GERARDO DE PAOLA - ZINO E... MISTERO - c) DISSENSIONE ... con le strutture esterne

c) DISSENSIONE ... con le strutture esterne
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        Il discorso che si protrae a lungo, convalidato da questa ricchissima documentazione, fedelmente riportata non per un gusto sadico di continuare a "soffrire o far soffrire", ma esclusivamente per un'incontenibile esigenza di "comunicazione e coeducazione", alla luce di fatti concreti, di vita vissuta nella prospettiva della croce, avrà sollecitato il lettore, me lo auguro, a considerare la bellezza entusiasmante di vivere il proprio ruolo nella società in trasparente coerenza, anche se a rischio di immancabili sofferenze nel porsi controcorrente.
        E' una sofferenza interiore, mi si creda, che dà serenità o, addirittura, gioia di voler imitare Cristo che, ancora oggi, continua la sua passione in quelli che non contano, spesso in contrasto con quelli che contano, sia nella Chiesa che nella società.
        In modo particolare poi un ministro di Cristo non può non vivere il suo sacerdozio in dimensione profetica, pena la vuotaggine della sua missione.
        Anche per Zino quindi motivi di frizione e contrasto non possono mancare sia localmente, che con le strutture esterne.
        Soltanto a titolo informativo se ne dà qualche esempio, cominciando da una travagliata vicenda, protrattasi per anni ed anni legata al restauro della tela raffigurante il martirio del Patrono, quasi a simbolo di un altro... scorticamento, seppure incruento.
        La Soprintendenza per B.A.A.S. della Campania, sin dal 1968, con reiterati solleciti scritti e orali, anche da parte dell'Ordinario Diocesano, era stata interessata, tramite il Comm. Marzano, al restauro del quadro.
        La tela, dopo un ennesimo sollecito per iscritto da parte di S. E. Mons. Mojaisky nel 1974, è ritirata soltanto nel Luglio '76 per trovare... "seppellimento" nel Museo, o meglio "cimitero" di Capodimonte. Nonostante le mie continue rimostranze telefoniche e personali (ne sanno qualcosa sia la SIP che la mia fedele cinquecentina!), tracimate in questa mia lettera del 24/7/80, in stile talmente agro-dolce, da sorprendere oggi lo stesso autore, cui lo Spirito ha suggerito di tentare tutte le strade pur di... riuscire allo scopo, col risultato di... aver sollecitato un pretesto per giustificare l'inadempienza. Si cozzava continuamente contro un muro granitico di omertà, tra funzionari e politici, che avevano da coprirsi reciprocamente...
 

Vallata, 24/7/1980

Ill/mo Prof. RAFFAELLO CAUSA
Soprintendente ai BENI ARTISTICI E STORICI DELLA CAMPANIA
Palazzo di CAPODIMONTE - NAPOLI

        Con la presente vengo a pregarla di volermi gentilmente comunicare se è stato completato il restauro del quadro del Lanfranco, ritirato da questa Parrocchia nel luglio 1976.
        Se ancora fosse in corso di restauro, La pregherei vivamente di sollecitarne il completamento, dato che la Chiesa parrocchiale, restaurata con la legge del terremoto 1962, è stata inaugurata da un paio d'anni ed attende di accogliere il famoso quadro del Patrono, S. Bartolomeo Ap.
        Mi permetto ricordarLe pure che S. E. l'Arcivescovo con la stessa lettera del 10/9/74 inoltrava uguale richiesta alla Direzione Generale ed a codesta On/le Soprintendenza per il restauro di due statue a mezzo busto di S. Bartolomeo e di S. Vito e di due ovali attributi ugualmente al Lanfranco, nonché di una tela del Ronca e di una statua di S. Alfonso del Cifariello, con altre opere minori. Essendo questi due autori della gloriosa Scuola Napoletana, cui appartenne anche il grande pittore bolognese, confido vivamente nella Sua squisita sensibilità napoletana, per far includere queste opere nelle prossime programmazioni.
        Nutro pertanto fiduciosa speranza che, ad evitare altre spese, disponga gentilmente il ritiro di tali opere, in occasione dell'invio in Parrocchia della pregiata tela del Lanfranco.
        Sono sicuro che non deluderà l'attesa mia personale e dell'intera popolazione che, avendo generosamente contribuito alla ricostruzione della chiesa multisecolare, valorizzando pienamente quanto di artistico era stato tramandato dal passato (meraviglioso altare, riattato alle nuove esigenze liturgiche, con tutti gli arredi sacri, artistico coro in noce del '700 con confessionali ed altro, suggestiva cripta, ecc.) ed integrandolo con nuovi elementi artistici, che sono dei veri gioielli d'arte e di fede (un originale Battistero, delle vetrate ed un grandioso rosone in vetro "dalles", lavorato a Firenze, a spacco, nella migliore gamma di colori al selenio e oro, ecc.), attende adesso un responsabile e valido intervento di codesta On/le Soprintendenza, per la valorizzazione delle opere di cui sopra.
        Quando la S. V. si trova di passaggio sull'autostrada Napoli-Bari, non manchi di fare una gradita capatina a Vallata, per una breve visita alla chiesa, e si renderà conto personalmente di questa armoniosa sintesi tra vecchio e nuovo, creata dalla fede e dalla generosità di un popolo, che non vive certo in floride condizioni economiche.
        In attesa di cortese riscontro, La ringrazio anticipatamente, esprimendoLe fin d'ora i sensi della mia più viva gratitudine per la collaborazione che offrirà a questo popolo, nella valorizzazione di questo ricco patrimonio artistico e culturale, che è la nostra vera ricchezza.
        Con la sicurezza di una Sua gradita visita in loco La ossequio distintamente.

