'' Settembre a Vallata '' di Gennaro Ciampolillo

                          Settembre a Vallata

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A sera, quando il sole già tramonta,
verso le sette e mezza o quasi otto,
fermati giù, in piazza, alla Fontana
e volgi gli occhi, spalle al monumento.

Aspetta che s'accendano le luci,
comincia a camminare sulle rampe,
poi vai, verso porta Rivellino
che vedi in alto, proprio su in cima.

Facciamo insieme questo mesto giro
ma prima di passare sotto l'arco,
rivolgi verso piazza, ancora lo sguardo
mirando il cielo, lì, sopra Trevico.

Siamo a settembre, appena cominciato
con l'aria tersa, dal color azzurro,
senza i rumori tipici d'agosto
andando piano, incontro all'autunno.

Appena attraversato l'arco antico
sulla sinistra vedi il Santo Pio,
a destra in alto svetta il campanile;
la Chiesa Madre s'adagia sullo spiazzo.

Affronta la salita con pazienza
ma imboccando una galleria.
Ti puoi fermar per dire una preghiera
e poi andare dritto, verso il "Tiglio".

A mezza via, un vicoletto in legno
t'induce ad inoltrarti sulla piazza
che fa da teatrino del paese.
Fermati adesso e qui riprendi il fiato.

Osserva intorno due stradine strette
e scendi verso l'Annunziata antica.
Solo il silenzio e la malinconia
ti fanno da compagne, con due gatti.
  Fatti guidar soltanto dall'istinto,
continua osservando case e orti
mentre la persistente parietaria
s'arrampica sui muri e sulle porte.

Quante casette antiche, sole e mute
chiuse da anni, senza vita e luce
rimandano al passato ormai lontano
che vive solamente in qualche foto.

Scendiamo lenti, nel ventre del paese
ricordando un viso e la bottega
del cantiniere morto o del barbiere
che qui passò la vita, lentamente.

È bello e triste insieme questo viaggio
tra le rovine antiche dei paese:
sembra di visitare un vecchio amico
che giace infermo, prima di morire.

Concludo il mio percorso all'Annunziata,
povera chiesa, senza più fedeli.
Le fanno da guardiani, lì, di fronte un
albero di pere e due di prugne.

Finito il giro, eccomi arrivato
al centro della via principale
e lo stridor di auto sfreccianti
mi riconduce al vivere moderno.

Custodi di quei muri, vecchi e rotti
rimangono quei gatti abbandonati
che il buio della notte, densa e scura
trafiggono con occhi bianchi o gialli.

Rintocca la campana e mi richiama.
M'avvio, lasciando al borgo una carezza
ma penso con la rabbia e lo sgomento
a chi lo ha ferito e non curato.

Gennaro Ciampolillo

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