GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Ventata conciliare di comunione

Ventata conciliare di comunione.
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        In famiglia, l'io incontra un tu, per la costruzione di un noi, nell'unità della coppia che, a sua volta, in servizio alla vita, sboccia nella famiglia: autentica comunità di persone, che si amano, si donano e trovano nei figli l'espressione tangibile del dono reciproco.
        Ora, ciò che fa la comunità è la comunione di amore, principio, forza permanente e meta della famiglia stessa. Giovanni Paolo II, nella Familiaris Consorzio, al n. 18, sintetizza così questo concetto: «La famiglia, fondata e verificata dall'amore, è una comunità di persone: dell'uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Come, senza l'amore, la famiglia non è una comunità di persone, così, senza l'amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone».
        Il sacerdote, che rinunzia ad una famiglia naturale, non rinunzia alla esperienza di comunione nell'ambito di una famiglia parrocchiale, comunità di persone, che credono e vivono di Cristo.
        Anche questa, una comunità sempre da costruire, nella comunione con Cristo, principio, fonte e meta della comunità cristiana, famiglia del popolo di Dio, peregrinante verso la comunione totale e definitiva con Lui.
        Egli sceglie Dio come «tutto» della sua vita, rinunziando al resto, e Dio lo aiuta pian piano a vedere con gli «occhi Suoi» uomini e cose, mondo e storia, piccoli e grandi avvenimenti, personali e universali... fino al punto da farsi scoprire presente in tutti e in tutto, negli uomini e nel cosmo, nel tempo e per l'eternità...
        Questa continua riscoperta aiuterà il ministro di Dio a sentirlo, in fondo al cuore, in una mistica, tangibile esperienza, incentrata in Lui, e aperta all'umanità intera.
        Zino, tornando nella comunità cristiana, in cui aveva trascorso gli anni della sua fanciullezza, si rende subito conto di vantaggi e svantaggi ad iniziare, proprio in quella comunità, un cammino di comunione ecclesiale, nello spirito del Vaticano II, già avviato l'11 ottobre 1962, a seguito dell'invito profetico di Papa Giovanni XXIII, che aveva portato un'ondata di primavera nella Chiesa.
        Viva e profonda è l'attesa di tutta la comunità, che si sente espressa, nella sua esigenza di fede, da uno dei suoi figli, incoraggiato e sostenuto nel conseguire il Sacerdozio.
        Zino, iniziando il suo cammino pastorale in parrocchia, nella festa di Cristo Re 1963, sin dal primo momento, ha una prova tangibile della simpatia, con cui è accolto. Nel suo discorso programmatico invita tutti a «continuare insieme» il cammino intrapreso in un rapporto di reciproca simpatia e di collaborazione, nello spirito di rinnovamento, cui invitava S.S. Paolo VI, che, con travaglio, avrebbe dovuto «calare nella realtà», quanto il predecessore aveva intuito.
        Questo grande profeta dei nostri tempi, ancora da riscoprire, nel discorso di apertura del II periodo del Concilio, il 29 settembre 1963, dopo aver puntualizzato principio, via e scopo del Concilio, ricorda alla Chiesa «il dovere di dare finalmente di sé una più meditata definizione», in modo da «...riformarsi, correggersi, sforzarsi di riportare se stessa a quella conformità col suo divino modello, che costituisce il suo fondamentale dovere». Alla fine di questa seconda sessione conciliare, nel discorso di chiusura del 6 dicembre 1963, il Papa, pur ammettendo umilmente e realisticamente che «già alcuni degli scopi, che il Concilio si proponeva di conseguire, sono almeno in parte, raggiunti» esprimeva la sua gratitudine al Signore ed ai Padri sinodali, con una esplosione di gioia, per la possibilità offertagli di promulgare la prima Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosantum Concilium. «... uno dei temi, il primo esaminato ed il primo, in un certo senso, nell'eccellenza intrinseca e nell'importanza per la vita della Chiesa... noi vi ravvisiamo l'ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto, la preghiera prima nostra obbligazione; la Liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, con noi credente e orante, e primo invito al mondo, perché... senta l'ineffabile potenza generatrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo signore e nello Spirito Santo».
        Il Pontefice concludeva il suo discorso col sorprendente annunzio del suo pellegrinaggio in Terra Santa « ...in segno di preghiera, di penitenza, di rinnovazione per offrire a Cristo la sua Chiesa...», il primo di una «lunga» serie di viaggi apostolici di Giovanni Paolo Il, per offrire Cristo al mondo intero, tramite la Chiesa riconciliata e rinnovata.