        L'Arciprete (Sac. Gerardo De Paola)

        Dopo tante peripezie, per vari anni in lista di attesa, ad ironia della sorte, nel 1983 la tela è trasferita d'ufficio alla Soprintendenza di Salerno Avellino: un macigno che rotola di nuovo a valle, vanificando un doloroso cammino in salita di oltre quindici anni!
        Il cireneo ha da riprendere daccapo il suo cammino di croce, sovraccaricata anche dal peso di restauro dell'unica cappella del paese affidata ad una sezione della Soprintendenza, correa come l'altra.
        Come se ciò non bastasse, al duplice peso della croce, c'è da aggiungere anche la beffa dei politici nostrani che, pur avendo assicurato tante volte il loro interessamento, non hanno mai mosso una pedina.
        Solo per evitare lungaggini non se ne riporta la documentazione,... gelosamente custodita!
        Nell'agosto '88, in occasione della festa patronale, il quadro, restaurato ma senza cornice, viene riportato provvisoriamente in parrocchia, in attesa di completamento.
        La provvisorietà si protrarrà per un altro quinquennio di... calvario, sfociato in una infuocata diffida, inviata per conoscenza anche al Presidente della Repubblica. La stessa sorte subiva da anni la cappella del Carmine, senza riuscire a trovare il bandolo della situazione, dopo lo spreco di milioni previsti per il restauro.
        La Segreteria della Presidenza con "pilatesca sornionerìa" si liberava della patata bollente assicurando un "immediato interessamento", approdato ugualmente a nulla di fatto: elefantiaco burocraticismo voluto e tollerato da tutti, per infossare l'Italia!
        Che dire poi della ridicolaggine cui è giunta la Soprintendenza di Salerno, nel respingere al mittente la raccomandata in R.R., con la baggianata del "trasferimento" del Sovrintendente. Cose allucinanti!, verificatesi in questi pirateschi carrozzoni dello Stato, messi su da politici conniventi per una... reciproca copertura, protratta nel tempo, come si verificherà anche col nuovo responsabile dell'Ente.
        Dopo cinque anni martoriati, la matassa sarà sbrogliata soltanto per la finezza di una signora ivi impiegata che, resasi conto della tragicommedia, piglierà a cuore la situazione, superando con la sua femminile tenacia anche il... boicottaggio di alcuni colleghi. Cose incredibili!
        La documentazione, ancora una volta fedelmente riprodotta, può offrire al lettore una chiara idea del muro granitico, contro cui si è dovuto cozzare continuamente, per colpa di funzionari "insediati" ovunque a suon di calci politici.

Vallata, 19 settembre 1991


Al Soprintendente B.A.A.A.S. Di Sa./Av.
Dott. Giuseppe ZAMPINO
Sede di SALERNO Via Mauri, 90
"AVELLINO via Pionati, 4
e p. c. AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
On. Francesco COSSIGA
00187 ROMA
ALL'ARCIVESCOVO
Mons. Mario MILANO S. ANGELO DEI LIDI (AV)

        Esimio dottore,
        l'Arcivescovo mi ha informato che a tutt'oggi non c'è stato alcun riscontro, nemmeno a titolo di educazione, alla sua lettera del 27 giugno u.s., in cui significava il suo "accorato rincrescimento per lo stato di abbandono dei lavori e mancata consegna della chiesa del Carmine in Vallata".
        Prima di adire gli Organi Superiori per i provvedimenti del caso, conseguenziali al vergognoso utilizzo dei milioni dello Stato, quale rappresentante di un'intera popolazione, che freme perché alla vergogna di un decennio di attesa si è aggiunta, per usare un eufemismo, la "sfacciataggine" di una mancata risposta, da parte dell'Ente da lei diretto, con la presente diffido codesta Soprintendenza a consegnare la suddetta cappella, dopo averne ultimati i lavori, entro 30 gg. dalla data odierna.
        La protesta è di un'intera comunità, giunta ormai dall'esasperazione one per quanto sopra e per un'altra inadempienza, che si protrae ugualmente da anni. Nell'agosto 1988, dopo ben tre lustri di peripezie, è stato provvisoriamente restituito alla parrocchia "senza cornice ", un quadro del Lanfranco, dopo averne effettuato il restauro. La cornice non ancora ha visto la luce!
        Si precisa che la comunità, nel giro di pochi anni, ha provveduto in proprio, senza sprecare miliardi dello Stato, al restauro di altre cappelle e di opere d'arte, affidando soltanto questi due interventi a codesto "carrozzone", che non ha programmato la sistemazione definitiva delle opere, con la stessa solerzia con cui ha "sistemato" i milioni a ciò destinati.
        L'ultimazione dei lavori infatti si protrae allo... infinito!, nonostante continui e pressanti solleciti agli addetti che, oltretutto, cambiano continuamente, forse per una "connivente" copertura di responsabilità.
        Se necessario, mi riservo di fare una cronistoria, dettagliata e documentata, di lotta ad oltranza in un quarto di secolo, contro i mulini a vento della burocrazia italiana.
        In attesa di "doveroso ed immediato riscontro", La ossequio

