GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - ...alla LUCE della MORTE

...alla LUCE della MORTE.
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        In tale ricchezza di lezioni di vita, attraverso esperienze vissute, non poteva mancare l'inelusibile «lezione di vita della morte», attraverso il contatto diretto con la morte o con il moribondo, quando la morte era ancora una realtà «domestica».
        Oggi, solo nelle piccole comunità, si conserva qualche residuo di convivenza tra vita e morte, due termini inscindibili, complementari, che si richiamano inevitabilmente, «naturalmente!»: nascita, crescita, invecchiamento, morte sono realtà che tutti possono vedere, se non si chiudono ostentatamente gli occhi; non per nulla, nelle città medioevali, con fine senso pedagogico, accanto alle altre, c'era spesso la porta del morto, che si apriva soltanto per permettere il passaggio alla bara.
        Al contrario, mille segni ci dicono che oggi la morte è il vero tabù dell'uomo contemporaneo... ma rimozione e silenzio non portano con loro la soluzione del problema.
        Una recente inchiesta ha rilevato inoltre che meno del 15% delle persone intervistate, sia stato vicino ai parenti prossimi (padre, madre, fratelli) deceduti. In tal modo, alla persona «cara», che muore nell'anonimato di un ospedale, viene tolta la possibilità, non di morire felicemente, ma quanto meno di essere protagonista della propria morte, dentro la vita della propria gente, ed ai sopravvissuti la facoltà di esprimere il loro lutto. E tutto questo non sempre per necessità dovute alle cure del caso, ma per ... la necessità di essere «civili»...
        Di qui il passaggio, inesorabilmente sempre più diffuso, dalla morte in pubblico, a casa propria e circondato dai propri cari, in una cornice quasi ritualizzata, ritmata da singhiozzi, lacrime e «cerimonia degli addii», alla morte impersonale, fredda, in una fredda camera d'ospedale, dove non cambia solo lo scenario della morte, ma anche il rapporto di fondo del morente con l'ambiente, che conferisce al morire la sua dimensione umana. La frustrazione della morte, in una desolata solitudine, è oggi l'avvenimento più frequente, nei moderni santuari ospedalieri.
        Del resto, oggi, anche in Italia, si moltiplicano le agenzie che affittano villini, posti in periferia delle grandi città, dove «parcheggiare» il morto, in attesa del funerale.
        Ma la ricchezza materiale sta trascinando l'umanità all'umiliazione estrema, cui può arrivare l'uomo, asservito al Molok della tecnologia bruta e cieca.
        Notiamo infatti che, nei paesi progrediti, dove regna la logica del profitto, che spinge inesorabilmente ad una produttività assoluta e disumana, l'anziano diventa sempre più un peso ingombrante. Basti ricordare che in Giappone c'è la «Operazione Columbia d'argento» con l'intento sfacciato, di aiutare da una parte gli anziani a scoprire, sull'esempio di Colombo (donde il nome), un mondo dorato e, dall'altra, di disinfestare il paese d'origine da un ingombro nauseabondo!
        L'organizzazione, felice dei risultati raggiunti, presagendo forse la moda attuale dei metamorfismi partitici di cambiare «nomi e simboli», ha aggiornato anch'essa il proprio look, chiamandosi ostentatamente «Operazione esteso piacere all 'estero», conservando però lo stesso fine «umanitario» di... scaricare ... in plaghe, magari deliziose, allettanti, lungo litorali spagnoli, italiani o del Sud America, «Stok» interi di anziani, per aiutarli a concludere la loro vita in queste ... prigioni dorate.
        La soluzione, veramente fascinosa, è stata forse suggerita al genio imaginifico giapponese, da un'antica tradizione locale, molto macabra per la verità, in base alla quale gli anziani venivano «portati» su un monte a... morire, col sostegno dello jem: allora, per metterli in comunicazione con l'infinito, oggi, per strapparli al finito, cui sono di... peso!
        Un grande poeta giapponese del 1600 il Bascio, andato anche lui a vedere questi anziani, in lista di attesa della morte, portati dai loro figli, sia pure con tutta la cornice della religione, che dava loro l'illusione di un ingresso nell'infinito, così pacifico e sereno, resta profondamente scioccato da quell'esperienza allucinante. Egli arriva ed intuisce fulmineamente che significa attendere la morte per fame; vede anche i figli che se ne vanno e tornano all'esistenza, lasciando i genitori in questa solitudine macabra e drammatica, su cui è stato intessuto anche un film.
        Bascio dinanzi a questa montagna della morte, scrive un brevissimo epigramma, che suona così: «non la dimenticherò più quella vecchia piangente», la vecchia madre che piange, guardando il figlio che se ne va, segno evidente della sua prossima morte, in una solitudine agghiacciante, anche se gli dei la stanno accogliendo.