        L'itinerario, iniziato da Zino dalla Gerusalemme terrestre col Popolo di Dio nel ricordo della Signoria di Cristo Re, ha uno sbocco immediato nella Gerusalemme Celeste, con la solennità dei Santi e la commemorazione dei defunti, in un abbraccio ideale con la Chiesa nella sua totalità.
        Il neo-pastore gusta tutta la gioia di quei bagni di folla, assetata della Parola, che lo Spirito faceva giungere con «dovizia» a quella comunità, tramite il «telefono» da Lui stesso re-impiantato a quel posto. Egli capisce subito che la sua missione consiste nel mantenere in efficienza la «linea telefonica», per permettere alla Parola di Dio di passare, libera da ogni sedimento umano, e giungere alla comunità con tutta la sua forza di coinvolgimento.
        Dopo i primi entusiasmi del «nuovo telefono», è proprio questa responsabilità di coinvolgimento ad operare una prima auto-selezione degli ascoltatori, tra quelli più o meno disponibili al cambiamento di mentalità e, conseguentemente, della propria linea di condotta.
        Viene subito a galla una fascia di cristiani tradizionalisti, autosufficienti, che malcelavano la loro opposizione alla ventata di rinnovamento, sollecitato dal Vaticano Il, già con la prima costituzione conciliare «Sacrosantum Concilium», che proponeva a tutti di partecipare alla Liturgia «consapevolmente, piamente e attivamente».
        Per rispondere a questo appello, dalla prima domenica di Quaresima 1965, si introduce la Messa in lingua volgare, con una proclamazione più abbondante e variegata della Parola di Dio. La riforma è accolta con entusiasmo dai praticanti, ma i meno assidui e, soprattutto i cristiani «di facciata» si rivelano ben presto nostalgici del latino, delle Messe funebri quotidiane «al colore funereo», dei «catafalchi pieni di candele gocciolanti cera dovunque», del nome del defunto da ripetere in ogni Messa, quasi un «atto notarile» da inviare al Signore e... per conoscenza, ai presenti alla celebrazione, cui affidare l'incarico di darne poi notizia agli assenti...
        Quanta fatica per liberarsi da tanta... polvere secolare!
        Solo i cristiani che cominciano a lasciarsi interpellare dalla Parola, sono in condizione di iniziare un vero cammino di fede, che li guidi alla riscoperta della «lieta novità» di ciò che Dio ha operato e manifestato in Cristo risorto, per risorgere con Lui a vita nuova. Anche il novello Pastore si lascia guidare dalla radicalità evangelica, evidenziata dal Concilio, per verificarla insieme alla comunità, all'interno della stessa.
        Il cammino iniziato insieme guida gradualmente alla consapevolezza che salvezza o condanna vengono pronunciate già in questa storia: non è Dio ad emettere la sentenza, bensì l'uomo stesso, laico o prete che sia, con il suo atteggiamento di apertura o meno al «Mistero di Dio».
        Tale mistero, puntualizza San Paolo nella lettera agli Efesini, si riferisce all'itinerario della storia umana, così come fu concepito e pianificato da Dio: « ...ricapitolare in Cristo tutte cose». (Ef. 1, 10).
        La Chiesa ha pertanto la missione di proclamare umilmente agli uomini questo «segreto» della gravitazione cristiana della storia.
        Gli annunciatori di questo mistero, inseriti nelle loro comunità e con esse dovranno stare continuamente in ascolto di questo battito cristico dell'avvenimento umano, che nessun ingegno umano potrà mai scoprire. Lo scopre soltanto la fede, alla cui luce si potranno leggere i «segni dei tempi», come ricordava Papa Giovanni XXIII.
        Perciò, quando le comunità ecclesiali dimenticano il mistero, per trasformarlo in costatazione razionale o scientifica, vanno cessando di essere Chiesa e vanno perdendo quella sensibilità al pulsare del mistero, nascosto nell'avvenimento della via storica dell'umanità.
        S. Paolo, nell'inno di introduzione alla lettera succitata, riassumendo il processo di evangelizzazione gratuita, conclude col richiamo al «sigillo» del Battesimo, presentato come qualcosa di più che un segno: è il sigillo che Dio imprime nell'alleanza con un popolo liberamente eletto da Lui. Con l'esortazione successiva, aiuta a capire come il Padre manifesti tutta la portata «gloria» della Sua paternità, donando ai figli un sapere profondo e un vero e proprio carisma, lo spirito di rivelazione o di discernimento.