L'Arciprete
(Gerardo Sac. DE PAOLA)
Via Piazza di Sopra, 5
83059 VALLATA (AV)

 
Al Presidente Cossiga, insieme alla fotocopia, fu inviata questa lettera di accompagnamento:

Vallata, 19 settembre 1991

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
On. Francesco COSSIGA
00187 ROMA

        Caro Presidente,
        mi ero illuso che la Segreteria del Capo dello Stato fosse stata immune da "discrimitòri silenzi burocratici", ma mi son dovuto ricredere, a causa di un mancato riscontro ad un mio telegramma del 13 luglio u.s., di viva partecipazione al dramma interiore, colto sul Suo volto al telegiornale delle ore 13 in quel giorno, confermandomi nel dubbio che il telex sia stato insabbiato, anche se involontariamente, da qualche "cecchino".
        Nella speranza che questa mia "riservata personale" abbia maggiore fortuna, resto in fiduciosa attesa di cortese riscontro sia al telegramma, sia alla protesta di quelli che "non hanno voce", nel rivendicare precisi diritti, di fronte a vergognose inadempienze dei "carrozzoni burocratici" della nostra "pur sempre amata" Italia, come da lettera acclusa.
        Distinti ossequi e fraterni auguri onomastici, in comunione di preghiera e di ideali.

L'Arciprete
(Gerardo Sac. DE PAOLA)


        Il testo del telegramma, cui si è fatto riferimento, era il seguente: CARO PRESIDENTE SIAMO COETANEI ET UNITI MEDESIMO IDEALE DARE VOCE A CHI NON HA VOCE TU NELLO STATO IO NELLA CHIESA STOP STATO HABET DIMENTICATO ESSERE A SERVIZIO DELL'UOMO ET CHIESA ESSERE COSCIENZA CRITICA SOCIETA' DIVENTATA CON IL SUO PERBENISMO ODIERNA ATOMICA UMANITA' STOP TENIAMO DURO GERARDO SACERDOTE DE PAOLA.

        SEGRETARIATO GENERALE
        DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
        SERVIZIO AFFARI GENERALI - DIV. SOLIDARIETA' SOCIALE
        Prt. AGS/57013

        Roma, lì 3 Ott. 1991

        Sac. Gerardo DE PAOLA
        Parroco della Chiesa S. Bartolomeo Apostolo Via Piazza di Sopra, 5
        83059 VALLATA (AV)
        In relazione alla lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, si comunica che su quanto in essa prospettato si è provveduto ad interessare la Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. di Salerno.
        Con i migliori saluti

IL CAPO DEL SERVIZIO


        L'interessamento assicurato ha sortito un... nulla di fatto.
        Prima di concludere questa parte mi è gradito puntualizzare, a titolo di memoria storica, che Zino ha sempre sdegnosamente ricusato il dubbio della Soprintendenza, circa l'autenticità della tela, in quanto non è stata trovata la firma del Lanfranco: evidente pretesto per giustificare la chilometrica lungaggine dell'intervento di restauro!
        Anche un bambino di scuola elementare, dopo aver riscontrato il taglio della tela, a destra e a sinistra avrebbe intuito la conseguente asportazione della firma. Purtroppo, responsabili di questo vandalico scempio furono il restauratore, ma anche l'Arciprete dell'epoca a permetterlo.
        A memoria perenne di questo vergognoso episodio resta il nome del Lanfranco, riportato a stampatello, a caratteri, oltretutto, piccolini, rispetto a quelli cubitali del restauratore, o meglio... imbianchino, Annibale Barchiesi nel 1902. Un autentico... masnadiero.
        Zino non ha mai digerito, è ben che si sappia, quel "attribuito al Lanfranco", per cui, attraverso ostinate ricerche è riuscito a trovare un'altra opera dello stesso, conservata a Parigi, che rivela evidentissimamente lo stesso stile. Già durante il restauro, ha offerto agli operatori delle BAAS fotocopia di questa, per un convincente confronto.
        Questa sua certezza, successivamente, è stata pure convalidata dal risultato di ricerca affidata ad un suo amico, vero topo di biblioteca, che, col documento qui riprodotto, può fugare ogni ombra di dubbio dalla mente dei prezzolati "esperti da... tavolino".
        Pertanto, si riportano qui, sia la risposta alla lettera del 27/7/80, di cui sopra, sia la citazione integrale tratta da un libro del Prof. Giuseppe Gargani "La Vecchia Conza" (Pagg. 101-102).


        SOPRINTENDENZA PER I BENI ARTISTICI E STORICI DELLA CAMPANIA

proc. N. 6959

80131 NAPOLI, 13/9/1980
PALAZZO DI CAPODIMONTE


        OGGETTO:
        SAC. Gerardo De Paola
        Arciprete Parrocchia S. Bartolomeo Ap.
        VALLATA (AVELLINO)

        In risposta alla Sua lettera del 241711980, questo Ufficio Le comunica che il quadro attribuito al pittore bolognese Giovanni Lanfranco, attribuzione peraltro molto dubbia, ritirato dalla Chiesa Parrocchiale di Vallata nel luglio '76 è tutt'ora conservato nei depositi di Capodimonte in attesa di restauro.
        L'Ufficio ha tuttavia intrapreso una campagna di restauro dei dipinti - anche di grande importanza - già ritirati dalle province, e senz'altro la tela in questione verrà restaurata in questa occasione.
        Proprio per favorire l'attuazione di questa politica, l'Ufficio ha per il momento sospeso ulteriori ritiri.
        Distinti saluti

IL SOPRINTENDENTE
(Raffaello Causa)

        "45. Ercole Rancone, nobile modenese, dottore in utroque, Vescovo di S. Angelo dei Lombardi, fu trasferito all'Arcivescovato di Conza il 23 ottobre del 1645. Fu di grande liberalità: a S. Angelo edificò il convento dei Riformati; a Vallata abbellì l'altare maggiore di colonne dorate e del quadro di S. Bartolomeo, opera del pittore Giovanni Lanfranco di Parma".

