di abbandono della vigna al suo destino, senza prospettiva di restaurazione (il che tuttavia avvenne solo momentaneamente), nel Vangelo la vigna è rimessa in altre mani più oneste e più intelligenti "che gli consegneranno i frutti a suo tempo".
        Messaggio di speranza: il futuro costruito in Cristo e per Cristo
        Se il senso della parabola è "il ripudio di Israele" omicida del Messia, ripudio che si può verificare ancora oggi, la conclusione di essa autorizza ad esplicitare un messaggio di speranza: "la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo"; Gesù Cristo resta sempre l'unica speranza dei credenti.
        Bisogna solo decidersi per Lui, non con una adesione teorica o emotiva, ma con un'adesione che si traduca in prassi di carità attiva e generosa, in uno sforzo di concreta solidarietà umana con tutti, soprattutto con chi più sta male.
        Il credente attende certamente il suo futuro da Dio in Gesù Cristo, perché è a lui che appartiene questo futuro. Ma attesa non significa inerzia, inoperosità. Quella del credente è un'attesa attiva, un continuo andare incontro a Cristo in mezzo al mondo e nel mondo.
        L'attesa cristiana non è "l'oppio del popolo" che addormenta, che sanziona l'ingiustizia e la miseria, ma stimolo ed impegno ad agire per instaurare nel mondo la giustizia, la pace, la libertà, la fraternità universale, la dignità dell'uomo.
        San Paolo nella II Lettura ci dà tutto un programma di vita, facendoci capire che non solo bisogna attuare la Parola (V. 9), ma occorre sentirsi sempre in ricerca (per evitare false sicurezze) in cammino verso tutto ciò che è "vero, nobile..." protesi ad un rapporto non solo cultuale, ma autentico e personale con Dio (V. 6) impegnati a costruire una solidarietà fondata sull'amore e sulla pace" (V. 7).

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