        Il primo consiste in tutto ciò che è «sapere valido e capace di incidere nella vita», per vivere la fede, perché «niente rende la fede più viva che il viverla» (Cfr. Zerwick).
        Il secondo consiste in una comprensione soggettiva, sempre più profondae vissuta, intima e sapida delle verità già precedentemente conosciute.
        Una delle principali verità è la speranza della vocazione cristiana, non umana, ma quella alla quale Dio chiama, che consiste nell'essere eredi di Dio e destinatari della potenza salvifica, manifestatasi in Cristo.
        La potenza di Dio si è manifestata in Cristo risuscitandolo, glorificandolo e ponendo tutto ai suoi piedi. Tutta questa realtà non è «per Cristo» soltanto, ma anche per i credenti che costituiscono la Chiesa «la quale è il suo Corpo» (Ef. 1, 23).
        Di questa infatti egli è il capo, non nel senso di «dux» ma nel senso «caput». Tutto ciò che è di Cristo diventa, per ciò stesso, di ogni membro della Chiesa che, pur nella diversità dei doni, realizza l'unità in quanto uno Spirito la anima, un Signore la salva, un Padre la ama. La vita del cristiano quindi, illuminata dalla fede, animata dalla carità e sostenuta dalla speranza, porta necessariamente ad una visione del mondo e ad un impegno diversi da coloro che «non hanno speranza» (1 Tess. 4, 13).
        È lo Spirito che, infondendo in noi questa speranza, ci apre all'amore del Padre, manifestatosi nel Signore Gesù, il quale ha sacrificato la sua vita per noi sulla croce ed è stato restituito a noi glorificato nella risurrezione, per essere con noi e per noi sino alla fine dei tempi, rendendo la nostra storia una storia redenta, nonostante il permanere di tanta sofferenza e di tanto male.
        Non è questione di ottimismo: si tratta di una visione della vicenda umana, alla luce della presenza operante di Cristo risorto. Una visione che ha precise conseguenze nella prassi. Chi è afferrato dalla speranza non si chiude mai nel pessimismo, anche in assenza di risultati immediati, basandosi sulla croce di Gesù, «il più radicale atto di speranza» (K. Rahner).
        È stata questa speranza a spingere Zino nell'avventura di un faticoso cammino, spesso controcorrente, che continua nel tempo, sotto la guida dello Spirito, in una costante reinvenzione della propria adesione di fede a Cristo, all'interno di una comunità sempre da costruire.
        Egli orienta la sua azione evangelizzatrice e sacramentaria, liturgica e caritativa, verso le varie componenti la comunità: bambini e anziani, giovani e adulti, celibi e sposati, contadini e artigiani, operai e professionisti.
        Sua prima preoccupazione pastorale è costituita dal guidare i primi passi della comunità verso l'essenzialità della vita cristiana, incentrata sulla Parola, proclamata non solo alle Messe domenicali e feriali, nuziali e funebri, ma in tutte le occasioni di incontro con la gente: tridui e novene; primi venerdì di mese e quindici sabati del Rosario, estivi ed invernali; mese mariano e mese del S. Cuore; mese del Rosario vivente e mese dei morti (indimenticabili gli incontri pomeridiani domenicali di novembre al cimitero).
        Ormai, dopo il bilustrale tirocinio in seminario e fuori, dopo un breve periodo di rodaggio della macchina parrocchiale, tutto è pronto per avventurarsi verso nuove mete e assaporarne il fascino... sempre sognato.
        Il primo pensiero è per i bambini e per gli anziani, binomio inscindibile per un'azione pastorale completa, inclusiva di tutto l'arco della vita terrena.
        Già prima della presa di possesso della parrocchia, nei mesi estivi aveva cercato di stimolare i bambini ad aprire il loro cuore a Cristo, iniziandoli al gusto della Messa domenicale, non come un dovere da fare, un precetto da soddisfare, ma come un entusiasmante incontro, insieme agli altri, con il più fedele degli amici, Gesù, in religioso ascolto della sua parola ed in gioiosa comunione con Lui nell'Eucarestia attraverso un'esperienza comunitaria.