        Alla consegna della tela restaurata la Soprintendenza lasciò alla Parrocchia questa relazione:

 
COOPERATIVA "PRIMAVERA" a. R.L.
Restauro Opere D'Arte
Sede: Via G. B. Amendola, 91
84100 SALERNO

        Scheda sullo stato e sugli interventi di restauro relativi alla tela raffigurante il martirio di S. Bartolomeo e recante in basso a sinistra la scritta LANFRANCO FECE 1627 e in basso a destra il nome del restauratore ANNIBALE BARCHIESI che, nel 1902, effettuò probabilmente l'ultimo restauro, proveniente dalla Chiesa Madre di Vallata (AV).
        Questa tela di grosse dimensioni (2,80x3,20) è stata foderata nei laboratori di restauro del Museo di Capodimonte a Napoli, rullata e montata su un telaio di abete, proveniente anch'esso da Capodimonte, e mandata poi presso i laboratori di restauro del Museo del Duomo di Avellino. Il dipinto all'inizio della .fase di restauro, presentava una cattiva lettura dovuta ad un velo di polvere che mascherava uno spesso strato di Vernice (o Vernici), NUMEROSISSIME SPATINATURE, NUMEROSE RIDIPINTURE e vari RIFACIMENTI, così com'è possibile rilevare dalla documentazione fotografica. Nello specifico le zone nelle quali era presente un maggiore strato di vernice (o vernici) e ridipinture sono risultati i panneggi e lo sfondo (cielo e paesaggio) mentre in alcune figure e negli incarnati dei vari personaggi lo strato di vernice è risultato meno spesso. A questo proposito bisogna ricordare che era d'uso nei restauri effettuati sino agli inizi del '900 porre attenzione nella pulitura di figure ed incarnati lasciando le parti ritenute "meno importanti" o secondarie in completo abbandono comprendole con colori e vernici; ed infatti i colori maggiormente danneggiati sono risultati quelli dello sfondo (ed in particolare del cielo) che erano completamente "OSSIDATI". Quest'ultima, che già nei precedenti re-stauri erano ossidati e spatinati, erano stati nascosti con una vasta ridipintura azzurra (azzurro oltremare) che, ossidandosi, ha poi preso la tipica colorazione verde. Il Dipinto, inoltre, presentava numerosissime mancanze di colore (vedi corpo di S. Bartolomeo, cielo, ecc...), rilevanti lesioni (di cui la più evidente è quella centrale che presentava dei punti di sarcitura, tolti in fase di restauro, molto visibili) e numerose spatinature di colore in senso verticale (vedi gamba del Santo e base) dovute ad agenti fisici.
        Gli INTERVENTI DI RESTAURO SUL DIPINTO sono iniziati con un esame a luce radente che ci ha permesso di avere una visione completa della consistenza del colore e cioè: adesione alla nuova tela, preparazione in mestica rossa cioè ocra rossa (ossidi di ferro) e strati pittorici. Gli interventi sono proseguiti con Saggi di pulitura (vedi materiale fotografico) atti ad individuare metodi e solventi più adeguati, quest'ultima da ricercare tra i consueti leggeri a media/alta volatilità. Si è dato così inizio alla rimozione (talvolta anche con azione meccanica: bisturi) delle vernici e dei vecchi ritocchi estesi ed arbitrari; in questa fase ci siamo avvalsi anche della LAMPADA DI WOOD per avere una lettura più chiara di alcuni particolari o punti della tela; vedi: albero sopra la torre, visi che non comparivano, mano sinistra, capelli e viso della fanciulla con probabili ripensamenti pittorici dell'artista. Particolare attenzione è stata rivolta alla scritta LANFRANCO FECE, dovuta sicuramente alla mano del restauratore ANNIBALE BARCHIESI, alla ricerca della firma autografa dell'artista, senza ricavarne alcun risultato.
        Infine sull'opera restaurata è stato applicato uno strato protettivo di vernice di resina incolore sciolta in essenza di trementina.
        Considerazioni finali: Questo ha subito gravi danni dovuti al tempo ma ancor più agli interventi dell'uomo, come i non idonei restauri (i due 2 o 3 precedenti) e l'amputazione della parte destra e sinistra che lo ha privato di alcuni personaggi. Il nostro intervento è stato finalizzato a riportare il dipinto alla bellezza cromatica originale (vedi volto e corpo del santo, della fanciulla, e dei volti che precedentemente non comparivano affatto), togliendo tutte quelle ridipinture, che nel corso dei secoli si erano accumulate, e facendo rivivere alcuni particolari che man mano erano stati stravolti (Pino Mediterraneo sulla torre, ecc...).

