GERARDO DE PAOLA - ZINO e MOLOK - ZINO... vittima del suo sacerdozio, sacerdote della sua vittima

ZINO... vittima del suo sacerdozio, sacerdote della sua vittima.
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        Per tutta una serie di circostanze, quanto egli affermava, inconsapevolmente, in questo breve discorso rievocativo, la Provvidenza ha permesso che lo esperimentasse, ancora una volta, in prima persona.
        Del resto, ogni ministro di Dio, prima o poi, nella ferialità della vita, è sollecitato a «filtrare» quanto è chiamato ad annunziare agli altri, sia dall'altare della «celebrazione», che da quello della vita, anzi dall'unico altare su cui, al sacrificio di Cristo, Sacerdote e Vittima, egli unisce il sacrificio della propria vita.
        Una delle preghiere più care a Zino, nella significativa concisione latina, presa anche, almeno orientativamente, a motto di vita, come cristiano e come sacerdote, era: «Egomet, mi bone Jesu, Victima Sacerdotii mei et Sacerdos mese Victimae, sim! = Anch'io, mio buon Gesù, sia Vittima del mio Sacerdozio e Sacerdote della mia Vittima!».
        La vita di ogni cristiano infatti, in forza del sacerdozio comune, e maggiormente di ogni ministro, deve mirare ad essere sempre più ostia vivente, santa, gradita a Dio, come esorta S. Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vero culto spirituale» (Rm. 12,1).
        Tutta la forza profetica di questo sacrificio vivente trova la sua realizzazione, attraverso ogni sforzo di promozione umana, di liberazione, di impegno, di lotta per il rinnovamento del mondo, incentrato sulla morte e risurrezione di Cristo, «ricapitolazione» della storia.
        Cristo assume in sé la vita dell'intera umanità, cristiana e non, con le sue ansie ed attese, occupazioni e preoccupazioni, volontà di bene e scacchi del male, esigenze di fratellanza universale e pratica di sfruttamento e violenza, per dare a tutto un «valore sacrificale» di purificazione e rinnovamento, di conversione e trasfigurazione, di morte e risurrezione.
        È qui l'originalità della speranza cristiana, basata sul «Vangelo», che non è annuncio di «paura», ma esaltante annuncio della «Buona Novella», della gioia della Pasqua, cui si giunge proprio attraverso l'oscurità della Croce, ma senza bloccarsi al Venerdì Santo.
        Se ci si ferma a questo, ci si ferma al passato, a ciò che è morto e «deve» morire, come ricorda il «Deve molto soffrire» di Gesù, in cammino per l'ultimo viaggio verso Gerusalemme.
        Il seguace di Cristo è l'uomo del futuro, per cui deve guardare a ciò che nell'uomo è vivo e può essere reso vivo, in modo sempre più profondo. Il cristiano, pertanto, non è l'uomo che «aspetta il futuro», che gli sarà dato dopo la morte, ma è l'uomo che «costruisce oggi» il futuro, per sé e per gli altri.
        In un certo senso, dopo Cristo, tutto è fatto, in quanto non si attende più nulla di sostanzialmente nuovo. Eppure è altrettanto vero che tutto rimane da fare, in quanto lo Spirito del Risorto, servendosi di tutti gli uomini di buona volontà, dentro e fuori la Chiesa, deve aiutare il mondo intero a «fare Pasqua», per «far passare» tutte le realtà della creazione, nella sfera di Cristo, il quale alla fine, definitivamente, «ricapitolerà» in sé tutte le cose.
        Il cristiano, convinto di questa esaltante e misteriosa realtà, se, lasciandosi sollecitare dalla Parola di Dio, si sforza di vivere in tale prospettiva, offrirà al mondo attuale così disorientato, l'annuncio di una grande speranza, non solo quella nelle cose future, ma anche la speranza nell'uomo di oggi.
        Speranza non cieca, non dimentica del passato e del male, ma speranza capace di far scoprire il bene in ogni uomo, attraverso i «segni» delle sue più profonde aspirazioni, che possano guidarlo, sia pure inconsciamente, ad inserire nell'oggi di Dio il proprio oggi.
        L'uomo, dopo numerose esperienze fallimentari, o soltanto insoddisfacenti, va oggi reinventando forme e movimenti di riaggregazione, capaci di strapparlo al freddo e impersonale rapporto della grande dimensione societaria, aiutandolo a recuperare nel vissuto quotidiano, il proprio volto umano, per ridefinire la propria identità ed il proprio ruolo sociale.
        Fortunatamente, nascono e pullulano legami di convivenza non superficiali, in piccoli e vivaci gruppi a dimensione umana, dove ognuno, offrendo agli altri il proprio apporto personale, realizza pienamente la propria personalità, e porta il suo contributo di crescita alla comunità, evitando ogni forma di delega o di evasione.
        Saranno questi nuovi attori sociali, a strappare l'uomo dall'inumana e fredda società odierna, per coinvolgerlo nella costruzione di un «caldo sociale», adeguato alle nuove esigenze.

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