        Nell'assaporare (il sapére latino) la bellezza di questa scoperta comunionale, sono di grande aiuto i canti di una Messa del fanciullo, molto significativi e stimolanti, sia per l'iniziazione sacramentaria dei bambini, sia per il coinvolgimento di tutta la comunità, in quel clima festoso di incontro con Cristo nella Chiesa locale.
        Si fa così insieme una viva esperienza di quanto suggeriscono Scrittura e Tradizione.
        «Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell'assemblea dei fedeli» Sal. 149, 1).
        «O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: Cantate al Signore un canto nuovo.
        Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa: Cantate, al Signore un canto nuovo...» (Disc. 34 – S. Agostino).
        I bambini divengono così i primi collaboratori del neo-pastore, soggetti attivi di pastorale, per l'entusiasmo di cui riescono a contagiare anche gli adulti. Questa collaborazione trova subito conferma nella celebrazione della «Settimana della Bibbia», in cui le Figlie di S. Paolo riescono a piazzare in paese oltre 800 bibbie, in quasi tutte le famiglie, anche ad opera dell'entusiastica pubblicità, offerta gratuitamente dai fanciulli.
        Tale collaborazione è consolidata attraverso films e documentari televisivi, filmine e diapositive biblico-catechetiche, utilizzate sia per creare maggiore interesse nei ragazzi, sia per trasformarli in preziosi «catechisti» in famiglia . \egli ultimi anni non sono mancate interessanti videocassette, che hanno registrato momenti salienti di vita locale, con coinvolgente risonanza nelle famiglie.
        Un preziosissimo elemento di educazione biblico-catechetica agli adulti, tramite gli «infanti», sono state le suggestive opere d'arte di P. Andrea Martini OFM., dell'architetto Prof. Luciano Vinardi, nonché del restauratore Roberto Diamanti.
        Queste opere d'arte, realizzate in chiesa per la generosità di alcuni, e diffuse nel mondo attraverso una ricchissima serie di cartoline, spesso sono spiegate in famiglia proprio dai piccoli, particolarmente sensibili ed edotti nel linguaggio dell'immagine. Le cartoline sono utilizzate anche in artistici quadretti, creati da due ingegnosi operai del posto, che arricchiscono ovunque tante case.
        Un semplice fatto di storia locale si è così amplificato in «annuncio della storia della salvezza», rievocata appunto da tali opere, spiegate brillantemente tante volte a turisti e visitatori dai piccoli, improvvisati «ciceroni».
        L'altra colonna portante di tutta la pastorale è fondata su anziani e ammalati, che Zino ama chiamare i «parafulmini» della società, ai quali rivolge subito un paterno appello di valorizzazione delle loro sofferenze, per una personale collaborazione all'azione evangelizzatrice della parrocchia.
        Tutti sono contenti della visita a casa del neo-parroco, accogliendo con entusiasmo anche l'idea della collaborazione, fatta eccezione di una vecchietta, quasi novantenne, che lo accoglie in modo poco garbato, a causa di una mentalità secolare che si portava dentro: «nun vogl'io a nisciun'o e nun aggi'abbisugn'o ri nisciuno = non voglio nessuno e non ho bisogno di nessuno».
        Accoglienza originale, anche se poco incoraggiante, non certo attribuibile alla povera vecchietta, vittima soltanto di una società sedicente cristiana, che si rassegnava ad accettare il prete in casa, solo quando l'ammalato non capiva più nulla, per una magica «unzione», che la Chiesa stessa non si vergognava di chiamare «estrema».
        Logicamente il nostro Zino non molla per quella accoglienza «poco accogliente» e, dopo alcuni giorni, torna alla carica, per cercare di aiutare la poverina a liberarsi da quella mortificante schiavitù.
        Ma, con sua grande sorpresa, appena varcata la soglia di quella stamberga,si sente gridare, con profondo disagio, dalla nonnina: «z'arciprète, m'ia scusò, pe quero ch'è succiesso l'ata volta. Che bbuie fa, eio fin'a ghà arrivavo = Zio arciprete, mi devi scusare, per quello che è successo l'altra volta. Che vuoi fare. io fin là arrivavo». Commovente presa di coscienza di una schiavitù, da cui l'arzilla nonagenaria si era già liberata, senza che l'arciprete spendesse una parola. Come per incanto, la congenita ed ereditaria antipatia si era cambiata in reciproca simpatia, spingendo i due fino allo... innamoramento.