        La meticolosa e tenace testardaggine di Zino ha portato anche a dure prese di posizione contro frequenti disservizi telefonici e postali. Il caso più eclatante di un attanagliante reclamo, che, una volta tanto, ha trovato anche riscontro, è stato il seguente:

Vallata, 7/11/91

Spett. DIREZIONE PROVINCIALE P. T.
3° Reparto Amm/ne Postale
80100 NAPOLI

        Facendo riferimento alla Racc. n. 52199 del 7 ott. u.s., mi permetto comunicare quanto segue:
        La documentazione richiestami con quella raccomandata, era stata inviata all'Ufficio Postale di Napoli Porto sin dal 2815191, senza riscontro alcuno, fin all'11 ott., quando mi giunse la Vs. richiesta. Il giorno successivo, dopo aver espresso telefonicamete alle ore 9,10 al magazziniere il mio stupore per quanto succedeva in quell'Ufficio, lo pregai di fare un'accurata ricerca. Alle 9,40 in una mia seconda telefonata, mi fu risposto di non aver ricevuto la raccomandata in oggetto, per cui mi si pregava di ripetere la domanda.
        La cosa mi sembrava inverosimile, per cui stavo stilando una mia dura denuncia alla Direzione Generale, quando alle 10,45, mi giunse una telefonata in cui mi si assicurava, tramite il magazziniere, che avrebbero provveduto in giornata all'invio dei pacchi, senza che ripetessi la domanda sostitutiva e, bontà loro, "senza aggravio di spese di deposito".
        Essendo congenitamente allergico alle beffe, pretesi nella stessa telefonata che mi fosse data da quell'Ufficio una precisa spiegazione, per iscritto, del vergognoso episodio. I pacchi mi sono giunti il 16 ott., ma la spiegazione del mistero a tutt'oggi, no.
        Prima di adire, questa volta, la Procura della Repubblica, essendoci tutti gli elementi necessari, offerti da incoscienti, che si nascondono dietro l'anonimato delle strutture, prego codesta Direzione Provinciale P.T. di farmi pervenire, entro 10 gg. dalla data della presente, una "doverosa e dettagliata spiegazione " del caso.
        Resto in (paziente) attesa ed ossequio

L'Arciprete
(Sac. Gerardo DE PAOLA)


 

        Amministrazione delle Poste
        e delle Telecomunicazioni

       DIREZIONE PROVINCIALE P. T. 
        3° Reparto Amministrazione Postale 
        Servizi Pacchi
       80100 NAPOLI

        PROT. N. 3/25009/91/NL
  80100 Napoli 6/12/1991


Al PREG.MOS
AC. GERARDO DE PAOLA 
VIA PIAZZA DI SOPRA N. 5
 83059 VALLATA (AV)

        OGGETTO: Reclamo

        In riscontro al Suo cortese esposto predetto in data 7/11/1991, si partecipa che gli accertamenti esperiti presso il dipendente Ufficio P. T. di Napoli Porto hanno permesso di appurare la fondatezza delle Sue rimostranze.
        Il disservizio lamentato dipese - innanzitutto - dalla difformità di giudizio dei funzionari doganali che controllarono i pacchi postali esteri a Lei indirizzati.
        Infatti, il primo funzionario doganale rilevò la natura "commerciale" dei pacchi e, pertanto, richiese - tramite l'Ufficio P. T. di Napoli Porto - la documentazione di rito.
        I documenti inviati da Lei il 28.5.1991, per un disguido interno, non pervennero al settore "Magazzino". Il personale ivi preposto, distratto dalla gran mole di lavoro, dalla delicatezza delle operazioni e da un periodo di radicale riorganizzazione del servizio, omise di richiedere l'intervento dello scrivente, dopo i previsti trenta giorni di giacenza dei pacchi,
        Tale omissione, purtroppo, si è protratta per il sopraggiunto periodo feriale (personale postale e doganale ridotto).
        In seguito, Ella prese contatti telefonici con i responsabili del "Magazzino" che, resosi conto del disservizio - vuoi per mera distrazione, vuoi per l'impossibilità di lavorare anche diligentemente a causa dei cennati motivi - operarono il tentativo, non previsto dal regolamento doganale, di riproporre i pacchi all'esame del funzionario doganale di turno, il quale, in difformità a quanto deciso in prima istanza, li ritenne "esenti", autorizzando lo sdoganamento senza documentazione.
        Rappresentando profondo e vivo rincrescimento per l'accaduto ed assicurandoLe che i responsabili sono stati perseguiti disciplinarmente, si porgono distinti saluti.

IL DIRETTORE PROVINCIALE
(Vice Dir prov. Bianchi)

