GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - Tu solo hai parole di vita eterna

Tu solo hai parole di vita eterna.
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        Il discorso di Gesù a Cafarnao sollecita ciascuno di noi a dare un precisa risposta, alla proposta d'amore di Dio, nel dono sacrificale del suo Figlio. È l'uomo che deve decidersi se accettare o rifiutare quella proposta, se amare o gettare via ciò che Dio comanda, se desiderare o ignorare ciò che Egli promette. È, in una parola, il dramma o la gioia della fede, credere o non credere.
        Credere non è un vago sentimento religioso, che ci riporta a Dio in qualche modo, ma è un seguirlo e servirlo. È la scelta di fondo che Giosuè propone al popolo, allorché giunge nella terra promessa, dopo tante peripezie: stare dalla parte del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe con un servizio fedele, o volgergli le spalle, per seguire divinità occasionali e di comodo. Israele si impegna coralmente a stare dalla parte di Colui, che lo ha condotto alla liberazione, riconoscendo di essere oggetto di scelta, di grazia e di promesse da parte di Iahvè.
        Quella solenne assemblea di Sichem, ci fornisce la griglia di lettura della celebrazione eucaristica, in cui la Parola di Dio interpella ciascuno di noi ad una scelta precisa.
        Gesù, a conclusione del discorso del pane di vita, rivolge anche a noi le parole rivolte agli Apostoli: «Scegliete chi volete servire... Volete andarvene anche voi?» La domanda è posta alla radice del nostro essere, e l'opzione per Dio nella fede dev'essere l'atto decisivo, che deve qualificare la nostra esistenza.
        Come nell'assemblea di Sichem, anche noi proclamiamo oggi la memoria di quanto Dio ha fatto per noi, per «poter» essere a pieno titolo il nostro Dio; a ciò seguirà la professione di fede, che dev'essere una ferma volontà di fedeltà a Dio e alla sua legge, rivelataci definitivamente in Cristo.
        La liturgia eucaristica viene così ad assumere la figura di pasto, che suggella l'alleanza nuova ed eterna: Dio e la sua gente diventano commensali di un pasto dove, essendo il Pane Corpo di Cristo e il Vino Suo Sangue, si opera l'adozione filiale, la partecipazione degli uomini alla natura divina.
        Pietro, rispondendo in nome di tutti i discepoli di Cristo Gesù, dice, con lo spirito sommesso di chi sa quanto sia impegnativo credere, ma anche con la forza che viene dal Padre: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna».
        La fede è vita, e Cristo, vita Lui stesso, ha inserito la nostra umile, effimera e corruttibile vita in quella divina. Dio stesso viene ad abitare in noi e ci trasforma in Lui, lentamente, quotidianamente, in rapporto al nostro lasciarci inondare da questa luce, al nostro lasciarci amare.
        Ma la storia è piena di uomini, che non si aprono a Cristo, e la parola rivelata sottolinea costantemente il vivere come se Dio non ci fosse: «...questo linguaggio è duro...». «Eppure solo Cristo ha «parole di vita eterna», parole che spiegano profondamente la vita, parole che non deludono, anche se sono esigenti.
        La fedeltà tra gli uomini è così difficile, persino tra marito e moglie, suggerisce S. Paolo, se non è capita e vissuta sullo sfondo dell'amore di Cristo: «...come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef. 5,25).