        La mentalità popolare invece è dura a morire, perché quando Zino frequenta una casa, col suo fine udito, spesso capta il vociare della gente che, sulla strada, si chiede sommessamente, ma non tanto: «Chi staffe murenno = chi sta per morire?». Oppure, quando si chiedono notizie di salute di un ammalato grave, si coglie spesso sulle labbra, come risposta: «uh, è sciuto lu previte = oh. è andato il prete!», quasi a dire: «è ormai spacciato!».
        Zino si sente profondamente ferito, come uomo e come ministro del Signore, da queste tegole che gli cadono in testa, per cui, senza nemmeno parlarne dall'altare, convinto dell'inutilità, passa decisamente allo... attacco, invitando le persone inabili a fare la Comunione a casa, almeno una volta al mese.
        Per il primo venerdì di ogni mese, si convince a fare la comunione a casa un gruppetto, che aumenta man mano, anche per la collaborazione di alcune persone, fino a stabilizzarsi, nel giro di un paio d'anni, sul centinaio, approssimativamente, come avviene anche attualmente, per un costante avvicendarsi.
        Dopo qualche anno di questo certosino lavoro, è stata debellata completamente e, ormai, definitivamente, la superstiziosa mentalità di chiamare il sacerdote «m extremis», per gli ultimi conforti cristiani, con grande vantaggio per tutti: il parroco, assolvendo remotamente al compito di preparare gli ammalati all'incontro definitivo con il Signore, in piena coscienza resta tranquillo per le morti improvvise e non è più chiamato in ore notturne, per i sacramenti ai moribondi; gli ammalati, soprattutto quelli che praticano il I° venerdì di mese, chiedono spontaneamente il Viatico, quando sentono aggravarsi la malattia; i familiari sono completamente esonerati dalla preoccupazione di impressionare il malato, chiamando in casa il sacerdote.
        Soprattutto Zino è contento di aver vinto una mentalità retrograda di magia e superstizione, per cui non si colgono più sulla bocca della gente, quelle «obbrobriose» espressioni di cui sopra.
        La parrocchia si è certamente avvantaggiata di avere invalidi e disabili, ammalati e anziani come soggetti attivi di crescita umano-cristiana dell'intera comunità, gregge e pastore.
        La devozione al S. Cuore, lungi da ogni forma di devozionalismo per assicurarsi il Paradiso, comincia a caratterizzarsi di un felice intreccio tra pietà personale e rilevanza sociale, contribuendo a creare un'atmosfera spirituale, in cui si alimentano esperienza interiore ed impegno apostolico.
        Questo breve flash è sufficiente per cogliere il timbro della spiritualità, che pastore e fedeli hanno cercato di scoprire insieme, partendo dal dato di fatto preesistente della comunione ai primi venerdì di mese, vista «come tessera al... Paradiso».
        Lo spirito di Cristo Salvatore ha guidato il «resto» della comunità ad una profonda carica d'interiorità, con una volontà di donazione totale agli ultimi, in conseguenza di un vivo appello alla santità personale, per riportare famiglia e società ad una fede più autentica e ad una religiosità più rispondente a problemi vecchi e nuovi.
        L'apertura degli anziani porta quasi per contagio ad un'apertura agli anziani, soprattutto da parte dei giovani, i più sensibili a cogliere i bisogni effettivi degli emarginati di turno in ogni società.
        I giovani recepiscono subito il senso di isolamento, in cui questi vecchietti erano lasciati, a volte anche da numerosi figli lontani e vicini, per cui si rimboccano subito le maniche. I ragazzi si offrono ad incombenze più pesanti, come tinteggiare povere stamberghe e rimettere in sesto mobili fatiscenti, lasciando alle ragazze il compito della ripulita generale di case e utensili, nonché della. consunta biancheria, provvedendo insieme alle spese necessarie.
        La novità del gesto crea furibonda reazione, sia da parte dei familiari dei vecchietti, umiliati per l'abbandono in cui li lasciavano, sia da parte dei familiari dei giovani che, pur convinti alle volte della validità del servizio, non si rassegnavano ad essere oggetto di acerrime critiche degli «ipocriti benpensanti».
        Questi ultimi infatti, stanati dal loro fariseismo, ridicolizzano il «gesto profetico» dei giovani e ne sobillano i genitori, accusandoli di permettere ai figli di fare i «servi». Un vero linciaggio morale! Alcuni genitori, i soliti schiavi della mentalità corrente, non si limitano a rimproveri e minacce nei confro nti dei figli, ma passano anche a vergognose vessazioni.

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