 
        Tutte le esperienze di frizione qui ricordate possono aiutarci a capire la portata rivoluzionaria della affermazione di Gesù, ricordata da S. Luca al capitolo 12. Proprio lui, l'evangelista che esalta la misericordia di Dio, lo "scriba mansuetudinis Christi", ci ricorda: "Pensate che io sia venuto a portare la pace tra gli uomini? No, ve lo assicuro, non la pace ma la divisione".
        Il rinnovamento spirituale che Gesù è venuto a portare sulla terra, è come un fuoco interiore, che non ammette connivenze o compromessi di sorta con persone (soprattutto con quelli che.. contano!) e strutture, sia civili che ecclesiali: di qui le divisioni.
        Se il seguace di Cristo, e tanto più il suo ministro, prima o poi, in totale adesione a quel principio, non arriva a fare questa dura esperienza, c'è da dubitare molto dell'autenticità della sua sequela e del suo ministero.
        Gesù infatti, nella sua lotta contro ogni forma di magia, di fanatismo, di trionfalismo, di fariseimo, afferma solennemente di sé: "son venuto a portare il fuoco sulla terra" (Le 12,49), puntualizzando quanto Giovanni Battista aveva detto di lui: "viene uno che è più forte di me... costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" (Le 3,16).
        L'immagine appartiene al campo di attesa di Elia, che potrebbe chiamarsi il profeta del fuoco, che ha determinato anche una delle più antiche interpretazioni di Gesù da parte della gente.
        Il Siracide al cap. 48, 1-12 presenta il profeta che, nel sec. IX a.C., in un momento critico per lo Javismo, brucia nel fuoco di un ardente zelo per l'ortodossia, in attesa della speranza messianica.
        Lo spirito di Elia è ereditato dal discepolo Eliseo, coraggioso e intrepido, senza lasciarsi intimidire né dominare dai potenti dell'epoca.
        Sotto questo aspetto Elia, la cui attività continua nel discepolo, fa pensare alla figura di Giovanni Battista, che non si lascia intimidire dalle minacce di Erode. L'opinione della gente comune identifica pure Gesù con il Battista redivivo.
        Queste poche riflessioni ci aiutano a capire che il fuoco è il potere di Dio che purifica: potere di trascendenza e di santità, che va bruciando l'impurità degli uomini, che distrugge l'alterigia dei superbi, che bolla a sangue ogni forma di fariseimo, che purifica dal di dentro.
        La solenne proclamazione di Gesù richiama i suoi discepoli ad una cristologia di fuoco, cioè ad un modo di pensare, nel quale Gesù si presenta come il portatore del fuoco di Dio sulla terra, per purificare ciò che è buono e distruggere ciò che è corrotto.
        La Sua come è Parola di misericordia, è anche fuoco (giudizio) di Dio sulla terra per cui quando Egli dice che deve essere battezzato, vuol dire che deve passare attraverso il fuoco.
        Il fuoco della purificazione che deve portare a "cieli nuovi e terra nuova" non è una cosa che Gesù ha portato dall'esterno ma, in realtà, è la sua stessa vita, il suo destino di passione, di sofferenza, di morte e di Pasqua.
        L'evangelista Marco al Cap. 10,38 ci conferma che il Battesimo al quale Gesù accenna non è altro che la sua morte, per cui minimamente possiamo dubitare che il campo della forza distruttrice e creatrice di Dio non sia concentrato sul Calvario.
        Il fuoco di Gesù sulla terra quindi è una via d'amore durante il tempo della vita, il suo impegno di dolore sul Calvario, la sua speranza d'una nuova realtà per mezzo della Pasqua. La forza purificatrice di Dio ci raggiunge attraverso la croce, quella croce che immette nella Pasqua.
        La pace quindi offerta da Cristo al mondo avrà per noi senso e validità, nella misura in cui comporterà una catarsi, nel superamento di ogni logica egocentristica, attraverso una conversione che spezzi tutte le false giustizie.
        Ecco come Gesù è venuto a separare gli uomini, spezzando i vincoli d'una famiglia fondata solo sull'unità del sangue e sull'egoismo.
        Chi ha recepito tutta la durezza di questo giudizio separatore sarà capace di costruire la nuova famiglia di Gesù, radicata nell'amore agli altri, nel regno: "mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" (Le 8,21). Ecco da chi è composta la nuova famiglia del suo regno. Coloro che ascoltano e mettono in pratica la parola di Gesù, divengono la sua famiglia, sua madre e i suoi fratelli, che con Lui formano un focolare di amore e di fiducia, membra gli uni degli altri.
        Non per il gusto di autocitarmi, ma per il piacere di confidare al lettore un messaggio sempre attuale, filtrato attraverso l'esperienza di oltre un ventennio. mi è gradito concludere questa parte con una mia omelia del 18 agosto 1973. frutto di ricerche da riviste e commenti vari sulla liturgia della 20^ dom. p. a.. con il passo citato del Vangelo di Luca.