        Quanti di questi «volti piangenti» si potrebbero oggi scoprire vicino o lontano da noi! Ma il processo di civilizzazione attuale ha costruito un muro di silenzio intorno ai «moderni lager di morte», di pietose menzogne intorno al morente, trattato da minorenne, ed un farisaico gioco collettivo di rimozione per la società, sollecitata a vivere, facendo finta di nulla, tenendosi dentro le domande, i perché di fondo, in modo che non siano verbalizzati.
        Il famoso storico e tanatologo francese, Fhilippe Ariès, qualche anno fa, in un significativo saggio sulla storia della morte in occidente, icasticamente, puntualizzava così il problema: «ciò che davvero è morboso non è parlare della morte; ma tacerne, come oggi si fa. Nessuno è più nevrotico di chi giudica nevrotico affrontare il discorso della morte... La morte è diventata un tabù, una cosa innominabile e, come una volta il sesso, non bisogna nominarla in pubblico.
        Nel XX secolo la morte ha rimpiazzato il sesso come principale interdizione. Una volta si diceva ai bambini che nascevano sotto un cavolo, ma essi assistevano alla grande scena degli addii, nella camera e al capezzale del morente. Oggi i bambini sono iniziati, fin dalla più giovane età, alla fisiologia dell'amore e della nascita, ma quando non vedono più il nonno e domandano il perché, si risponde loro, in Francia, che è partito per un viaggio molto lontano, in Inghilterra, che riposa in un bel giardino, in cui spunta il caprifoglio.
        Non sono più i bambini, che nascono sotto il cavolo, ma i morti che scompaiono tra i fiori». Pagina di bruciante attualità!
        Qualche decennio fa si verificava ancora il contrario di quanto affermato da Ariès. Anche il nostro Zino dovette attendere a lungo per... avere idee chiare sul sesso, ma non certo sulla morte, con la quale ebbe contatto sin dai primi anni della fanciullezza.
        Ancora risuona, flebilmente ma profondamente, ai suoi orecchi il grazie, bisbigliato appena dalla nonna materna, tra l'ansimare affannoso del suo respiro agonico, per l'ultimo bacio, deposto caldamente sulle gote, insieme a qualche lacrima malcelata, dal nipotino, che aveva concentrato in lei l'affetto anche degli altri tre, non conosciuti.
        Dopo alcuni mesi, fu la volta del maestro, che lo aveva accolto in prima elementare, con tanta affettuosità, iniziandolo allo studio, con dolcezza e fermezza, soltanto per due anni e pochi mesi, sufficienti però a lasciargli nel cuore un ricordo indelebile.
        Era questi una nobile figura di sacerdote, dalla vasta cultura, pervasa da un profondo senso umanitario, strappato violentemente all'affetto della numerosa scolaresca, a soli 56 anni. Zino che aveva seguito con particolare trepidazione il breve decorso della malattia, anche perché a lui legato da parentela, lo ricorda vivamente nell'immobilità della morte, con le mani irrigidite nell'atto di stringere sul petto calice e patena: questo toccante ricordo avrà forse lasciato inconsapevolmente nel suo cuore un germe di vocazione sacerdotale. Le vie della provvidenza si incrociano spesso con quelle dell'uomo!
        Ben presto la piaga si riaprì dolorosamente, per la perdita di un amico d'infanzia, compagno di scuola, e di un bambino di appena due mesi, morto proprio nella stanza natale di Zino, perché figlio di una cugina, che aveva comprato la casa da poco. Come non ricordare il bianco-cera di quei volti, così presto irrigiditi dalla morte, e la pioggia abbondante di fiori campestri e dei confetti sulle loro bare, lungo il corteo funebre?
        Qualche anno più tardi, già seminarista con tanto di veste talare, preparandosi privatamente a casa all'esame di terza ginnasiale, per via della guerra, potette seguire da vicino tutte le fasi della lunga agonia di una zia, investito già ad assisterla, «ormai pretino», con le preghiere per gli agonizzanti, fino al momento della morte, presagita dal canto notturno di una civetta (pare che non sia solo un fatto di... credenza popolare!).
        Da questi pochi, ma significativi episodi, si può capire come, per tornare a vivere oggi «alla luce della morte», sia necessario un recupero degli atti più profondi dell'esperienza umana: la dignità del soffrire e la dignità del morire.
        Ben a ragione, il Cardinale Villot, sul letto di morte, non molto tempo fa, raccomandava che, al di là di molte parole, occorre forse riapprendere l'arte di accompagnare i sofferenti e i morenti: capaci di condividere il limite di chi soffre e di chi muore, per riscoprire il proprio limite.

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