        Mi è gradito concludere questa parte del discorso su «Parola-Pane di Vita», nutrimento offertoci dal Padre, nel nostro «esodo» terreno, con un riferimento, anche se fuggevole, a Colei, che ha «acconsentito» alla Parola di diventare «Carne», per nostro nutrimento, perché possiamo guidare decisamente i nostri passi, sotto l'azione dello Spirito, verso la Gerusalemme Celeste.
        La Missione di Maria, Regina dell'Umanità intera e del Cosmo, è stupendamente «visualizzata» in questo autentico gioiello di teologia e di arte, rappresentante la sua mirabile Assunzione al Cielo.
        Il Rosone, del diametro di m. 3,50, in vetri Dalles, è sistemato. sulla facciata della chiesa «S. Bartolomeo Ap.» in Laterina.
        Tutto il discorso dell'intero capitolo, organizzato nel tempo da Colui che è l'incomprensibile, l'ineffabile, l'indefinibile, scaturito dal «silenzio ascoltante» del nostro Zino, ha guidato, in tutte queste pagine, ad un «silenzio parlante», attraverso un'esperienza di pietà profetica.
        Il teologo e studioso delle religioni (prima cattolico e poi luterano) Friedrich Heiler (1892-1967), nella sua monumentale ricerca di psicologia e storia delle religioni, dedicata a «La preghiera», puntualizza che il comportamento di fondo della pietà profetica è «attivo, esigente, avido... Nell'esperienza profetica ardono gli affetti, la volontà di vita si afferma, vince e trionfa anche nella sconfitta esteriore, sfida la morte e l'annientamento.
        Dall'indigenza e dalla disperazione più profonda, scaturisce alla fine, generata dalla tenace volontà di vivere, la fede, la sicurezza incrollabile, la costruzione e la fiducia, salda come una roccia, la speranza audace...
        Il profeta è un combattente, che si protende continuamente dal dubbio verso la certezza, dall'inquietante insicurezza all'assoluta sicurezza della vita, dallo scoraggiamento al fresco coraggio di vivere, dal timore alla speranza, dall'opprimente senso del peccato alla beatificante coscienza della grazia e della salvezza» (F. Heiler, Das Gebet 1923, pag. 255).
        Il Dio della pietà profetica è il Dio rivelato (Deus revelatus), il Dio continuamente attivo (Deus semper agens); la concezione di Dio, propria della religione biblica, è il riflesso dell'esperienza vissuta di una fede volontaristica: «Dio non è l'unità immobile, infinita, ma una forza viva dotata di volontà, non è la quiete silente, bensì un'attività operosa, non è perennemente quieto, bensì in continua azione, non è l'Essere supremo, ma piuttosto la Vita suprema, per esprimerci secondo le contrapposizioni di S. Agostino...
        Negli spiriti profetici, l'esperienza vissuta dell'immensa potenza di Dio diventa l'angosciato tremare di fronte all'ira insfuggibile del Dio vivente... I pii profetici si sentono totalmente dipendenti dalla potenza di questo Dio vivente; nella sua mano stanno la felicità e la sventura, la benedizione a la maledizione, la vita e la morte.
        Ma la fede fiduciosa, la fiducia incrollabile produce il sorprendente paradosso per cui il Dio adirato e geloso, esigente e giudicante, è nel contempo colui che dona e perdona, colui che aiuta e salva, il paradosso di una suprema forza onnipotente che, nella sua natura più intima, non è altro che sapienza, misericordia e bontà» (op. cit., pagg. 261 e ss.).
        Il Dio della Bibbia si rivela, nel suo dinamismo storico, il Dio-Alfa e Dio-Omega, il Dio creatore e il Dio dell'esodo, il Dio sempre presente anche nell'assenza, rivelatosi lahvè = io sarò presente guidando, aiutando, rafforzando, liberando (cfr. Es. 6,6 ss.): con Lui il passato rimane presente e, confermando il presente, aiuta a preparare il futuro.
        Aprendosi nell'amore a questo Dio sempre presente = Iahvè, l'uomo fa l'esaltante esperienza di sintetizzare le tre dimensioni del tempo, immergendosi nella contemplazione del mistero di Colui che è: in Lui rivive un passato che si rende presente ed un presente che proietta nel futuro.
        Ecco perché il credo nel V.T. non è un credo filosofico-speculativo, ma piuttosto un credo-storico, incentrato sul Dio della liberazione, «che ha tratto fuori Israele dall'Egitto»: è questa la risposta dell'uomo all'autorivelazione di Dio, avvenuta nella storia.
        Congiunta strettamente ad essa è la lode di Dio e delle sue gesta (mirabilia Dei), a partire dagli inni antichissimi al Dio liberatore, ai salmi di lode del popolo e del singolo, fino ai grandiosi inni al Dio creatore.
        Insieme alla lode, la Bibbia è pervasa di lamentazioni provenienti dalla sofferenza, sia del popolo che del singolo, che spesso «grida» al Dio incomprensibile, per la sua assenza e inoperosità, grido sfociante sempre, ad opera della fede, nell'Amen finale, tacito o esplicito.
        Nella Bibbia, dalla prima all'ultima pagina, non ci si limita a parlare di e su Dio, ma continuamente si parla a e con Dio, lodandolo e lamentandosi, pregandolo e ribellandosi. Egli può essere ascoltato e invocato; un Tu che parla e al quale si parla; un interlocutore cui ci si può rivolgere.

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