        Scelta di fedeltà a Cristo, per continuare a portare sulla terra il fuoco di purificazione e di rinnovamento dello Spirito.
        Ogni uomo, un giorno o l'altro, si trova di fronte a scelte dolorose, perfino tragiche, o che esigano del vero eroismo. La situazione diventa particolarmente lacerante, quando ci si trova divisi tra la fedeltà alla fede e al Vangelo, da una parte, e la fedeltà ai propri affetti (famiglia, ambiente, paese ecc.) dall'altra: Gesù pone gli uomini di fronte ad una scelta (Krisis = decisione, scelta) di andare con lui o contro di lui (Cfr Gv 15,22-24).
        Quante scelte dolorose impone la fedeltà a Cristo, ad ogni passo della vita! La vocazione religiosa per sé o per i figli; l'uscita da una situazione di neutrualità connivente col male, con l'ingiustizia, con lo sfruttamento; il distacco da una vita comoda, facile, da prospettive di carriera e di guadagno, per seguire meglio Cristo, nell'incertezza di una vita austera, spesa per gli altri, magari non capita e osteggiata proprio dai più vicini...
        Al dramma di coscienza e alle lacerazioni interiori si aggiunge fatalmente l'incomprensione di coloro che sembra non solo di lasciare, ma di tradire.
        E questo conflitto si svolge sempre in un clima di ambiguità, dato che il male e il bene, in noi e nel mondo, restano mescolati in modo inestricabile.
        Chi è l'oppressore e chi è l'oppresso? con quale diritto io, uomo peccatore e ingiusto, posso levarmi contro l'ingiustizia? Grande è allora la tentazione di appartarsi, di tirarsi fuori dalla lotta.
        Il tutto in un clima di ambiguità, che solo la Parola di Dio può illuminare. A parte il fatto che questo atteggiamento non va esente da equivoci, per cui, tacitamente e vigliaccamente alle volte, ci si rende complici di tutto e di tutti.
        Su questo problema di scottante attualità, le tre letture di oggi gettano una luce precisa (XX dom. p. a. ciclo C).
        E' indicativa anzitutto la sorte toccata al profeta Geremia. Strano destino. quello di Geremia! Gli chiedevano il parere del Signore; dopo aver pregato egli parlava, e solo perché quel che diceva non corrispondeva a quello che essi desideravano udire, lo accusavano di disfattismo e ne desideravano la morte.
        Perché questo accanimento del popolo e delle autorità contro il nostro profeta? Perché egli vuole estirpare un difetto persistente, il nazionalismo religioso, che consiste per una nazione nell'appropriarsi, in certo senso, di Dio al punto da monopolizzarlo.
        Cosa che si verifica tante volte non solo per le nazioni o per gruppi sociali, ma anche, per la verità, per quelli che credono di averne il monopolio. Come la storia si ripete!
        I soldati tedeschi portavano ancora nel 1940 dei cinturoni sui quali si trovavano scritte le parole Gott mitt uns = Dio con noi, l'Emmanuel dei discendenti di Giacobbe. Gli stessi francesi non esitano ad unire il Sacro Cuore al loro emblema: la bandiera blu-bianca-rossa! Che dire dello scudo crociato in Italia?!
        Una nazione fa presto, in mezzo ad un conflitto, ad immaginare che Dio non possa... che essere dalla sua parte, approvarla e darle vittoria.
        E' esattamente ciò che pretendevano gli avversari di Geremia (Ger 21,2): Jahvé, pensavano, farà dei prodigi per tirarci fuori da questo grave impaccio (nel quale si erano messi per loro errore). Ma il nostro profeta sostiene assolutamente il contrario: il Signore, dice, non può lasciare impuniti i crimini della sua nazione prediletta, proprio perché è la sua nazione prediletta; se essa si ostina nella ribellione, espierà a luogo e duramente.
        E' chiaro che tali propositi abbiano fatto passare Geremia per traditore della sua patria e gli abbiano attirato l'odio delle genti, accecate da un fanatico sciovinismo.
        Il profeta sa assumere lo sguardo di Dio, che gli fa vedere nel suo popolo, non soltanto il bene, ma anche il male e negli stranieri, non soltanto il male ma anche il bene. Lezione quanto mai attuale per i monopolizzatori della verità, oggi...
        Di fronte ai maltrattamenti e davanti alla morte stessa Geremia non è mai indietreggiato: al contrario, ha continuato ad annunciare fedelmente il messaggio, semplice e duro, che gli attirava tanto odio. E' comprensibile perciò che egli occupi un posto insigne nella folla dei testimoni-martiri, vittime della loro fede e vittoriosi grazie ad essa, e che preannunci la sorte stessa che toccherà a Cristo, segno di contraddizione in mezzo agli uomini...
        Circondati "da un gran numero di testimoni..., anche noi..., deposto tutto ciò che è di peso... " e che ha un solo nome, il peccato, in tutte le sue espressioni di malignità, invidia, egoismo, superbia, tracotanza, ira, vedetta, falsità... "corriamo con perseveranza nell'agone che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù ...." disposti ad accettare quello stesso battesimo verso cui Cristo è proteso, provocando ed esperimentando nella vita quotidiana la stessa ansia ed angoscia di Cristo. "C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto".
        E' un desiderio immenso che Cristo sente di essere immerso (nel senso di battezzarsi, immergendosi nelle acque della morte) in questo abisso di sofferenza, che lo condurrà al compimento della sua missione: portare il fuoco, cioè lo Spirito, con la sua forza purificatrice e innovatrice, che deve raggiungere tutti gli uomini, anche se creerà divisioni. "Non sono venuto a portare la pace sulla terra, ma la divisione".
        Quanto realismo in questa osservazione di Gesù, sul risultato della sua opera tra gli uomini! Essi sono posti di fronte ad una scelta che, data la loro libertà, provocherà non la pace, ma la divisione.
        Chi accoglie Cristo non entra in uno stato di pace paradisiaca, ma prova dapprima in se stesso la guerra e la divisione. Egli non può accettare l'ambiguità del compromesso, non può vivere il bene e il male, trovare un accordo tra il vero e il falso, non può affidarsi totalmente alle certezze umane, deve abbandonare continuamente la terra delle tranquille abitudini, per l'incertezza di una terra che non possiede.
        La fede in Cristo paradossalmente crea nemici, pone ostacoli. Questo è il vero perché l'amore e la verità hanno nella croce il loro prezzo e la lo verifica. Non c'è amore che non porti con sé la sofferenza, non c'è verità che noti ferisca. Se l'amore è dono gratuito non può non essere distacco da se stesso. Se la verità è scoperta non può non essere un giudizio sulle nostre azioni, e un impegno per nuovi e più scomodi orizzonti, entrando per ciò stesso nella mischia e nella lotta.
        Il cristiano non si può considerare né è ritenuto un neutrale: per molti è un nemico, anche se egli vuol essere il "fratello universale". La storia dell'umanità può far conto sulla volontà di comunione, di impegno e di collaborazione del cristiano, ma il suo progetto di liberazione, la sua utopia di un amore senza confini non possono non suscitare dissensi nella famiglia, tra gli amici, nella società, imporgli delle scelte che urteranno la tranquillità di molti.
        Questo è inevitabile perché è sui valori e sui significati che si gioca l'impegno e la vita, ed è su questi significati che si compie la comunione o sorgono le opposizioni. Gli uomini si dividono in grandi universi geografici e culturali, in gruppi sociali e professionali, ma ciò che li distingue veramente e li oppone è la concezione che essi hanno del divenire umano, il modo di affrontare i gravi problemi che s'impongono a tutti: l'ingiustizia, la libertà, lo sfruttamento, la strumentalizzazione, le decisioni di priorità, le responsabilità sociali, ecc.
        Il cittadino del regno trova la sua pace con chi come lui accetta la propria morte, perché l'altro viva, trova la comunione con chi vive nella speranza.
        Invece con chi non cerca la verità, l'amore e la giustizia egli si troverà diviso e sperimenterà la realtà delle parole di Cristo: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione".
        Però egli supera la divisione con l'amore.
        Anche se la sua parola e la sua azione creano divisione, opposizioni, contrasti, egli non rende male per male, ma sa vincere il male col bene. Ripaga l'odio con l'amore.
        Con Gesù suo maestro, che "ha abbattuto il muro, l'inimicizia facendo pace nel sangue della sua croce" il cristiano è ovunque portatore di amore, ma di un amore autentico che non può rimanere indifferente all'ingiustizia, allo sfruttamento...
        Il Dio di Gesù Cristo è colui che soffre nei suoi figli trattati ingiustamente nei poveri, negli oppressi, nei perseguitati. Non ci si può chiamare "inviati di Dio" senza avere nel cuore la stessa passione, la stessa impazienza, per l'avvento della giustizia, la stessa ansia di portare il fuoco dello Spirito, con la sua forza purificatrice e innovatrice.
        Dalle nostre riflessioni appare chiaro che non è solo la vocazione religiosa motivo di sofferenze e lacerazioni profonde, che immergono sempre di più nel "battesimo di Cristo": ogni cristiano che voglia vivere con impegno la fede nell'ambiente di famiglia, di lavoro, di studio, nell'esercizio della professione e nella società, va incontro a ostilità più o meno palesi, ma nella fedeltà quotidiana che passa per la croce, egli troverà la sua pace, la vera pace, quella di Cristo.
        San Paolo nella seconda lettura ci ha presentato la vita del cristiano come continuazione di quella dei Santi, come corsa nella fatica, deponendo ogni peso di peccato, e avendo lo sguardo fisso all'unico e vero modello della vita cristiana, Gesù, che non scelse la vita facile, ma l'ignominia . Egli, disprezzando l' ignominia che la croce aveva in sé, l'ha sopportata ed ha trionfato; così il cristiano, pensando attentamente all'esempio di Cristo, non deve perdersi d'animo.
        Fino a quando non vede scorrere il suo sangue, non può dire di aver imitato pienamente Gesù: il vero profeta paga di persona l'annuncio della verità che scotta, diventando così uomo di discordia.
        Geremia, figura di Cristo, ci ha lasciato un esempio meraviglioso di testimone autentico, che sopporta persecuzioni, rischi di morte, ostilità anche da parte di amici e familiari, ed anche la prova dell'insuccesso, dovendo assistere al crollo di una società che avrebbe voluto convertire e in qualche modo salvare. Solo dopo la sua morte, quando gli ebrei si trovarono in esilio, compre
        che egli aveva ragione, e la sua parola divenne fonte di ravvedimento e di conversione.

        Mi piace concludere, in prospettiva di speranza, questo capitolo, iniziato all'insegna di una parola di "dissensione", con una parola di "gioia creativa", che ci può venir solo da parte di Colui che è nostra Pace, una pace filtrata attraverso la "cristologia del fuoco di Dio sulla terra", nel purificare ciò che è buono, segno di Dio in noi e in tutti, e nel distruggere ciò che è corrotto, i molok che tutti ci portiamo dentro.
        La conclusione ce la offre S. Ambrogio con una sua testimonianza idilliaca di meditazione sulla creazione, lo Esamerone (C. 6):
        "E' ormai tempo di concludere il nostro sermone, perché siamo al termine del sesto giorno e la creazione dell'universo è compiuta nell'uomo, che è il vertice di tutti gli esseri viventi e di tutta la creazione. Ora dobbiamo fare silenzio perché Dio si riposa dopo l'opera della creazione. Si riposa nel cuore segreto dell'uomo, si riposa in colui che ha creato dotato di ragione a sua immagine.
        Rendo grazie al Signore nostro Dio che ha fatto un'opera tanto grande nella quale egli può prendere riposo. Ha creato il cielo, ma non leggo che Dio si è riposato. Ha fatto il sole, la luna, le stelle, e ancora non leggo che Dio si è riposato. Ma leggo che ha fatto l'uomo e allora Dio si è riposato, perché aveva ormai qualcuno a cui perdonare i peccati"
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